Novità in materia di impugnazioni
L’anno trascorso tra gli ultimi mesi del 2013 e l’autunno 2014 ha visto le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione impegnate nel dirimere contrasti e risolvere incertezze che si protraevano da tempo e che si spera siano ora avviati a stabile soluzione.
Continua a spiegare la sua influenza la costituzionalizzazione del principio di ragionevole durata del processo, argomento a volte determinante per far preferire una soluzione all’altra. Vale citare Cass., S.U., 23.9.2013, n. 21670, secondo la quale il ricorso per cassazione proposto dai genitori quali esercenti la potestà sul figlio, quando lo stesso sia già divenuto maggiorenne, impone l’integrazione del contraddittorio nei confronti di quest’ultimo, in quanto litisconsorte necessario.
La possibilità che tale principio possa comportare un rallentamento del giudizio, per gli adempimenti necessari alla corretta instaurazione del contraddittorio con il litisconsorte, ha indotto la Corte, in un caso in cui questi era intervenuto senza però notificare alle altri parti tale atto d’intervento, a ritenere superflua la concessione del termine ex art. 331 c.p.c. Tale omissione è stata condizionata a una prognosi sulla infondatezza prima facie del gravame.
Si è così esteso il campo di applicazione di un principio, coniato da S.U., 22.3.2010, n. 6826, ripreso più volte negli anni successivi e su cui si è soffermata anche Cass., ord. 17.10.2014, n. 22080, di cui si dirà più avanti.
Ragioni di economia processuale sembrano ispirare, quanto alla completezza del contraddittorio, anche S.U., 26.3.2014, n. 7179, che non verte in tema di impugnazioni, ma di regolamento di giurisdizione.
Essa ha opportunamente chiarito che la finalità di garantire la presenza di tutte le parti necessarie per il regolamento della giurisdizione può essere assicurata anche attraverso la notifica del controricorso proposto da uno dei soggetti costituiti nel procedimento introdotto da tale istanza. Tale ultima notifica è di per sé sufficiente a consentire l’intervento della stessa parte nel giudizio per regolamento preventivo e ad escludere la necessità di ordinare l’integrazione del contraddittorio.
Da segnalare, per la notevole rilevanza pratica e per la giusta considerazione dei diritti delle parti e della effettività della giurisdizione, è l’ordinanza del 25.11.2013, n. 26278, la quale ha escluso che al giudizio di cassazione possa applicarsi l’art. 176, co. 2, c.p.c., a tenore del quale «le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che avrebbero dovuto parteciparvi».
Conseguentemente l’ordinanza con la quale la Corte di cassazione disponga, in udienza pubblica o in sede di adunanza camerale, la rinnovazione della notificazione del ricorso o l’integrazione del contraddittorio deve essere comunicata a cura della cancelleria alle parti non presenti in udienza.
Qualche sorpresa, per l’inevitabile sequela di declaratorie di inammissibilità di appelli che ad essa seguirà, suscita la decisione resa da Cass., 10.2.2014, n. 2907, la quale ha pronunciato in tema di appello avverso sentenze in materia di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, pronunciate ai sensi dell’art. 23 della l. 24.11.1981, n. 689. Sulla scia di S.U., 18.11.2010, n. 23285, che aveva escluso che le regole speciali dettate per il giudizio di primo grado siano automaticamente estensibili anche a quello d’appello, le Sezioni Unite hanno ribadito che l’appello va introdotto con citazione: tuttavia la possibilità di sanatoria ove l’impugnazione sia erroneamente introdotta con ricorso anziché con citazione, è stata subordinata alla condizione che nel termine previsto dalla legge l’atto sia stato non solo depositato nella cancelleria del giudice, ma anche notificato alla controparte. In tal modo non si è applicato il diverso principio affermato da S.U., 14.4.2011, n. 8491 con riguardo alla sanatoria delle impugnazioni delle deliberazioni di assemblea di condominio spiegate mediante ricorso.
Di considerevole rilievo è anche la sentenza del 29.5.2014, n. 12065, che ha riaffermato l’onere dell’erede, che proponga impugnazione, di dimostrare la propria qualità. A tal fine la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non costituisce di per sé prova idonea di tale qualità, tuttavia il giudice, ove la stessa sia prodotta, potrà valutare, anche in conformità al principio di non contestazione, il comportamento in concreto assunto dalla controparte per inferirne la sufficienza della portata probatoria del documento prodotto.
La decisione di maggior impegno teorico-pratico è probabilmente S.U., 4.7.2014, n. 15295, che è tornata sugli effetti della morte della parte costituita a mezzo di procuratore, non dichiarata in udienza. Si è detto, in forza della regola dell’ultrattività del mandato alla lite: a) che la notificazione della sentenza fatta a detto procuratore, ex art. 285 c.p.c., è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione nei confronti della parte deceduta o del rappresentante legale di quella divenuta incapace; b) che il medesimo procuratore è legittimato a proporre appello (non ricorso per cassazione), in rappresentanza della parte che, deceduta o divenuta incapace, va considerata, nell’ambito del processo, tuttora in vita e capace; c) che è ammissibile la notificazione dell’impugnazione presso di lui, ai sensi dell’art.
330, co. 1, c.p.c., senza che rilevi la conoscenza aliunde di uno degli eventi previsti dall’art. 299 c.p.c. da parte del notificante.
La Corte di cassazione ha ritenuto in tal modo di stabilizzare il processo, “ritornando alla teoria dell’ultrattività del mandato, seguendo il consiglio che ormai da molta parte della dottrina proviene”. Il passaggio più significativo della pronuncia è quello conclusivo, in cui le Sezioni Unite avvertono che la soluzione accolta carica di maggiore responsabilità il difensore, giacchè lo pone in una situazione “professionalmente e deontologicamente delicatissima” nei confronti dei successori dell’originario mandante del quale egli consapevolmente ha omesso di dichiarare in giudizio il sopravvenuto decesso. Egli è gravato da un obbligo di informazione cosicchè, pur essendo legittimato a ricevere gli atti dei quali s’è detto e a compiere di sua iniziativa solo gli atti urgentissimi che siano indispensabili ad evitare decadenze, «ha il preciso obbligo professionale di individuare immediatamente i successori o il rappresentante del suo cliente per informarli dello stato della causa, illustrare la strategia difensiva e ricevere disposizioni in merito. Diversamente, egli è responsabile in via disciplinare ed in via civile per qualsiasi pregiudizio derivante al cliente dalla sua colpevole condotta».
Questa sentenza segna un favor dell’interprete per la salvezza delle iniziative processuali affette da qualche vizio in sede di instaurazione. Mette conto, su questa linea di sensibilità, annoverare Cass. n. 22080/2014, che ha ribadito la sanabilità del vizio della notificazione del ricorso per cassazione eseguita all’avvocatura distrettuale anziché all’avvocatura generale dello Stato. È stato quindi ripreso un orientamento ormai consolidato, che era stato messo in discussione da Cass., 19.6.2014, n. 13972 (edita con note critiche su Foro it., 2014, I, 2468).
Giova da ultimo segnalare Cass., S.U., 29.9.2014, n. 20449, la quale ha ribadito, anche dopo le modifiche introdotte dalla l. 18.6.2009, n. 69, che il provvedimento del giudice adito che affermi la propria competenza e disponga la prosecuzione del giudizio innanzi a sé, non è impugnabile con regolamento di competenza se non vi è stata rimessione della causa in decisione e previo invito alle parti a precisare le rispettive integrali conclusioni anche di merito. Solo una conclamata (in termini di assoluta e oggettiva inequivocità ed incontrovertibilità) volontà di risolvere definitivamente, davanti a sé, la questione di competenza sollevata dalla parte potrebbe altrimenti giustificare l’impugnazione ex art. 42 c.p.c.