Novità legislative nella procedura da sovraindebitamento
In attesa della conversione in legge del d.l. 18.10.2012, si dà conto delle novità in materia di sovraindebitamento (l. 27.1.2012, n. 3) in esso contenute.
La disciplina dettata dalla l. 27.1.2012, n. 3, in materia di sovraindebitamento ha subito profonde modificazioni per effetto del d.l. 18.10. 2012, n. 179, ancora in fase di conversione al momento in cui sono state redatte queste note1.
Esigenze editoriali impediscono di dare pieno conto della nuova normativa, soggetta comunque a possibili modificazioni in sede di conversione in legge. Mentre si rinvia per una compiuta trattazione all’edizione 2014 di questo Libro dell’Anno del Diritto, si ritiene comunque di accennare ai tratti fondamentali della nuova disciplina. Il legislatore ha profondamente rivisto l’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento ed ha introdotto due nuove procedure: il piano del consumatore e la liquidazione dei beni. Alla liquidazione dei beni segue la possibilità di accesso all’esdebitazione.
In questo modo si è posto rimedio al difetto principale della disciplina prevista dalla l. n. 3/2012 che, come avevamo scritto2, non consentiva l’esdebitazione del debitore non soggetto a fallimento e creava un’ingiustificata discriminazione tra debitori fallibili e non fallibili, discriminazione che, una volta venuto meno il carattere afflittivo del fallimento, non aveva senso.
L’accordo per la composizione della crisi è stato regolato dal legislatore in termini diversi dal passato, perché si è preso a modello non più l’accordo di ristrutturazione dei debiti disciplinato dagli artt. 182 bis e ss. l. fall., ma il concordato.
L’accordo, se approvato dal 60% dei creditori chirografari (i privilegiati se pagati integralmente non hanno diritto di voto), è vincolante per tutti i creditori. Il voto inoltre è espresso mediante la tecnica del silenzio-assenso, come è ora previsto dal legislatore sia per il concordato fallimentare che preventivo3. L’accordo è poi omologato dal tribunale, in composizione monocratica, che decide sulle opposizioni dei creditori e verifica il raggiungimento della percentuale di legge e l’idoneità del piano ad assicurare il pagamento integrale dei crediti impignorabili, nonché dei crediti tributari per cui non è ammessa dilazione. In particolare quando uno dei creditori che non ha aderito o che risulta escluso o qualunque altro interessato contesta la convenienza dell’accordo, il giudice lo omologa se ritiene che il credito può essere soddisfatto in misura non inferiore a quanto il creditore riceverebbe nel caso in cui si facesse luogo alla liquidazione.
Come si è accennato, nel piano che deve essere allegato alla proposta il debitore deve prevedere il pagamento integrale dei crediti impignorabili, per i quali la proposta può avere soltanto carattere dilatorio. Così pure per i crediti relativi ai tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea, all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, il piano può avere esclusivamente carattere dilatorio. In caso di mancato rispetto del termine di novanta giorni dalle scadenze previste per questi crediti, l’accordo cessa di diritto di produrre effetti. Per i creditori privilegiati può essere previsto il pagamento parziale quando ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato dei beni oggetto della prelazione, attestato dagli organismi di composizione della crisi. Inoltre, la proposta di accordo in cui sia contemplata la prosecuzione dell’attività d’impresa (evidentemente impresa non soggetta a fallimento) può prevedere la moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione.
Per quanto concerne la sospensione delle azioni esecutive e cautelari il legislatore ha ora previsto che a seguito della presentazione della domanda, il giudice verifichi la sussistenza dei requisiti di ammissibilità (oltre che dei presupposti soggettivi ed oggettivi per l’accesso alla procedura) e soltanto alla successiva udienza disponga, salvo che per i titolari di crediti impignorabili, che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore che ha presentato la proposta di accordo, da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore. Vanno inoltre ordinate adeguate forme di pubblicità del decreto che dispone la sospensione e la sua trascrizione sui registri immobiliari quando il piano abbia ad oggetto immobili o mobili registrati.
2.1 Il piano del consumatore
Il piano del consumatore si applica al debitore qualificato come consumatore, vale a dire, secondo la definizione dell’art. 3 c. cons., che il legislatore ha ripreso nel nuovo testo legislativo, «il debitore persona fisica che ha assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta». Questo soggetto può proporre un piano che, se approvato dal giudice, è vincolante per tutti i creditori che, tuttavia, non sono chiamati a votare. Il piano è omologato dal tribunale all’esito di un giudizio di omologazione fondato sulla fattibilità del piano stesso e sulla meritevolezza del debitore valutata con riguardo alle cause del sovraindebitamento. Va sottolineato che il giudice per omologare il piano, oltre ad accertarne la fattibilità, deve poter escludere che il consumatore abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che abbia colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali. Si tratta di una scelta che lascia perplessi. È infatti nozione di comune esperienza che il sovraindebitamento del consumatore è conseguenza in genere di un ricorso eccessivo al credito al consumo e della mancanza di un’adeguata educazione finanziaria. Questa situazione ha indotto il legislatore americano, nel 2005, a prevedere che al debitore possa essere imposto di frequentare appositi corsi di educazione al ricorso al credito4, ma non a negare la possibilità di raggiungere un accordo con i creditori. Va peraltro osservato che al consumatore è sempre aperta la via della procedura di accordo di composizione della crisi, che richiede però il voto favorevole del 60% dei crediti.
L’iter processuale si articola nella presentazione della proposta con l’assistenza dell’organismo di composizione della crisi (o.c.c.) e nella pronuncia da parte del giudice del decreto di fissazione dell’udienza che va comunicato ai creditori da parte dell’o.c.c. al fine di assicurare il contraddittorio. A differenza dall’accordo, il giudice, presentata la proposta, nel fissare con decreto l’udienza di comparizione dei creditori, può sospendere soltanto specifici procedimenti esecutivi che possano pregiudicare la fattibilità del piano. Tendenzialmente il giudizio di omologazione si svolgerà in un’unica udienza (così la Relazione governativa). Per il resto la disciplina non differisce di molto da quella dell’accordo di composizione della crisi: anche in questo caso nell’ipotesi di contestazione da parte dei creditori si deve verificare la maggior convenienza della soluzione liquidatoria; i crediti che debbono essere soddisfatti integralmente sono i medesimi (i crediti impignorabili e i crediti tributari); la disciplina dei crediti privilegiati è la medesima anche per quanto concerne la moratoria sino ad un anno che il debitore può proporre.
2.2 La procedura di liquidazione dei beni
Accanto all’accordo del debitore non consumatore ed al piano del consumatore, il legislatore ha previsto la procedura di liquidazione dei beni del debitore, che si apre a domanda del solo debitore e che riguarda l’intero patrimonio di quest’ultimo, salvo i beni espressamente esclusi. Nei casi di revoca, cessazione di diritto, annullamento e risoluzione dell’accordo e di revoca e cessazione del piano del consumatore, la liquidazione dei beni si apre d’ufficio. È escluso il caso di risoluzione dell’accordo o di cessazione degli effetti del piano per causa non imputabile al debitore, sì che risulta evidente la logica sanzionatoria che ha ispirato il legislatore, in contrasto con la filosofia della riforma delle procedure concorsuali del 2005-2006 che ha tolto al fallimento ogni carattere afflittivo per ridurlo ad una semplice tecnica di liquidazione dell’insolvenza.
La liquidazione, aperta con decreto, deve avere ad oggetto tutti i beni del debitore ed è attuata da un liquidatore nominato dal giudice, le cui funzioni possono essere svolte dallo stesso o.c.c. Nella liquidazione è prevista necessariamente l’apertura di una parentesi cognitoria di accertamento del passivo. La Relazione governativa osserva che, al fine di evitare l’abusivo accesso alla procedura con conseguente beneficio esdebitatorio, è prevista, in linea con i modelli di altri Paesi, una durata minima di quattro anni, con acquisizione al patrimonio di liquidazione dei beni sopravvenuti in tale arco temporale. Il liquidatore ha poteri analoghi a quelli del curatore fallimentare. Spetta al liquidatore formare il progetto di stato passivo che viene poi definitivamente approvato da parte del giudice. Così pure compete al liquidatore redigere il programma di liquidazione avvalendosi per la vendita di soggetti specializzati ed operatori esperti per la stima.
In sostanza il legislatore ha mutuato il modello della liquidazione dal fallimento, senza considerare che le soglie di fallibilità previste dall’art. 1 l. fall. che hanno determinato una sostanziale riduzione del numero di procedure aperte ogni anno, sono state imposte dalla necessità di evitare l’apertura di procedure inutili per i creditori perché incapienti ed eccessivamente costose per lo Stato e che la nuova liquidazione riservata all’insolvente non imprenditore riproduce i medesimi difetti. Va sottolineato che, a differenza del fallimento, non è neppure previsto che non si faccia luogo alla liquidazione quando si può presumere che non vi sia risultato utile per i creditori. Si aggiunge anzi che la liquidazione deve avere una durata minima di quattro anni, termine che ha senso nella prospettiva di limitare l’accesso all’esdebitazione, ma non al fine di protrarre la pendenza della procedura nell’aspettativa, statisticamente poco probabile, di poter acquisire all’attivo i beni sopravvenuti.
L’esdebitazione è ammessa soltanto per il debitore persona fisica nei soli casi in cui si sia proceduto alla liquidazione, perché, come spiega la Relazione governativa, in caso di accordo del debitore non consumatore o di piano del consumatore l’effetto esdebitatorio è già assicurato dal consenso prestato dalla maggioranza dei creditori e dall’efficacia generale della procedura nei confronti di tutti i creditori. L’accesso è condizionato alla sussistenza di molte condizioni tra le quali va menzionata la pregressa cooperazione del debitore con gli organi della procedura; il non aver avuto accesso ad analoga procedura negli otto anni precedenti; l’aver svolto, nei quattro anni di durata della liquidazione, un’attività produttiva di reddito adeguata rispetto alle proprie competenze e alla situazione di mercato o, in ogni caso, l’aver cercato un’occupazione ed il non aver rifiutato, senza giustificato motivo, proposte di impiego; il mancato accesso al credito colposo e sproporzionato rispetto alle capacità patrimoniali; il parziale pagamento dei creditori. Siamo lontani dalla concezione americana del fresh start assicurato a tutti gli insolventi, almeno la prima volta che si trovano in difficoltà. Il nostro legislatore continua a ragionare nella logica premiale del debitore, come si suol dire, sfortunato, ma onesto.
L’esdebitazione non opera per alcuni tipi di debiti (crediti di mantenimento ed alimentari, obbligazioni extracontrattuali, debiti fiscali accertati successivamente a seguito di circostanze prima non note).
Qualche rilievo va aggiunto per gli o.c.c. Si è previsto che essi possano essere costituiti oltre che da enti pubblici, anche da soggetti privati. Inoltre le funzioni di o.c.c. possono essere svolte, e non più in via transitoria, da un professionista o da una società tra professionisti in possesso dei requisiti di cui all’art. 28 l. fall., ovvero da un notaio, nominati dal presidente del tribunale o dal giudice da lui delegato. Tale innovazione non è positiva perché, a prescindere dalle qualità professionali dei professionisti che saranno nominati, che saranno verosimilmente equivalenti a quelle degli attuali curatori fallimentari (ma è da immaginare che i migliori ricuseranno la nomina in questi procedimenti, di regola modesti), accentua il problema del conflitto d’interessi, concentrando tutte le attività proprie degli o.c.c. in una singola persona.
1 Le modifiche si applicano ai procedimenti instaurati dal trentesimo giorno successivo a quello della data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge.
2 Panzani, L., La composizione della crisi da sovraindebitamento, in www.treccani.it/magazine/diritto/.
3 Cfr. art. 178 l. fall. nel testo introdotto dalla l. 7.8.2012, n. 134, che ha convertito, con modificazioni, il d.l. 22.6.2012, n. 83.
4 Si veda il Bankruptcy Abuse Prevention and Consumer Protection Act of 2005, Pub. L. No. 109-8, 119 Stat. 23 (April 20, 2005) («BAPCPA»).