Novità sulle elezioni forensi
La recente l. 12.7.2017, n. 113, ha riscritto le regole delle elezioni forensi, affidate, dalla riforma ordinamentale del 2012, ad un regolamento ministeriale che doveva dare esecuzione ai principi dettati dalla normativa di rango primario prevista nell’art. 28 della l. 31.12.2012, n. 247. Tale regolamento è stato fatto oggetto di contestazioni dinanzi al giudice amministrativo che hanno condotto al suo annullamento parziale, con la conseguenza dell’annullamento di alcune delle elezioni tenute sotto il suo regime. Il presente lavoro si intrattiene sulla disciplina previgente, oggetto del sindacato giurisdizionale, e sulle ragioni del suo annullamento parziale, per poi illustrare il contenuto della nuova legge e alcuni spunti problematici emersi nei primi commenti.
La l. 31.12.2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense) regolava, all’art. 28, tra l’altro, le modalità di elezione dei consigli dell’ordine (co. da 2 a 5) e quelle di integrazione dell’organo nel corso del mandato (co. 6).
La norma prevedeva che i componenti del consiglio dell’ordine venissero eletti in base ad un regolamento da adottarsi ai sensi dell’art. 1 (e pertanto da parte del ministro della giustizia, ai sensi dell’art. 17, co. 3, l. 23.8.1988, n. 400, previo parere del Consiglio nazionale forense – da rendersi sentiti i consigli dell’ordine e le associazioni individuate come maggiormente rappresentative dallo stesso Consiglio nazionale forense – e delle commissioni parlamentari permanenti). Il regolamento è stato adottato con il decreto 10.11.2014, n. 170 (Regolamento sulle modalità di elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi, a norma dell’articolo 28 della legge 31 dicembre 2012, n. 247), ma è stato oggetto di impugnazioni a seguito delle quali il TAR del Lazio, con tre sentenze del 2015 (due delle quali non impugnate e la terza confermata dal Consiglio di Stato), lo ha annullato nelle parti in cui esso consentiva l’espressione di un numero di preferenze pari ai candidati da eleggere, nonché nella parte in cui consentiva un intervento correttivo a valle del procedimento elettorale per realizzare l’obiettivo della tutela di genere. Erano state inoltre proposte, dinanzi al Consiglio nazionale forense, diverse impugnazioni di elezioni svolte sulla base del regolamento in questione, due delle quali recentemente definite dalla Suprema Corte che, cassando le decisioni del Consiglio nazionale forense, ha annullato, sul presupposto dell’illegittimità ritenuta dal giudice amministrativo, gli atti relativi alle elezioni oggetto di impugnazione.
In questo contesto, nel quale convivono consigli dell’ordine eletti in base al regolamento n. 170/2014 (con elezioni in alcuni casi annullate, come detto) e consigli operanti in regime di prorogatio, in attesa delle definizione delle vicende relative all’impugnazione di tale regolamento, è intervenuta la l. 12.7.2017, n. 113 (Disposizioni sulla elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi), che ha riscritto le regole elettorali abrogando i co. da 2 a 6 dell’art. 28 l. n. 247/2012 e dettando un articolato regime transitorio.
Nel presente scritto, dopo avere sommariamente dato conto della normativa previgente e dei vizi di legittimità ritenuti dal giudice amministrativo, si esaminerà il contenuto delle nuove disposizioni.
L’art. 28 l. n. 247/2012 aveva disciplinato ex novo il procedimento elettorale dei consigli dell’ordine, statuendone i principi e affidando ad un regolamento ministeriale (d.m. n. 170/2014) la normativa di dettaglio. Questi i tratti fondamentali delle previsioni dell’art. 28 sulle quali ha inciso la l. n. 113/2017.
Elezione dei componenti del consiglio ai sensi di un regolamento che doveva prevedere che il riparto dei consiglieri venisse effettuato in base ad un criterio che assicurasse l’equilibrio tra i generi; il genere meno rappresentato doveva ottenere almeno un terzo dei consiglieri eletti; la disciplina del voto di preferenza doveva prevedere la possibilità di esprimere un numero maggiore di preferenze se destinate ai due generi (art. 28, co. 2).
Possibilità, per ciascun elettore, di esprimere un numero di voti non superiore ai due terzi dei consiglieri da eleggere arrotondati per difetto (art. 28, co. 3). Sostituzione (nel caso di morte, dimissioni, decadenza, impedimento permanente per qualsiasi causa) con il primo dei non eletti, nel rispetto e mantenimento dell’equilibrio dei generi (art. 28, co. 6).
Il regolamento ministeriale, chiamato a dare attuazione a tali principi aveva coniugato gli obiettivi dell’equilibrio di genere e della tutela del pluralismo, sottesi alle norme di cui ai co. 2 e 3 dell’art. 28 (tema che avrebbe poi rappresentato il nucleo centrale delle impugnazioni proposte dinanzi al giudice amministrativo), nel seguente modo.
Il presidente del consiglio dell’ordine, nel convocare l’assemblea per l’elezione del consiglio, doveva determinare il numero minimo dei seggi da assicurare al genere meno rappresentato, che doveva corrispondere almeno ad un terzo dei consiglieri da eleggere, arrotondato per difetto all’unità (art. 3, co. 1, lett. b), indicazione da riportarsi anche nell’avviso di convocazione (art. 4, co. 3).
Era prevista la facoltà di presentazione di candidature sia individualmente, sia attraverso la partecipazione ad una lista, con la precisazione che la candidatura all’interno di una lista comportava anche quella a titolo individuale; il nominativo di chi si fosse candidato in una lista doveva essere inserito anche nell’elenco dei candidati individuali, con un richiamo alla lista (artt. 6, co. 1, e 7, co. 6).
La formazione delle liste era così disciplinata:
i) qualora i candidati fossero appartenuti ai due generi e a quello meno rappresentato fosse stato riservato almeno un terzo dei posti della lista arrotondato per difetto all’unità inferiore, era possibile l’indicazione di nominativi fino ad un numero pari a quello complessivo dei consiglieri da eleggere (art. 7, co. 1);
ii) qualora nella lista non vi fosse stata la rappresentanza di entrambi i generi, era possibile l’indicazione di nominativi fino a due terzi dei componenti complessivamente eleggibili (art. 7, co. 2, primo periodo);
iii) qualora vi fosse stata la rappresentanza di entrambi i generi, ma il numero dei componenti della lista fosse inferiore a quello dei componenti da eleggere, doveva in ogni caso restare fermo, nell’ambito del medesimo genere, il limite massimo dei due terzi (art. 7, co. 2, secondo periodo).
La scheda elettorale doveva contenere un numero di righe pari a quello dei componenti da eleggere e l’eventuale raggruppamento in liste (art. 9, co. 2).
Il voto poteva essere espresso attraverso l’indicazione del singolo candidato ovvero attraverso l’indicazione della lista; in tale secondo caso il voto era computato come espressione di voto a favore di ciascuno dei componenti della lista, con previsione di nullità della scheda che recasse espressioni di voto rese in parte con indicazione della lista e in parte con l’espressione di preferenza individuale, nonché della scheda che recasse l’indicazione di più liste (art. 9, co. 4).
Era altresì previsto che le preferenze potessero essere espresse in misura pari al numero dei componenti del consiglio da eleggere, fermo il limite massimo dei due terzi per ciascun genere, nella sola ipotesi di voto destinato ai due generi (art. 9, co. 5) e che nei casi diversi potesse essere espresso un numero di preferenze non superiore ai due terzi dei componenti da eleggere, pena la nullità della scheda (art. 9, co. 6). Più in generale era prevista la nullità della scheda contenente un numero di preferenze superiore a quello consentito (art. 13, co. 2, lett. d).
L’art. 14, co. 7, prevedeva poi un intervento a valle delle operazioni elettorali, volto a garantire il rispetto della quota di un terzo per il genere meno rappresentato, nel caso in cui nella graduatoria dei candidati più votati (sino a concorrenza del numero complessivo di seggi da attribuire) non fosse stata rispettata tale quota.
Doveva così formarsi una seconda graduatoria sostituendo i candidati del genere più rappresentato eccedenti la quota dei due terzi e meno votati con i candidati del genere meno rappresentato che avevano conseguito il maggior numero di voti, sino ad integrare il terzo.
Quanto al meccanismo di sostituzione di cui art. 28, co. 6, l. n. 247/2012, il regolamento aggiungeva (art. 15) che qualora non fosse stato possibile coprire le vacanze mantenendo l’equilibrio dei generi, si sarebbe dovuto procedere a nuove elezioni.
Il regolamento ministeriale aveva dunque coniugato il principio della tutela del genere meno rappresentato e quello della tutela del pluralismo, espressi dal co. 2 e 3 dell’art. 28 l. n. 247/2012, da una parte nella sostanza affermando che la limitazione del voto ai due terzi degli eligendi potesse essere superata qualora l’elettore avesse espresso preferenze per entrambi i generi, peraltro rispettando il limite massimo dei due terzi per ciascun genere, dall’altra parte prevedendo un criterio volto ad incidere ex post sui risultati delle elezioni onde assicurare che al genere meno rappresentato andasse comunque almeno un terzo dei seggi (e prevedendo che tale obiettivo dovesse essere assicurato anche nel caso di sostituzione degli eletti, giungendo a prevedere nuove elezioni qualora ciò non si fosse reso possibile).
Avverso tale regolamento, nonché avverso le operazioni elettorali tenute presso alcuni ordini in vigenza di tale regolamento, venivano promosse impugnazioni dinanzi al TAR per il Lazio e al Consiglio nazionale forense.
Il primo giudice, con la sentenza 13.6.2015, n. 8333, censurava il fatto che il regolamento ministeriale avesse privilegiato l’obiettivo dell’equilibrio di genere, di cui all’art. 28, co. 2, l. n. 247/2012, in pregiudizio della finalità del pluralismo, affermata dal co. 3 della stessa norma.
Secondo il TAR «il numero di preferenze individuato a norma del comma 3» (due terzi degli eligendi, arrotondati per difetto) «si pone come limite massimo dei voti esprimibili …, al fine di consentire al maggior numero di liste e, quindi, di orientamenti, anche non necessariamente politici, di ottenere la presenza di propri rappresentanti nel consiglio. … Ciò posto, appare chiaro come entro il limite stabilito dal comma 3 debba muoversi l’interpretazione del comma 2, nel dettare il quale il legislatore ha perseguito la diversa e ulteriore finalità di individuare previsioni a tutela del genere meno rappresentato».
In definitiva, secondo il TAR, il numero corrispondente ai due terzi dei consiglieri da eleggere (arrotondato per difetto) andava ulteriormente frazionato, onde individuare una soglia minima di voti da assicurare al genere meno rappresentato, talché solo chi avesse espresso preferenze per i candidati appartenenti ad entrambi i generi avrebbe potuto utilizzare un numero di voti pari ai due terzi degli eligendi (arrotondati per difetto).
Il giudice amministrativo traeva da tali premesse «l’illegittimità degli articoli 7 e 9 del regolamento ministeriale impugnato nella parte in cui: a) consentono a ciascun elettore di esprimere un numero di preferenze pari al numero di candidati da eleggere; b) consentono la presentazione di liste che contengano un numero di candidati pari a quello dei consiglieri complessivamente da eleggere e c) prevedono che le schede elettorali contengano un numero di righe pari a quello dei componenti complessivi del consiglio da eleggere». Il TAR dichiarava la sopravvenuta carenza di interesse (tra l’altro) con riferimento alla censura relativa alla disposizione che consentiva il voto di lista (art. 9, co. 4), dal momento «che la necessaria riconduzione delle liste al limite massimo dei due terzi degli eligendi, rende inattuale la doglianza di contrasto di tale modalità di voto con i principi di pluralismo tutelati dal comma 3 dell’art. 28 della legge n. 247 del 2012», lasciando dunque intendere la compatibilità del voto di lista, corretto nei termini indicati, con la scelta della norma primaria di tutela del pluralismo attraverso la previsione del voto limitato.
Il ricorso veniva accolto anche con riferimento al meccanismo di intervento ex post sui risultati delle elezioni volto ad assicurare comunque un terzo dei seggi al genere meno rappresentato (art. 14, co. 7). Veniva infatti affermato che tale norma, contemplando un intervento correttivo a valle del procedimento elettorale, si poneva in conflitto con i principi costituzionali in materia di tutela di genere così come interpretati dalla Corte costituzionale, secondo la quale le norme a tutela della parità di genere risultano conformi alla Costituzione laddove prevedano misure promozionali a monte del procedimento elettorale, mentre al contrario risultano costituzionalmente illegittime ove prevedano interventi correttivi a valle del procedimento stesso.
Il TAR osservava «come, sebbene il contenuto della disposizione regolamentare» potesse «apparentemente sembrare accordato al tenore letterale della disposizione primaria di cui all’art. 28, comma 2, della legge n. 247/2012, la previsione regolamentare … avrebbe invece dovuto prelevare l’unico e diverso significato normativo della disposizione primaria coerente col dettato costituzionale, e cioè quello di prevedere meccanismi e procedure idonei a promuovere e non ad imporre il rispetto di proporzione fra i generi, fornendone quindi la doverosa lettura costituzionalmente orientata così superando, per la via interpretativa, i rilevati profili di incostituzionalità».
Analoghe statuizioni (tranne che con riferimento a tale ultima questione) contenevano le coeve sentenze n. 8332 e 8334. Investito dell’impugnazione della sentenza n. 8333 il Consiglio di Stato la confermava con decisione 28.7.2016, n. 3414, non mancando di sottolineare, quanto al coordinamento tra il co. 2 e il co. 3 dell’art. 28, «l’estrema infelicità della formulazione normativa primaria di riferimento, verosimilmente discendente dall’inserimento, nel corso dei lavori parlamentari, nel comma 2 dell’art. 28 della legge n. 247 del 2012 dell’inciso per cui: “... Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo dei consiglieri eletti”, senza affrontare partitamente la questione del rapporto fra tale previsione e il numero massimo di voti esprimibili stabilito dal successivo comma 3».
Quanto all’illegittimità del procedimento correttivo a valle delle operazioni elettorali il Consiglio di Stato osservava che il verbo «deve» impiegato dal legislatore (art. 28, co. 2, terzo periodo: «Il genere meno rappresentato deve ottenere almeno un terzo dei consiglieri eletti»), nonostante l’apparente perentorietà, non poteva che essere inteso come conformativo del potere regolamentare, dovendo cioè il regolamento prevedere «meccanismi idonei, per quanto possibile, ad assicurare una rappresentanza del genere minoritario almeno nei termini percentuali indicati …».
Sulla scorta di tale pronuncia, nonché delle sentenze n. 8332 e n. 8334 del 2015 del TAR del Lazio, di cui sopra, non appellate, la Corte di cassazione, chiamata a giudicare su ricorsi avverso decisioni del Consiglio nazionale forense che avevano respinto impugnazioni relative ad operazioni elettorali svolte nel vigore della contestata normativa regolamentare, con le sentenze 31.1.2017, n. 2481, e 1.2.2017, n. 2614 annullava gli atti relativi ai procedimenti elettorali oggetto di impugnazione.
La Corte di cassazione prendeva atto delle decisioni dei giudici amministrativi, tra l’altro sottolineando come l’annullamento di un atto regolamentare o di contenuto generale operi con efficacia erga omnes.
Nel contesto delineato il 12 luglio 2017 è giunto in porto il procedimento di approvazione del disegno di legge presentato esattamente un anno prima, il 12 luglio 2016, al Senato (atto Senato n. 2473, d’iniziativa dei senatori Falanga e altri). La legge è entrata in vigore il 21 luglio 2017 e ha ampiamente rimaneggiato il procedimento elettorale dei consigli dell’ordine degli avvocati, anche andando oltre le ragioni di illegittimità ritenute dai giudici amministrativi.
Dal punto di vista sistematico va ricordato: che la legge ha abrogato i co. da 2 a 6 dell’art. 28 l. n. 247/2012 (art. 18); che l’art. 1 dispone che «[l]a presente legge reca la disciplina dell’elettorato attivo e passivo e delle modalità per l’elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi»; che la composizione ed elezione del consiglio dell’ordine sono disciplinate, rispettivamente, dall’art. 28 citato «e dalla presente legge» (art. 2, co. 1, lett. b); che «[i] componenti del consiglio sono eletti dagli avvocati iscritti all’ordine ai sensi dell’articolo 25 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, con voto segreto, in base alle disposizioni della presente legge» (art. 3).
Appare pertanto da ritenere che il d.m. n. 170/2014 non sia più applicabile alle elezioni in parola, anche nelle parti non colpite dalle censure di illegittimità dei giudici amministrativi; e del resto la l. n. 113/2017 ne riproduce, anche modificandolo, il contenuto, così come riproduce, anche in questo caso con modifiche, le parti dei co. da 2 a 6 dell’art. 28 l. n. 247/2012 non interessate dalle declaratorie di illegittimità del regolamento.
La scelta del legislatore risulta dunque essere stata quella di affidare alla sola norma di rango primario la completa regolamentazione della materia, realizzando così il condivisibile obiettivo di garantire organicità di disciplina, ora contenuta in un unico testo, e di sottrarla ad ulteriori impugnazioni.
Questo in sintesi l’assetto attuale, che si esporrà anche rimarcando le principali differenze rispetto alla disciplina previgente.
Non è modificata la platea dei soggetti aventi il diritto di elettorato attivo (iscritti negli albi e negli elenchi dei dipendenti degli enti pubblici e dei docenti e ricercatori universitari a tempo pieno e nella sezione speciale degli avvocati stabiliti il giorno antecedente l’inizio delle operazioni elettorali, con esclusione degli iscritti sospesi per qualsiasi ragione; art. 3, co. 2, già art. 28, co. 2, ultimi due periodi) e passivo (iscritti aventi diritto di voto che non abbiano riportato, nei cinque anni precedenti, una sanzione disciplinare esecutiva più grave dell’avvertimento, con la precisazione dell’impossibilità di essere eletti per più di due mandati consecutivi e che la ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguale a quello degli anni del precedente mandato; art. 3, co. 3, già art. 28, co. 4 e 5, secondo periodo).
La l. n. 113/2017 ha innovativamente previsto che ai fini del rispetto del divieto di elezione per più di due mandati consecutivi non si tenga conto di quelli di durata inferiore ai due anni (art. 3, co. 4), norma che pare da porsi in relazione con la previsione del regime transitorio secondo cui in sede di prima applicazione la durata dei consigli è stabilita alla scadenza del 31 dicembre 2018 (art. 17, co. 3, primo periodo).
Norma fondamentale è quella dell’art. 4, che concerne il numero massimo di voti esprimibili e la tutela del genere meno rappresentato.
Quanto al primo aspetto è ripresa (art. 4, co. 1) la previsione del co. 3 dell’art. 28, stabilendosi che ciascun elettore possa esprimere un numero di voti non superiore ai due terzi dei consiglieri da eleggere (il cui numero varia, ai sensi dell’art. 28, co. 1, che non è stato modificato, secondo il numero degli iscritti, passandosi da un minimo di cinque qualora l’ordine conti fino a cento iscritti ad un massimo di venticinque nel caso di ordini con oltre cinquemila iscritti), secondo quanto risulta dalla tabella A allegata alla legge e qui di seguito riprodotta, nella quale sono riportati, per ciascun tipo di composizione consiliare, il numero corrispondente ai due terzi, con arrotondamento per difetto (come previsto dal terzo comma dell’art. 28).
L’art. 10, co. 5, trattando dell’espressione del voto, precisa poi:
a) che possa essere espresso il numero massimo dei voti così determinato qualora i candidati votati appartengano ai due generi e a quello meno rappresentato sia attribuito almeno un terzo del massimo del numero dei voti esprimibili, secondo quanto indicato nella tabella A allegata alla legge (primo periodo);
b) che in ogni caso non possa essere espresso per candidati di uno stesso genere un numero di voti superiore ai due terzi del numero massimo dei voti esprimibili, ancora secondo quanto indicato nella tabella A allegata alla legge.
È stata data così attuazione all’interpretazione che della norma primaria avevano offerto i giudici amministrativi, facendo in ogni caso salvo il voto limitato ai due terzi e ricavando all’interno di questo limite una soglia minima da riservarsi al genere meno rappresentato, con eliminazione di qualsiasi meccanismo correttivo a valle delle operazioni elettorali. Anche nella norma relativa alla sostituzione degli eletti (art. 16) – nella quale, tra i casi di sostituzione, è stato aggiunto (a morte, dimissioni, decadenza, impedimento permanente) quello della rinunzia – è stato eliminato il riferimento, prima contenuto nell’abrogato co. 6 dell’art. 28, al «rispetto e mantenimento dell’equilibrio dei generi», a conferma della scelta di affidare la tutela di genere a meccanismi e criteri destinati ad operare solo nell’espressione del voto, senza incidere sui risultati delle operazioni elettorali. Questo il nucleo essenziale della normativa, mette conto percorrere brevemente le cadenze del procedimento elettorale, sottolineando le ulteriori principali differenze rispetto all’assetto previgente.
La convocazione dell’assemblea per l’elezione del consiglio avviene ad opera del presidente (che deve provvedervi previa deliberazione del consiglio, il che non era previsto nel d.m. n. 170/2014), il quale determina il numero complessivo degli eligendi e fissa, di regola entro il 10 dicembre dell’anno precedente le elezioni e comunque almeno trenta giorni prima dell’inizio delle operazioni di voto, le date delle elezioni; tali determinazione e fissazione sono oggetto di pubblicazione, con valore di pubblicità notizia, nel sito istituzionale e di comunicazione al Consiglio nazionale forense (artt. 5 e 6, co. 1).
Della convocazione va dato avviso – con invito a presentare le candidature almeno quattordici giorni prima della data delle elezioni (erano dieci secondo l’art. 4 d.m. n. 170/2014) e con indicazione di luogo, giorni e orario delle votazioni e del numero egli eligendi – da spedirsi a mezzo di posta elettronica certificata nonché di qualsiasi altro mezzo idoneo a comcomprovare la spedizione; l’avviso va anche affisso presso l’ordine e in tribunale e pubblicato nel sito istituzionale; in aggiunta può ricorrersi alla pubblicazione di un estratto per due volte in un quotidiano locale, con le modalità previste (art. 6; l’art. 4 d.m. n. 170/2014 prevedeva tale pubblicazione come facoltà sostitutiva della comunicazione per gli ordini con oltre cinquecento iscritti).
L’art. 8 stabilisce che le candidature possano solo essere individuali (a differenza di quanto previsto nel regime previgente, che consentiva anche le candidature di lista, art. 6 d.m. n. 170/2014), pur non sembrando dato ravvisare, anche alla luce delle decisioni dei giudici amministrativi di cui si è detto, una contrarietà della candidature attraverso liste alla tutela del principio del pluralismo, che risulta comunque garantito dalla limitazione del voto (si sarebbe infatti potuto prevedere la formazione di liste con un numero di candidati massimo corrispondente a quello del massimo dei voti esprimibili secondo i vari casi sopra ricordati).
È tuttavia consentita la propaganda «anche attraverso l’aggregazione di più candidati, eventualmente distinguendo l’aggregazione con un simbolo o con un motto» (art. 7), secondo una prassi seguita nelle elezioni forensi svolte prima delle riforma di cui alla l. n. 247/2012.
Quanto, ancora, alla propaganda elettorale, viene in particolare ribadito che deve essere rispettosa delle norme deontologiche (art. 7).
L’adempimento successivo alla presentazione delle candidature è la costituzione della commissione elettorale, che ha il compito di verificare le candidature e di sovraintendere alle operazioni elettorali, fino alla proclamazione degli eletti (art. 9, co. 5, primo periodo).
Di essa fanno parte il presidente e il consigliere segretario, che svolgono le funzioni di presidente e segretario (qualora essi siano candidati le due cariche vengono attribuite dal consiglio; tali funzioni sono comunque sempre delegabili a componenti della commissione), nonché sei o più iscritti con anzianità non inferiore a cinque anni, che non siano candidati; ferma la previsione che i membri non componenti del consiglio debbano essere in misura non inferiore alla metà, la l. n. 117/2017 ha introdotto la designazione mediante sorteggio per l’eventualità in cui vi sia stata manifestazione di disponibilità in misura eccedente il numero dei componenti; altrimenti la designazione viene effettuata dal consiglio (art. 9).
Terminate le operazioni di verifica le candidature sono numerate secondo l’ordine di presentazione (art. 9, co. 7; l’art. 8, co. 7, d.m. n. 170/2014 ne prevedeva la numerazione in ordine alfabetico).
Le schede elettorali sono predisposte a cura del consiglio in modo tale da garantire la segretezza del voto, devono contenere un numero di righe pari al numero massimo dei voti esprimibili e devono essere firmate dal presidente della commissione e dal segretario (art. 10, co. 12); non è più previsto che la scheda riporti l’indicazione, anche in via riassuntiva, dei principi previsti per l’espressione del voto (come stabiliva l’art. 9, co. 2, d.m. n. 170/2014).
L’art. 10, co. 4, prevede che il voto sia espresso attraverso l’indicazione del nome e del cognome degli avvocati candidati individualmente ai sensi dell’art. 8.
Il seggio elettorale deve essere allestito nei locali del tribunale ovvero nel luogo indicato dal consiglio (art. 11).
Quanto alle operazioni di voto è in particolare stabilito che presidente e segretario della commissione elettorale assumano le funzioni di presidente e segretario del seggio; che il presidente verifichi e decida in merito a eventuali contestazioni; che per la validità delle operazioni elettorali sia necessaria la presenza di almeno tre componenti del seggio e cioè, è da ritenersi, della commissione elettorale; che le operazioni vengano verbalizzate con individuazione ed elencazione di tutti i votanti (art. 12). L’art. 12, co. 10, nel confermare che la votazione viene dichiarata chiusa «[s]caduto l’orario dell’ultima giornata elettorale», ha aggiunto che sono ammessi al voto i presenti all’interno del seggio o, nel caso di incapienza della sala, vengono identificati gli elettori presenti (al fine, pare da ritenere, di ammetterli al voto).
L’art. 13 disciplina la votazione con sistema elettronico. In tale caso la commissione elettorale deve designare il responsabile informatico, che interviene e presenzia alle operazioni di voto (art. 9, co. 2). Per le operazioni di spoglio delle schede la commissione elettorale è coadiuvata da un numero di scrutatori non inferiore a quattro, scelti al di fuori dei componenti del consiglio tra non candidati, che vengono nominati dal presidente del seggio tra i presenti (artt. 9, co. 5, secondo periodo, e 12, co. 4, lett. d).
Dalla fase di spoglio la commissione elettorale può operare anche tramite sottocommissioni composte da almeno quattro membri, compresi gli scrutatori (art. 9, co. 6).
Queste le regole per lo scrutinio delle schede.
Quanto ai voti:
a) è nullo quello espresso per un candidato indicato solo con il cognome quando vi siano più candidati con tale cognome;
b) quando un candidato sia indicato con il cognome esatto, ma con il nome errato, il voto è attribuito se l’indicazione non corrisponde ad altro candidato;
c) quando un candidato con doppio cognome sia indicato con un solo cognome, qualora il nome sia esatto il voto è attribuito al candidato; ove manchi il nome si applica il criterio di cui alla lettera a) (art. 14, co. 1).
Quanto alle schede, sono nulle quelle:
a) che non hanno le caratteristiche di cui all’art. 10;
b) compilate, anche in parte, con la dattilografia;
c) che contengono segni diversi dall’espressione del voto;
d) che consentono di riconoscere l’elettore (art. 14, co. 2). Il d.m. n. 170/2014 prevedeva la nullità della scheda che contenesse un numero di preferenze superiore a quello consentito (art. 13, co. 2, lett. d).
La l. n. 113/2017 ha fatto propria una scelta diversa, che risulta volta a sanzionare di nullità non la scheda, ma i voti espressi in eccedenza rispetto al massimo dei voti esprimibili, a partire da quello indicato per ultimo (art. 14, co. 3), con la precisazione della nullità dei voti espressi in difformità dall’art. 10, co. 5, se i voti in favore di un genere superino il limite di due terzi indicato nella tabella A allegata alla legge, limitatamente ai voti espressi in eccedenza per il genere più rappresentato, a cominciare da quello indicato per ultimo nella scheda (art. 14, co. 4).
Allo scrutinio segue la predisposizione, ad opera della commissione elettorale, di una graduatoria riportante l’indicazione di tutti gli avvocati che hanno riportato voti, con la precisazione che nel caso di parità di voti è eletto il più anziano per iscrizione all’albo e, nel caso di pari anzianità, il maggiore di età; il presidente del seggio proclama poi gli eletti, dandone comunicazione al Ministero della giustizia, al Consiglio nazionale forense, al presidente del tribunale e a tutti gli altri ordini, curandone la pubblicazione nel sito istituzionale del proprio ordine (art. 15).
Il capo IV della l. n. 113/2017 si occupa del regime transitorio.
Come si è ricordato si è infatti verificato che alcuni ordini hanno dato corso alle elezioni sulla base del d.m. n. 170/2014, mentre altri, in particolare in considerazione delle vicende giudiziarie che avevano interessato tale regolamento, hanno atteso gli sviluppi, rimando in carica in regime di prorogatio.
Il regime transitorio (art. 17, co. 12) ha così disposto:
a) la deliberazione delle elezioni, da parte dei consigli che non avevano proceduto al rinnovo in base al d.m. n. 170/2014, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge, avvenuta il 21 luglio 2017, e pertanto entro il 4 settembre 2017;
b) la deliberazione delle elezioni, da parte dei consigli eletti secondo il d.m. n. 170/2014, le cui elezioni sono state annullate in via definitiva, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della legge, ovvero dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di annullamento, se successiva alla data di entrata in vigore della legge.
Inoltre, in sede di prima applicazione della l. n. 113/2017 la durata dei consigli dell’ordine, compresi quelli eletti ai sensi dei co. 1 e 2 dell’art. 17, è fissata fino al 31 dicembre 2018 (art. 17, co. 3).È stato poi stabilito che restino comunque salvi gli atti compiuti dai consigli rimasti in carica e non rinnovati per il mancato svolgimento delle operazioni elettorali del 2015, nonché dai consigli eletti in base al d.m. n. 170/2014, inclusi quelli insediati anche in presenza di impugnativa elettorale, fermi gli effetti del giudicato.
In alcuni primi commenti sono stati posti in evidenza potenziali profili problematici della nuova disciplina.
È stato così osservato che non sarebbe chiaro se eleggibili siano solo coloro che abbiano presentato la candidatura ai sensi dell’art. 8 della l. n. 113/2107, ovvero tutti i soggetti aventi il diritto di elettorato passivo1.
Ciò sulla base della considerazione che storicamente nelle elezioni forensi vi è la possibilità di candidarsi in modo ufficiale, ma che allo stesso tempo tutti gli iscritti sono eleggibili.
L’art. 3 l. n. 113/2017 andrebbe in tale ultima direzione, contemplando l’eleggibilità degli aventi diritto al voto che non abbiano riportato, nei cinque anni precedenti, una sanzione disciplinare esecutiva più grave dell’avvertimento.
D’altro canto in senso opposto deporrebbero l’art. 8, che prevede la possibilità di presentare candidature individuali, e l’art. 10, co. 4, che stabilisce che il voto è espresso mediante l’indicazione del nome e del cognome degli avvocati candidati individualmente ai sensi dell’art. 8.
L’apparente contraddizione si potrebbe risolvere privilegiando la prima opzione, sia perché contenuta nell’art. 3 che definisce l’elettorato attivo e quello passivo, sia perché l’art. 14, che regola i casi di nullità delle schede e dei voti, non contempla l’invalidità del voto attribuito al soggetto non candidato.
La conclusione non appare convincente e risulta in contrasto non solo con gli artt. 8 e 10, co. 4, sopra richiamati, ma altresì con la complessiva architettura del sistema disegnato dalla l. n. 113/2017.
È vero infatti che anche nel regime vigente anteriormente alla riforma di cui alla l. n. 247/2012 vi era la possibilità di ufficializzare candidature, che tuttavia non escludevano che alla prima tornata elettorale (quella precedente, cioè, l’eventuale ballottaggio di cui all’art. 5 del d.lgs.lgt. 23.11.1944, n. 382) la platea dei candidati corrispondesse a quella degli iscritti. Ma nel sistema della l. n. 113/2017 la candidatura appare disciplinata non come una mera facoltà, da esercitarsi allo scopo di far conoscere la disponibilità all’assunzione del mandato, ma come un presupposto necessario per partecipare alla competizione elettorale, riservata dunque non a tutti gli iscritti potenzialmente eleggibili, ma solo a quelli che abbiano presentato la candidatura ai sensi dell’art. 8.
Ciò appare emergere non solo dalle norme sopra richiamate (l’art. 8, che regola appunto la presentazione delle candidature, e l’art. 10, co. 4, secondo cui «[i]l voto è espresso attraverso l’indicazione del nome e del cognome degli avvocati candidati individualmente secondo quanto previsto dall’articolo 8»), ma altresì dall’art. 7, che consente, a fini propagandistici, l’aggregazione di più candidati, «fermo restando il rispetto delle formalità di presentazione delle candidature di cui all’articolo 8» (se davvero potessero competere tutti gli aventi diritto al voto non si comprenderebbe la ragione della riserva della facoltà aggregazione ai soggetti candidati ex art. 8), dall’art. 9, che esclude dalla commissione elettorale i soggetti che siano candidati (se fosse fondata la tesi opposta tale norma discriminerebbe irragionevolmente tra i candidati ex art. 8 e la platea degli altri aventi diritto di voto) e prevede che la commissione verifichi le candidature (del che non vi sarebbe necessità se davvero fosse sufficiente il mero elettorato attivo), dall’art. 11, co. 3, che stabilisce che all’interno del seggio deve trovarsi l’elenco degli avvocati che hanno presentato la propria candidatura (anche in questo caso si determinerebbe un’irrazionale discriminazione tra costoro e tutti gli altri aventi diritto al voto), dagli artt. 9 e 12, che prevedono che gli scrutatori debbano essere scelti tra soggetti non candidati (vale quanto detto circa la composizione della commissione elettorale), dall’art. 13, che, nel caso di votazione con il sistema elettronico, tra le caratteristiche del sistema prevede «un archivio digitale contenente l’elenco di tutti gli iscritti aventi diritto di voto e l’elenco dei candidati» (se fosse fondata la tesi opposta del secondo elenco non vi sarebbe bisogno).
Né appare determinante la circostanza che l’art. 14 non preveda l’invalidità del voto attribuito al non candidato, sia perché il co. 1 fa esplicito riferimento ai soggetti candidati, sia perché la riserva della competizione elettorale ai soggetti che hanno presentato la candidatura ai sensi dell’art. 8 risulta discendere, come detto, dal sistema della l. n. 113/2017. Da altri2 si è posto il problema se, alla luce del criterio di tutela di genere disciplinato dall’art. 10, co. 5, anche attraverso il richiamo alla tabella A allegata alla legge, sia possibile l’espressione di un numero di voti inferiore a quello massimo esprimibile.
La risposta appare positiva.
Da una parte va ricordato che il contrario orientamento della Suprema Corte, espresso nel regime previgente, risulta essere stato superato con la sentenza 4.8.2010, n. 18047, con la quale le Sezioni Unite, pronunciando in materia di elezioni dell’ordine dei farmacisti, hanno affermato il principio secondo cui «[i]n tema di elezioni vige il generale principio del favor voti, il quale impone che la manifestazione della volontà, per come emerge dal corpo della scheda elettorale, debba essere il più possibile conservata, a meno che non sia violato l’indispensabile requisito di segretezza del voto, oppure specifiche norme disciplinanti lo scrutinio prevedano la nullità del voto espresso in maniera difforme da quella prevista. Ne consegue che il d.lgs.lgt. 23 n. 382/1944, art. 2 (Norme sui Consigli degli ordini e collegi e sulle Commissioni centrali professionali), a norma del quale «i componenti del Consiglio sono eletti dall’assemblea degli iscritti nell’albo a maggioranza assoluta di voti segreti per mezzo di schede contenenti un numero di nomi uguale a quello dei componenti da eleggersi», deve essere interpretato nel senso che la scheda conserva la sua validità anche nel caso in cui contenga un numero di nomi inferiore a quello dei componenti da eleggere.
Dall’altra parte il nuovo sistema previsto dalla l. n. 113/2017, appare disciplinare, all’art. 10, co. 5, primo periodo, l’espressione del numero massimo dei voti in termini di facoltà (esercitabile alle condizioni ivi previste e cioè con la riserva di almeno un terzo dei voti al genere meno votato) e non dunque di obbligo, come del resto risulta confermato dal secondo periodo dello stesso co. 5, che pare destinato a regolare i casi diversi da quello di cui al primo periodo e cioè i casi di voti espressi in misura inferiore a quella massima consentita (con la previsione che comunque per avvocati appartenenti ad uno stesso genere non può essere espresso un numero di voti superiore ai due terzi nel numero massimo determinato ai sensi dell’art. 4, co. 1, secondo quanto indicato nella tabella A allegata alla legge).
Note
1 Ciavola, A.Matricardi, A., Elezioni forensi: ecco come voteremo, in altalex.it, 21 luglio 2017.
2 Comoglio, P., Ritorno al futuro: è legge la nuova disciplina per le elezioni dei Consigli degli Ordini degli Avvocati, in Quotidiano giuridico, 24 luglio 2017.