Novità in tema di misure di prevenzione
Le misure di prevenzione, in particolare patrimoniali, trovano quotidiane applicazioni consentono l’espropriazione dei beni a persone che li hanno acquisiti illecitamente nella manifestazione della loro pericolosità sociale e che, continuando a detenerli, potrebbero commettere reati. Il costante impegno della giurisprudenza (e di parte della dottrina) nell’assicurare il pieno rispetto dei principi costituzionali e convenzionali ha trasformato “ontologicamente” le originarie misure dirette a contenere il disagio sociale, in un istituto “moderno” rivolto alla prevenzione della criminalità da profitto e all’eliminazione dal circuito economico del bene affetto da “illiceità genetica”. I tempi sono maturi per portare a compimento questo percorso attraverso un organico intervento del legislatore diretto a eliminare le criticità riscontrate nell’applicazione del d.lgs. n. 159/2011.
Pur se il legislatore nell’ultimo anno è intervenuto in modo limitato sulla disciplina delle misure di prevenzione, la giurisprudenza ha proseguito l’opera d’individuazione e applicazione di principi diretti a delineare una disciplina organica della materia sulla scia di importanti sentenze della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Corte di cassazione1. Si registra un rinnovato interesse della dottrina per una materia ritenuta nel passato perfino estranea all’area del diritto.
Il d.lgs. 7.8.2015, n. 137 ha dato attuazione alla Decisione quadro 2006/783/GAI del consiglio del 6 ottobre 2006 relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca. Rientrano tra le decisioni di confisca non solo quelle penali, ma anche quelle disposte ai sensi degli artt. 24 e 34 d.lgs. 6.9.2011, n. 159 (art. 1, co. 3, lett. d)2. Le nuove disposizioni valorizzano la confisca di prevenzione, oggi più agevolmente eseguibile anche all’estero, nonostante la specificità delle legislazioni nazionali che non sempre conoscono istituti analoghi3.
Il d.P.R. 7.10.2015, n. 177 ha disciplinato le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi degli amministratori giudiziari dei beni sottoposti a sequestro di prevenzione ai sensi del d.lgs. n. 159/2011. Il provvedimento, da tempo atteso, presenta plurimi problemi interpretativi4.
La legge di stabilità 2016 (l. 28.12.2015, n. 208) «Al fine di assicurare l’efficacia e la sostenibilità della strategia nazionale per la valorizzazione dei beni e delle aziende confiscate alla criminalità organizzata … », ha introdotto appositi fondi per la continuità del credito bancario, per il sostegno agli investimenti e agli oneri necessari per gli interventi di ristrutturazione aziendale, per la tutela dei livelli occupazionali, per la promozione di misure di emersione del lavoro irregolare, per la tutela della salute e della sicurezza del lavoro, per il sostegno alle cooperative» (art. 1, co. 192-195). Si è in attesa del decreto attuativo previsto dal co. 197 dell’art. 1.
La legge ora citata ha accolto alcune proposte contenute nel disegno di legge di iniziativa popolare avanzata da numerose associazioni, presentata il 3 giugno 2013 (AC. 1138), Misure per favorire l’emersione alla legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata, dirette ad evitare il deterioramento dei beni sequestrati e, in particolare, delle aziende non irreversibilmente inquinate dai capitali o dai metodi illeciti, evitando dispersione di valori e licenziamenti dei lavoratori. Il testo del disegno di legge è stato progressivamente ampliato nel corso dei lavori parlamentari, fino all’approvazione da parte della Camera dei Deputati, in data 11 novembre 2015, di un articolato testo attualmente all’esame del Senato (AS 2134).
La giurisprudenza ha affrontato numerose questioni, alcune nuove, altre dirette a consolidare i principi delineati dalle sentenza delle Sezioni Unite del 26.6.2014, n. 4880, depositata il 2.2.2015, (imp. Spinelli): retroattività, correlazione temporale, onere probatorio e di allegazione5.
L’incremento esponenziale dei procedimenti di prevenzione, in particolare patrimoniali, con la progressiva estensione a nuove forme di pericolosità, sono – forse – la ragione del rinnovato interesse della dottrina per misure spesso ritenute diritto di serie “B” e prossime all’area del diritto penale, con radicali censure di incostituzionalità. Si è avviato un fecondo dibattito6 con l’obiettivo di delineare il futuro delle misure di prevenzione7.
Gli orientamenti giurisprudenziali impongono di esaminare in modo più approfondito i principali temi affrontati, anche con riferimento alle misure personali che costituiscono il presupposto di quelle patrimoniali.
È noto che le misure personali possono essere applicate nei confronti di coloro che rientrano nelle categorie di pericolosità descritte dall’art. 4 d.lgs. n. 159/2011. L’indeterminatezza delle categorie, oggetto di costante critica da parte della dottrina, è stata ulteriormente delimitata dalla giurisprudenza.
Per le categorie di pericolosità qualificata, in cui sono collocati gli indiziati di appartenenza alle associazioni di cui all’art. 416 bis c.p. ovvero di commissione di delitti specificamente elencati (art. 4 lett. a) e b), d.lgs. n. 159/2011), la giurisprudenza, da un lato ha confermato e valorizzato la necessità dell’accertamento del commesso reato, dall’altro ha richiesto la verifica di un ambito di responsabilità sempre più avanzato. Occorre la certezza della commissione dei reati indicati, secondo il tipico standard penalistico, mentre la diversità tra procedimento di prevenzione e penale rilava sotto il profilo del grado e del tipo di prova circa la partecipazione del soggetto all’associazione criminale ovvero la commissione del reato previsto: nel primo, a differenza del secondo, non si richiedono elementi idonei per un convincimento di certezza, ma occorrono – comunque – circostanze di fatto, oggettivamente valutabili e controllabili tali da desumere indizi che possono ritenersi prossimi ai gravi indizi di colpevolezza previsti per l’applicazione della misura cautelare dall’art. 273, co. 1, c.p.p. (Cass. pen., 2.7.2015, n. 34505, inedita).
Per le categorie di pericolosità semplice, pur se il d.lgs. n. 159/2011 continua ad adoperare un linguaggio che risente delle originarie e risalenti formulazioni (artt. 4, lett. c) e 1, lett. c), la giurisprudenza valorizza il riferimento al termine “delittuosi” e, per rendere più rigoroso il giudizio, richiede l’accertamento di condotte certe e prevedibili evocando, talvolta, la commissione del delitto (Cass. pen., 24.3.2015, n. 31209, in CED rv. n. 264321; Cass. pen., 11.6.2015, n. 43720, inedita).
Un maggiore rigore della giurisprudenza emerge anche con riferimento all’accertamento del requisito dell’attualità della pericolosità sociale.
È noto che, ricondotta la persona in una delle categorie di pericolosità previste e accertata la sua pericolosità sociale, per applicare la misura occorre la verifica dell’esistenza della pericolosità al momento della decisione.
Per le categorie della cd. pericolosità qualificata la prevalente giurisprudenza della Suprema Corte richiamava un onere affievolito di motivazione ravvisando «una presunzione di perdurante pericolosità», sempre che non risultassero diversi elementi, quali il decorso del tempo – di per sé non decisivo –, il recesso dal sodalizio o la disarticolazione di questo. Recentemente la Corte di cassazione propone l’abbandono di qualsivoglia presunzione attraverso uno stringente ragionamento in cui si valorizza il testo della l.d. 13.8.2010, n. 136 che imponeva al legislatore delegato (che, poi, emanava il d.lgs. n. 159/2011) la definizione in modo organico dei destinatari delle misure di prevenzione «ancorandone la previsione a presupposti chiaramente definiti … e, per le sole misure personali, anche alla sussistenza del requisito della pericolosità del soggetto». La Corte trova conferma del principio secondo cui la pericolosità attuale del soggetto è presupposto applicativo per ogni categoria di pericolosità nella sentenza C. cost., 2.12.2013, n. 291 ove è ribadita la necessità della persistenza della pericolosità sociale al momento della decisione e dell’esecuzione della misura di prevenzione personale, senza operatività di meccanismi presuntivi (Cass. pen., 31.3.2016, 32426, inedita; Cass. pen., 21.4.2016, n. 33238, inedita).
Si è consolidato l’orientamento giurisprudenziale che propone l’applicabilità delle misure di prevenzione all’area dei cd. colletti bianchi. L’assenza di limiti alle tipologie di attività delittuose o di traffici delittuosi previste dagli artt. 4, lett. c) e 1, lett. c), d.lgs. n. 159/2011 consente di irrogare la misura ai soggetti pericolosi, qualunque sia l’attività delittuosa sottostante con cui viene manifestata la pericolosità, con la contestuale possibilità di sequestrare e confiscare i patrimoni illecitamente accumulati, sempre che emerga l’abitualità delle condotte8. Sono ormai numerose le applicazioni da parte della giurisprudenza di merito nei confronti dell’evasore fiscale, del corruttore, del bancarottiere, e di figure che a queste possono essere assimilate9. L’orientamento descritto è consolidato anche nella giurisprudenza di legittimità10.
Questo è l’auspicabile approdo delle misure di prevenzione che consente di renderle compatibili con i principi costituzionali e moderne, senza creare una pseudocriminalizzazione di condotte non sanzionabili col processo penale. Per le misure di prevenzione non viene in rilievo l’accertamento del fatto reato, ma la pericolosità, desunta da fatti certi e idonea a ravvisare un’abitualità delle condotte descritte dalle categorie di pericolosità.
I principi affermati dalle Sezioni Unite n. 4880/2015 (imp. Spinelli), con cui è stato delineato quello che può essere definito lo Statuto della confisca di prevenzione, sono stati confermati dalla successiva giurisprudenza di legittimità.
Non si dubita della natura preventiva della confisca (Cass. pen., 1.3.2016, n. 37186, inedita), condivisa anche dalla Corte costituzionale11.
Dalla natura preventiva della confisca di prevenzione discende la sua “retroattività” ovvero l’applicabilità della legge in vigore nel momento dell’adozione della misura (Cass. pen., 12.1.2016, n. 4908, in CED rv. n. 266312; Cass. pen., 15.1.2016, n. 5336, in CED rv. n. 265957).
Il principio di correlazione tra pericolosità della persona e confisca è stato riaffermato senza incertezze per le categorie di cd. pericolosità generica, derivando dall’apprezzamento dello stesso presupposto giustificativo della confisca di prevenzione, ossia dalla ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita restando, così, affetto da illiceità genetica (Cass pen., 24.2.2016, n. 30781, inedita). Per le categorie di cd. pericolosità qualificata, la giurisprudenza di legittimità risente di alcune incertezze presenti nella motivazione delle S. U. n. 4880/2015: da un lato si registra un più rigoroso orientamento che richiede una puntuale indicazione della correlazione temporale (Cass. pen., 4.11.2015, n. 58810, inedita; Cass. pen., 26.5.2016, n. 36640, inedita), dall’altro si legittima l’apprensione di tutte le componenti patrimoniali e utilità, di presumibile illecita provenienza, delle quali non risulti, in alcun modo, giustificato il legittimo possesso, salva la facoltà dell’interessato di fornire prova contraria e liberatoria, attraverso la dimostrazione della legittimità degli acquisti in virtù di impiego di lecite fonti reddituali (Cass. pen., 1.10.2015, n. 6910, dep. 22.2.2016, inedita).
Nessun contrasto si è registrato sull’applicazione del principio espresso dalle S.U. citate in tema di riparto dell’onere probatorio per cui, pur dopo le modifiche normative del 2008-2009, l’organo proponente ha l’onere di provare la sproporzione tra beni patrimoniali e capacità reddituale nonché l’illecita provenienza, da dimostrare anche in base a presunzioni, laddove il proposto ha la facoltà di offrire elementi diretti a neutralizzare quanto risultante nei suoi confronti indicando la legittima provenienza degli stessi beni.
La giurisprudenza ha affrontato gli effetti del mancato rispetto del termine per la pronuncia della confisca previsto dagli artt. 24 e 27 d.lgs. n. 159/2011.
Un termine per la confisca, invero, era previsto anche dall’art. 2 ter, co. 3, l. 31.5.1965 n. 575 che, però, per giurisprudenza costante non operava nel caso di proposta congiunta (personale e patrimoniale), dovendo essere osservato solo nel caso in cui la confisca fosse stata disposta dopo l’avvenuta applicazione della misura personale (da ultimo, Cass. pen., 22.3.2013, n. 3538, in CED rv. n. 258657). Il decorso del termine comportava, comunque, l’inefficacia del sequestro e l’improcedibilità della proposta, potendosi adottare un altro provvedimento cautelare in presenza di una nuova proposta in quanto il precedente sequestro era stato caducato senza alcun esame del merito: «La perdita di efficacia del sequestro, infatti, impone solo di instaurare ex novo il procedimento di prevenzione, ma non impedisce affatto di accertare i presupposti di merito per l’eventuale applicazione della confisca» (Cass. pen., 25.9.2000, n. 4063, in CED rv. n. 217848). Tale conclusione trovava conforto nel principio del giudicato rebus sic stantibus in materia di misure di prevenzione (anche patrimoniali) sicché nessuna preclusione poteva discendere dall’annullamento per vizi formali di un decreto di confisca, potendo instaurarsi una nuova procedura patrimoniale sui medesimi beni oggetto del provvedimento annullato (Cass. pen., S. U., 13.12.2000, n. 36, dep. 7.2.2001, in CED rv. n. 217668).
La nuova disciplina ora ricordata trova ancora applicazione alle proposte precedenti all’entrata in vigore del d.lgs. n. 159/2011 (13.10. 2011), ai sensi dell’art. 117, co. 1 (Cass. pen., 25.1.2016, n. 30235, inedita).
La disciplina, oggi vigente, trova origine nella l.d. n. 136/2010 che delegava il Governo a prevedere la perdita di efficacia del sequestro nel caso di mancata pronuncia della confisca da parte del Tribunale entro un termine, estendendo tale disciplina anche alla confisca pronunciata dalla Corte d’appello. Il d.lgs. n. 159/2011 dava attuazione alla delega con due disposizioni: per il giudizio di primo grado si eliminava ogni riferimento al termine di efficacia prevedendo: «Il decreto di confisca può essere emanato entro un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario» (art. 24, co.2); per il giudizio d’appello, in stretta applicazione della legge delega, si faceva riferimento alla perdita di efficacia della confisca disposta dal Tribunale nel caso di mancata pronuncia da parte del giudice dell’impugnazione nel termine imposto (art. 27, co. 6). I nuovi testi, non richiamando univocamente l’inefficacia, inducevano parte della dottrina a ritenere che fossero stati introdotti termini di perenzione o di preclusione che impedissero la pronuncia della confisca e la reiterazione di un altro sequestro in un nuovo procedimento essendosi consumato il relativo potere12.
La discrasia tra la terminologia presente negli artt. 24 e 27 d.lgs. n. 159/2011 veniva eliminata dalla l. 24.12.2012 (art. 1, co. 189) che riscriveva l’art. 24, co 2, cit. richiamando anche in questo caso l’inefficacia. «Il provvedimento di sequestro perde efficacia se il Tribunale non deposita il decreto che pronuncia la confisca entro un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell’amministratore giudiziario».
Questo il quadro normativo sulla base del quale la Corte di cassazione ha esaminato gli effetti del decorso del termine previsto in primo e secondo grado per le proposte – congiunte o disgiunte – avanzate nel vigore del d.lgs. n. 159/2011.
La prima questione esaminata si riferisce all’individuazione del dies ad quem, se relativo alla decisione adottata (dunque, alla data della camera di consiglio) ovvero al deposito del decreto.
Il testo dell’art. 24, co. 2, per il Tribunale richiama univocamente il deposito del decreto.
Per la Corte d’appello il riferimento dell’art. 27, co. 6, alla data della pronuncia e non a quella del deposito del provvedimento ha consentito di dare rilievo alla data in cui è stata tenuta la camera di consiglio (Cass. pen., 19.5.2015, n. 35737, in CED rv. n. 264351). Diversamente (e in modo più convincente) è stato, però, affermato che il termine entro il quale la Corte d’appello deve provvedere a pena di inefficacia della confisca disposta in primo grado, va riferito alla data del deposito del decreto motivato e non a quella del deposito (o della lettura) del dispositivo (ove adottato, pur non essendo previsto per il procedimento camerale di prevenzione ) ovvero alla data della Camera di consiglio (Cass. pen, 15.6.2016, n. 27968, in CED rv. n. 267200).
Quanto agli effetti del decorso del termine (pacificamente ritenuto perentorio), non si dubita che all’inefficacia consegua l’obbligo di restituzione dei beni, ma vi sono incertezze sull’esito del procedimento. Si confrontano due tesi: la proseguibilità del procedimento, pur in mancanza di sequestro (revocato in primo grado) o della confisca (revocata in secondo grado), con pronuncia nel merito, fermo restando l’esecutività della confisca adottata solo all’atto della sua irrevocabilità; l’interruzione del procedimento con declaratoria di mera improcedibilità (o inammissibilità dell’appello per carenza d’interesse). Nel caso do adesione a quest’ultima tesi si pone l’ulteriore questione circa l’ammissibilità o meno di una nuova proposta relativa ai medesimi beni, con possibilità di adottare un nuovo decreto di sequestro.
La Suprema Corte, esaminando un caso in cui la Corte d’appello aveva dichiarato l’inefficacia della confisca per decorso del termine e l’inammissibilità del ricorso derivante dall’intervenuta restituzione dei beni, ha rigettato il ricorso affermando l’irrilevanza dell’interesse alla pronuncia del giudice d’appello pur se era stato emesso un nuovo decreto di sequestro sui medesimi beni a seguito di una nuova proposta. Secondo la Corte di cassazione il giudice dell’impugnazione correttamente si era limitato, in limine, alla declaratoria pregiudiziale di inefficacia della confisca essendosi ormai caducati gli effetti dell’ablazione; né il ricorrente vantava un interesse alla decisione di merito in quanto il sequestro degli stessi beni disposto a seguito nell’ambito di una nuova proposta era successivo alla declaratoria di inammissibilità e poteva essere oggetto di autonoma impugnazione» (Cass. pen., 15.1.2016, n. 34593, inedita). In definitiva la Corte, seppur con una sintetica motivazione, ha ritenuto che la declaratoria di inefficacia impedisca la pronuncia nel merito, lasciando irrisolto il tema della reiterabilità della proposta e, dunque, del sequestro sui medesimi beni.
Il tema in esame può essere affrontato tenendo conto di plurimi principi in materia di misure di prevenzione che possono guidare la decisione:
a) il rapporto di inscindibilità tra sequestro e confisca, ripetutamente affermato dalla Corte di cassazione, sicché non sembra ipotizzabile una confisca in assenza di sequestro;
b) la natura meramente procedimentale dell’inefficacia (termine ribadito consapevolmente dal legislatore del 2012) che non comporta preclusioni per nuove proposte (giurisprudenza costante prima del d.lgs. n. 159/2011);
c) la pacifica natura di giudicato rebus sic stantibus in materia di prevenzione che opera solo in presenza di decisioni di merito e sui medesimi fatti esaminati;
d) la natura giuridica della confisca di prevenzione, ben delineata dalla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 4880/2015 nella necessità (anche) di eliminare dalla circolazione beni geneticamente illeciti perché acquisiti da persona pericolosa, con una sorta di assimilazione ai beni intrinsecamente pericolosi comunque confiscati ex art. 240 c.p.
In applicazione di tali principi sembra preferibile la tesi della declaratoria di improcedibilità del procedimento con possibilità di avanzare una nuova proposta in cui dovranno essere esaminati ex novo tutti i presupposti, alcuni dei quali potrebbero essere venuti meno (ad es., decorso del termine quinquennale di cui all’art. 18, co. 3, d.lgs. n. 159/2011).
La natura endoprocessuale del termine, previsto per non comprimere eccessivamente i diritti dell’interessato per un arco temporale indeterminato, comporta che il suo decorso debba essere eccepito o rilevato nel corso del procedimento (Cass. pen., 3.5.2016, n. 29327, inedita).
Quanto all’operatività o meno del termine nel caso di annullamento con rinvio della sentenza di primo o di secondo grado, si è osservato che il termine d’inefficacia è collegato normativamente ai due eventi specificamente indicati dagli artt. 24, co. 2, e 27, co. 6, – mancata adozione della confisca di primo grado e mancata adozione della decisione di appello – e non anche alle pronunce di annullamento, ragion per cui, non rinvenendosi nel d.lgs. n. 159/2011 norme di regresso del procedimento di prevenzione patrimoniale derivanti da vizi di rito, non possono desumersi per via interpretativa effetti non espressamente previsti13.
Frequenti gli interventi giurisprudenziali circa la tutela dei terzi creditori (muniti o meno di garanzie reali) nel caso di sequestro e confisca dei beni, regolamentata solo col d.lgs. n. 159/2011 e con la l. 24.12.2012, n. 22814.
È sufficiente fare cenno agli indici per il riconoscimento del requisito della buona fede del creditore (uno dei presupposti per ottenere tutela), che sta impegnando la giurisprudenza, spesso con specifico riferimento alle richieste degli istituti di credito titolari di ipoteche iscritte su immobili a garanzia di mutui concessi al proposto o al terzo intestatario (per l’acquisto degli stessi immobili ovvero per l’apertura di linee di credito).
L’art. 52, co. 1, lett. b), d.lgs. n. 159/2011 (richiamato anche dall’art. 1, co. 200, l. n. 228/2012) richiede la non strumentalità del credito azionato all’attività illecita del proposto (o al suo frutto o reimpiego) ovvero (“a meno che”) la dimostrazione da parte del creditore di avere ignorato in buona fede il nesso di strumentalità. Sono utilizzabili le categorie elaborate dalla giurisprudenza previgente in tema di creditore garantito da diritto reale, individuate, in assenza di regolamentazione, nella mancanza di qualsiasi collegamento del diritto con l’attività illecita del proposto, derivante da condotte di agevolazione o, addirittura di fiancheggiamento (Cass. pen., S.U., 7.5.2013, n. 10532, in CED rv. n. 626570; Cass. pen., 5.6.2015, n. 27805, inedita).
Buona fede e affidamento incolpevole (atteggiamenti alternativi all’addebitabilità della mancata conoscenza dovuta a colpa) non possono ravvisarsi qualora il fatto illecito non sia stato conosciuto ma era «conoscibile», dunque se non è stato conosciuto per una condotta colposa (Cass. pen., 16.6.2014, n. 32524, dep. 23.72015, in CED rv. n. 264373).
Per gli istituti di credito la giurisprudenza richiede una particolare diligenza nell’istruttoria diretta a concedere meno il mutuo15.
Gli interventi della Corte costituzionale e della Corte di cassazione hanno delineato la confisca di prevenzione come un istituto compatibile con la Costituzione e con la CEDU, diretto a “contenere” la pericolosità della persona perché privata dei beni con cui potrebbe delinquere e (soprattutto) ad eliminare dal circuito economico patrimoni acquisiti illecitamente (ovvero “geneticamente illeciti”) tali da inquinare l’economia legale.
Il rinnovato interesse della dottrina consentirà di proseguire l’opera di sistemazione organica.
Le problematicità oggi esistenti potranno essere affrontate con appropriate modifiche presenti, in parte, nel testo approvato l’11 novembre 2015 dalla Camera dei Deputati che possono così riassumersi16:
a) ampliamento dei destinatari delle misure di prevenzione personali e patrimoniali agli indiziati di numerosi reati contro la pubblica amministrazione;
b) trattazione prioritaria del procedimento di prevenzione patrimoniale ed istituzione di sezioni o collegi giudicanti specializzati in sede distrettuale;
c) modifica di numerose disposizioni procedimentali: potere di raccordo del Procuratore della Repubblica con gli altri organi proponenti; limiti di eccepibilità dell’incompetenza territoriale e della incompetenza dell’organo proponente; modifica dei termini di efficacia del sequestro, anche con nuova decorrenza nel caso di annullamento del decreto di confisca con rinvio;
d) revisione della disciplina dell’amministrazione giudiziaria, con introduzione del nuovo istituto del controllo giudiziario delle aziende quando sussiste il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose che ne condizionino l’attività;
e) modifica di numerose disposizioni in tema di amministrazione dei beni sequestrati;
f) revisione delle norme sulla tutela dei terzi, anche al fine di consentire il pagamento di “creditori strategici” per la continuità aziendale;
g) riorganizzazione dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati, posta sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio.
Note
1 Si rinvia a Menditto, F., Verso lo statuto della confisca di prevenzione: natura giuridica, retroattività e correlazione temporale, in Libro dell’anno del Diritto 2016, Roma, 2016, 689 ss.
2 Montagna, M., Il d.lgs. 7 agosto 2015, n. 137: il principio del mutuo riconoscimento per le decisioni di confisca, in Processo penale e giustizia, 110 ss.
3 Menditto, F., Le confische di prevenzione e penali. La tutela dei terzi, Milano, 2015, 30 ss.
4 Interessanti spunti possono trarsi dalla Circolare emanata il 25.1.2016 dal Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione e dal Ministro dell’Interno, reperibile sul sito www.anticorruzione.it.
5 Sulla lettura della sentenza citata, da ultimo De Santis, G., Le aporie del sistema di prevenzione patrimoniale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 109 ss.
6 AA.VV., Le misure di prevenzione dopo il c.d. codice antimafia. Aspetti sostanziali e aspetti procedurali, Dossier a cura di F. Basile, in Giur. it., 2015, 1520 ss.; AA.VV., La giustizia penale preventiva. Ricordando Giovanni Conso, Atti del Convegno di Cagliari, 29/31 ottobre 2015, Milano, 2016.
7 Per un esame dell’attuale dibattito cfr. Menditto, F., Presente e futuro delle misure di prevenzione (personali e patrimoniali): da misure di polizia a prevenzione della criminalità da profitto, in www.penalecontemporaneo.it, 23.5.2016.
8 Per un recente esame della problematica, Ronco, S.M., Il contribuente fiscalmente pericoloso, in www.penalecontemporaneo.it, 13.4.2016.
9 Cfr. Trib. Milano, 16.2.2016, in www.penalecontemporaneo.it, 27.6.2016, decreto relativo a persona che esercitava abusivamente la professione di avvocato e che, nell’arco temporale di oltre dieci anni, aveva realizzato diversi reati economico-fiscali e contro la Pubblica Amministrazione.
10 Recentemente, in tema di corruttore abituale, Cass. pen., 9.12.2015, n. 4425, (dep. 3.2.2016), inedita. Si rigetta il ricorso avverso un decreto emesso nei confronti di persone che avevano realizzato «un sofisticato sistema basato sul ricorso continuo alla corruzione e alla falsificazione di atti. Detto sistema che coinvolgeva funzionari amministrativi e concorrenti investiti di ruoli anche di rilevanza politica, aveva lo scopo immediato e diretto di garantire, con i mezzi sopra descritti, l’illecito arricchimento delle società del gruppo, alle quali veniva affidata, di fatto, la gestione di una cospicua parte delle attività sanitarie della Regione, con il conseguente, incessante lucro, incessantemente alimentato dalle attività di corruttela … ».
11 C.cost.,9.6.2015,n.106: «La misura di prevenzione patrimoniale della confisca è stata concepita, unitamente al sequestro, come strumento di contrasto nei confronti delle associazioni di tipo mafioso ed è stata introdotta nel sistema delle misure di prevenzione con l’art. 14 della legge 13 settembre1982, n. 646 … È vero che, per effetto di alcune modificazioni legislative intervenute successivamente, tale presupposto, oggi, in alcuni casi, può mancare, ma non è questa una ragione che possa far ritenere mutata la natura della confisca, la quale continua a costituire una misura di prevenzione e ad essere applicata attraverso il relativo procedimento (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 26 giugno 2014, n. 4880/2015)».
12 Per un esame delle diverse tesi, Grillo, P., Durata massima del sequestro di prevenzione e provvedimento di confisca dopo il d.lgs. n. 159 del 2011, in www.penalecontemporaneo.it, 2.4.2012.
13 Trib. Catania, 16.6.2016, inedita.
14 Menditto, F., Le confische di prevenzione e penali. La tutela dei terzi, cit.
15 Nel caso di istituto bancario di rilievo nazionale, la buona fede non può che consistere nella regolarità delle attività di istruzione della pratica secondo le comuni regole e prassi bancarie nonché rispetto della normativa antiriciclaggio (Cass. pen., 30.6.2015, n. 36690, in CED rv. n. 265606).
16 Per un primo esame cfr. Menditto, F., Verso la riforma del d.lgs. n. 159/2011 (cd. codice antimafia) e della confisca allargata, in www.penalecontemporaneo.it, 22.12.2015.