NUOVA ZELANDA
(XXV, p. 67; App. I, p. 902; II, II, p. 427; III, II, p. 290; IV, II, p. 630)
Gli anni Settanta sono stati una sorta di crocevia nella storia della N. Z., almeno per due motivi. Il primo è rappresentato dal progressivo inserimento dell'economia della Gran Bretagna nella CEE, che ha provocato nei paesi del Commonwealth la perdita di parte del trattamento preferenziale loro riservato: la N. Z. ne ha sofferto per le esportazioni di carne e di lana anche se, nel medio e lungo termine, potrebbe avvalersi di prospettive positive, proprio perché la politica economica della CEE apre canali commerciali molto interessanti per i paesi del Pacifico; ne è eloquente testimonianza l'intensificazione del trasporto marittimo tra l'area dell'Australia e della N. Z. da un lato, e l'Europa occidentale dall'altro. Il secondo motivo è in rapporto con l'aumento del prezzo del petrolio (che, com'è noto, ha avuto due periodi critici: il 1973-74 e il 1979-80): al pari dell'aumento dei prezzi di parecchi minerali, i cospicui rincari dei prodotti petroliferi hanno causato grave danno all'economia neozelandese, che ha sofferto di impatti analoghi a quelli di cui hanno sofferto le economie dei paesi europei trasformatori di materie prime importate.
A causa di quella inconsueta convergenza di difficoltà la N. Z. fu colpita da una notevole inflazione e da un elevato tasso di disoccupazione, che costrinse molti a emigrare in Australia. Il governo fronteggiò la situazione adottando due misure: contrasse prestiti all'estero e creò disavanzo nel bilancio statale, con l'obiettivo di convogliare investimenti nell'industria. Nello stesso tempo cercò di tenere sotto controllo i livelli dei prezzi e dei salari. Nella prima parte degli anni Ottanta l'ostilità sociale verso quella politica crebbe al punto da condurre a un cambio di governo e a una svolta in senso liberista senza precendenti. Rapidamente tutte le restrizioni alla libera iniziativa furono rimosse.
Nello stesso decennio anche la politica estera mutò. Sia il Regno Unito, sia gli Stati Uniti ridussero la loro influenza sulla N. Z., il cui isolamento nel contesto internazionale crebbe. Il paese fece fronte a questa situazione cercando di rafforzare le relazioni con gli stati vicini, nell'ambito dello scacchiere sudoccidentale del Pacifico. Sviluppò azioni contro la proliferazione delle armi nucleari nella regione e contro i test nucleari nell'atmosfera. Infine bandì dai propri porti le navi statunitensi a propulsione nucleare.
Negli anni Ottanta si verificò anche la diffusione di acuti problemi sociali: crebbero i divorzi, si elevarono le percentuali di figli illegittimi e di donne sole, portando alla ribalta il problema della condizione femminile. Nello stesso tempo si manifestarono segni d'intolleranza verso la presenza dei Maori negli ambienti urbani. L'emergenza dei problemi razziali fu evidente nel 1990, quando nella Bay of Islands si celebrò il centocinquantesimo anniversario del trattato di Waitanghi tra i Maori e i colonizzatori. Solo la presenza della regina d'Inghilterra evitò che le proteste conducessero al fallimento le celebrazioni.
La società neozelandese presenta un tasso di disoccupazione del 15% e un tasso d'inflazione contenuto all'1%; la quota di costo dei servizi sociali a carico dei cittadini è molto elevata; sono in atto progetti di ristrutturazione industriale; la Banca di Nuova Zelanda è stata rilevata dalla Banca nazionale d'Australia. Le tensioni tra bianchi e Maori, in gran parte provocate dai conflitti sugli stock di pesca, sono state composte attraverso un accordo.
La bilancia commerciale è in attivo. La metà delle esportazioni continua a essere costituita da prodotti dell'allevamento, mentre i prodotti finiti ne costituiscono il 23%, i prodotti chimici si attestano al 9% e quelli minerari al 7%. Un quarto delle importazioni è costituito da prodotti minerari e chimici, oltre che da materie plastiche; un altro quarto da impianti e macchinari; il 14% da beni strumentali per i trasporti; il resto riguarda beni di vario genere.
Le trasformazioni dell'economia hanno condotto a una continua riduzione della popolazione attiva nel settore primario (agricoltura, allevamento, foreste, pesca): dall'11%, qual era nella prima parte degli anni Ottanta, si è portata al 9,4% (1992). È una percentuale doppia di quella dell'Australia, ma comunque ridotta se posta in relazione con la base economica nazionale, fondata soprattutto sull'allevamento, la pesca e le coltivazioni. Nello stesso tempo la forza lavoro industriale è lievemente aumentata: dal 23,5% al 24,8%. Pressoché stazionaria la forza lavoro addetta ai servizi.
La popolazione − 3.481.000 ab. nel 1992; 12,9 ab./km2 − continua ad avere un moderato saldo naturale positivo (9,9ı, contro la media mondiale del 17,2ı), che la condurrà a 3,8 milioni di abitanti alla fine del decennio e a 4,1 milioni nel 2010. Il raddoppio degli abitanti è previsto entro settant'anni. La composizione etnica si evolve molto lentamente. All'inizio degli anni Novanta la popolazione comprendeva: Neozelandesi di origine europea (73,8%), Maori neozelandesi (9,6%), Polinesiani (3,6%), popolazioni multietniche (4,5%) e gruppi minori.
La popolazione urbana costituisce il 75,9% di quella complessiva ed è in aumento. Nonostante ciò, la struttura urbana favorisce il mantenimento di alti livelli di qualità della vita. Ciò è dovuto soprattutto al fatto che mancano grandi città. Nell'Isola del Nord, Auckland conta 885.571 ab. e Wellington, la capitale del paese, 325.682; nell'Isola del Sud, Christchurch conta 307.179 abitanti. Sotto questo profilo si può ritenere che l'organizzazione urbana neozelandese abbia raggiunto un assetto ormai definito. Alla base si è consolidato un fitto tessuto di città medie e piccole, ben distribuite nell'Isola del Nord e sui versanti orientali dell'Isola del Sud, per la maggior parte ubicate sulla costa. Auckland e Wellington nell'Isola del Nord, Christchurch nell'Isola del Sud hanno assunto funzioni di capitali regionali. La città più importante per numero di abitanti e sviluppo delle strutture economiche non è la capitale Wellington, ma la città di Auckland.
Durante gli anni Ottanta l'espansione del traffico aereo e del turismo internazionale ha provocato afflussi turistici superiori a quelli che gli esperti avevano previsto. Di conseguenza, per la N. Z., ricchissima di risorse paesaggistiche tanto nell'Isola del Nord che nell'Isola del Sud, si aprono − al pari di quanto sta accadendo in Australia − prospettive considerevoli, sia per i flussi turistici provenienti dall'area del Pacifico (Stati Uniti e Giappone), sia per quelli provenienti dall'Europa. Già ora 1 milione circa di turisti l'anno visitano il paese. Ne è un segno eloquente l'espansione del traffico nei tre aeroporti (Auckland, Christchurch e Wellington), che sfiora ormai i 10 miliardi di passeggeri/km. Naturalmente, questi enormi sviluppi portano in primo piano urgenti esigenze di tutela dell'ambiente, così come sta accadendo in Australia e in altre aree del Pacifico.
Anche la rete dei porti, strumento essenziale delle relazioni con l'estero, ha raggiunto un buon assetto. Al termine della seconda guerra mondiale il paese fruiva di quattro porti − Auckland e Wellington (Isola del Nord), Lyttelton e Dunedin (Isola del Sud) − ai quali faceva capo l'80% del traffico. Successivamente si è aggiunto il porto di Whangarei (Isola del Nord), adibito soprattutto alle importazioni di petrolio. Nel frattempo veniva potenziata la rete stradale. Al termine degli anni Sessanta, a seguito di una politica di decentramento delle attività industriali, si sono messe in atto anche strategie di decentramento portuale. Sono stati potenziati porti piccoli, come Tauranga, New Plymouth, Napier (tutti nell'Isola del Nord) e Bluff (Isola del Sud).
Il reddito medio pro capite della N. Z. (12.350 dollari USA), benché sia nettamente inferiore a quello dell'Australia (17.050 dollari USA), è di tutto rispetto. Inoltre la N. Z. possiede un ottimo sistema di assistenza sociale e un elevato livello di condizioni di vita: lo dimostra la speranza di vita, attestata sui 72 anni per gli uomini e sui 78 anni per le donne, analoga a quella italiana.
Bibl.: J.E. Bardach, Y. Matsuda, Fish, fishing and sea boundaries: Tuna stocks and fishing policies in Southeast Asia and the South Pacific, in Geo Journal, 4, 5 (1980), pp. 467-78; A.L. Dahl, I.L. Baumgart, The state of the environment in the South Pacific. UNEP regional seas reports and studies, UNEP, n. 31, Nairobi 1983; G. Bacconier, Les villes de Nouvelle Zélande, in Cahiers d'Outre-Mer, 38, 151 (1985), pp. 207-34; A. Vallega, L'Australia e l'Oceania, Torino 1985; R. Bedford, La filière polynésienne: migrations et changements sociaux en Nouvelle-Zélande et dans le Pacific Sud, in L'espace géographique, 15, 3 (1986), pp. 172-86; H.J. Buchholz, Law of the sea zones in the Pacific Ocean, Singapore 1987; J. Connell, Migrations, urbanisation et santé dans le Pacific Sud, in Cahiers d'Outre-Mer, 42, 168 (1989), pp. 395-424; W. Lutz, Wirtschaftlicher Wandel Neuseelands, in Geographischer Rundschau, 42 (1990), pp. 136-42; J.C. Pernetta, Projected climate change and sea level rise: a relative impact rating for the countries of the Pacific Basin, in Implications of expected climate changes in the South Pacific region: an overview, a cura di J.C. Pernetta e P.J. Hughes, UNEP, n. 128, Nairobi 1990; AA.VV., New Zealand in the 1980s. Market forces in the welfare state, in Pacific viewpoint, 32 (1991), pp. 186-93; B. Harland, On our own: New Zealand in a tripolar world, Wellington 1992.
Storia. - Il nuovo governo (1975) del Partito nazionale guidato da R. Muldoon ridusse drasticamente l'assistenza statale, adottando una politica liberista e deflativa (forte contrazione della spesa pubblica, rigide misure per il controllo dei prezzi e dei salari e svalutazione del dollaro neozelandese nel novembre 1976), mentre sempre nel 1976 il numero annuale degli immigrati diminuì (da 30.000 a 5000), in seguito a una campagna contro l'immigrazione illegale.
L'esplosione di tensioni etniche dovute all'emergere di un movimento maori, accompagnata dal permanere delle difficoltà economiche − basso tasso di crescita economica e alta disoccupazione −, portò a un calo di consensi verso il partito al governo, che nelle elezioni politiche del novembre 1978 perse più del 7% dei voti (passando dal 47,2% del 1975 al 39,5) mentre il Partito laburista di opposizione ottenne il 40,5% e il Social Credit Political League il 17,0 (contro il 7,4 delle consultazioni precedenti). Nonostante la sconfitta elettorale, il Partito nazionale, tuttavia, grazie al sistema elettorale vigente nel paese − uninominale a turno unico −, ottenne la maggioranza dei seggi e la guida del nuovo gabinetto (dicembre 1978). Il quadro politico rimase sostanzialmente invariato anche nelle successive elezioni politiche del novembre 1981 (il Partito nazionale prendeva il 29,2%, i laburisti il 38,5 e il Social Credit Political League il 20,8%), che riportarono al governo Muldoon. La crisi di credibilità del gabinetto nazionalista si acuì tuttavia negli anni successivi (nonostante il controllo sull'inflazione, la disoccupazione raggiunse nel 1984 il 5% della popolazione attiva), così che, nelle elezioni politiche del luglio 1984, il Partito nazionale fu sconfitto dai laburisti. Questi ultimi conquistarono il 43% dei voti contro il 36% dei nazionalisti e l'8% del Social Credit, mentre una parte dei suffragi tradizionalmente nazionalisti andò a vantaggio del nuovo Partito conservatore (New Zealand Party) che, nato nell'agosto 1983 e guidato da R. Jones, ottenne il 12,3% dei voti, ma nessun seggio.
Mentre i laburisti formavano il nuovo governo, guidato da D. Lange (leader del partito dal febbraio 1983), il Partito nazionale, in seguito alla sconfitta elettorale, affrontava una grave crisi interna che portò alle dimissioni del vecchio segretario Muldoon e alla sua sostituzione con J. McLay (novembre 1984), il quale fu a sua volta sostituito nel marzo 1986 da J. Bolger. Il governo Lange affrontò con estrema decisione la crisi economica, adottando inaspettatamente la stessa linea liberista di Muldoon e avviando la privatizzazione di importanti imprese pubbliche. I successi ottenuti (soprattutto per quel che riguardava la riduzione del grave deficit statale), uniti al consenso che nel paese riscosse la ferma linea antinucleare, contribuirono alla vittoria elettorale dei laburisti nelle consultazioni dell'agosto 1987 (ottennero il 47,0% dei voti contro il 45,0% del Partito nazionale).
Confermatisi così alla guida del nuovo governo, i laburisti proseguirono sulla tradizionale linea economica di deregolamentazione e privatizzazione; ma le difficoltà già emerse nella legislatura precedente − alto tasso d'inflazione (che nel 1987 raggiunse il tetto massimo del 19%) e aggravamento della disoccupazione (6% nello stesso anno) − si acuirono, provocando un rapido crollo di consenso nel paese, forti tensioni con i sindacati e una grave crisi interna al Partito laburista e alla stessa compagine governativa. Nel maggio 1989 si arrivò infatti a una scissione dei laburisti, con la formazione del Nuovo partito laburista, guidato da J. Anderton, e alla sostituzione, nell'agosto, a capo del partito e dell'esecutivo di Lange con G. Palmer.
I risultati elettorali (ottobre 1990) furono pertanto favorevoli al Partito nazionale (48% dei voti), mentre il Partito laburista ottenne il 35% e il Nuovo partito laburista solo il 5,2%. Il nuovo governo, guidato dal leader del Partito nazionale Bolger (ottobre 1990), continuò sostanzialmente la politica laburista, con l'adozione di una serie di misure economiche, fra cui l'abrogazione della legge che prevedeva la parità salariale fra uomini e donne, la riduzione della spesa sociale e la deregolamentazione del mercato del lavoro. Nel dicembre venne poi annunciato un piano di privatizzazione del sistema sanitario e un taglio ai contributi per i disoccupati.
Nonostante il risultato positivo nella lotta all'inflazione, scesa al 2,7% dal 7,6% dell'anno precedente, la forte opposizione nel paese al piano economico del governo e le tensioni all'interno dello stesso Partito nazionale costrinsero Bolger a ritirare (novembre 1991) parte delle misure annunciate per le pensioni, mentre in dicembre sul fronte politico generale si formava, in opposizione ai due maggiori partiti, un nuovo gruppo, chiamato Alleanza, formato dal Nuovo partito laburista, dal Social Credit Political League, dal Partito verde di Aotearoa (fondato nel 1972 come New Zealand Values Party) e dal Partito maori del Mana Motuhake. Il programma di Alleanza prevedeva il ritorno in mano pubblica dei settori privatizzati e un nuovo sistema, sia scolastico che sanitario, nazionale e gratuito.
Nel settembre 1992 si è tenuto un referendum, promosso dal Partito dell'Alleanza contro i Partiti nazionalista e laburista, che ha abolito il sistema elettorale vigente (uninominale a turno unico) sostituendolo con un sistema proporzionale corretto sul modello tedesco.
Quanto alla politica estera, la tradizionale scelta filo-occidentale di Muldoon, volta soprattutto a mantenere un rapporto privilegiato con Stati Uniti e Gran Bretagna, fu abbandonata nella seconda metà degli anni Ottanta dal governo laburista di Lange. Quest'ultimo adottò una linea intesa da un lato a rafforzare l'unità dei paesi dell'area del Pacifico nel quadro di una scelta antinucleare ed ecologista, e dall'altro a intensificare le relazioni con i paesi vicini (Giappone, Corea, Cina, India, Filippine). Anche con l'Australia i rapporti commerciali furono incrementati con l'accordo del CER (Closer Economic Relations) che, avviato nel 1983, fu effettivamente applicato a partire dal luglio 1990. I legami militari fra i due paesi subirono invece una grave crisi dovuta alla scelta antinucleare neozelandese. Solo con il ritorno al potere del Partito nazionale, la tensione nei rapporti con l'Australia e gli Stati Uniti si è allentata grazie a una politica meno rigida, condotta dal nuovo ministro degli Esteri, D. McKinnon.
Una questione interna di grande rilievo, soprattutto nell'ultimo decennio, è stata quella relativa alla minoranza aborigena dei Maori (pari al 13% della popolazione secondo i dati del censimento del 1986). La rivendicazione del rispetto del trattato di Waitangi, concluso nel 1840 fra il governo britannico e i capi maori (con cui la Gran Bretagna aveva ottenuto la sovranità sul paese in cambio di una serie di garanzie riguardanti i diritti sulla terra e la protezione delle foreste e delle zone tradizionali di pesca, nonché il riconoscimento di uno status del popolo maori), riemerse infatti nel 1975 con la richiesta di restituzione del promontorio del porto di Auckland alla popolazione aborigena. Dopo un decennio di trattative e la nascita di un movimento maori (Kotahitanga), che diede vita a una grande manifestazione pacifista nel febbraio 1984, nel 1985 il governo Lange istituì il Tribunale Waitangi per affrontare la questione nel suo complesso, a partire dal riconoscimento ufficiale della lingua maori. Fra il 1987 e il 1988 le proteste delle popolazioni aborigene si fecero più ampie e pressanti, fino a rivendicare i diritti su circa il 70% della terra. Tali rivendicazioni spaccarono l'opinione pubblica bianca tra chi cominciava a sensibilizzarsi ai problemi dei Maori e chi, invece, considerava irragionevoli le loro pretese. In questo clima il governo cercò un'intesa con i Maori, introducendo, nel 1988, una legge che prevedeva per la comunità aborigena una quota del 2% della pesca annuale per un periodo di 19 anni. I Maori, per parte loro, accusarono il governo di aver varato una legge sostanzialmente razzista, dal momento che essa escludeva di fatto qualunque ulteriore rivendicazione da parte maori su altri diritti di pesca per 19 anni. Anche esponenti della comunità bianca neozelandese attaccarono la legge proponendo in alternativa di elevare al 50% la parte di pesca annuale dovuta ai Maori (sempre fino al 2008). Ma la questione non è ancora stata risolta.
Una seconda questione ha segnato la storia del paese nell'ultimo ventennio: quella relativa alla politica nucleare. Dal 1984, con il governo Lange, la N. Z. ha optato infatti per una politica radicalmente antinucleare (che ribadiva la tradizionale opzione laburista, già espressa negli anni 1973-74, di opposizione agli esperimenti francesi nel Pacifico), vietando il passaggio nelle sue acque a ogni nave con armamento nucleare. Tale scelta ha comportato considerevoli tensioni nei rapporti fra la N. Z. e i suoi due partners dell'ANZUS (patto trilaterale militare), Stati Uniti e Australia, fino a che, nel 1987, gli Stati Uniti hanno annunciato la decisione di non rinnovare l'accordo stipulato nel 1982 che prevedeva la vendita alla N. Z. di armamenti statunitensi a prezzi favorevoli. La decisione del governo Lange di rafforzare le risorse militari del paese e di confermare l'accordo difensivo che legava la N. Z. all'Australia, alla Malaysia, a Singapore e alla Gran Bretagna (febbraio 1987) nel quadro di un'opzione antinucleare fu ratificata nel giugno 1987 dal voto parlamentare, con l'opposizione del solo Partito nazionale. Ma nel 1990 anche questo partito si schierò sul fronte antinucleare, mantenendo questa posizione anche dopo l'ingresso al governo. Una svolta tuttavia fu attuata di lì a poco da Bolger con la decisione di ristabilire effettivi rapporti di difesa militare con gli Stati Uniti da un lato, e l'ASEAN (Association of South-East Asian Nations) dall'altro, e, in seguito alla decisione statunitense di rimuovere gli armamenti nucleari dalle navi da guerra (settembre 1991), con una revisione del divieto di passaggio a qualunque nave a propulsione nucleare, considerato un serio ostacolo alla ripresa delle relazioni militari con USA e Australia.
Bibl.: B. H. Easton, Social policy and the welfare state in New Zealand, Auckland 1980; R. Alley, New Zealand and the Pacific, Boulder 1984; M. McKinley, The ANZUS alliance and New Zealand labour, Canberra 1986; The Fourth Labour government: radical politics in New Zealand, a cura di J. Boston e M. Holland, Auckland 1987; G. W. R. Palmer, Unbridled power: an interpretation of New Zealand's constitution & government, ivi 1987; B. Jesson, Revival of the right: New Zealand politics in the 1980s, ivi 1988; R. G. Mulgan, Maori, Pakeha, and democracy, ivi 1989; J. Kelsey, A question of honour?: labour and the treaty 1984-1989, Wellington 1990; R. K. Vasil, What do the Maori want?: new Maori political perspectives, Auckland 1990; J. Boston, Reshaping the state: New Zealand's bureaucratic revolution, ivi 1991.
Letteratura. - Come nel caso di altri territori coloniali, gli inizi della letteratura della N. Z. si fanno risalire ai racconti di viaggio e di esplorazione.
Tra i primi documenti emerge A first year in Canterbury settlement (1863) del vittoriano S. Butler (1835-1902), il quale si mostrava tuttavia scettico sul futuro culturale della colonia, ancora impegnata in una mera sopravvivenza fisica. Una descrizione più affascinante dell'esperienza neozelandese è invece Station life in New Zealand (1870) di Lady M. A. Butler (1831-1911). Quasi contemporaneamente, e a soli vent'anni dall'arrivo dei primi coloni, appare The book of Canterbury rhymes (1866), un velleitario bilancio poetico a cura di C. J. Martin: si tratta di componimenti convenzionali, dettati per lo più dallo slancio di una visione utopistica e da un bagaglio culturale di carattere religioso-puritano, romantico e più direttamente vittoriano. Il primo elemento distintivo della letteratura neozelandese va ricercato nella documentazione sulla civiltà maori e nel rapporto fra Maori e Pakeha (cioè neozelandesi di razza bianca e di origine inglese). Con Mythology and traditions of the New Zealanders (1854) sir G. Grey (1812-1898) comincia a preparare la strada a quella che nel Novecento si distinguerà come una sorta di letteratura maori.
La N. Z. esordisce sulla scena internazionale con K. Mansfield (1888-1923), tra le più raffinate narratrici del Novecento (Collected stories, 1945; trad. it., Tutti i racconti, 1979). Nonostante una sensibilità sempre divisa tra due mondi molto diversi (N. Z. ed Europa), la sua opera s'inserisce più giustamente nell'ambito della sperimentazione modernista anglosassone, cui essa aggiunge la lezione cechoviana.
La narrativa trova i primi sviluppi interessanti con W. Satchell (1860-1942) e J. Mander (1877-1949), ma sarà solo negli anni Trenta che la separazione letteraria dalla madrepatria comincerà a farsi sempre più consapevole. J. A. Lee (1891-1982) con Children of the poor (1934) e R. Hyde (1906-1939) con Passport to hell (1936) e The Dodwitz fly (1938) s'impongono come scrittori che esplorano "tratti dell'esperienza neozelandese mai toccati prima", mentre si annunciano dichiarazioni d'indipendenza culturale con J. Mulgan (1911-1945), che in Report on experience (1947), un'autobiografia postuma, si batte per una coscienza letteraria nazionale. La sua esortazione è raccolta da F. Sargeson (1903-1982), che eccelle soprattutto nella misura del racconto e nell'uso di un linguaggio colloquiale, tipico del neozelandese medio; alle sue Collected stories (1965) si aggiungono un certo numero di romanzi, da A man and his wife (1940) a Joy of the worm (1969) alla trilogia memoriale Once is enough (1972), More han enough (1975), Never enough (1978), e di opere teatrali (A time for sowing, 1961; The cradle and the egg, 1962; Wrestling with the Angel, 1964).
La stagione della narrativa continua con Brown man's burden (1938), storie maori di R. Finlayson (n. 1904); Roads from home (1949), Not here not now (1970) e i racconti di The salamander and the fire: collected war stories (1986) di D. Davin (1913-1990); The young have secrets (1954), A way of love (1959) e A visit to Penmorten (1961), di J. Courage (1905-1963); Owls do cry (1957), The adaptable man (1965), The rainbirds (1968), Intensive care (1970), Living in the Maniototo (1979), The Carpathians (1988) di J. Frame (n. 1924); The race (1958) e Ice cold river (1961) di R. France (1913-1968).
Gli anni Trenta segnano anche l'inizio di un'autentica tradizione poetica neozelandese: impulso innovatore che durerà qualche decennio. M. U. Bethell (1874-1945), W. D'Arcy Cresswell (1896-1960), A. R. D. Fairburn (1904-1957), R. A. K. Mason (1905-1971) nelle sillogi This dark will ligten. Poems 1923-1941 (1941) e Collected poems (1962); D. Glover (1912-1980), autore di numerose raccolte (da Thistledown del 1935 a Since then, 1957; da Sharp edge up: verses and satires, 1968, a Or hawk or basilisk, 1978, a Towards Banks Peninsula, 1979); A. Curnow (n. 1911), una delle personalità più rappresentative della letteratura neozelandese contemporanea (Valley of Decision, 1933; Sailing or drowning, 1943; Poems 1949-1957, 1957; An abominable temper and other poems, 1973; Selected poems 1940-1989, 1990) e C. Brasch (1909-1973), autore di The land and his people (1939), di Home ground (1943), Disputed ground (1948), The estate (1957) e Ambulando (1964), prediligono tematiche sociali, soggetti umili, paesaggi, riflessioni metafisiche, con la cura di specifiche forme liriche come la ''ballata'' e l'uso di un linguaggio non più di maniera ma colloquiale, consapevole della lezione prima georgiana e poi modernista e imagista. Due importanti antologie a cura di Curnow − A book of New Zealand verse 1923-1945 (1945) e The Penguin book of New Zealand verse (1960) − codificano un importante bilancio poetico, proprio all'inizio di una nuova fase di ricerca, già introdotta da alcune riviste militanti: Landfall, fondata da Brasch nel 1947, e New Zealand poetry yearbook, fondata da L. Johnson (n. 1924) nel 1951. Quest'ultima, in particolare, tende a rinnovare l'impeto della prima generazione, ormai troppo ferma a moduli modernisti e al mito dell'identità nazionale.
Nei tre tradizionali centri culturali − Wellington, Auckland e Christchurch − i nuovi poeti si muovono attorno a riviste d'avanguardia (Ilands, Mate, Arena, Edge, Cave, Argot, Fragments, ecc.), i cui risultati sono registrati in The young New Zealand poets (1973), un'antologia nella quale sono presentati, tra altri, A. Baysting (n. 1947), autore di Over the horizon (1972); E. Beach (n. 1948); A. Brunton (n. 1946), che ha scritto Black and white anthology (1976); M. Edmond (n. 1949), autore di Entering the eye (1973); G. Langford (n. 1947), che alle liriche di The family (1972) ha affiancato il romanzo Vanities (1984); e I. Wedde (n. 1946), poeta, narratore e saggista (Made over, 1974; The shirt factory and other stories, 1981; Symmes hole, 1986; Survival arts, 1982; Tendering: new poems, 1988): tutti autori che offrono una valida testimonianza della vitalità della poesia neozelandese, che ha raggiunto oggi una propria individualità anche grazie al recupero del patrimonio culturale e ritmico indigeno. In questo contesto si affermano i primi poeti maori, tra cui ricordiamo almeno H. Tuwhare (n. 1922), che dà nuova vita in inglese ai vecchi primitivi tangi (lamenti funebri) maori (No ordinary sun, 1964; Sap-wood and milk, 1972; Something nothing, 1974; Making a fist of it, 1978; Selected poems, 1980).
Bibl.: E. H. McCormick, New Zealand literature, Londra 1959; K. Smithyman, A way of saying. A study of New Zealand poetry, ivi 1965; J. K. Baxter, Aspects of poetry in New Zealand, ivi 1967; V. O'Sullivan, An anthology of Twentieth Century New Zealand poetry, ivi 1970; W. Curnow, Essays on New Zealand literature, Auckland 1973; B. Mitcalfe, Maori poetry: the singing world, Melbourne-Victoria 1974; M. Rocca Longo, Maori e Pakeha, due culture nella narrativa neozelandese, Bologna 1975; Id., La poesia Neozelandese dalle origini inglesi ai contemporanei, ivi 1977; A guide to twentieth century literature in English, a cura di H. Blamires, Londra-New York 1983, sub voces (la sezione Nuova Zelanda è redatta da P. Quartermaine); W. H. New, Dreams of speech and violence: the art of the short story in Canada and New Zealand, Montreal 1988; Reference guide to English literature, a cura di D. L. Kirkpatrick, Chicago-Londra 19912, sub voces; The Oxford history of New Zealand literature, a cura di T. Sturm, Oxford 1991.
Cinema. - Le prime riprese cinematografiche realizzate in N. Z. risalgono alla fine del secolo 19°; ma solo nel 1914 G. Tarr girò il primo lungometraggio a soggetto, Hinemoa, basato su una leggenda maori. Due anni dopo R. Blandford firmò come produttore, regista e interprete The test, storia drammatica tratta da un romanzo di W. Satchell. La produzione degli anni Venti, peraltro esigua, fu dominata dalla personalità di R. Hayward, il quale realizzò sei film che restano fra i più significativi dell'intera filmografia neozelandese del periodo del muto (come My lady of the cave, 1922, e Rewi's last stand, 1925). Al tardivo avvento del sonoro (con Down the farm, 1935) seguì un modesto sviluppo in campo documentario, mentre la già scarsa produzione di lungometraggi a soggetto si bloccò definitivamente nel dopoguerra, restando ferma per circa tre decenni.
Alla fine degli anni Settanta lo stato istituì la New Zealand Film Commission che, unitamente alla televisione, divenne il principale promotore della rinascita del cinema nazionale. Anche sull'onda dei fermenti culturali provenienti dalla vicina Australia, si forma infatti una nuova generazione di registi dalle caratteristiche vivaci e multiformi, alcuni dei quali imboccheranno più tardi le più redditizie ma anche più commerciali strade di Hollywood.
È il caso, per es., di G. Murphy, che dopo aver esordito felicemente con Wild man (1977), realizza il più grande successo commerciale del cinema neozelandese, Goodbye Pork Pie (1981), godibile e singolare on-the-road, cui segue il sapido Utu (1983), divertita ma amara rivisitazione del colonialismo ottocentesco, primo film ufficialmente selezionato per il festival di Cannes; delude parzialmente con i successivi Never say die (1988) e Red King White Knight (1989), e approda alla confezione hollywoodiana di Freejack (1991), storia ambientata in un medioevo prossimo venturo, cui non giova l'analogia con l'assai più spettacolare Blade runner di R. Scott (1982). Affine il percorso di R. Donaldson che, dopo due opere piuttosto originali come Sleeping dogs (1977) e Smash Palace (1982), gira in coproduzione con Hollywood Bounty (1983), dignitoso ma inerte remake del celebre film di F. Lloyd (1935), e alcuni thrillers di buona fattura artigianale (No way out, Senza via di scampo, 1987; Cocktail, 1988; Cadillac man e White sands, 1992; West with the night, 1993).
Giallo e horror dominano la produzione degli anni Ottanta, con film che solo episodicamente riescono ad affrancarsi dagli schemi del genere. Meno ''allineati'' di altri appaiono S. Pillsbury (The scarecrow, La quarta vittima, 1982; Starlight hotel, Sotto un tetto di stelle, 1987; l'erotico Zandalee, 1991), J. Laing (Beyond reasonable doubt, Al di là di ogni dubbio, 1980; The lost tribe, 1984; Dangerous orphans, 1986; AWOL. Absent without leave, 1992), B. Morrison (Constance, 1983; Queen City rocker, 1986), R. Riddiford (Arriving tuesday, 1986; Zilch!, 1989), L. Narbey (Illustrious energy, 1988; The footstep man, 1991), G. Nicholas (User friendly, 1990), M. Sanderson (Flying fox in a freedom tree, 1990), J. Day (The returning, 1990), D. Blith (Moonrise, 1991), M. Pattison (Secrets, 1991), A. Clayton (Old scores, 1991).
Una così diffusa e in parte passiva adozione di moduli, ambienti, situazioni e personaggi tipici della cinematografia statunitense pone in decisa evidenza l'opera e la personalità di alcuni registi che, adottando solo le caratteristiche migliori del modello − soprattutto gli apporti tecnici e la disinvoltura narrativa −, dedicano maggior attenzione al ricchissimo e in gran parte inedito patrimonio culturale, sociologico e ambientale della loro terra: B. Barclay, che in Ngati (Sotto il segno di Orione, 1987) ha descritto la drammatica e affascinante realtà di un villaggio maori quale appare agli occhi di un giovane medico, e che in Te rua (1990) ha messo in parallelo due storie ambientate a Berlino e in N. Z.; J. Reid, che in Leave all fair (1984) ha delineato un suggestivo profilo biografico della celebre scrittrice neozelandese K. Mansfield; V. Ward (autore fra l'altro del soggetto di Alien 3, 1991), approdato ben tre volte a Cannes con Vigil (1984), storia di una bambina che vive isolata nei grandi spazi neozelandesi, con The navigator (1988), saga medievale di due fratelli e di un'intera comunità alla ricerca di una redenzione, e con Map of the human heart (1992), interpretato da J. Moreau e A. Parillaud, ambientato in un remoto insediamento artico dove un anziano esquimese rievoca gli anni Trenta, quando il luogo non era ancora contaminato dalle basi petrolifere; P. Jackson, gustoso specialista di comic-horror, che con Bad taste (1988), con l'insolito lungometraggio di marionette Meet the Feebles (1989) e con Braindead (1992) ha realizzato tre degli specimen più interessanti del genere; I. Mune, noto attore e sceneggiatore, che, passato alla regia con tre film d'azione forse troppo violenti, Came a hot friday (1984), Bridge to nowhere (1986) e The grasscutter (1989), ha affrontato e svolto in The end of the golden weather (1992) una delicata e penetrante analisi di psicologia adolescenziale.
Da segnalare, infine, una nutrita e pregevole presenza femminile nella regia: G. Preston ha esordito nel 1984 con un thriller di ottima fattura, Mr. Wrong, ma ha dato la piena misura delle sue doti di attenta osservatrice della vita quotidiana in Ruby and Rata (1990), delicata storia di due solitudini suburbane; M. Mita, dopo alcuni interessanti documentari, passa a un forte impegno civile con Patu! (1983), film sull'apartheid sudafricano, e con Mauri (1988), appassionato e poetico documento della cultura maori, cui la regista appartiene; A. Maclean, dopo il prestigioso premio ottenuto dal suo primo cortometraggio Kitchen sink al Sundance Film Festival (1991), è approdata a Cannes con il suo primo film, Crush (1992), interessante parabola sul potere del sesso; M. Read fa seguire al poliziesco Trial run (1983) il gustoso Send me a gorilla (Per favore mandatemi il gorilla, 1988). J. Campion (n. 1957), la personalità forse più notevole del cinema neozelandese degli ultimi anni, ha tracciato in Sweetie (1989) il diagramma del difficile rapporto tra due sorelle, mentre in An angel at my table (Un angelo alla mia tavola, 1990; premio speciale della giuria alla 47ª Mostra di Venezia, 1990) ha affrontato con straordinaria intelligenza e grande abilità narrativa il difficile tema dei rapporti fra arte e vita, tra creatività e ''diversità'', sceneggiando senza nessuna concessione alla retorica o all'agiografia i tre romanzi autobiografici della scrittrice neozelandese J. Frame. Più complesso appare The piano (Lezioni di piano, 1993), Palma d'oro ex aequo a Cannes: drammatica storia di una ragazza madre che si lascia coinvolgere suo malgrado in una situazione sentimentale ambigua e intricata, generata da un inconsueto accordo di scambio: assoggettarsi alle richieste erotiche di un rude inglese che vive ai margini di una comunità maori, in cambio del trasporto da una spiaggia a una residenza interna, al di là di una fitta boscaglia, di un pianoforte, unica proprietà della donna, che da tempo ha deciso di non pronunciare più una parola e di esprimersi solo con i tasti dello strumento.