numerali
I numerali sono considerati l’espressione simbolica dei numeri (ovvero delle entità che si usano per contare, classificare, accumulare, raggruppare) nel linguaggio (Pannain 2000; Gvozdanović 20062: 736). Essi formano una categoria grammaticalmente eterogenea (che in alcune lingue, come l’ungherese e il russo, ammette anche forme maschili e femminili, singolari e plurali; Corbett 20062: 730), che in italiano comprende ➔ aggettivi, ➔ nomi e ➔ pronomi:
(1) ho appena finito di leggere un libro sulle quattro giornate di Napoli
(2) è già passato il (tram numero) quindici?
(3) entrambi eravamo sicuri di superare l’esame.
Tradizionalmente, i numerali si dividono in cardinali, ordinali, frazionari, moltiplicativi, numerativi e distributivi (Serianni 2005: 157).
I numerali cardinali indicano in modo preciso la quantità delle cose o persone di cui si parla, e vengono chiamati così perché sono il ‘cardine’ della numerazione: «L’addiettivo cardinale, derivante da cardine […] vale principale, che regge, che sostiene, quasi sieno i numeri primitivi come cardini su cui aggirano tutte le altre specie di numeri» (Corticelli 1755). Essi sono quindi associati ai fenomeni di ➔ numero grammaticale.
In italiano sono invariabili, a eccezione di uno, che varia secondo il ➔ genere (ma non il numero, poiché il plurale gli uni, le une non è numerale ma un indefinito Tekavčić 1980: 204; ➔ indefiniti, aggettivi e pronomi), e che al femminile assume la forma una; di mille, che al plurale diventa -mila; e di milione, miliardo, bilione, ecc., che hanno un regolare plurale e che, per indicare una quantità determinata, devono essere necessariamente preceduti da un altro cardinale e seguiti – qualora precedano un altro nome – dalla preposizione di:
(4) questa settimana il montepremi è di cinquanta milioni
(5) in Asia vivono quasi quattro miliardi di persone
(6) Proxima Centauri dista dalla Terra ben quaranta bilioni di km, ovvero 4,3 anni luce
I numerali cardinali sono generalmente aggettivi, ma possono essere adoperati come nomi veri e propri, quando:
(a) indicano un gruppo di persone storicamente rilevanti (nel qual caso prendono l’iniziale ➔ maiuscola): i Mille di Garibaldi, i Trecento di Leonida, la Banda dei Quattro (Cortelazzo & Cardinale 1986: 23); o sono in relazione a magistrature e cariche pubbliche, specialmente antiche (Serianni 2005: 162): i Dieci di Venezia, gli Ottanta di Corinto, ecc.;
(b) sono usati in espressioni di registro informale, con ellissi del nome di una valuta (di fatto, l’euro): mi daresti i dieci che mi devi?, eccole cinque di resto, ecc.;
(c) indicano un numero considerato in quanto tale: sono usciti il 12 e il 35 sulla ruota di Bari?; oppure un numero che designa convenzionalmente qualcosa o occasionalmente qualcuno: è già passato il (tram) 18?, ora serviamo il (cliente con il numero) nove, ecc.;
(d) ricorrono in espressioni di tempo relative all’ora, al giorno, all’anno: sono già le tre, e devo ancora pranzare; il ventuno è il mio compleanno; mio nonno era del dieci, ecc.;
(e) indicano qualcosa che, per la forma, ricordi un numero: il sette della porta (nel gioco del calcio), l’otto volante, ecc.
(f) sono usati in vari altri casi: per indicare voti (un quattro in fisica, un libretto con la media del ventinove), una carta da gioco (un sei di bastoni, un due di picche), una misura (di scarpa, porto il 43), ecc.
Come aggettivo, il numerale cardinale di solito si prepone al nome: due amici, quattro chiacchiere, undici giocatori, ecc.; si pospone però al nome qualora non indichi la quantità delle entità in gioco, ma la loro denominazione o il loro ordinamento, come nell’indicazione di un capitolo e delle pagine di un libro: il capitolo sei è a pagina otto.
Gli aggettivi numerali ordinali indicano la posizione (o l’ordine, da cui il nome) che una persona o una cosa occupano in una successione numerica: primo, secondo, terzo, decimo, centesimo, ecc. Si comportano come i normali aggettivi, variabili nel genere e nel numero, quindi si accordano morfologicamente col nome cui si riferiscono; come i cardinali, però, anche gli ordinali possono trovarsi in espressioni ellittiche del nome, e quindi essere considerati come nomi a tutti gli effetti: frequentare la prima, mettere la seconda, portare la terza, essere il quarto, ascoltare la nona.
Generalmente, gli ordinali si pongono prima del nome (primo emendamento, terza età, quarto potere, decimo comandamento, ecc.); ma si pospongono, invece:
(a) con nomi di re, papi, sovrani e analoghi (e in questo caso sono di solito scritti in numero romano): Vittorio Emanuele II, Paolo VI, ecc.;
(b) quando si voglia sottolineare una sequenza numerica: atto secondo, scena quarta;
(c) quando sono scritti in numero romano: la lezione è in Aula VI.
I numerali frazionari indicano una frazione, ovvero una parte o più parti di una quantità intera, e hanno il valore di nomi, benché formati da un aggettivo numerale cardinale e da un ordinale (un terzo, due quinti, quattro decimi, ecc.); discorso a parte va fatto per mezzo, che può essere aggettivo (indicante la metà dell’intero), avverbio (col significato di «quasi»), o nome (indicante la metà di un tutto):
(7) mi darebbe mezzo chilo di patate e mezza lattuga?
(8) era mezzo morto dalla paura
(9) non mi pagano da un mese e mezzo.
I numerali moltiplicativi – tanto nomi quanto aggettivi – indicano per quante volte è stata moltiplicata una quantità, e si possono suddividere in variabili nel genere e nel numero (doppio, triplo, quadruplo, ecc., ma per i numeri maggiori di sei si preferiscono espressioni equivalenti: otto volte, dieci volte, cento volte, ecc.):
(10) questo quadro varrà almeno il doppio di quanto indicato nel catalogo
(11) vorrei riservare una camera doppia
(12) questa frase è piena di doppi sensi
(13) il tuo giardino è dieci volte più esteso del mio
o variabili solo nel numero (duplice, triplice, quadruplice, col significato di «formato da due, tre o più parti; che ha due, tre o più scopi; che serve a due, tre o più usi»; Dardano & Trifone 1985: 150):
(14) questo contenitore ha una duplice funzione
(15) nel 1882 fu stipulata la Triplice Alleanza fra Italia, Germania e Austria
I numerali distributivi indicano il modo in cui sono distribuite numericamente più persone, animali o cose, e sono espressi da locuzioni quali a uno a uno, due per volta, tre per ciascuno, ogni quarto, ecc.
I numerali collettivi (o numerativi, o anche approssimativi: Tekavčić 1980: 207) indicano un insieme quantitativo di cose o esseri (paio, coppia, duo, trio, terzetto, decina, dozzina, ventina, trentina, centinaio, migliaio) e possono talora essere usati per indicare una quantità approssimata:
(16) ti dispiace se vengono un paio di amici alla festa?
(17) sarà stato un uomo sulla trentina
Rientrerebbero in questo raggruppamento anche gli aggettivi ambedue, invariabile, ambo (antiquati ambi e ambe), entrambi (femminile entrambe), che si collocano prima del nome cui si riferiscono – e di un eventuale aggettivo precedente il nome – ma che possono assumere valore di pronomi quando usati da soli:
(18) entrambe queste scatole contengono cioccolatini
(19) si sono presentati due testimoni: il giudice ascolterà entrambi.
I numerali cardinali sono parole antichissime, tanto da poter essere usati in linguistica storica come esempio di confronto e conservazione del lessico nelle lingue indeuropee e, quindi, nelle lingue romanze (Posner 1996: 87 segg.).
In latino, i tre primi numerali cardinali erano variabili: potevano esprimere cioè sia il genere (maschile unus, femminile una, neutro unum; analogamente, duo, duae, duo; tres, tres, tria) sia il numero (beninteso entro i limiti della compatibilità semantica: per cui unus aveva solo il singolare, duo e tres soltanto il plurale). Da quattuor (quattro) in poi, invece, i cardinali erano invariabili, fatta eccezione per le centinaia da duecento a novecento e per il numerale mille.
In italiano, uno – come già accennato – varia soltanto secondo il genere (ma non secondo il numero), cosa che avviene anche in altre lingue romanze (fr. un, une, port. um, uma, spagn. un, una, ecc.).
Riguardo a due, i due generi del latino (maschile duo, femminile duae) non si sono invece conservati, ma erano largamente attestati in testi toscani antichi (ad es., in Ristoro d’Arezzo, che usa tanto doi per il maschile quanto dol per il femminile; Rohlfs 1968: 309) e sono presenti in portoghese, romeno, reto-romanzo, sardo e in alcuni dialetti d’Italia (ligure, piemontese, lombardo, romagnolo, marchigiano, campano, calabrese; Rohlfs 1968: 309). Più omogenea l’evoluzione di tres, che si presenta indeclinabile in tutta la Romània (it. tre – derivato probabilmente dall’it. ant. *trēi –, fr. trois, spagn. tres, port. três, romeno trei, ecc.), anche se una forma femminile doveva esistere negli antichi dialetti italiani (Rohlfs 1968: 310), e se il neutro plurale tria, scomparso in italiano, ha lasciato tracce in diversi dialetti romanzi (antico lombardo e padovano trea, abruzzese meridionale trejə, cosentino tria, ecc; Tekavčić 1980: 205).
Piuttosto uniformi si presentano gli esiti in italiano e negli altri idiomi romanzi per i numerali da quattro a dieci – invariabili, come in latino, eccezion fatta per il romeno, in cui la parola indicante «nove» presenta entrambi i generi, nou, nouã –, mentre risulta modificata, rispetto al latino, la struttura di parte dei numerali oltre la decina. In latino, infatti, nei numeri da 11 a 17 l’unità precedeva la decina (undecim, duodecim, ecc. fino a septemdecim) e per 18 e 19 (nonché per gli altri numerali composti con 8 e 9) si procedeva per sottrazione della decina seguente: duodeviginti («diciotto»), undeviginti («diciannove») duodetriginta («ventotto»), ecc.
In tutti gli idiomi neolatini, invece, se per 11-15 vi è continuità con il modello latino (it. undici; fr. onze; spagn. once; port. onze; romeno unsprezece, letteralmente «uno sopra dieci», ecc.), per 17, 18, 19 si è venuto a creare un tipo nuovo (originatosi nel latino parlato), in cui l’unità segue la decina (cosa che avviene peraltro anche per «sedici» in spagnolo, portoghese e in alcuni dialetti dell’Italia centrale), ed è aggiunta a questa o senza «segnale di collegamento» (Tekavčić 1980: 204), oppure tramite le congiunzioni et o ac, e questo all’interno di paradigmi non necessariamente omogenei, ad es.:
(a) decem ac septem > it. diciassette, port. dezassette, campano riciassètt[ə], ecc.;
(b) decem ac novem > it. diciannove, port. dezanove, campano riciannòv[ə], ecc.;
(c) decem et octo > spagn. diez y ocho (anche dieciocho), venez. dizdoto, lomb. dezdòt, calabr. dičedwuottu, ecc.;
(d) decem et novem > spagn. diez y nueve, ecc.;
(e) decem septem > fr. dix-sept, ecc.;
(f) decem octo > it. diciotto, fr. dix-huit, port. dezoito, ecc.;
(g) decem novem > fr. dix-neuf, ecc.
Eccezione importante è costituita dal romeno, che costruisce gli stessi numerali sul modello «sette» + «sopra» + «dieci», «otto» + «sopra» + «dieci», ecc.: saptsprezece (sapt + spre + zece), optsprezece (opt + spre + zece), ecc.
Per quanto riguarda le decine, le voci italiane venti, trenta, quaranta, ecc. deriverebbero da forme popolari che hanno affiancato quelle classiche viginti, triginti, quadriginti, ecc. nella tarda latinità, per diventare quindi la base dei nuovi tipi romanzi (Rohlfs 1968: 313). Vale la pena notare come, accanto alla numerazione decimale, in Sicilia e in alcune zone dell’Italia centrale (Abruzzo) si è diffusa la numerazione vigesimale, ovvero per ventine (da cui, ad es., il siciliano tri bbintini «sessanta»).
I cardinali da duecento a novecento erano in latino aggettivi declinabili e anche variabili nel genere (ducenti, -ae, -a, ecc.). Le lingue romanze – tra cui l’italiano – hanno introdotto il tipo morfologicamente motivato costituito da unità + cento (duecento, trecento, quattrocento, ecc.), sia invariabile sia variabile secondo il genere (come in spagnolo, portoghese, sardo, ecc.: docientos, docientas; duzentos, duzentas; dukentos, dukentas, ecc.). I numerali tondi superiori a mille (milione, miliardo) sarebbero invece coniazioni recenti. Ciò si riflette, tra l’altro, nel loro diverso comportamento sintattico: a differenza dei numerali inferiori, infatti, essi possono essere preceduti dagli articoli e si uniscono al sostantivo quantificato con de, mostrando dunque una certa affinità con le espressioni partitive romanze.
Un interessante dettaglio sintattico riguarda l’uso dei cardinali assoluti in posizione di soggetto: in questo caso, essi sono di norma, in italiano moderno, preceduti da in:
(20) sono arrivati cinque ragazzi → sono arrivati in cinque
(21) erano otto soldati → erano in otto
(22) A: – quanti siete?
B: – siamo otto [o siamo in otto].
Anche se «quanto e come si pronunzino e si scrivano i numerali, è cosa nota» (Corticelli 1775), vale la pena ricordare alcune regole ormai invalse nell’uso.
Il numerale cardinale uno subisce apocope là dove la subirebbe l’articolo indeterminativo:
(23) un tedesco e uno svedese alla guida della nuova multinazionale dell’auto
Nei composti (ventuno, trentuno, ecc.) accompagnati da un nome, questo è invariabile se il numerale segue il nome, ma può essere apocopato se il numerale precede il nome:
(24) a. votanti: ottantuno
b. ottantun votanti
(25) a. Il qui presente Antonio Rossi, di anni quarantuno ...
b. Antonio oggi compie quarantun anni: fagli gli auguri
Negli altri composti, quando un numerale interno inizia con una vocale, la vocale finale del numerale precedente generalmente si elide tra decina e unità:
(26) ventuno [e non *ventiuno]
(27) quattrocentosessantotto [e non *quattrocentosessantaotto]
Tuttavia, con cento seguito da una decina o da un’unità, l’elisione è poco comune con uno, otto e undici, e con mille è decisamente da evitare:
(28) centouno [raramente centuno]
(29) centootto [raramente centotto]
(30) centoundici [raramente centundici]
(31) milleuno [non *milluno]
(32) milleottocento [non *millottocento]
I composti di tre vanno accentati, benché il numerale tre, da solo, non necessiti di accento, e malgrado una certa oscillazione nell’uso, anche letterario:
(33) ma il desiderio della Morte, prima del tempo, gli sembrava così mostruoso, che le minacce di Anna lo facevan sorridere. Ventitré anni, aveva ventitré anni, sua moglie; non si muore, a quell’età, per un amore non corrisposto, per una speranza infranta, per aver invocato la festa suprema del cuore e non averla ottenuta! (Serao 1977)
(34) Nel ’67 aveva ventitré o ventiquattro anni. Non saprei dirti come rintracciarla. Non so nemmeno se è viva. Quell’estate si licenziò dal giornale e partì verso l’Ovest (Wu Ming 1 2004)
Dal brano dell’esempio (34) si ricava anche che nei numerali che indicano un anno (sia per date vicine nel tempo o legate all’esperienza di chi parla – come una data di nascita – sia celebri in modo antonomastico – per date storiche), possono essere soppresse le prime due cifre, sostituite da un segno di ➔ apostrofo:
(35) Io sono del ’72, e mia sorella del ’75
(36) I ragazzi del ’99
(37) La rivoluzione del ’17
In generale, riguardo alla grafia, «è buona norma non scrivere i [numerali] cardinali in cifre nell’uso letterario o familiare» (Serianni 2005: 157; Gabrielli 19852: 277-278), come si ricava, ad es., dal passo seguente:
(38) Il tredici mi porta sventura, e la mia prima sventura è stata di nascere, un ventisei ottobre: due via tredici, fa ventisei. La povera mamma l’ho perduta il tredici marzo ultimo ... Ora in questo concorso sono la trentanovesima: tre volte tredici! Le approvate sono centocinque; sommate le cifre: uno e cinque, fa sei; aggiungete il numero delle piazze che sono sette: sette e sei, tredici, sempre tredici! (Imbriani 1972)
I numerali si scrivono invece in cifre (arabe) nei calcoli matematici, nei testi tecnici e scientifici, nelle tabelle, negli orari, nelle date, negli elenchi; infine, per indicare le misure (peso, capacità, lunghezza) e – generalmente – per indicare cifre elevate se non arrotondate:
(39) rifare l’impianto di riscaldamento mi è costato ben 9540 euro
Per cifre elevate arrotondate, tuttavia, è usuale ricorrere a scritture miste con cifre e lettere:
(40) Ma intanto è polemica sulla riduzione da 400 a soli 100 milioni dei fondi per il 5 per mille, mentre, al contrario, sono stati reintegrati i 245 milioni tagliati dai fondi per le scuole private («La Repubblica» 13 novembre 2010)
I numerali ordinali possono essere scritti in lettere, numeri romani («rimasti disponibili dopo che, nel Medioevo, l’Occidente accolse l’attuale sistema degli Arabi»; Serianni 2005: 158) o cifre, che devono essere accompagnate dal piccolo segno esponenziale ‹º› per il genere maschile o ‹ª› per il genere femminile:
(41) sono arrivato soltanto ottavo
(42) sono arrivato soltanto 8°
mentre deve essere evitato l’uso di tali segni esponenziali quando si utilizzano cifre romane:
(43) fu Paolo VI a chiudere il Concilio Vaticano II
(44) le vicende narrate nei Promessi sposi sono ambientate nel XVII secolo
Nello scritto informale, si possono incontrare grafie miste come 75esimo, 400esima, risultanti dalla contaminazione fra sistema grafico e sistema numerico:
(45) Ravenna, detenuto si impicca in cella. È il 54esimo caso quest’anno in Italia («Corriere della sera» 10 ottobre 2010)
(46) Nel giorno del 25esimo anniversario della morte del generale Dalla Chiesa, ucciso da Cosa Nostra nel 1985, ad Otranto si terrà un dibattito pubblico («Corriere della sera» 3 settembre 2010).
I numerali italiani sono usati, come in altre lingue, in una varietà di espressioni idiomatiche o per indicare quantità generiche e indistinte (Bazzanella 2011).
Tra gli usi idiomatici (➔ modi di dire), alcuni numeri hanno particolare importanza. Tra questi è quattro: fare quattro passi, fare quattro chiacchiere, fare il diavolo a quattro, parlarsi a quattr’occhi, dirne quattro, in quattro e quattr’otto, ecc. Anche due appare in una varietà di formule: farsi due spaghetti, fare due passi, ecc. Altri numerali appaiono in modo meno frequente: una ne fa cento ne pensa, al cento per cento, al novantanove per cento.
Tra le indicazioni di quantità generiche, vanno distinti il caso delle quantità minime e quello delle quantità importanti. Tra le prime, prevale l’uso di numeri piccoli, in particolare di due: ci vediamo fra due o tre giorni (= tra pochi giorni), vengo tra due minuti (= tra poco), dicci due parole (= alcune parole), in due parole (= in breve). Numerali alti sono utilizzati come intensificatori: te l’ho detto cento volte (= molte volte), te l’ho detto miliardi di volte (= moltissime volte), mille volte più intelligente. Numerali elevati appaiono anche in frasi fatte, dove non sono sostituibili con altro: mille grazie o grazie mille (*cento grazie), mille baci a tutti (nei saluti), andare a mille, ecc.
Corticelli, Salvatore (1755), Osservazioni della lingua toscana. Ridotte a metodo ed in tre libri distribuite, Venezia, Stamperia Remondini.
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