Novità in tema di estradizione
Le questioni problematiche originate da una lacuna normativa nella disciplina dei termini di durata delle misure cautelari nel corso della fase cd. amministrativa del procedimento estradizionale sono state affrontate e risolte da una recente pronuncia della Corte di cassazione, le cui indicazioni sono state in parte recepite da un disegno di legge di iniziativa governativa, le cui previsioni, pur mirando ad introdurre una organica regolamentazione della materia, sembrano lasciare irrisolto il delicato problema della possibile sovrapposizione dell’intervento del giudice amministrativo sulla discrezionalità delle valutazioni ministeriali in tema di estradizione.
Una recente pronuncia della Corte di cassazione ha risolto un delicato nodo problematico in tema di rapporti fra la sospensione dell’esecuzione del decreto ministeriale di estradizione disposta dal giudice amministrativo e la disciplina dei termini di durata massima delle misure coercitive, stabilendo il principio secondo cui, quando la mancata consegna dell’estradando sia impedita dalla pronuncia, da parte del giudice amministrativo, di un’ordinanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento ministeriale, non è applicabile alle misure coercitive in corso di esecuzione all’atto della sospensione la disciplina dei termini di durata massima previsti dagli artt. 303, co. 4 e 308 c.p.p., ma quella prevista dall’art. 708, co. 6, c.p.p., secondo cui se lo Stato richiedente non prende in consegna l’estradando nel termine fissato, il provvedimento concessivo dell’estradizione “perde efficacia” e l’estradando “viene posto in libertà”1.
La giurisprudenza di legittimità, infatti, ritiene che, una volta divenuta definitiva la sentenza favorevole all’estradizione, per il soggetto sottoposto a misure cautelari si produce ex lege una estensione temporale della coercizione personale finalizzata esclusivamente all’esecuzione della consegna nei limiti inderogabili stabiliti dall’art. 708 c.p.p., decorsi i quali l’estradando, se detenuto, deve essere posto in libertà2.
Secondo le su citate disposizioni normative, tuttavia, nella peculiare ipotesi in cui la mancata consegna derivi da un impedimento giuridico legato alla pronuncia di un’ordinanza di sospensione dell’efficacia del provvedimento ministeriale, non può certo prodursi la perdita di efficacia del decreto di estradizione, che infatti potrebbe nuovamente essere posto in esecuzione, con la conseguente riapertura dei termini per la consegna, una volta che il procedimento innanzi al giudice amministrativo si concludesse con il rigetto del ricorso. Ciò che inevitabilmente si produce è, invece, il dovere dell’autorità giudiziaria di porre in libertà il soggetto estradando, in base all’ultima parte della citata disposizione di cui all’art. 708, co. 63.
A tale riguardo, in passato, si era formato un contrasto giurisprudenziale che le Sezioni Unite4, tuttavia, non risolsero poiché nel caso portato alla loro attenzione venne dichiarata l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, in ragione dell’assorbente e decisivo rilievo dell’intervenuta consegna dell’estradando, nelle more della trattazione del ricorso, alle competenti Autorità dello Stato richiedente.
Per la verità, già un precedente intervento delle Sezioni Unite5, risolvendo una connessa questione in tema di sospensione dell’esecuzione della consegna estradizionale, aveva affermato, sia pure in un obiter dictum, che anche nell’ipotesi in cui la sospensione della esecuzione dell’estradizione non derivi dal provvedimento ministeriale adottato a norma dell’art. 709 c.p.p., ma sia stata pronunciata iussu iudicis, in sede di sospensiva disposta dal giudice amministrativo a seguito di ricorso proposto avverso il decreto di estradizione, la misura cautelare applicata all’estradando deve essere revocata in quanto la durata massima delle misure coercitive adottate ai fini estradizionali va stabilita solo sulla base della disciplina dettata dagli artt. 708 ss. c.p.p. e delle eventuali norme pattizie, come tali prevalenti su quelle codicistiche, con l’esclusione delle previsioni di cui agli artt. 303 e 308, da considerarsi come del tutto incompatibili con la suddetta disciplina. E ciò, «per l’assorbente rilievo che la riscontrata lacuna di disciplina riguarda ogni ipotesi di sospensione della estradizione, a prescindere, quindi, dalla autorità da cui essa promani, dalla natura e dall’efficacia del relativo provvedimento e dalle “ragioni” per cui essa è disposta o pronunciata; sicché, le stesse ragioni che valgono ad escludere l’applicabilità della disciplina dei termini di cui agli artt. 303 e 308 c.p.p. al caso di sospensione di cui all’art. 709, valgono – eo magis – per l’ipotesi in cui la sospensiva derivi da una decisione del giudice amministrativo, essendo in quest’ultimo caso addirittura revocata in dubbio – con positivo riscontro circa il relativo fumus – la stessa legittimità del provvedimento di estradizione, e non soltanto differita la sua esecuzione “fino a soddisfatta giustizia italiana”».
2.1 Le ragioni delle divergenze giurisprudenziali
Proprio sulle implicazioni di tale questione problematica, anche in ragione della persistenza della rilevata lacuna normativa, si era formato il contrasto giurisprudenziale non risolto dalle Sezioni Unite con la su citata pronuncia n. 6624/2012.
Secondo un primo indirizzo ermeneutico, infatti, quando l’efficacia del decreto di estradizione venga sospesa da un’ordinanza del giudice amministrativo emessa mentre è già iniziata la fase della consegna, e alla consegna non si faccia luogo proprio in ragione di tale pronuncia, l’estradando, se detenuto, deve essere rimesso in libertà, poiché la legge non prevede l’intervento del giudice amministrativo come causa di sospensione o di proroga dei termini della misura restrittiva applicata, che non possono in nessun caso superare quelli inderogabili previsti per la consegna. Il provvedimento di estradizione, tuttavia, non perde in modo irreversibile la sua efficacia, sicché rimane integra la possibilità di porlo nuovamente in esecuzione, con la conseguente riapertura dei termini per la consegna, nel caso in cui il procedimento dinanzi al giudice amministrativo dovesse concludersi con il rigetto del ricorso.
Una volta intervenuto il decreto di estradizione, dunque, lo status detentionis dell’estradando non può essere prolungato sine die, oltre gli stretti limiti indicati dall’art. 708 c.p.p., finanche in presenza di una causa di sospensione della consegna rappresentata da una pronuncia del giudice amministrativo, poiché una durata della coercizione personale che si protragga senza limiti temporali definiti dalla legge si porrebbe in palese contrasto con i principi fondamentali fissati dall’art. 13 Cost.
A fronte di tali evenienze, dunque, la conseguenza da trarre – nel caso dell’intervenuta scadenza dei termini fissati dall’art. 708 c.p.p. – non può che essere quella della revoca della misura cautelare in atto e della coeva scarcerazione dell’estradando, ferma restando la possibilità di adottare nuovamente le misure coercitive, una volta cessata la sospensione, nei limiti delle esigenze cautelari connesse all’accompagnamento ed alla sua consegna allo Stato richiedente, con l’osservanza dei termini previsti dall’art. 708 c.p.p.
Un diverso orientamento giurisprudenziale ha affermato, di contro, la perdurante efficacia dello stato di coercizione cautelare dell’estradando, la cui consegna sia sospesa per decisione del giudice amministrativo, muovendo dal presupposto che, a causa di tale ostacolo giuridico, è impedita l’ulteriore fissazione del termine per la consegna di cui all’art. 708, co. 5, c.p.p., sicché non può operare la perdita di efficacia della custodia prevista dal successivo comma 6, ma esclusivamente quello – generale e desumibile dal rinvio operato dall’art. 714 c.p.p. – connesso alla scadenza del termine massimo di durata delle misure coercitive di cui agli artt. 303 e 308 c.p.p.
Secondo tale indirizzo, pertanto, si è in presenza di una causa di forza maggiore, o comunque di un ostacolo alla valida prosecuzione della procedura esecutiva estradizionale, che non può ritenersi assimilabile alla sospensione prevista dall’art. 709 c.p.p. (decisa dal Ministro per esigenze di giustizia nazionale), né al caso di una eventuale inerzia ministeriale.
2.2 La soluzione individuata dalla Corte di cassazione
Al complesso di ragioni poste a sostegno della linea interpretativa tracciata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 41540/2006, successivamente accolta dalla prevalente giurisprudenza di legittimità6, si è richiamata la Corte di cassazione con la sentenza n. 4338/2015, laddove ha enunciato il principio secondo cui nella materia in esame, avuto riguardo al contenuto delle fondamentali garanzie scolpite nell’art. 13 Cost., non possono trovare applicazione le regole, funzionali alle esigenze cautelari del processo interno, di cui agli artt. 303 e 304 c.p.p., con la conseguenza che, in ogni ipotesi in cui non si dia corso alla consegna, scatta la regola di cui all’art. 708, co. 6, c.p.p.
Le cause di sospensione o di proroga della durata di una custodia “preventiva”, infatti, non possono che essere tassative, trattandosi di materia presidiata dall’art. 13, co. 5, Cost., mentre al di fuori di quanto stabilito dagli artt. 708 e 714 c.p.p. non vi sono disposizioni che le prevedano, per l’eventualità di una consegna “sospesa”, nell’ambito del libro XI del codice di rito; nè sono applicabili, per la evidente inconciliabilità dei relativi presupposti sostanziali (reato per il quale si procede) e processuali (fasi e gradi del giudizio), i termini o le cause di sospensione, relativi alle misure coercitive adottate nell’ambito dei procedimenti penali “interni”, di cui agli artt. 303 e 304 c.p.p.
Una durata della coercizione personale che possa protrarsi senza limiti temporali legalmente definiti in relazione all’andamento di altre procedure, delle quali non sia prevedibile in modo assolutamente certo il tempo di definizione, costituirebbe, del resto, un’evenienza procedimentale del tutto incompatibile con il fondamento stesso del su menzionato canone costituzionale.
Non si è mancato di rilevare, peraltro, che in fattispecie come quella in esame ci si trova in presenza di una grave lacuna normativa, che è augurabile possa essere quanto prima colmata dal legislatore. Mentre, infatti, i termini di durata della coercizione personale sono perfettamente definiti per la procedura giurisdizionale a fini estradizionali e per la fase riservata ai provvedimenti di competenza ministeriale, nulla è previsto per l’eventualità in cui l’interessato adisca la giurisdizione amministrativa dopo una decisione definitiva dell’autorità giudiziaria ordinaria che ha accertato la sussistenza delle condizioni per l’estradizione e dopo che il Ministro della giustizia ha ritenuto di emettere il relativo decreto.
Siffatta soluzione ermeneutica, tuttavia, come riconosciuto dalla stessa Corte di cassazione, non consente di eludere i problemi legati allo status libertatis dell’estradando, il cui pericolo di fuga, eventualmente già accertato in più gradi del procedimento cautelare, sia esso contestuale o successivo alla fase giurisdizionale instaurata per il vaglio dei presupposti estradizionali, non può ritenersi automaticamente azzerato nel momento della sospensione della consegna a “soddisfatta giustizia italiana”, ovvero, come nel caso in esame, a fronte di una provvisoria decisione sospensiva del giudice amministrativo.
3.1 Le interferenze con il giudice amministrativo
Sotto altro profilo, del resto, non sembra ragionevole ritenere che la valutazione della sussistenza del pericolo di fuga possa essere indefinitamente rinviata ad un momento successivo alla definizione del giudizio interno o alla conclusione del giudizio amministrativo. L’adempimento dell’obbligo ministeriale, infatti, non viene meno a fronte di sospensioni provocate da esigenze rilevanti all’interno dell’ordinamento, ovvero da decisioni interlocutorie che ne determinano soltanto la sottoposizione ad una condizione che può ancora avverarsi.
Proprio per tali ragioni, muovendo dal dato normativo che consente al Ministro della giustizia di richiedere in ogni tempo la misura cautelare (art. 714, co.1, c.p.p.), ovvero di chiederne sempre la revoca (art. 718, co. 2, c.p.p.), la Corte di cassazione ritiene possibile l’attivazione di una iniziativa ministeriale specificamente orientata ad investire l’organo giurisdizionale di una verifica finalizzata all’accertamento della eventuale sussistenza di un concreto pericolo di fuga, da effettuarsi nel pieno rispetto del contraddittorio delle parti e da concludere, se del caso, con l’eventuale adozione di misure cautelari di tipo non custodiale, volte a garantire l’esigenza di effettività della possibile consegna allo Stato richiedente7.
Sostanzialmente nello stesso senso, peraltro, si era già pronunciata altra decisione della Suprema Corte, che in relazione ad un caso analogo8 aveva espressamente fatta «salva ogni determinazione che il ministro della giustizia e l’autorità giudiziaria territoriale vorranno assumere», in tal modo evidenziando l’esigenza di colmare il vuoto normativo con un sempre possibile vaglio delibativo avente ad oggetto l’esistenza di un concreto e specifico pericolo di fuga ravvisabile nell’arco temporale ricompreso fra la decisione provvisoria e la pronuncia definitiva del giudice amministrativo.
3.2 Le parziali soluzioni in un recente disegno di legge
Raccogliendo l’invito espressamente rivoltogli dalla Corte di legittimità, il Governo ha approvato il 22 agosto 2014 uno schema di disegno di legge, attualmente pendente all’esame della Camera dei deputati, recante una «Delega al Governo per la riforma del Libro XI del codice di procedura penale. Modifiche alle disposizioni in materia di estradizione per l’estero: termine per la consegna e durata massima delle misure coercitive», il cui art. 2 modifica l’attuale disciplina dell’art. 708, co. 5, c.p.p., aggiungendo una causa di sospensione del termine di quindici giorni per la consegna (già contemplato nella prima parte del co. 5) «in caso di sospensione dell’efficacia della decisione del ministro da parte del competente giudice amministrativo, con la precisazione che il termine riprende a decorrere dalla data di deposito del provvedimento di revoca del provvedimento cautelare o del provvedimento con cui è accolto il gravame proposto avverso il provvedimento cautelare o della sentenza che rigetta il ricorso ovvero della decisione che dichiara l’estinzione del giudizio».
Coerentemente si prevede, inoltre, l’inserimento di un nuovo co. 4-bis dell’art. 714 c.p.p., ove si stabilisce, per la fase successiva all’emissione del decreto ministeriale, che le misure coercitive sono revocate nel caso in cui, trascorso il periodo di tre mesi dalla decisione positiva del Ministro sulla richiesta di estradizione, l’estradando non sia stato ancora consegnato allo Stato richiedente. Tale termine, tuttavia, «è sospeso dalla data di deposito del ricorso presentato di fronte al giudice amministrativo avverso la decisione del ministro, sino alla data di deposito della sentenza che rigetta il ricorso o della decisione che dichiara l’estinzione del giudizio e comunque per un periodo non superiore ai sei mesi».
Pur ispirata dal lodevole intento di colmare la segnalata lacuna normativa, la previsione di una specifica ipotesi di sospensione del termine per la consegna, così come formulata, lascia irrisolto, sullo sfondo, il delicato problema della possibile sovrapposizione dell’intervento del giudice amministrativo sulla discrezionalità delle valutazioni ministeriali, che, evidentemente, non possono essere sindacate nella parte in cui siano basate sull’accertamento (incidente sui diritti) già compiuto dall’autorità giudiziaria ordinaria, poiché in caso contrario il ricorso contro il provvedimento amministrativo si trasformerebbe in un improprio mezzo di revisione extra ordinem delle sentenze penali, nella parte in cui accertano la sussistenza dei presupposti per la concessione dell’estradizione ed il rispetto delle garanzie da parte dello Stato richiedente.
Al riguardo, peraltro, deve osservarsi che è lo stesso Consiglio di Stato a ritenere precluso al giudice amministrativo ogni tipo di accertamento che si traduca nel riesame di provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice penale (allorché questi ha riscontrato la sussistenza delle condizioni tecnico-giuridiche di estradabilità), trattandosi di questioni concernenti lo status libertatis e comunque posizioni di diritto soggettivo coinvolte e vulnerate dalla procedura di estradizione9 (Cons. St., sez. IV, 6.4.2000, n. 1996). Nella stessa prospettiva, si ritiene parimenti preclusa al giudice amministrativo ogni indagine che esorbiti dal riscontro in seno al decreto di profili estrinseci di abnormità o illogicità, suscettibili in quanto tali di essere apprezzati anche nella giurisdizione di legittimità.
1 Cass. pen., sez. VI, 29.1.2015, n. 4338, PG in proc. Francisci, in CED rv. n. 262405.
2 Cass. pen., sez. VI, ord.17.2.2004, n. 28033, Terkuli, in CED rv. n. 229585.
3 Cass. pen., sez. VI, 3.6.2014, n. 24382, Homm, non massimata.
4 Cass., S.U., 17.2.2012, n. 6624, Marinaj, in CED rv. n. 251691.
5 Cass., S.U., 28.11.2006, n. 41540, PG in proc. Stosic, in CED rv. n. 234917.
6 Cass. pen., sez. VI, 4.6.2013, n. 25866, Trabelsi, in CED rv. n. 255476; n. 24382/2014.
7 Cass., S.U., 28.5.2003, n.26156, Di Filippo, in CED rv. n. 224613.
8 Cass. pen., sez. VI, 20.3.2007, n.12677, Cipriani, in CED rv. n. 236168.
9 Cons. St., sez. IV, 6.4.2000, n. 1996.