Abstract
L’art. 21 septies, l. n. 241/1990, che codifica la nullità del provvedimento amministrativo, ripropone una serie di questioni molto complesse e dibattute; a partire dai dubbi sull’efficacia dell’atto nullo e sul potere-dovere di pubblici uffici di portarlo ad esecuzione o di ritirarlo. Il complesso sistematico delle regole sull’atto e sul processo amministrativo inducono a considerare il richiamo alla “nullità” come rinvio al generale regime degli atti giuridici privati, da applicarsi integralmente salve specifiche deroghe ed eccezioni previste dalle legge. Oltre al tentativo di inquadramento generale, il lavoro affronta le questioni che attengono all’individuazione degli “elementi essenziali” del provvedimento, al rapporto tra nullità “virtuali” e nullità testuali passando per una rivisitata considerazione della c.d. carenza di potere in concreto e della nullità per elusione o violazione del giudicato. Lo scritto si chiude con un approfondimento sull’azione di nullità nel nuovo codice del processo amministrativo.
La condizione di validità o di invalidità dell’atto giuridico presuppone la relativa valutazione sulla base di un parametro normativo esterno. La condizione di invalidità – di conseguenza – caratterizza gli atti che risultino in contrasto con le regole del diritto vigente, con la conseguenza che l’ordinamento – che quelle regole pone – non può riconoscere, in tutto o in parte, gli effetti prefigurati dall’atto stesso o dalla legge in collegamento all’atto.
L’atto difforme dal parametro legale non sarà dunque idoneo a produrre pienamente e stabilmente gli effetti, salva la possibilità che la legge, a seconda dei casi, circoscriva o limiti la portata del vizio e dell’invalidità (assoluta o relativa) oppure ancora consideri l’atto come presupposto utile per la produzione di altri e diversi effetti giuridici.
Ciò detto, le possibili reazioni invalidanti dell’ordinamento, così come il riconoscimento dell’atto e/o degli effetti voluti, sono molteplici e complesse di talché non è facile configurare categorie e confini stingenti e precisi; articolazione che si comprende in una logica di “riconoscimento” da parte dell’ordinamento dell’atto e degli effetti giuridici da questo stabiliti. Riconoscimento che può essere pieno (o totale), a fronte di un atto perfettamente valido; oppure assolutamente negativo in caso di gravissime violazioni. Tra i due estremi si collocano, come ripeto, svariate possibilità: dalla considerazione dell’interesse protetto, alla sanatoria, dalla conversione, alla conferma, dalla considerazione della spontanea esecuzione dell’atto invalido sino alla limitazione della legittimazione ad agire (c.d. nullità relativa) o alla previsione di termini di decadenza per agire.
Con riferimento al provvedimento amministrativo, il regime dell’invalidità realizza, più di qualsiasi altra conseguenza lato sensu sanzionatoria, il principio di legalità, nel senso che indica le condizioni giuridiche affinché l’azione dei pubblici poteri possa essere riconosciuta come espressione di autorità (sul punto, Romano, Alb., Riflessioni dal Convegno: autoritarietà, consenso e ordinamento generale, in Annuario 2011. L’atto autoritativo. Convergenze e divergenze tra ordinamenti, Associazione italiana dei Professori di Diritto amministrativo, Atti del Convegno di studi di Bari, Napoli, 2012, spec. 370 ss.); le condizioni perché l’atto sia idoneo a determinare gli effetti giuridici prefigurati e cioè l’assetto di interessi più confacente alle pubbliche finalità (Satta, F., Atto Amministrativo, in Enc. giur., IV, Roma, 1988, 5).
Sul piano generale, com’è facile notare, più l’amministrazione si allontana dal diritto e dalla legge, più riduce, o perde del tutto, la possibilità di far prevalere l’interesse pubblico primario su tutti gli altri interessi coinvolti. Per converso, tanto più effettivo è il regime della invalidità degli atti amministrativi tanto più si invera la tutela delle situazioni giuridiche soggettive nei confronti della pubblica amministrazione.
L’ordinamento, d’altra parte, predispone reazioni differenti a seconda della distanza dell’atto dal diritto e dalla legge, con conseguente articolazione del sistema nelle diverse ipotesi della nullità e della annullabilità. La prima, in particolare, costituisce la forma più grave di invalidità: rende l’atto tamquam non esset, ne determina l’inefficacia, opera di diritto e può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, senza possibilità di prescrizione o sanatoria (Romano, Alb., Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Milano, 1975, 220 ss.).
Il provvedimento annullabile, invece, pur viziato, è considerato espressione di autorità, idoneo a produrre gli effetti prefigurati e passibile di divenire “definitivo” (se non contestato).
Se, da un canto, si registra dunque la tendenza degli ordinamenti a far divenire stabile l’assetto di interessi definito dai provvedimenti amministrativi (salva la relativa contestazione nei termini di decadenza) si ha, di contro, l’esigenza dello stesso ordinamento di ammettere che, in alcuni casi, seppur rari, in presenza di vizi gravissimi, tale prerogativa non debba essere riconosciuta. Nella nostra esperienza ordinamentale – peraltro – tale demarcazione ha segnato il confine tra giurisdizione ordinaria ed amministrativa nelle controversie in cui è parte la pubblica amministrazione (C. cost., 6.7.2004, n. 204, punto 3.2.; Cass., civ., sez. I, 19.7.2012, n. 12555).
L’ordinamento anzitutto articola l’invalidità degli atti, dei privati e della pubblica amministrazione, graduando le reazioni invalidanti a fronte della violazione delle diverse regole vigenti (Cannada Bartoli, E., L’inapplicabilità degli atti amministrativi, Milano, 1950, 70); le forme di invalidità possono perciò distinguersi in base alla gravità e rilevanza della violazione, anche con riferimento all’interesse di volta in volta protetto dalla disposizione violata. L’atto in contrasto con i valori preminenti dell’ordinamento è assolutamente inidoneo a produrre gli effetti giuridici (invalidità assoluta); qualora, invece, la violazione riguardi regole poste nell’interesse specifico della parte lesa, l’invalidità rimane nella disponibilità di quest’ultima (invalidità relativa), con la conseguenza che, in mancanza di reazione e contestazione, esso continuerà a produrre gli effetti (Caranta, R., L’inesistenza dell’atto amministrativo, Milano, 1990, 21 ss.; Tommasini, R., Nullità (dir. priv.), in Enc. dir., vol. XXVIII, Milano, 1978, 889).
Nel più ristretto campo del diritto amministrativo, non si è mai escluso che debba essere considerato “nullo” o inesistente (e, dunque, inefficace e non applicabile) l’atto amministrativo nelle ipotesi in cui l’amministrazione abbia oltrepassato i confini del potere, o qualora l’atto stesso sia privo dei c.d. «elementi essenziali» (Santi Romano, Corso di diritto amministrativo, Padova, 1930, 216; Cannada Bartoli, E., L’inapplicabilità degli atti amministrativi, cit., 32 ss.). Anche nella nostra materia, dunque, la nullità è tassello logico necessario nella sistematica dell’invalidità degli atti, non passibile di superamento se non attraverso l’ampliamento della controversa categoria dell’inesistenza (Romano Tassone, A., L’azione di nullità ed il giudice amministrativo, in www.giustamm.it, par. 5).
Per queste ragioni l’art. 21 septies, l. 7.8.1990, n. 241, che codifica la nullità del provvedimento amministrativo, conferma le coordinate fondamentali del sistema per come risultano dai più autorevoli orientamenti dottrinali e dalle prevalenti ricostruzioni del giudice civile ed amministrativo.
L’art. 21 septies, l. n. 241/90, sancisce la “nullità” del provvedimento «che manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla legge». L’art. 31, d.lgs. 2.7.2010, n. 104 (codice del processo amministrativo), parallelamente, introduce l’azione per la declaratoria della nullità del provvedimento avanti al giudice amministrativo. Tali riferimenti sembrano attestare la possibilità di distinguere l’invalidità del provvedimento nelle due ipotesi della “nullità” e della illegittimità-annullabilità. La disciplina – d’altra parte – non regola nel dettaglio il regime del provvedimento nullo né specifica la relazione tra invalidità ed efficacia, come fa invece la legge tedesca sul procedimento che sancisce esplicitamente l’inefficacia del provvedimento nullo (§ 43Verwvfg, n. 3: «ein nichtiger Verwaltungsakt ist unwirksam»).
Si ripresentano, perciò, una serie di questioni ancora dibattute, a partire dal dubbio sulla inidoneità – relativa o assoluta – dell’atto invalido alla produzione degli effetti giuridici prefigurati.
La dottrina più risalente riferiva agli atti amministrativi la teorica dei negozi giuridici privati, articolando l’invalidità del provvedimento nelle ipotesi della nullità e dell’annullabilità (Ranelletti, O.-Amorth, A., Atti amministrativi, in Nss.D.I., vol. I, t. 2, 1491). Successivamente, la nullità degli atti amministrativi è stata generalmente esclusa, a favore delle categorie della inesistenza e della illegittimità (De Valles, A., La validità degli atti amministrativi, Roma, 1917, 330 ss.; Giannini, M.S., Diritto amministrativo, II, Milano, 1993, 309 ss.; Giannini, M.S., Atto amministrativo, in Enc. dir., IV, Milano, 1959, 191 ss.): considerandosi la seconda come l’unica forma di invalidità in senso stretto del provvedimento (Sandulli, A.M., Il procedimento amministrativo, Milano, 1959, 315 ss.; sul punto, Ramajoli, M.-Villata, R., Il provvedimento amministrativo, Torino, 2006, 378).
Anche la giurisprudenza, dopo alcuni iniziali dubbi, ha preferito inquadrare il provvedimento contrario alla legge ed al diritto nel regime dell’annullabilità, talvolta anche contraddicendo le esplicite comminatorie di nullità (sul punto, Corletto, D., La patologia del potere (e i rimedi), in Spasiano, M. e altri, a cura di, La pubblica amministrazione e il suo diritto, Bologna, 2012, 361; Villata, R., L’atto amministrativo, in Mazzarolli, L, e altri, a cura di, Diritto amministrativo, II ed., Bologna, 2005, 818).
Più avanti, invece, le comminatorie di nullità (c.d. testuali) sono state effettivamente trattate come vere e proprie ipotesi di invalidità assoluta: venivano in considerazione le assunzioni senza concorso (Cons. St., A.P., 29.2.1992, n. 1 e n. 2, in Giur. it., 1992, III, 1, 545, con nota di E. Cannada Bartoli ed in Foro it., 1993, III, 32, n. Cassese; Cons. St., sez. V, 14.02.2011, n. 957; Cons. St., sez. III, 23.3.2012, n. 1691, in Foro amm - Cons. St. DS, 2012, 576), gli impegni di spesa deliberati senza copertura finanziaria (Cons. St., sez. IV, 27.4.2005, n. 1946) o gli atti di organi decaduti o in prorogatio (eccedenti l’ordinaria amministrazione) (d.l. 16.5.1994, n. 293, conv. in l. 15.7.1994, n. 444; cfr., altresì, l’art. 55, co. 5, l. 8.6.1990, n. 142, ormai abrogato; sul punto, TAR Campania, Napoli, sez. III, 19.9.2007, n. 787; Ramajoli, M.-Villata, R., Il provvedimento amministrativo, cit., 380). Sulla base di questo orientamento, ormai pacifico, l’art. 21 septies, l. n. 241/90 ha confermato la possibilità che determinati vizi siano previsti a pena di nullità (c.d. nullità testuali).
La dottrina non ha mancato di evidenziare le difficoltà che si presentano nell’applicare al provvedimento amministrativo il regime della nullità civilistica e nel costruire l’azione processuale di nullità (Luciani, F., Contributo allo studio del provvedimento amministrativo nullo, Torino, 2010, 72 ss. e 121 ss.; Piras, A., Invalidità (dir. amm.), in Enc. dir., XXI, Milano, 1972, 599).
In questo senso, vi è chi considera la nullità del provvedimento ipotesi diversa dalla omonima forma di invalidità del negozio giuridico privato (Corso, G., Validità (dir. amm.), in Enc. dir., XLVI, Milano, 1993, 94). L’esigenza di certezza dell’azione amministrativa – si afferma – sarebbe inconciliabile con un vizio insanabile, azionabile in qualsiasi momento e senza termini di decadenza (sul punto, Romano Tassone, A., L’azione di nullità ed il giudice amministrativo, cit., 8).
Anche la giurisprudenza, non di rado, esclude l’inquadramento della nullità del provvedimento nel regime civilistico generale (Cons. St., sez. VI, 13.6.2007, n. 3173), soprattutto rilevando che il nostro codice del processo amministrativo assoggetta l’azione di nullità al termine di decadenza di 120 giorni.
Tale impostazione può essere solo in parte condivisa. L’ordinamento, invero, non può prevedere o riconoscere effetti giuridici a fronte di atti privi degli elementi essenziali oppure adottati al di fuori delle attribuzioni del potere. Al di là della denominazione da preferire, la configurazione di vizi più gravi rispetto alla semplice illegittimità risponde perciò ad una esigenza mai superata ed ad una logica che, anche con riferimento agli atti amministrativi, ha sempre considerato gravissima la violazione dei confini dell’attribuzione, distinguendo questa ipotesi dal cattivo esercizio del potere: nel primo caso gli atti della pubblica amministrazione non avrebbero l’attitudine ad incidere autoritativamente sui diritti dei destinatari mentre, nella seconda, il provvedimento, benché illegittimo, produce effetti sino all’ (eventuale) annullamento (o sospensione).
La nuova disciplina dell’art. 21 septies, l. 241/90 può essere dunque inquadrata – pur con necessarie ed importanti precisazioni – negli schemi del sistema tradizionale del diritto amministrativo, come risulta dalle ricostruzioni sulla nullità-inesistenza, sul difetto assoluto di attribuzione e la carenza di potere; analogamente può dirsi per la nullità dei provvedimenti contrari al giudicato (TAR Lazio, Roma, sez. I, 9.6.2011, n. 5151, che afferma la nullità assoluta per «carenza di attribuzione» del «regolamento per il riconoscimento del titolo di avvocato specialista», approvato dal C.n.f. nella seduta del 24.9.2010; Casetta, E., Manuale di diritto amministrativo, X ed., Milano, 2008, 510).
Sembra, dunque, chiara la scelta legislativa di abbandonare (almeno formalmente) il riferimento alla categoria dell’inesistenza rispetto alla quale non vi sono mai stati orientamenti unanimi (Caranta, R., L’inesistenza dell’atto amministrativo, cit., 18 ss.). In particolare, sembra condivisibile l’opinione prevalente che esclude la possibilità di distinguere sull’assunto che l’atto nullo, a differenza di quello inesistente, sarebbe indirettamente idoneo a produrre effetti giuridici (Mattarella, B.G., Il provvedimento, in Cassese, S., a cura di, Trattato di diritto amministrativo, II, pt. gen., t. 1, Milano, 2003, 1017: «il regime del provvedimento nullo, infatti, è identico a quello del provvedimento inesistente»; la dottrina civilistica più risalente tendeva, invece, a specificare la distinzione tra le due figure; cfr. in questo senso Rubino, D., La fattispecie e gli effetti giuridici preliminari, Milano, 1939, 85).
I c.d. effetti dell’atto nullo, invero, derivano dalla relativa “riduzione a fatto” e sono, perciò, prodotti direttamente dalla legge, eventualmente in collegamento con altre vicende rilevanti (compresa, ad es., la volontaria esecuzione). Occorre, perciò, evitare di confondere i c.d. «canali di recupero» attraverso cui l’ordinamento riduce in vario modo la portata della nullità: limitando – ad es. – il novero dei soggetti legittimati a farla valere (c.d. nullità relativa) o il tempo per esercitare l’azione, senza però accedere al regime della annullabilità (Puccini, L. Studi sulla nullità relativa, Milano, 1967, 169; Tommasini, R., Nullità (dir. priv.), cit., par. 6).
Il problema della nullità vive nel dilemma tra ciò che accade (o che non accade) in fatto e quanto invece dovrebbe (o non dovrebbe) accadere in diritto (Tommasini, R., Nullità (dir. priv.), cit., par. 2); compresa l’eventualità che l’atto sia portato ad esecuzione o che la situazione di illiceità sia accettata o non contestata; e con la ulteriore variante che l’atto inefficace, a seconda dei casi, può essere “recuperato” dalla legge (come fatto) per combinarsi in un meccanismo produttivo di effetti ex lege.
Appare, perciò, condivisibile la scelta del legislatore della legge 241 di utilizzare la più solida alternativa nullità – annullabilità, evitando il ricorso alla “inesistenza”. Al di là delle formule e delle nozioni utilizzate, invero, la querela nullitatis, è ipotesi residuale atta a comprendere qualsiasi contestazione a fronte di azioni od omissioni illecite e solo asseritamente fondate su un valido presupposto giuridico.
La legge, non di rado, ascrive (entro i limiti della ragionevolezza) effetti giuridici a fatti “rilevanti”, di talché anche un atto inesistente per definizione (ad es. il c.d. silenzio della p.a. o un contratto di lavoro nullo) può, tramite la legge, produrre effetti giuridici nuovi: di provvedimento favorevole (accoglimento) o sfavorevole (diniego), di proroga (tacita) di un contratto, di nascita di un’obbligazione, oppure, invece, qualificarsi come comportamento illecito (inadempimento); in altri termini, non si può escludere che – in presenza di altri presupposti – determinati effetti ex lege siano collegati all’atto inesistente se non, addirittura, all’assoluta inesistenza dell’atto, di talché è difficile stabilire da questo punto di vista la distinzione concettuale tra nullità ed inesistenza (così Caranta, R., L’inesistenza dell’atto amministrativo, cit., 50 e 90; in questo senso già Zanobini, G., Corso di diritto amministrativo, I, Milano, 1942, 341 ss.; Sacco, R., Nullità e annullabilità, in Dig. civ., XII, 296: «la distinzione tra nullità ed inesistenza può servire all’interprete per colmare un certo tipo di lacuna legislativa»; Carnelutti, F., Teoria generale del diritto, III ed., Roma, 1951, 335; Masi, A., Nullità (storia), in Enc. dir., XXVIII, 1978, 859).
Non si può, perciò, condividere la tesi secondo cui l’atto nullo potrebbe produrre effetti diversi (o minori), rispetto a quelli prefigurati, mentre l’atto inesistente sarebbe confinato nell’area dell’assoluta irrilevanza giuridica (Bartolini, A., La nullità del provvedimento nel rapporto amministrativo, Torino, 2002, 111; D’Orsogna, M., Il problema della nullità in diritto amministrativo, Milano, 2004, 13; in questo senso già Piras, A., Invalidità (dir. amm.), cit., 602): soltanto la legge (e non l’atto nullo) può produrre effetti giuridici in collegamento ad atti che – essendo inefficaci in quanto tali – sono tuttavia rilevanti alla stregua di semplici fatti giuridici.
Né si può escludere che il provvedimento nullo (o inesistente) sia portato ad esecuzione; senza in questo modo contraddire la qualificazione giuridico-formale e cioè la assoluta invalidità, che rileva, tra l’altro, al fine di qualificare la responsabilità della pubblica amministrazione oltre che per valutare il comportamento degli agenti che avessero posto in essere misure asseritamente esecutive.
La dottrina ha interpretato il riferimento alla «mancanza di elementi essenziali» (art. 21 septies, l. n. 241/1990) anzitutto richiamando tutti i casi precedentemente inquadrati nell’inesistenza (Corletto D., La patologia del potere (e i rimedi), cit., 370); si parla di nullità “strutturale” per il difetto delle condizioni minime che consentono di configurare un documento come vero e proprio atto (giuridico) amministrativo (TAR Sicilia, Catania, sez. I, 12.4.2012, n. 1006; De Felice, S., Della nullità del provvedimento amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it, 6).
Oltre a queste condizioni strutturali dell’atto, la «mancanza» degli elementi essenziali, richiama poi il concetto di “attribuzione” e, cioè, le regole legislative che rendono “tipico” il potere fissandone i confini. Così facendo, la legge riprende le teorie che considerano “essenziali” «gli elementi del potere, il cui mutamento comporta un mutamento della stessa individualità di esso» (Romano, Alb., Giurisdizione amministrativa e limiti, cit., 162): si tratta, evidentemente, delle regole legislative che delimitano il potere dal punto di vista dell’attribuzione (e titolarità), dell’oggetto, della forma (se imposta ad substantiam), del contenuto e della causa (Sandulli, A.M., Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 665 ss.; cfr. già Sandulli, A.M., I limiti di esistenza dell’atto amministrativo, in Rass. dir. pubbl., 1949, I, 135 ss.; Cons. St, sez. IV, 2.4.2012, n. 1957).
Interpretazione confermata dal richiamo al “difetto di attribuzione” che si ha tutte le volte in cui l’agente pubblico esercita un potere in mancanza degli elementi che fondano la relativa attribuzione legislativa (soggetto-titolarità, oggetto, forma, contenuto e causa). Che gli elementi essenziali non debbano “mancare” significa, dunque, che vanno rispettate a pena di nullità le regole legislative che definiscono (nell’an e nel quantum) l’attribuzione del potere; le disposizioni, cioè, che definiscono le condizioni tipiche e necessarie di attribuzione (e delimitazione) del potere.
La c.d. “carenza di potere” – peraltro – indica una condizione dell’azione pubblica piuttosto che una condizione dell’atto, di talché il nesso con la nullità, benché stretto, non può che essere indiretto (Romano, Alb., Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, cit., 178 ss. e 185; Cioffi, A., Giudicato sul silenzio e “nullità” del provvedimento successivo, intervento al Convegno L’azione di nullità ed il giudice amministrativo, Siena 22-23 giugno 2007; Piras, A., Invalidità (dir. amm.), cit., 601). In tal senso la nullità potrebbe esser caratterizzata non da un vizio “intrinseco” o “sostanziale” quanto, soprattutto, dalla relativa adozione in una condizione di difetto di attribuzione. Ciò significa che la categoria della nullità indica la caratterizzazione negativa degli atti adottati in una condizione illecita.
Complessità alimentata soprattutto dal logico inquadramento della questione dell’invalidità del provvedimento nella prospettiva della tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione e del riparto di giurisdizione (Romano, Alb., Giurisdizione amministrativa e limiti, cit., 226 ss.; Caranta, R., L’inesistenza dell’atto amministrativo, cit., 177; Cerulli Irelli, V., Lineamenti di diritto amministrativo, Torino, 2011, 476).
Tra i c.d. “elementi essenziali” va considerato, anzitutto, il soggetto, sotto il duplice profilo del difetto di attribuzione e della non imputabilità dell’atto all’amministrazione (Paolantonio, N., Nullità dell’atto amministrativo, in Enc. dir., Annali, I, Milano, 2008, 863); è perciò nullo l’atto adottato da un’amministrazione diversa da quella titolare del potere che riguardi una potestà spettante ad enti pubblici che operano in settori del tutto differenti (c.d. incompetenza assoluta) (TAR Puglia, Bari, III, 26.10.2005, n. 4581; TAR Sicilia, Catania, II, 28.6.2007, n. 1133; TAR Sicilia, Palermo, I, 31.3.2011, n. 598). Parimenti difettoso sotto il profilo soggettivo è l’atto non imputabile alla p.a. in quanto posto in essere dall’agente al di fuori (o a prescindere) dalla relazione organica con l’ente (TAR Lazio, Roma, II, 15.3.2012, n. 2550).
Soluzione temperata dall’orientamento restrittivo che esclude il difetto di attribuzione in caso di atto adottato in violazione delle competenze fissate tra diversi enti pubblici territoriali (Stato, Regioni, Province e Comuni). Si afferma, perciò, la nullità dell’atto soltanto nel caso in cui la funzione esercitata sia del tutto estranea alla sfera di attribuzione dell’ente e non rientri nell’ambito di compiti amministrativi (comuni) articolati e distribuiti tra diversi livelli territoriali (così, Ramajoli, M.-Villata, R., Il provvedimento amministrativo, cit., 355). In questo senso, il diniego di autorizzazione paesaggistica adottato dal Ministero, anziché dalla Regione, è considerato soltanto annullabile (per incompetenza relativa) in quanto attinente ad una materia (tutela del paesaggio) affidata sia allo Stato sia alle Regioni.
Sempre dal punto di vista soggettivo, sono nulli anche gli atti personalissimi e dolosi, adottati dall’agente per finalità estranee ed incompatibili con i fini istituzionali dell’ente pubblico (Sandulli, A.M., Manuale di diritto amministrativo, cit., 683).
Collegato, anche se più complesso, è il vizio della causa che determina la nullità (sulla causa, Romano, Salv., L’atto esecutivo nel diritto privato, Milano, 1958, 103 ss.). La violazione del profilo funzionale (c.d. vincolo di scopo), invero, ridonda generalmente nelle diverse figure di illegittimità per eccesso di potere e costituisce quantitativamente e qualitativamente la principale ipotesi di annullabilità. La causa è da considerarsi elemento essenziale soltanto a fronte di un vizio talmente grave da risultare “spezzata” la relazione organica per mancanza assoluta di un pubblico interesse ovvero per la sussistenza di un movente “personalissimo” e doloso dell’agente. L’ipotesi, tutt’altro che infrequente, si ha in presenza di reati contro la pubblica amministrazione, commessi da funzionari infedeli in occasione dell’esercizio delle pubbliche funzioni (corruzione, concussione, ecc.); di talché, a fronte della finalità illecita o assolutamente “privata”, si avrebbe soltanto una parvenza di atto amministrativo (Cass., civ., sez. III, 16.2.2010, n. 3672). In questo senso, si distingue opportunamente tra l’assoluta mancanza della volontà della pubblica amministrazione che determina la nullità ex art. 21septies, l. 241/90 e la formazione viziata della volontà stessa che determina invece l’annullabilità del provvedimento (TAR Abruzzo, Pescara, sez. I, 4.5.2012, n. 178).
Con riferimento all’oggetto, si ha nullità quando la persona o il bene “destinatario” degli effetti non è tra quelli considerati nell’attribuzione del potere oppure è del tutto inesistente; si prenda, ad esempio, il reclutamento di una donna alla leva obbligatoria (prima della relativa abolizione), l’espropriazione per pubblica utilità di bene mobile, l’annullamento di un atto già annullato, ecc. (TAR Lombardia, Milano, sez. II, 22.4.2005, n. 855; TAR Puglia, Bari, sez. III, 19.10.2006, n. 3740; Cons. St., sez. IV, 29.1.1999, n. 88).
La dottrina prevalente considera altresì nullo il provvedimento privo della forma richiesta ad substantiam, mentre si preferisce parlare di inesistenza allorquando l’atto non sia esternato attraverso una manifestazione riferibile alla pubblica amministrazione.
Sul piano delle considerazioni generali occorre sottolineare che l’individuazione degli elementi essenziali e delle ipotesi di difetto di attribuzione deve seguire un’interpretazione restrittiva (Romano, Alb., Giurisdizione amministrativa e limiti, cit., 223 ss.), in quanto il legislatore ha escluso che altre violazioni, diverse da quelle espressamente previste, possano essere sancite con la nullità. L’area della nullità, in altri termini, anche se di massima importanza, è molto ristretta e legata alla tutela dei diritti soggettivi nei confronti della pubblica amministrazione.
Per questo motivo, non può essere condiviso l’orientamento che considera “aperto” il numero degli elementi essenziali ricomprendendovi talvolta elementi come i termini procedimentali o la motivazione. Tale impostazione non corrisponde infatti alle indicate linee sistematiche che vedono la nullità come ipotesi marginale, reazione estrema in caso di operato illecito dell’agente pubblico.
La disciplina del 2005 ha riproposto la questione sulla configurabilità della nullità c.d. “virtuale” dell’atto amministrativo; sul punto la prevalente giurisprudenza ritiene che l’art. 21 septies l. 241/1990 non sancisca la nullità civilistica per contrasto con norme imperative (art. 1418 c.c.); la normativa pubblicistica – si afferma – è sempre imperativa ed inderogabile con la conseguenza che la relativa violazione “si converte” in causa di annullabilità (Cons. St., sez. V, 15.3.2010, n. 1498, in Dir. proc. amm., 2011, 1402, con nota di A. Marra). Si intende così evitare che le relazioni giuridiche con la pubblica amministrazione possano rimanere in condizioni di grave incertezza per un tempo eccessivamente lungo.
Ciò induce a considerare le cause di nullità a “numero chiuso” (Cons. St., sez. VI, 13.6.2007, n. 3173; sez. V, 26.11.2008, n. 5845; sez. V, 16.2.2012, n. 792): la c.d. “nullità virtuale” non sarebbe configurabile rispetto agli atti amministrativi.
Questa soluzione interpretativa, che si lega soprattutto alla previsione che ammette le nullità testuali nei soli casi previsti dalla legge (art. 21 septies, cit.), può essere solo in parte condivisa. Al di là delle nullità testuali bisogna, infatti, considerare l’ipotesi generale di nullità per «mancanza degli elementi essenziali, difetto di attribuzione, violazione o elusione del giudicato».
La difficoltà di distinguere le violazioni che provocano la nullità da quelle che determinano soltanto l’annullabilità deve essere, dunque, risolta attraverso la nozione di “carenza di potere”, con la quale si indica proprio la violazione delle regole legislative che fondano e delimitano il potere; il superamento dei limiti del potere attribuito in relazione al relativo ambito soggettivo, oggettivo, formale e funzionale (Romano, Alb., Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, cit., 175 ss.). Condizione che comporta – per l’appunto – l’inidoneità dell’atto ad incidere sulle situazioni giuridico-soggettive che mantengono la loro originaria consistenza.
Tale condizione, tutt’altro che “generica ed evanescente” (così Lamorgese, A., Nullità dell’atto amministrativo e giudice ordinario, in www.giustamm.it), si ha quando sono violate le regole (legislative) di attribuzione del potere vuoi sotto il profilo soggettivo della titolarità – c.d. “difetto assoluto di attribuzione” o “incompetenza assoluta” – (TAR Lazio, Roma, sez. I, 9.6.2011, n. 5151, in Foro amm. - TAR, 2011, 1964; Cons. St., sez. V, 11.12.2007, n. 6388, in Foro amm. - Cons. St., 2008, 2739, con nota di Feliziani; TAR Puglia, Bari, sez. III, 26.10.2005, n. 4581, in Foro amm. - TAR, 2005, 3280; TAR Liguria, Genova, sez. I, 15.11.2007, n. 1937, Foro amm. - TAR, 2007, 3425), vuoi sotto l’aspetto (oggettivo) della possibilità e liceità dell’oggetto (Cons. St., sez. V, 31.7.2006, n. 4694, in Foro amm. - Cons. St., 2006, 2201), sia, infine, per la violazione della forma ad substantiam (Luciani, F., Contributo allo studio del provvedimento amministrativo nullo, cit., 102 ss.), o per la mancanza della causa.
In conclusione, si può ritenere che la condizione strutturale della nullità del provvedimento sia principalmente connessa alle ipotesi di difetto di attribuzione o carenza di potere. La nullità rimane legata alla violazione degli elementi tipici dell’attribuzione del potere di talché i casi di nullità debbono essere considerati tassativi come tassativi sono gli elementi essenziali dell’attribuzione del potere.
Lo stesso legislatore, nell’individuare le ipotesi di nullità testuali, deve comunque rispettare tale articolazione di principio, potendo comminare l’invalidità assoluta soltanto in relazione a regole che in qualche modo fondano o delimitano il potere della pubblica amministrazione, sotto forma di presupposti o condizioni di decadenza del potere stesso. Su tale questione si tornerà nel paragrafo che segue.
Sono state richiamate le principali comminatorie di nullità (c. d. nullità testuali): assunzioni senza concorso, spese fuori bilancio, ecc. Con il che il legislatore intende escludere, di diritto, l’efficacia e la sanabilità dell’atto viziato. L’art. 21 septies, l. 241/90, conferma questa impostazione escludendo che si possano individuare in via interpretativa altre ipotesi di nullità oltre alle specifiche comminatorie, ed al di là del difetto di attribuzione o della mancanza degli elementi essenziali. Qualora la legge intenda qualificare una regola (o un presupposto) come condizione di “esistenza” del potere, lo dovrà fare esplicitamente e, soprattutto, caso per caso.
Sembra contraddetta la teorica della carenza di potere in concreto, che – al fine di estendere la giurisdizione civile e di negare efficacia al provvedimento viziato – estendeva l’inesistenza-nullità all’ipotesi di mancanza dei presupposti che radicano in concreto il potere.
E tuttavia, la teorica della carenza di potere in concreto fornisce il criterio sistematico che deve ispirare l’individuazione delle nullità testuali, nel senso che le ipotesi di invalidità assoluta del provvedimento devono comunque legarsi ad elementi presupposti o a condizioni di decadenza del potere, esplicitamente previsti a pena di nullità. La teoria della carenza di potere in concreto costituisce dunque il criterio ordinatore delle ipotesi di nullità testuali che non potranno essere previste a fronte di violazioni di regole procedimentali o di competenza relativa.
Sul piano generale si può perciò ribadire che la nullità testuale – o per c.d. “carenza di potere in concreto” – è, dunque, riscontrabile nelle sole ipotesi espressamente previste dalla legge speciale (T.R.G.A. Trentino-Alto Adige, Trento, 27.10.2011, n. 260; Cons. St., sez. IV, 28.1.2011, n. 676).
Giurisprudenza e dottrina giungono alle medesime conclusioni anche se con spiegazioni sistematiche non sempre convincenti. Si ritiene, generalmente, che la c.d. “carenza di potere in concreto” sia stata riportata dalla l. 241/90 nell’area della illegittimità-annullabilità (TAR Veneto, Venezia, sez. II, 31.5.2011, n. 920; Maddalena, M.L., Comportamenti amministrativi e nullità provvedimentale: prospettive di tutela tra g.o. e g.a., in Dir. amm., 2007, 552). Con il che si vuol dire che, in mancanza di una esplicita comminatoria di nullità, le violazioni di legge diverse dalla mancanza degli elementi essenziali o dal difetto di attribuzione non possono essere incluse nell’area della nullità (Cons. St., sez. IV, 28.1.2011, n. 676, in Riv. giur. edil., 2011, 203, con nota di Leoni).
Bisogna, tuttavia, registrare la posizione della Suprema Corte di Cassazione, che ribadisce il suo consolidato orientamento ed afferma la carenza di potere (e la giurisdizione civile) in caso di decreto di esproprio adottato successivamente allo spirare dei termini di scadenza della dichiarazione di pubblica utilità (Cass., civ., sez. I, 17.2.2011, n. 3907, in Riv. giur. edil., 2011, 4, I, 910).
Si registra, più di recente, un significativo incremento delle nullità testuali. Nella materia della semplificazione amministrativa va segnalato, ad esempio, l’art. 6 del d.l. 13.5.2011, (conv. con modif. nella l. 12.7.2011, n. 106) che – in presenza di alcune circostanze – impone alla pubblica amministrazione di invitare l’istante alla regolarizzazione, sotto pena di nullità del diniego di autorizzazione adottato in mancanza del suddetto invito. Di rilievo appare anche l’art. 9 del d.l. 6.7.2012, n. 95 (conv. con modif., in l. 7.8.2012, n. 135 – c.d. Spending Review) che – decorsi nove mesi dall’entrata in vigore della disposizione – considera nulli gli atti adottati da enti, agenzie ed organismi regionali, provinciali o comunali da sopprimere o accorpare secondo le indicazioni di legge. Va segnalato, infine, l’art. 46, co. 1-bis, del d.lgs. 12.4.2006, n. 163 che considera nulle le clausole di bandi e lettere di invito che contengano causa di esclusione, ulteriori e diverse da quelle tassativamente elencate (Cons. St., sez. III, 1.2.2012, n. 493).
Il richiamo sempre più frequente alla nullità testuale – sebbene trovi evidenti e significative ragioni di ordine politico – appare problematico, soprattutto quando il legislatore oltrepassa (come in alcuni dei casi richiamati) i confini sistematici della c.d. “carenza di potere in concreto”. In tali ipotesi, invero, si giunge, alternativamente, o ad una patologica incertezza delle relazioni con la p.a., ovvero, alternativamente, alla tendenziale equiparazione tra nullità ed annullabilità che costringe il giudice a contorti (e non sempre convincenti) percorsi argomentativi (Cons. St., sez. IV, 2.4.2012, n. 1957).
L’art. 21 septies ha codificato anche l’ipotesi della nullità del provvedimento per violazione o elusione del giudicato, introdotta da Cons. St., A.P., n. 6/1984 e confermata da un consolidato orientamento che, anche in questo caso, richiama la figura della carenza di potere, sub specie di difetto di attribuzione (Cons. St., 7.5.1991, n. 343; Cons. St., sez. VI, 21.5.2010, n. 3223).
Sul piano ricostruttivo va ribadito che, nell’ambito della decisione coperta dal giudicato, l’amministrazione non abbia più alcun potere, essendo obbligata ad eseguire la sentenza. In termini logici, la qualificazione appare perciò convincente dal momento che, a fronte di una sentenza passata in giudicato, e con riferimento ai relativi confini soggettivi ed oggettivi, non sussiste più il potere di determinare assetti di interesse differenti.
Ma, soprattutto, il giudicato ha capacità di resistenza rispetto ad atti amministrativi formalmente o sostanzialmente in contrasto: l’amministrazione è obbligata ad adempiere ed è perciò in una condizione in cui gli atti esecutivi (o le omissioni) sono valutate nell’alternativa lecito-illecito, opportunamente affidata allo stesso giudice dell’ottemperanza.
In questo senso è orientata la giurisprudenza quando considera incidentale (rispetto all’inadempimento) la questione della nullità degli atti amministrati adottati in violazione o elusione del giudicato, considerati non idonei ad «intercettare ed affievolire la pretesa sostanziale al bene della vita consentito dall'esecuzione del giudicato» (Cons. St., sez. IV, 27.6.2011, n. 3831; TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 13.10.2010, n. 32797, in Giorn. dir. amm., 2011, 509, con nota critica di Zingales, Nullità per violazione del giudicato, ivi, 517).
Qualora, tuttavia, l’amministrazione eserciti una funzione (in tutto o in parte) non coperta dal giudicato e, cioè, fuori dall’alternativa adempimento-inadempimento, i relativi atti sfuggono alla competenza del giudice dell’ottemperanza e non possono essere considerati nulli per violazione (o elusione) del giudicato.
Alla luce di queste considerazioni, non appare condivisibile l’orientamento che segna la distinzione dei regimi in base alla sussistenza di residui ambiti di discrezionalità, dovendosi invece fare riferimento soltanto ai confini del giudicato, compresi i limiti “positivi” che da esso derivano. In questo senso, proprio il richiamo della “elusione” del giudicato indica la considerazione complessiva, sostanziale e piena del decisum giurisdizionale, ivi compresi i condizionamenti che, anche implicitamente, derivano dalla motivazione della sentenza ed incidono sul riesercizio delle scelte discrezionali (Gallo, C.E., Ottemperanza (giudizio di) (diritto processuale amministrativo), in Enc. dir., Annali, vol. II, t. II, Milano, 2008, 823; Cons. St., sez. IV, 6.10.2003, n. 5856). Si ha, dunque, nullità quando l’amministrazione ha agito in contrasto con la decisione giudiziale, nell’ambito delle relazioni e dei rapporti “coperti” dal giudicato, compresi i vincoli che all’agire discrezionale derivano dal c.d. effetto conformativo della sentenza (Cons. St., sez. IV, 31.12.2009, n. 9296). In tal caso, l’interessato non deve proporre nuova impugnativa per contestare un atto che, essendo nullo ed inefficace, può essere portato avanti allo stesso giudice dell’ottemperanza (Paolantonio, N., Nullità dell’atto amministrativo, cit., 867).
Ciò non significa che sia del tutto agevole distinguere in concreto l’ipotesi del provvedimento nullo (in contrasto con il giudicato) da quello eventualmente annullabile; al riguardo si può insistere sul criterio interpretativo che appare preferibile per la delimitazione dei confini del giudicato, che corrisponde alle questioni di fatto e di diritto fatte valere in via di azione o di eccezione, comprese quelle che ne costituiscano il presupposto logico e indefettibile (Cons. St., sez. VI, 18.8.2010, n. 5872; TAR Toscana, Firenze, sez. II, 20.10.2011, n. 1512). All’interno di questo ambito “coperto” dal giudicato eventuali atti che non dessero piena e corretta esecuzione al giudicato dovrebbero essere considerati nulli (Cons. St., sez. IV, 27.6.2011, n. 3831); oltre questo confine – per contro – il provvedimento (valido o invalido che sia) non può essere conosciuto dal giudice dell'ottemperanza (Cons. St., 23.5.2011, n. 3078, in Foro amm. - Cons. St., 2011, 3718).
Il giudicato – in altre parole – non consuma il potere della pubblica amministrazione, in relazione agli ambiti da esso non coperti: si faccia l'esempio di un concorso annullato dal giudice per la illegittimità dei criteri generali di valutazione dei candidati. Il contrasto con il giudicato si ha nel caso in cui l’amministrazione non rinnovi la procedura, ovvero riconfermi i criteri di valutazione annullati o ne stabilisca altri che realizzano il medesimo effetto discriminatorio. Diversamente, qualora la Commissione commetta altri errori nel corso della nuova procedura (ad es., illegittima esclusione di un titolo valutabile), non si potrà prospettare la nullità degli atti, essendo l'ambito del provvedimento contestato comunque estraneo ai confini del giudicato che comprendeva soltanto la illegittimità dei criteri di valutazione generali. Analogamente, non si ha nullità per elusione del giudicato del decreto con cui la Soprintendenza, dopo l'annullamento di un precedente vincolo su un dipinto, lo conferma con una motivazione differente, a seguito di un nuovo procedimento di valutazione dell'interesse storico e culturale (TAR Lombardia, Milano, sez. II, 19.12.2011, n. 3239, in Foro amm. - TAR, 2011, 3838). È, invece, considerato nullo il secondo diniego di nulla osta adottato dopo l'annullamento del primo da parte del giudice, senza che sussistano ulteriori e diverse ragioni di diniego rispetto a quelle già considerate (TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 13.10.2010, n. 32797, cit., 510).
Risulta, perciò, confermato l’orientamento che, sulla base dell’art. 114 c.p.a., co. 4, lett. b), assegna allo stesso giudice (amministrativo) avanti al quale si svolge il giudizio di ottemperanza la cognizione sul provvedimento contrario al giudicato (Cons. St., sez. V, 23.5.2011, n. 3078, in Foro amm. – Cons. St., 2011, 3718, con nota di Crepaldi; sul punto, Gallo, C.E., Ottemperanza (giudizio di) (diritto processuale amministrativo), cit., 818).
L’art. 133, co. 1, n. 5, c.p.a. – inoltre – assegna alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie in materia di «nullità del provvedimento amministrativo adottato in violazione o elusione del giudicato», superando così eventuali questioni sul riparto.
Discussa è la possibilità di fare valere questa nullità al di fuori del giudizio di ottemperanza. Al riguardo prevale l’opinione negativa che, in questo caso, considera il giudizio di ottemperanza sede naturale di verifica della nullità; tale vizio, si afferma, avrebbe caratteristiche eccentriche rispetto alla ipotesi generale e sarebbe perciò strettamente legato ai poteri del giudice dell’ottemperanza ed alla giurisdizione di merito (Ramajoli, M.-Villata, R., Il provvedimento amministrativo,cit., 377; Sassani, B., Riflessioni sull’azione di nullità, in Dir. proc. amm., 2011, 279; Ramajoli, M., Legittimazione ad agire e rilevabilità d’ufficio della nullità, in Dir. proc. amm., 2007, 999).
L’opinione desta qualche perplessità dal momento che questa nullità – come le altre – deve essere ricondotta alla ipotesi generale dell’atto adottato in difetto di attribuzione, di talché non sembra possibile escluderne il rilievo generale.
È stato invece risolto in senso positivo il dubbio sulla qualificazione in termini di nullità del provvedimento in contrasto con l’ordinanza di sospensione cautelare non impugnata; anche in questo caso si invoca la carenza di potere nel senso che l’amministrazione non può adottare provvedimenti che abbiano per presupposto un precedente atto sospeso da una decisione giurisdizionale esecutiva (Cons. St., sez. VI, n. 2950 /2007, TAR Sicilia n. 200/2008; contra TAR Liguria n. 158/2007, TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 26.7.2005, n. 1297, in www.giustizia-amministrativa.it; sul punto Gaetani, E., La nullità del provvedimento amministrativo per violazione o elusione del cosiddetto giudicato cautelare, in Foro amm. - TAR, 2008, 11, 3195). La soluzione appare condivisibile anche alla luce dell’art. 112, co. 2, lett. b), c.p.a., che prevede l’azione di ottemperanza avverso «gli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo»; e che perciò pone in parallelo la nullità per contrasto con il giudicato e l’azione di ottemperanza di talché quest’ultima, qualora proposta per l’adempimento di un provvedimento cautelare, potrà prendere in considerazione eventuali atti amministrativi contrastanti o elusivi rispetto al decisum cautelare.
Molto complesso è il piano della tutela giurisdizionale in caso di atto amministrativo nullo. Il nuovo codice del processo amministrativo ha previsto la «declaratoria di nullità» (art. 31, co. 4) disponendo che la relativa domanda debba essere proposta entro il termine di decadenza di 180 giorni avanti al giudice amministrativo, mentre, in via di eccezione, la nullità può essere sempre eccepita nonché rilevata d’ufficio dal giudice (Cons. St., sez. V, 18.11.2011, n. 6092; TAR Lazio, Roma, sez. I, 9.6.2011, n. 5151, in Foro amm. - TAR, 2011, 6, 1964; Varone, S., Azioni di cognizione, in Sanino, M., a cura di, Codice del processo amministrativo, Torino, 2011, 159). I terzi interessati, a loro volta, potranno comunque far valere la nullità in qualsiasi momento (salva la sussistenza dell’interesse ad agire) (Sassani, B., Riflessioni sull’azione di nullità, cit., 277; Ramajoli, M., Legittimazione ad agire e rilevabilità d’ufficio della nullità, cit., 1001).
La previsione di un termine di decadenza, invero, pare avvicinare l’azione di nullità a quelle di annullamento alimentando i dubbi sul carattere dichiarativo o costitutivo della prima (Varone, S., Azioni di cognizione, cit.; De Felice, S., Della nullità del provvedimento amministrativo, in www.giustizia-amministrativa.it; sull’azione di accertamento avanti al g.a., prima del codice del processo amministrativo, Cons. St., sez. VI, 9.2.2009, n. 717, in Foro amm. - CdS, 2009, 478, con nota di Scotti). Prevale, così, la configurazione ibrida dell’azione che considera l’ipotesi in termini di «annullabilità rafforzata, quasi una sua sottospecie qualificata» (Sassani, B., Riflessioni sull’azione di nullità, cit., 272).
La (asserita) condizione di invalidità assoluta – d’altra parte – non esclude che l’atto venga eseguito dalla pubblica amministrazione di talché l’azione di nullità sembra ai più avere la struttura dell’impugnazione (Sassani, B., Riflessioni sull’azione di nullità, cit., 269; Luciani, F., L’invalidità e le altre anomalie dell’atto amministrativo, cit., 25; Marra, A., Accertamento del rapporto controverso e termine di decadenza (con uno sguardo all’azione di nullità nel nuovo Codice del processo amministrativo), in Dir. proc. amm., 2011, 1402; Carbone, A., La nullità e l’azione di accertamento nel processo amministrativo, in Dir. amm., 2009, 795).
Questo orientamento che tende ad assimilare il trattamento processuale della nullità del provvedimento alla relativa impugnazione non è, però, condivisibile; non ci si può, infatti, fermare alle apparenze: l’accertamento della nullità ha riflessi significativi sulla qualificazione delle misure esecutive eventualmente adottate e sulla forma di invalidità degli atti assunti sul presupposto del provvedimento nullo.
A fronte di un regime così complesso ed articolato sembra preferibile considerare l’ipotesi di cui all’art. 21 septies come vera e propria nullità, di talché, in mancanza di indicazioni diverse, deve essere utilizzata la disciplina prevista dal codice civile per i negozi giuridici privati (in questo senso anche Bartolini, A., op. cit., 268).
Non convince, perciò, l’interpretazione che considera “costitutiva” l’azione avverso il provvedimento amministrativo nullo e che, addirittura, esclude il potere dell’amministrazione di rilevare il vizio in autotutela (Cons. St., sez. IV, 28.10.2011 n. 5799, contra Romano Tassone, A., L’azione di nullità ed il giudice amministrativo, cit., par. 7).
Invero, il dato letterale e sistematico non giustifica conclusioni così drastiche, in quanto i ripetuti richiami positivi alla “nullità” impongono uno sforzo volto a utilizzare il relativo regime, per come risulta dal codice civile, piuttosto che ricorrere all’applicazione analogica delle regole sull’annullabilità. Tanto più che il legislatore, in deroga al generale regime di nullità, ha fissato soltanto il termine di decadenza (180 giorni) per l’azione. Deroga che costituisce eccezione al regime generale che, per il resto, non può che coincidere con quello della nullità assoluta di matrice civilistica (in questo senso, Cons. St., A.P., 29.2.1992, n. 1 e n. 2, sulla nullità relativa, Puccini, L. Studi sulla nullità relativa, cit., 172 ss.: «è questo un profilo che se mira ad attenuare la nullità mitigandone la sua assolutezza, nel contempo, tende a mantenerla distinta dalla annullabilità colla quale non deve essere confusa»). Deroga, peraltro, opportunamente accompagnata dal richiamo di alcuni capisaldi del regime della nullità: l’imprescrittibilità dell’eccezione e la rilevabilità d’ufficio.
L’imprescrittibilità della nullità è dunque regola generale, e residuale, da applicare tutte le volte in cui, in relazione al rapporto dedotto in giudizio ed alle situazioni giuridico- soggettive fatte valere, non vi siano altri condizionamenti sostanziali e processuali (Romano Tassone, A., L’azione di nullità ed il giudice amministrativo, cit., parr. 10 e 11).
Anche sul piano della competenza giurisdizionale vi sono alcune questioni aperte. Al riguardo occorre muovere dalla previsione originale dell’art. 21 septies, co. 2, che affidava alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo «le questioni inerenti alla nullità dei provvedimenti amministrativi in violazione o elusione del giudicato». La disposizione è stata poi “trasferita” nel codice del processo amministrativo che, all’art. 133, affida al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva in materia di «nullità del provvedimento amministrativo adottato in violazione o elusione del giudicato».
Mancano indicazioni ulteriori e diverse per le altre ipotesi di nullità, di talché la dottrina prevalente considera affidata al giudice civile la questione della nullità sollevata da terzi interessati o dal destinatario, titolare di un interesse oppositivo che conserva la consistenza del diritto soggettivo (Carbone, A., La nullità e l’azione di accertamento nel processo amministrativo, cit., 813).
Opinioni diverse sussistono invece con riguardo al caso in cui l’attore (ricorrente) sia titolare di un interesse pretensivo rispetto ad un atto nullo: la dottrina prevalente ritiene che, la situazione giuridico-soggettiva fatta valere sia comunque di interesse legittimo con conseguente competenza giurisdizionale amministrativa (Carbone, A., La nullità e l’azione di accertamento nel processo amministrativo, cit., 816; cfr., altresì, Maddalena, M.L., Comportamenti amministrativi e nullità provvedimentale: prospettive di tutela tra g.o. e g.a., cit., 545). In senso contrario, si sostiene che non possa configurarsi alcuna situazione giuridica di interesse legittimo, in tutte le ipotesi di carenza di potere, di talché non sussistono le condizioni fondanti la giurisdizione amministrativa (Lamorgese, A., Nullità dell’atto amministrativo e giudice ordinario, in www.giustamm.it; Paolantonio, N., Nullità dell’atto amministrativo, cit., 871).
Tale conclusione non convince pienamente; se è vero che l’atto nullo non altera o modifica l’assetto delle situazioni giuridico-soggettive, esso tuttavia non incide sul riparto di giurisdizione. Di fronte al provvedimento di diniego nullo, chi ha avanzato l’istanza lamenta l’inadempimento della pubblica amministrazione rispetto alla pretesa sostanziale collegata al favorevole esercizio del potere accrescitivo; ma in tal caso la giurisdizione sarà del giudice amministrativo. Qualora invece il richiedente vanti un vero e proprio diritto (come ad es. in caso di obbligazioni contrattuali) l’azione di condanna dovrà essere intentata avanti al giudice civile, salve le ipotesi di giurisdizione esclusiva.
Conclusione che si comprende ancor di più ove si consideri che il provvedimento nullo non è mai l’oggetto principale del giudizio ma viene in considerazione in via pregiudiziale rispetto ad un risultato che si vuole ottenere o ripristinare.
Sul piano delle prerogative di autotutela, infine, si è recentemente escluso che la pubblica amministrazione possa rilevare “d’ufficio” la nullità sull’assunto che tale compito sarebbe riservato al giudice amministrativo dall’art. 31, comma 4, c.p.a. Ciò sino al punto di ritenere la stessa amministrazione debba adire il giudice amministrativo per la rimozione dell’atto nullo (Cons. St., sez. IV, 28.10.2011, n. 5799; Cons. St., sez. IV, 2.4.2012, n. 1957).
La conclusione desta non poche perplessità nella misura in cui finisce per escludere qualsiasi possibilità di intervento amministrativo (in senso ampio) sull’atto nullo. Come se l’amministrazione avesse il dovere di dare esecuzione ad un provvedimento addirittura inefficace, senza poterlo in alcun modo “ritirare”. L’atto nullo finirebbe per avere stabilità maggiore rispetto a quello illegittimo- annullabile.
Sebbene dunque siano condivisibili le perplessità sulla categoria della nullità dell’atto amministrativo, non si può tuttavia giungere ad una ricostruzione tendente ad, assimilare tale forma di invalidità con l’annullabilità oppure, addirittura, configurare un regime per certi versi meno rigoroso rispetto all’illegittimità.
Si rinvia alle fonti normative citate nel testo.
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