Novità normative ed aggiornamenti giurisprudenziali
La confisca di prevenzione consente l’espropriazione dei beni a persone che li hanno acquisiti illecitamente nella manifestazione della loro pericolosità sociale e che, continuando a detenerli, potrebbero commettere reati. Il bene, affetto da “illiceità genetica”, potrà circolare legittimamente solo dopo la confisca. Dalla natura preventiva della confisca, riconosciuta recentemente dalle Sezioni Unite, conseguono alcuni principi – retroattività, correlazione temporale, onere probatorio – che consentono la sistemazione organica di un istituto sempre più rivolto alla prevenzione della criminalità da profitto, attraverso nuove applicazioni della giurisprudenza. Un istituto compatibile con la Costituzione e con la CEDU, nonostante alcune “semplificazioni” probatorie, perché viene in rilievo la tutela della proprietà e dell’impresa e non della libertà personale. Assume sempre più rilievo la tutela dei terzi coinvolti dalla confisca, oggetto di recenti interventi della Corte costituzionale. A fronte del “fermento” della giurisprudenza il legislatore si limita a interventi disorganici.
Il legislatore in epoca recente è intervenuto con modifiche limitate nella disciplina delle misure di prevenzione. La giurisprudenza, invece, è stata impegnata costantemente nell’enucleare principi diretti a delineare una disciplina organica che è stata definita lo “Statuto” della confisca di prevenzione1.
1.1 Gli interventi del legislatore
Il d.lgs. 25.5.20014, n. 153 ha modificato l’art. 34, co. 7, prevedendo che per le impugnazioni contro i provvedimenti di revoca con controllo giudiziario e di confisca «si applicano le disposizioni previste dall’articolo 27».Viene colmata un’omissione conseguente al mancato inserimento nel d.lgs. cit. degli effetti della sentenza 20.11.1995, n. 487, con cui il Giudice delle leggi aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma previgente che non consentiva l’appello con le modalità previste per l’ordinaria confisca. Omissione, peraltro, superata in via interpretativa dai primi commenti al d.lgs. 6.9.2011, n. 159, secondo cui erano comunque applicabili ai provvedimenti previsti dal citato art. 34 le disposizioni sull’impugnazione di cui all’art. 10 d.lgs. n. 159/2011, in forza dell’art. 23, co. 1.
Il legislatore ha ampliato le categorie di pericolosità elencate nell’art. 4 d.lgs. n. 159/2011 che consentono l’irrogazione della misura personale e, dunque, delle misure patrimoniali ai sensi dell’art. 16 secondo cui la confisca è applicabile nei confronti di tutti i destinatari delle misure personali.
Il d.l. 22.8.2014, n. 119, conv. dalla l. 17.10.2014, n. 146, ha esteso l’ambito della pericolosità derivante dalla violenza sportiva delineata dall’art. 4, lett. i), d.lgs. n. 159/2011.
Il d.l. 18.2.2015, n. 7, conv. dalla l. 17.4.2015, n. 43 (decreto antiterrorismo), ha inserito all’art. 4, lett. d), d.lgs. cit. i potenziali cd. foreign fighters, vale a dire «coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti … a prendere parte ad un conflitto in territorio estero a sostegno di un’organizzazione che persegue le finalità terroristiche di cui all’articolo 270-sexies del codice penale».
Lo stesso d.l. n. 7/2015 ha modificato l’art. 17, co. 1, d.lgs. n. 159/2011 inserendo tra i titolari del potere di proposta patrimoniale il Procuratore nazionale antimafia (in precedenza titolare del solo potere di proposta personale); proposta esercitabile, in virtù della competenza di tale organo, nei confronti delle persone “pericolose” residenti nell’intero territorio dello Stato. Si colma un’evidente lacuna perché al solo Direttore della direzione investigativa antimafia era attribuito un analogo potere di proposta verso i soggetti pericolosi residenti nel territorio nazionale. Sotto il profilo pratico la competenza (nazionale) attribuita al Procuratore nazionale antimafia, che potrà esercitare il potere di proposta anche congiuntamente al Procuratore della Repubblica, consentirà di superare i problemi derivanti dalla non sempre agevole individuazione della competenza territoriale. È noto, infatti, che in materia di misure di prevenzione la competenza dell’organo proponente (e del Tribunale) si radica nel luogo in cui, al momento della decisione, la pericolosità si manifesta e, nel caso in cui tale manifestazione sia plurima e si verifichi in luoghi diversi, là dove le condotte di tipo qualificato appaiano di maggiore spessore e rilevanza (Cass., S.U., 29.5.2014, n. 33451). L’erronea individuazione della competenza comporta la nullità della proposta eccepibile in ogni stato e grado del procedimento (Cass. pen., 20.2.2015, n. 12564, in CED rv. n. 262871) con effetti, dunque, particolarmente rilevanti riflettendosi sulla revoca del sequestro in atto.
1.2 Il ruolo della giurisprudenza
La giurisprudenza ha affrontato numerose questioni, alcune di particolare rilievo per l’operatività della confisca di prevenzione, anche alla luce della compatibilità con la CEDU.
Con la sentenza del 26.6.2014, n. 4880, depositata il 2.2.2015, le Sezioni Unite hanno tratteggiato lo “Statuto” della confisca di prevenzione individuando importanti principi generali: retroattività, correlazione temporale, onere probatorio e di allegazione2. Va registrato, anche il “consolidamento” della giurisprudenza che fa rientrare nelle categorie di pericolosità anche condotte di vita che si riferiscono ai cd “colletti bianchi”.
La Corte costituzionale ha fissato rilevanti principi sulla tutela dei terzi nel caso di sequestro e confisca.
Gli orientamenti giurisprudenziali impongono di esaminare in modo più approfondito i principali temi affrontati.
2.1 La natura giuridica della confisca di prevenzione
Le frequenti applicazioni della confisca di prevenzione, derivanti anche dall’introduzione dal 2008 del principio di applicazione disgiunta e dalla estensione a categorie di pericolosità comune, hanno reso sempre più attuale l’interesse della dottrina e della giurisprudenza per questioni che sembravano ormai consolidate. L’occasione per una rivisitazione della materia è sorta dalla rimessione alle Sezioni Unite del tema della natura giuridica della confisca in esame.
Si confrontano da tempo diverse tesi. La natura preventiva è desunta dalla funzione di neutralizzare «la situazione di pericolosità insita nel permanere della ricchezza nelle mani di chi può continuare a utilizzarla per produrre altra ricchezza attraverso la perpetuazione dell’attività delinquenziale». La natura sanzionatoria è affermata per l’afflittiva degli effetti della confisca, da collocare, indipendentemente dalle etichette adoperate, nell’area della sanzione amministrativa o penale. Le Sezioni Unite, con la sentenza 3.7.1996, n. 18, avevano ricondotto la confisca di prevenzione nell’ambito di un tertium genus, tra sanzione penale e provvedimento di prevenzione, equiparato a una sanzione amministrativa che produce gli effetti della misura di sicurezza prevista dall’art. 240, co. 2, c.p.
Questa posizione, delineata per consentire la prosecuzione del procedimento, ai soli fini della confisca, nel caso di morte del proposto quando era operante il principio di “accessorietà”, ribadito pur dopo che nel 2008 era stato introdotto il principio di applicazione disgiunta, rischiava di proporre una sanzione patrimoniale, non derivante dall’accertamento della commissione di un fatto (illecito), con la conseguente applicabilità, anche sulla base dei principi posti dalla Corte europea, delle garanzie proprie della legge penale.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 4880/2014, hanno fatto chiarezza rivedendo la precedente impostazione con una decisione approfondita e argomentata che ha affrontato tutte le questioni di rilievo tenendo conto delle opinioni della dottrina3 e della Corte europea che non ha mai dubitato della natura preventiva della confisca di prevenzione4.
Le Sezioni Unite premettono che non può attribuirsi rilievo determinante ai termini adoperati dal legislatore. La confisca, pur presentando il carattere comune della privazione di beni, può essere prevista per diversi motivi e indirizzata a varie finalità, tanto da assumere natura di pena o di misura di sicurezza ovvero anche di misura di natura civile o amministrativa; viene in rilievo, dunque, «non un’astratta e generica figura di confisca, ma come risulta da una determinata legge», come affermato anche costantemente dalla Corte costituzionale, a partire dalla sentenza n. 29 del 1961, e dalla Corte europea che valuta gli istituti sulla base delle loro caratteristiche sostanziali al fine di scongiurare la cd. truffa delle etichette5.
Dopo un penetrante esame delle caratteristiche della confisca di prevenzione, la Corte afferma senza incertezze la natura preventiva dell’istituto: «Alla stregua della vigente normativa, la precipua finalità della confisca di prevenzione è, dunque, quella di sottrarre i patrimoni illecitamente accumulati alla disponibilità di determinati soggetti, che non possano dimostrarne la legittima provenienza. Tale finalità si pone, dunque, in piena sintonia con la ratio decidendi delle menzionate pronunce EDU e con i principi informatori dell’ordinamento convenzionale».
La Corte giunge a tale conclusione valorizzando l’introduzione, avvenuta nel 2008, del principio di applicazione disgiunta in forza del quale assume rilievo non la mera pericolosità sociale del titolare del bene «quanto piuttosto la circostanza che egli fosse tale al momento dell’acquisto del bene». Ne consegue che «se tale rapporto è indefettibile, nel senso che, in tanto può essere aggredito un determinato bene, in quanto chi l’abbia acquistato fosse, al momento dell’acquisto, soggetto pericoloso, resta esaltata la funzione preventiva della confisca, in quanto volta a prevenire la realizzazione di ulteriori condotte costituenti reato, stante l’efficacia deterrente della stessa ablazione»6. Si delinea, dunque, il rapporto che intercorre tra pericolosità della persona e “pericolosità” del bene per cui per i beni illecitamente acquistati il carattere della pericolosità si riconnette alla qualità soggettiva di chi ha proceduto al loro acquisto: «Si intende dire che la pericolosità sociale del soggetto acquirente si riverbera eo ipso sul bene acquistato … Siffatta conclusione discende … dalla ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita (restando, così affetto da illiceità per così dire genetica o, come si è detto in dottrina, da “patologia ontologica”)».
2.2 La “retroattività” della confisca
La natura preventiva della confisca di prevenzione consente di confermare la sua “retroattività” ovvero l’applicabilità della legge in vigore nel momento dell’adozione della misura.
Non trova ingresso, infatti, il principio d’irretroattività, riferibile alle sanzioni, bensì l’art. 200 c.p. (richiamato dall’art. 236 c.p.), relativo alle misure di sicurezza. Questa disposizione appare l’unica cui potersi fare riferimento per un istituto comunque assimilabile (per la funzione preventiva) alle misure di sicurezza disciplinate dal codice penale e richiamate dalla Costituzione (art. 25, co. 3, Cost.).
È la natura dell’istituto che impone l’applicabilità della legge in vigore dovendo essere eliminato dal mercato il bene illecitamente acquisito che, perciò, non può assumere carattere lecito per il mero decorso del tempo (ma solo con l’acquisizione del bene da parte dello Stato ovvero con l’acquisto di terzi in buona fede).
Una diversa conclusione, priva di un sicuro fondamento normativo, sarebbe in contrasto con la natura dell’istituto: se per la persona pericolosa si applica la legge in vigore nel momento dell’adozione del provvedimento, dovendo “contenersi” la pericolosità in atto in quel momento (per cui, a ben vedere, neanche si pone un problema di retroattività), nel caso di pericolosità del bene, ovvero di bene acquistato illecitamente, il carattere permanente dell’illiceità impone l’applicazione della legge in vigore nel momento in cui si interviene con la confisca, eliminando la pericolosità attraverso l’ablazione in favore dello Stato e la sottrazione dal mercato. In tal senso concludono le Sezioni Unite citate, disattendendo parte della dottrina e un’isolata sentenza della stessa Corte: «Se allora le novelle legislative non hanno inciso sulla tradizionale fisionomia della confisca di prevenzione, così come configurata dalla giurisprudenza e dalla prevalente dottrina, è logico inferire che non v’è ragione di dubitare della persistente assimilabilità della misura di prevenzione patrimoniale alle misure di sicurezza e, dunque, della ritenuta applicabilità alla prima della previsione di cui all’art. 200 c.p. Esclusa la natura sanzionatoria, non può dunque trovare applicazione, in subiecta materia, il principio di irretroattività di cui all’art. 2 cod. pen.».
La Corte di cassazione si è interrogata su eventuali limiti alla “retroattività” derivanti dalla fase in cui si trova il procedimento.
Si è affermato che le disposizioni introdotte nel 2008 e 2009 che hanno esteso la confisca anche ai cd. pericolosi semplici troverebbero applicazione sicuramente dopo la commissione dei fatti che fondano il giudizio di pericolosità e anche successivamente all’inizio della procedura di prevenzione, ma non oltre l’applicazione della misura che coincide con il provvedimento assunto dal Tribunale in primo grado (Cass. pen., 516.2.2015, n. 21491, in CED rv.
n. 263768).
La tesi non appare condivisibile, non solo perché dà rilievo a un dato “accidentale” rappresentato dal momento dell’applicazione del decreto di primo grado, ma soprattutto perché si pone in contrasto con la ratio della confisca di prevenzione bene individuata dalle Sezioni Unite anche nella necessità di eliminare dal circuito economico beni geneticamente illeciti perché acquisiti “in costanza di pericolosità”.
La stessa Corte, successivamente, ha espresso un motivato diverso indirizzo sottolineando che qualora il procedimento funzionale alla confisca sia pendente all’atto dell’entrata in vigore di una nuova disciplina (pur se peggiorativa) in fase di merito (e dunque anche in secondo grado) il giudice procedente può applicare le nuove disposizioni garantendo il rispetto del contraddittorio. Tale conclusione discende dal testo degli artt. 200, co. 1, e 236, co.2, c.p. per cui la confisca è regolata dalla legge vigente al tempo della sua «applicazione», senza riferimento alcuno alle diverse fasi del procedimento di merito (Cass. pen., 24.3.2015, n. 31209, in CED rv. n. 264322).
2.3 La correlazione temporale
Per lungo tempo si è ritenuto che la correlazione tra pericolosità della persona e confisca derivasse dalla natura e dai presupposti della misura patrimoniale: la sufficienza indiziaria (e non la prova) dell’illecita provenienza del bene era giustificata dall’essere il bene frutto di attività illecita posta in essere da persona pericolosa, con la conseguente necessità della correlazione temporale. La tesi opposta si era gradualmente consolidata rischiando di delineare una vera e propria misura sanzionatoria perché svincolata dalla pericolosità del soggetto (al momento dell’acquisto del bene). Le Sezioni Unite con la più citata sentenza n. 4880 hanno condivisibilmente riaffermato la necessità della correlazione temporale, derivante dalla natura preventiva della confisca.
La conclusione è proposta senza incertezze per la cd. pericolosità generica derivando «dall’apprezzamento dello stesso presupposto giustificativo della confisca di prevenzione, ossia dalla ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita (restando, così, affetto da illiceità per così dire genetica o, come si è detto in dottrina, da “patologia ontologica”) ed è, dunque, pienamente coerente con la ribadita natura preventiva della misura in esame. Diversamente, ove fosse possibile aggredire, indiscriminatamente, i beni del proposto, indipendentemente da ogni relazione pertinenziale e temporale con la pericolosità, lo strumento ablatorio finirebbe, inevitabilmente, con l’assumere connotati di vera e propria sanzione. Una siffatta misura sarebbe, così, difficilmente compatibile con i parametri costituzionali in tema di tutela dell’iniziativa economica e della proprietà privata, di cui agli artt. 41 e 42 Cost., oltreché con i principi convenzionali (segnatamente, con il dettato dell’art. 1, Prot. 1, Cedu) ... ».
Per la cd. pericolosità qualificata la Corte, pur tenendo fermo il principio generale della correlazione temporale, pone alcuni “temperamenti” in quanto l’individuazione del “perimetro temporale” di manifestazione della pericolosità investe di norma l’intero percorso esistenziale del proposto, per cui sarebbe «pienamente legittima l’apprensione di tutte le componenti patrimoniali ed utilità, di presumibile illecita provenienza, delle quali non risulti, in alcun modo, giustificato il legittimo possesso». Rimane ferma, però, «la facoltà dell’interessato di fornire prova contraria e liberatoria, attraverso la dimostrazione della legittimità degli acquisti in virtù di impiego di lecite fonti reddituali». Infine, qualora risulti «il momento iniziale ed il termine finale della pericolosità sociale, saranno suscettibili di apprensione coattiva “soltanto” i beni ricadenti nell’anzidetto perimetro temporale».
2.4 Il riparto dell’onere probatorio
Un tema su cui la giurisprudenza stava riflettendo era quello dell’onere probatorio relativo al presupposto per procedere a sequestro e confisca, rappresentato (dopo avere accertato la disponibilità diretta o indiretta del bene in capo al proposto), dalla sproporzione tra valore dei beni e redditi dichiarati o attività svolta, ovvero dall’esistenza di indizi sulla loro provenienza da attività illecita o reimpiego di questa.
Secondo la posizione per lungo tempo dominante nella giurisprudenza di legittimità tale requisito necessita di uno standard probatorio inferiore alla prova, costituito da quegli indizi che, in misura sufficiente, conducano alla genesi illecita dei beni o al loro reimpiego. La sufficienza indiziaria è data soprattutto dall’elemento, che non è l’unico ma certamente è il principale, della sproporzione tra il valore dei beni nella disponibilità (diretta od indiretta) del proposto ed i suoi redditi e le attività da lui svolte. Si distingue la fase cautelare da quella del contraddittorio (Cass. pen., 23.6.2004, n. 35268, in CED rv. n. 229725): nel momento del sequestro l’onere di dimostrare, sia pure sul piano della sufficienza indiziaria, la provenienza illecita dei beni (in primo luogo attraverso la sproporzione con i redditi o l’attività economica) incombe sull’organo procedente e, nel caso di accoglimento della richiesta, sul Tribunale che deve verificare la sussistenza dei presupposti, anche all’esito delle ulteriori indagini; nella fase della confisca, fermo restando l’onere probatorio suindicato a carico dell’accusa (e, di verifica del Tribunale), il proposto può dare corso ad un onere che si può definire di allegazione, diretto a sminuire od elidere gli elementi emersi nei suoi confronti. Non ricorre, dunque, un’inversione dell’onere della prova in tema di legittima provenienza dei beni.
Tale orientamento, pacifico fino alle modifiche del 2008, è stato sottoposto a vaglio critico da parte della giurisprudenza che ha anche richiesto la prova della provenienza illecita (Cass. pen., 21.4.2011, n. 27228, in CED rv. n. 250917).
Le Sezioni Unite con la ricordata sentenza n. 4880 hanno aderito alla tesi avanzata in dottrina per cui pur dopo le modifiche normative7 nulla è modificato in tema di riparto probatorio: «Nessuna innovazione è stata introdotta neppure sul piano dell’intensità dell’apporto probatorio, in dipendenza della locuzione “risultino essere frutto”, in luogo della precedente formulazione che richiedeva l’esistenza di “sufficienti indizi” di origine illecita (in origine, espressamente prevista solo per il sequestro). Ed infatti, l’assunto della provenienza illecita del patrimonio deve pur sempre essere la risultante di un processo dimostrativo, che si avvalga anche di presunzioni, affidate ad elementi indiziari purché connotati dei necessari coefficienti di gravità, precisione e concordanza». Dunque, l’organo proponente ha l’onere di provare la sproporzione tra beni patrimoniali e capacità reddituale nonché l’illecita provenienza, da dimostrare anche in base a presunzioni, laddove il proposto ha la facoltà di offrire elementi diretti a neutralizzare quanto risultante nei suoi confronti indicando la legittima provenienza degli stessi beni.
2.5 Confisca e “colletti bianchi”
Solo un cenno può farsi al consolidarsi dell’orientamento giurisprudenziale che propone l’applicabilità delle misure di prevenzione all’area dei cd. “colletti bianchi”8. L’assenza di limiti alle tipologie di attività delittuose o di traffici delittuosi previste dagli artt. 4, lett. c) e 1, lett. c), d.lgs. n. 159/2011 consente di applicare la misura ai soggetti pericolosi, qualunque sia l’attività delittuosa sottostante con cui viene manifestata la pericolosità, con la contestuale possibilità di sequestrare e confiscare i patrimoni illecitamente accumulati.
Alle prime applicazioni, relative all’evasore fiscale abituale, sono seguite quelle nei confronti del corruttore e del bancarottiere abituale che hanno trovato riconoscimento anche nella giurisprudenza di legittimità9.
È questo l’auspicabile approdo delle misure di prevenzione che consente di renderle compatibili con i principi costituzionali e moderne, senza creare una pseudo-criminalizzazione di condotte che non si riesce a sanzionare col processo penale. L’area delle misure di prevenzione è diversa dall’illecito penale, venendo in rilievo, non l’accertamento del fatto reato, ma la pericolosità, desunta da fatti, idonea a ravvisare un’abitualità delle condotte descritte dalle categorie di pericolosità.
2.6 La tutela dei terzi
Sempre più attuale il tema della tutela dei terzi creditori, muniti o meno di garanzie reali, nel caso di sequestro e confisca dei beni, regolamentato solo recentemente col d.lgs. n. 159/2011 e con la l. 24.12.2012, n. 228.
Le difficoltà di ordine pratico nell’applicazione delle nuove disposizioni, spesso risolte con prassi applicative, hanno richiesto l’intervento della Corte costituzionale sfociato in due decisioni (una sentenza e un’ordinanza) depositate a distanza di pochi giorni.
Dalla lettura dei provvedimenti della Corte può desumersi, in estrema sintesi, che il sistema di tutela dei terzi introdotto dal d.lgs. n. 159/2011 (per i procedimenti iniziati dal 13 ottobre 2011) e dalla l. n. 228/2012 (per i procedimenti sorti prima del 13 ottobre 2011) prevede un ragionevole equilibrio tra tutela dei terzi e ragioni poste a fondamento della confisca.
La Corte, con la sentenza del 28.5.2015, n. 94, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, co. 198, l. n. 228/2012, nella parte in cui non include tra i creditori che sono soddisfatti nei limiti e con le modalità ivi indicati anche i titolari di crediti da lavoro subordinato.
La Corte, premesso che il diverso “quadro normativo” consente di superare le argomentazioni della precedente sentenza n. 190/1994 (sull’inammissibilità di un intervento additivo), afferma che la mancanza di tutela per i crediti di lavoro, che non rientrino tra quelli tutelabili ai sensi dell’art. 1, co. 198, l. n. 228/2012, si pone in contrasto con l’art. 36 Cost. perché tale da «pregiudicare il diritto, riconosciuto al lavoratore dal primo comma della citata norma costituzionale, ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa».
Il lavoratore, stante il generale divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive sui beni confiscati, enunciato dall’art. 1, co. 194, l. n. 228/2012, rischia di non potere agire per il pagamento delle proprie spettanze, sia nel caso in cui la confisca renda i residui beni del debitore insufficienti a soddisfare le sue ragioni, sia nell’ipotesi di confisca “totalizzante” dell’intero patrimonio del datore di lavoro (nella specie, una società di capitali nella quale erano stati convogliati i proventi dell’attività illecita). Il sacrificio del creditore lavoratore non trova giustificazione «in una prospettiva di bilanciamento con l’interesse sotteso alle misure di prevenzione patrimoniali, ricollegabile ad esigenze di ordine e sicurezza pubblica anch’esse costituzionalmente rilevanti» costituendo «un sacrificio puro e semplice» dell’interesse contrapposto in violazione, appunto, dell’art. 36 Cost.
Dalla sentenza si desumono principi di carattere generale utili per “inquadrare” e risolvere alcuni temi relativi alla tutela dei terzi creditori.
Il sistema di tutela previsto dal d.lgs. n. 159/2011 è “complessivamente” conforme a Costituzione, perché fondato su un ragionevole bilanciamento di interessi: «Come appare evidente, la disciplina ora ricordata rappresenta il frutto del bilanciamento legislativo tra i due interessi che in materia si contrappongono: da un lato, l’interesse dei creditori del proposto a non veder improvvisamente svanire la garanzia patrimoniale sulla cui base avevano concesso credito o effettuato prestazioni; dall’altro, l’interesse pubblico ad assicurare l’effettività della misura di prevenzione patrimoniale e il raggiungimento delle sue finalità, consistenti nel privare il destinatario dei risultati economici dell’attività illecita». È previsto un adeguato bilanciamento di interessi espresso, nell’ambito della normativa “a regime” di cui all’art. 52 d.lgs. n. 159/2011 volto «ad impedire che la tutela si estenda a soggetti lato sensu “conniventi” con l’attività illecita del proposto o di reimpiego dei suoi proventi, o a crediti simulati o artificiosamente creati, ovvero ancora a casi nei quali è possibile aggredire utilmente il residuo patrimonio del debitore». Bilanciamento presente anche nella l. n. 228/2012 che richiama i medesimi principi del d.lgs. n. 159/2011.
La Corte costituzionale, con ordinanza del 5.6.2015, n. 101 ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, per violazione degli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione, con riferimento: 1) all’«intera disciplina prevista dal I e II capo del titolo IV del I libro» del d.lgs. 6.9.2011, n. 159; 2) e, in particolare, all’art. 52, co. 1, d.lgs. n. 159/2011.
Dalla decisione della Corte si può trarre un’ulteriore conferma della conformità a Costituzione del sistema di tutela dei terzi creditori introdotti dal d.lgs. n. 159/2011, con specifico riferimento alle disposizioni dirette ad assicurare un’adeguata certezza in ordine all’esistenza del credito e alla sua anteriorità rispetto alla misura di prevenzione patrimoniale e, comunque, a quelle proprie delle misure di prevenzione relative ai rigorosi requisiti richiesti per la tutela ed al limite di garanzia patrimoniale previsto dall’art. 53 d.lgs. cit.
Pur tra le perplessità che continuano a essere prospettate da parte della dottrina la confisca di prevenzione è un istituto compatibile con la Costituzione e con la CEDU che, oltre a “contenere” la pericolosità della persona perché privata dei beni con cui potrebbe delinquere, consente di eliminare dal circuito economico patrimoni acquisiti illecitamente (ovvero “geneticamente illeciti”) tali da inquinare l’economia legale.
L’attuale sistema, frutto dell’evoluzione giurisprudenziale, consente un adeguato bilanciamento tra le esigenze di carattere preventivo (e l’efficacia dell’istituto) e le garanzie assicurate agli interessati.
Prosegue il percorso verso un’organica sistemazione della materia della prevenzione, in cui si stanno enucleando principi fondanti ed estendendo le dovute garanzie, prestando attenzione a evitare “forzature” che non sono utili per un istituto che deve ben collocarsi nella giurisprudenza della Corte europea che continua a applicare diverse tutele alla confisca preventiva e a quella sanzionatoria.
D’altra parte è ancora ampia la riflessione su temi che impegneranno il futuro dibattito, a partire da alcune inconguenze del testo del d.lgs. n. 159/2011 fino ad ora colmate dall’attenta opera della giurisprudenza, ma che richiedono un indifferibile intervento del legislatore.
1 Si rinvia a Menditto, F., Verso lo statuto della confisca di prevenzione: natura giuridica, retroattività e correlazione temporale, in Il libro dell’anno del Diritto 2015, Roma, 2015, 650 ss.
2 Maugeri, A.M., Una parola definitiva sulla natura della confisca di prevenzione? Dalle Sezioni Unite Spinelli alla sentenza Gogitidze della Corte EDU sul civil forfeiture, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, 942 ss.
3 Maugeri, A.M., La resa dei conti: alle Sezioni Unite la questione sulla natura della confisca antimafia e sull’applicazione del principio di irretroattività, in www.penalecontemporaneo.it, 7.2.2014; Menditto, F., Le Sezioni Unite verso lo statuto della confisca di prevenzione: la natura giuridica, la retroattività e la correlazione temporale, in www.penalecontemporaneo.it ; 26.5.2014.
4 C. eur. dir. uomo, 22.2.1994, Raimondo c. Italia; C. eur. dir. uomo, 5.7.2001, Arcuri c. Italia; C. eur. dir. uomo, 5.1.2010, Bongiorno c. Italia; C. eur. dir. uomo, 6.7.2011, Pozzi c. Italia; C. eur. dir. uomo, 17.6 2014, Cacucci c. Italia.
5 C. eur. dir. uomo, 8.6.1976, Engel c. Paesi Bassi.
6 La tesi era stata proposta da Menditto, F., Le misure di prevenzione personali e patrimoniali. La confisca ex art. 12 sexies l. n. 356/92, Milano, 2012, 299 ss.
7 Menditto, F., Le misure di prevenzione personali e patrimoniali, cit., 323 ss.
8 Menditto, F., Le confische nella prevenzione e nel contrasto alla criminalità “da profitto” (mafie, corruzione, evasione fiscale), in www.penalecontemporaneo.it, 2.2.2015; Maiello, V., La legislazione penale in materia di criminalità organizzata, misure di prevenzione ed armi, Torino, 2015, 335 ss.
9 In materia di evasione fiscale Cass. pen., 10.6.2013, n. 32032, in CED rv. 256451; sulla corruzione Cass. pen. n. 31209/2015, in CED rv. n. 264321.