Nulla mi parve mai più crudel cosa
. - Sonetto (Rime dubbie VIII; schema abba abba; cdd dcc) espressamente attribuito a D. solo nel codice Ambrosiano o 63, del sec. XV, mentre è adespoto nel Marciano lat. XIV 223 (dov'è però inserito in una serie di composizioni di Giovanni Quirini e di suoi corrispondenti non nominati) e nel Canoniciano ital. 111 della Bodleian Library di Oxford. In tutti e tre i manoscritti a questo sonetto segue immediatamente la risposta: Non siegue umanità; ma plu che drago (v.).
Tutti e tre i codici risalgono con ogni probabilità a una medesima fonte, nella quale evidentemente, come nota il Barbi, mancava l'indicazione del nome dell'autore; sicché l'attribuzione del sonetto a D. nel codice Ambrosiano non sembra avere alcun valido fondamento.
Ne accettarono l'autenticità, tra. gli altri, il Fraticelli, il Carducci, il Bartoli, il Torraca, il Moore; per il Giuliani invece la maggior ragione della dubbia paternità dantesca è nello schema delle volte, insolito in D. e pressoché costante nel Quirini. Dell'autenticità dubita fortemente anche il Barbi, che ritiene tuttavia questo sonetto il migliore dei dieci costituenti la ‛ corrispondenza ' di D. con Giovanni Quirini.
Il tema della composizione è quello della durezza di cuore della donna, che pure tiene avvinto a sé il poeta con la sua bellezza; per cui, ormai sfinito da questa passione non ricambiata, egli chiede all'amico Giannin di sospirare alquanto per pietà con lui.
Da segnalare è il ricordo mitologico di Clizia (vv. 9-10) attinto da Ovidio Met. IV 270 (u Vertitur ad Solem mutataque servat amorem "), passo cui è adiacente (cfr. vv. 192 ss.) quello citato da D. nell'epistola a Cino da Pistoia (Ep III 7).
Bibl. - D.A., La Vita nuova e il Canzoniere, a c. di G.B. Giuliani, Firenze 1863; M. Barbi-V. , Pernicone, Sulla corrispondenza fra D. e Giovanni Quirini, in " Studi d. " XXV (1940) 110 ss.; Contini, Rime 266-267; D.A., Rime, a c. di D. Mattalla, Torino 1943, 240-242; Barbi-Pernicone, Rime 677-678.