Nuova disciplina delle dimissioni
Per prevenire la pratica abusiva delle cd. dimissioni in bianco, garantendo che l’atto di recesso e la risoluzione consensuale corrispondano ad una volontà genuina del lavoratore di sciogliere il vincolo contrattuale, il d.lgs. 24.9.2015, n. 151 ha reintrodotto nell’ordinamento l’obbligo di esprimere tale volontà attraverso particolari formalità, e cioè compilando e trasmettendo per via telematica appositi moduli conformi al modello ministeriale a tal fine predisposto. La nuova disciplina, tuttavia, non appare immune da dubbi interpretativi e problemi applicativi.
Nell’ambito della riforma nota come Jobs act, l’art. 1, co. 6, l. 10.12.2014, n. 183 ha delegato al Governo l’adozione di disposizioni di semplificazione e razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese, imponendogli, tra l’altro, di prevedere «modalità semplificate per garantire data certa nonché l’autenticità della manifestazione di volontà della lavoratrice o del lavoratore in relazione alle dimissioni o alla risoluzione consensuale del rapporto di lavoro».
In attuazione di tale delega il Governo ha adottato il d.lgs. 14.9.2015, n. 151, il cui art. 26 riforma integralmente la procedura dettata in materia di dimissioni e risoluzione consensuale del rapporto di lavoro dai co. 1723-bis dell’art. 4, l. 28.6.2012, n. 92 che vengono contestualmente abrogati. La nuova procedura è divenuta obbligatoria a partire dal 12.3.20161.
Sino a pochi anni fa, nessuna norma di legge imponeva una particolare forma all’atto di recesso unilaterale del lavoratore dal rapporto, essendo la forma scritta talvolta prescritta (di solito unitamente al vincolo della lettera raccomandata) soltanto dai contratti collettivi o individuali. Era tuttavia avvertita la necessità di prevenire la pratica delle cd. dimissioni in bianco, cioè quel fenomeno per il quale il datore di lavoro pretende di far sottoscrivere al lavoratore un foglio in bianco o una lettera di dimissioni senza data, da utilizzare alla bisogna, aggirando così la disciplina vincolistica dei licenziamenti.
La strada seguita dal legislatore per assicurarsi che l’atto di recesso corrisponda ad una volontà genuina e libera del lavoratore di sciogliere il vincolo contrattuale è stata quella di richiedere che essa venga espressa all’interno di un procedimento caratterizzato da un crescente livello di formalità.
In tale ottica, il tradizionale principio di libertà della forma è stato per la prima volta messo in discussione dalla l. 17.10.2007, n. 188 e dai conseguenti decreti ministeriali istitutivi di moduli predisposti per la comunicazione del recesso del lavoratore. Le ambiguità di quella normativa ed i dubbi interpretativi che ne erano derivati avevano rapidamente condotto alla sua abrogazione, cosicché la sua operatività era rimasta limitata alle dimissioni poste in essere tra il 5 marzo ed il 25 giugno 2008.Successivamente, la l. n. 92/2012 ha introdotto nell’ordinamento una complessa disciplina, in forza della quale l’efficacia delle dimissioni e della risoluzione consensuale del rapporto, che di per sé rimanevano atti a forma libera, era sospensivamente condizionata ad una convalida da effettuarsi presso la D.T.L. o il Centro per l’impiego territorialmente competenti, o presso le sedi individuate dai contratti collettivi nazionali stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, ovvero, in alternativa, alla sua conferma mediante sottoscrizione di apposita dichiarazione del lavoratore apposta in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro. Nell’ipotesi in cui il lavoratore non avesse proceduto a tale convalida o conferma, il rapporto di lavoro si intendeva risolto, per il verificarsi della condizione sospensiva, solo qualora il lavoratore non avesse aderito, entro sette giorni dalla ricezione, all’invito del datore di lavoro a presentarsi presso le predette sedi istituzionali, ovvero ad apporre la sottoscrizione; qualora, invece, il datore di lavoro non avesse provveduto a trasmettere al lavoratore la comunicazione contenente tale invito entro il termine di trenta giorni dalla data delle dimissioni o della risoluzione consensuale, le dimissioni si sarebbero considerate definitivamente prive di effetto.
Oggi, l’art. 26, d.lgs. n. 151/2015 riporta in vita il doppio obbligo già previsto dalla normativa del 2007, ovvero quello di esprimere la volontà di sciogliere il rapporto non solo in forma scritta, ma utilizzando appositi moduli conformi al modello ministeriale predisposto2. La principale novità della riforma è contenuta nell’art. 26, co. 1, e consiste nella previsione che le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro debbano essere effettuate, a pena di inefficacia, compilando e trasmettendo per via telematica gli appositi moduli disponibili sul sito del Ministero del lavoro. Quindi, come chiarito dalle stesse note informative ministeriali, la trasmissione del modello telematico non ha la semplice funzione di convalidare dimissioni rese in altra forma, ma costituisce la “forma tipica” che le stesse debbono avere per poter produrre la loro efficacia. In altri termini, l’attuale disciplina normativa prescrive che la manifestazione di volontà avvenga attraverso una particolare forma (scritta e conforme al modello ministeriale), che viene richiesta ad substantiam.
Un’ulteriore innovazione, prevista a maggior tutela della libertà del consenso del lavoratore, riguarda la facoltà dello stesso di revocare le dimissioni o la risoluzione del rapporto. Nell’ambito della previsione di cui all’art. 4, l. n. 92/2012, il prestatore di lavoro che non intendeva più estinguere il rapporto poteva semplicemente rimanere inerte, non facendo seguire al recesso l’attività necessaria a renderlo efficace, oppure rendere (anche in forma orale, atteso che la norma prevedeva la forma scritta come meramente eventuale) un’esplicita dichiarazione di revoca delle dimissioni nel lasso di tempo di sette giorni che il lavoratore aveva a disposizione per aderire all’invito del datore a presentarsi presso le sedi protette per la convalida ovvero ad apporre la sottoscrizione. Oggi, invece, l’art. 26, co. 2, prevede che il lavoratore possa esercitare il diritto al ripensamento soltanto revocando (con le medesime modalità telematiche) le dimissioni e la risoluzione consensuale entro sette giorni dalla trasmissione telematica del relativo modulo.
Un’altra novità di rilievo riguarda il profilo sanzionatorio. La medesima sanzione amministrativa, che la l. n. 92/2012 prevedeva a carico del datore di lavoro per il caso di abuso del foglio firmato in bianco dal lavoratore al fine di simularne le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto, è ora prevista dall’art. 26, co. 5, per l’ipotesi (di difficile configurabilità, rimanendo il datore di lavoro estraneo alla procedura di compilazione digitale) di alterazione del modulo telematico. Nell’attuale fattispecie è venuto meno il dolo specifico costituito dal fine di simulare le dimissioni o la risoluzione3.
La procedura telematica prevista dall’art. 26 riguarda tutte le tipologie di rapporto di lavoro subordinato, anche a tempo determinato, ad eccezione di quello domestico.
La procedura non sembra dunque applicabile ai rapporti di lavoro parasubordinato e di associazione in partecipazione con apporto di lavoro (ai quali, invece, le abrogate disposizioni della l. n. 92/2012 erano state estese dall’art. 4, co. 23-bis, introdotto nel 2013), né ai casi di anticipata interruzione del tirocinio. Il Ministero4 ha anche chiarito che sono da ritenersi esclusi dall’ambito di operatività della nuova disciplina i casi di recesso durante il periodo di prova, i rapporti di lavoro marittimo ed i rapporti di lavoro alle dipendenze dalla p.a. di cui all’art. 1, co. 2, d.lgs. 30.3.2001, n. 165.
Mentre la normativa del 2007 riguardava soltanto le dimissioni volontarie, il legislatore del 2015 ha ritenuto opportuno estendere la procedura anche al recesso del lavoratore per giusta causa, nonché (al fine di scongiurare il rischio che al fenomeno delle dimissioni in bianco si sostituisse quello della risoluzione in bianco) anche alla risoluzione consensuale del rapporto.
L’art. 26, co. 1 e 7, prevede due eccezioni. Innanzitutto, viene fatta salva l’ipotesi prevista dall’art. 55, co. 4, d.lgs. 26.3.2001, n. 151, cioè il caso di risoluzione consensuale o di dimissioni presentate dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento (o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dalle comunicazioni di cui all’art. 54, co. 9), atti la cui efficacia è sospensivamente condizionata alla convalida del servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio5. Sono altresì esclusi i casi in cui le dimissioni o la risoluzione intervengano (a quanto sembra, anche al di fuori di veri e propri accordi conciliativi o transattivi) nelle sedi protette di cui agli artt. 2113, co. 4, c.c., nonché dinanzi agli enti bilaterali ed alle commissioni di certificazione di cui agli artt. 2, co. 1, lett. h), e 76, d.lgs. 10.9.2003, n. 2766.
Quanto alle modalità pratiche di compilazione e trasmissione, l’art. 26, co. 4, prevede che la comunicazione di recesso o di risoluzione possa essere effettuata anche tramite alcuni soggetti a ciò abilitati: patronati, organizzazioni sindacali, enti bilaterali e commissioni di certificazione7. Nel caso in cui si proceda personalmente, ossia senza l’intermediazione dei soggetti abilitati, è necessario compiere un procedimento di autenticazione tramite apposite credenziali (creazione di un’utenza per l’accesso al portale ClicLavoro.gov.it e codice personale PIN Inps), procedimento che garantisce la verifica dell’identità di colui che effettua l’adempimento. Effettuato l’accesso on line, si devono compilare i vari campi del modulo, indicando una serie di dati relativi all’identificazione del lavoratore e del datore di lavoro, nonché all’individuazione del rapporto di lavoro (data di inizio e tipologia contrattuale) e della tipologia della comunicazione (dimissioni o risoluzione e relativa data di decorrenza, specifiche alle quali è stata aggiunta l’opzione dimissioni per giusta causa con spazio per la relativa motivazione)8.
Confermati i dati inseriti, il modello (salvabile in formato PDF) viene automaticamente inviato al datore di lavoro ed alla D.T.L. competente tramite l’indirizzo p.e.c. di sistema.
Al momento del salvataggio, il sistema associa automaticamente al modulo la data di trasmissione (marca temporale) ed un codice identificativo alfanumerico, che potranno essere poi utilizzati per individuarlo ove si intenda procedere alla revoca, ai sensi del menzionato art. 26, co 2. Ai fini della revoca, il sistema rende accessibili solo le comunicazioni trasmesse nei sette giorni antecedenti.
La riforma è ispirata a criteri di semplificazione e razionalizzazione.
Ma, se è vero che alcuni dei complicati passaggi procedimentali previsti dalla legge Fornero vengono eliminati e sostituiti con una (apparentemente) più lineare procedura di trasmissione telematica, quest’ultima pone, a sua volta, numerose problematiche di carattere pratico, tant’è che il Ministero del lavoro è dovuto intervenire in più occasioni per rispondere ai primi dubbi applicativi ed agli interrogativi sollevati dagli operatori del settore.
Una delle principali questioni prospettate riguarda l’ipotesi in cui il lavoratore manifesti la propria volontà di recedere, senza però formalizzarla tramite la procedura di compilazione e trasmissione on line prevista dalla nuova normativa, ma limitandosi a non presentarsi più sul luogo di lavoro.
Tradizionalmente, la giurisprudenza ha sempre ritenuto che il comportamento concludente del prestatore di lavoro, dal quale potesse desumersi in maniera inequivoca la sua volontà di recedere dal contratto, fosse idonea a determinare lo scioglimento del rapporto. Oggi, anche tenuto conto delle indicazioni del Ministero del lavoro, sembra doversi ritenere che il datore di lavoro non possa considerare cessato il rapporto per fatti concludenti, ma debba provvedere a contestare al lavoratore la sua assenza ingiustificata e a licenziarlo poi per giusta causa. La soluzione, formalmente corretta, appare eccessivamente onerosa per l’impresa, che per un’omissione del dipendente si vede costretta ad intraprendere un procedimento disciplinare e a pagare il contributo per il licenziamento.
Un secondo punto critico riguarda l’individuazione della data esatta di cessazione del rapporto, operazione che potrebbe non essere del tutto agevole (soprattutto se il lavoratore proceda alla comunicazione diretta, senza l’assistenza dei soggetti abilitati), poiché – salvo il caso di dimissioni per giusta causa – occorrerà tenere conto anche della durata del termine di preavviso, che varia a seconda delle normative collettive di riferimento. Inoltre, dopo la comunicazione telematica, il datore di lavoro potrebbe esonerare il lavoratore dal rispetto del periodo di preavviso, oppure le parti si potrebbero accordare per far cessare il rapporto in una data diversa da quella di scadenza del preavviso stesso. Ancora più difficile è l’individuazione della data di cessazione in caso di risoluzione consensuale, che, come noto, è un atto negoziale bilaterale, mentre la volontà che il lavoratore manifesta unilateralmente con la trasmissione del modello telematico può costituire al massimo una proposta di risoluzione, che il datore di lavoro sarà poi libero di accettare o meno.
Con riguardo agli accordi modificativi della durata del preavviso (e, quindi, della data di cessazione del rapporto), l’eventuale discordanza tra la data di cessazione indicata dal lavoratore nel modello trasmesso per via telematica e quella effettiva deve essere considerata irrilevante, cosicché, mentre il lavoratore non sarà tenuto a revocare la comunicazione e ripetere l’iter di trasmissione, il datore di lavoro dovrà indicare nella comunicazione obbligatoria la data di effettiva cessazione e non certo quella indicata dal lavoratore nel modello. Si osserva, per inciso, che la comunicazione obbligatoria di cessazione deve considerarsi inefficace se non è stata preceduta da una comunicazione di recesso o di risoluzione validamente effettuata dal lavoratore con le modalità telematiche prescritte dalla legge.
Un’altra situazione problematica astrattamente prospettabile è quella in cui il datore di lavoro non riceva (ad es. a causa dell’erronea indicazione del suo indirizzo di posta elettronica) la trasmissione del modulo telematico. Dovrebbe trattarsi di un’ipotesi puramente teorica e di nessuna rilevanza pratica, visto che è stato attivato uno specifico servizio che notifica al lavoratore il mancato recapito, invitandolo a modificare l’indirizzo e-mail errato o sconosciuto. Comunque, poiché l’obbligatorietà della procedura di trasmissione telematica non può modificare la natura giuridica delle dimissioni, che rimangono un atto negoziale unilaterale recettizio che produce effetto solo quando è portato a conoscenza dell’altra parte del rapporto contrattuale, non sembra che le dimissioni trasmesse correttamente alla D.T.L., ma non al datore di lavoro, possano avere effetto.
Ulteriori dubbi interpretativi potrebbero riguardare, infine, le conseguenze giuridiche della revoca da parte del lavoratore delle dimissioni già trasmesse telematicamente, ipotesi che in precedenza era espressamente disciplinata dall’art. 4, co. 21, l. n. 92/2012 oggi abrogato e non sostituito da altra disposizione.
Deve ritenersi, tuttavia, che quella disciplina, secondo la quale il lavoratore che non aveva reso la propria prestazione nel periodo intercorrente tra il recesso e la sua revoca non maturava alcun diritto alla retribuzione, possa essere applicata anche oggi in virtù del carattere sinallagmatico del contratto di lavoro.
Note
1 Il Ministero del lavoro ha chiarito che deve tenersi conto della data in cui la volontà di recedere dal rapporto o di risolverlo viene manifestata; pertanto le dimissioni presentate in data antecedente al 12.3.2016 rimangono assoggettate alla vecchia disciplina anche se, per effetto della durata del preavviso, determinino la cessazione del rapporto dopo quella data.
2 La modulistica da utilizzare e le regole tecniche della relativa compilazione e trasmissione sono state approvate con
d.m. 15.12.2015.
3 Anche nell’odierna formulazione, è fatto salvo il caso in cui il fatto costituisca reato e sono dichiarate applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni della l. 24.11.1981, n. 689. Inoltre, l’accertamento della violazione e l’irrogazione della sanzione rimangono ancora oggi di competenza delle D.T.L.
4 Ministero del lavoro, circ. 4.3.2016, n. 12.
5 Si tratta, come chiarito dalla giurisprudenza, di un’ipotesi di presunzione di non spontaneità delle dimissioni, che può essere superata soltanto mediante convalida dei servizi ispettivi, a seguito dell’indagine circa la genuinità della volontà di recesso.
6 Il Ministero ha chiarito come sia sufficiente che la formalizzazione delle dimissioni o della risoluzione consensuale avvenga alla presenza di un sindacalista di fiducia del lavoratore, in quanto la stessa costituisce garanzia sufficiente circa la spontaneità e la consapevolezza dell’atto.
7 Dall’elencazione emerge che, mentre sono esclusi i singoli professionisti, sono considerate abilitate le commissioni di certificazione istituite presso i Consigli provinciali dei consulenti del lavoro.
8 Per i rapporti costituiti successivamente al 2008 il sistema consente di recuperarne automaticamente i dati dalla più recente comunicazione obbligatoria di avvio, di proroga, di trasformazione o di rettifica.