Nuove mitologie religiose
Teorie del complotto e popular culture
Nell’ultimo decennio del 20° sec. le nuove mitologie religiose provenivano da movimenti religiosi: ricordiamo, in particolare, la voga della reincarnazione e l’attesa della fine del mondo (o almeno di questo mondo, sostituito da un altro qualitativamente diverso), collegate all’anno 2000 in chiave pessimistica da movimenti fondamentalisti cristiani o in chiave utopica e ottimistica dalla New Age. Nel 21° sec. le cose sembrano cambiate. Molti studiosi notano il passaggio dalla ‘religione’ alla ‘spiritualità’, e il venire meno di chiari confini fra le sfere del religioso e del non religioso. Questo processo, che porta alla creazione di nuove mitologie religiose la cui provenienza è per certi versi inattesa, può essere studiato lungo due principali direttrici.
Da una parte, l’11 settembre 2001 ha scatenato una rinnovata vitalità di ‘teorie del complotto’, che sono nate nella sfera politica ma hanno spesso assunto carattere religioso. L’idea secondo cui la storia non è come appare e ci sono verità segrete che il ‘complottista’ è in grado di scoprire è rapidamente passata dalla storia profana alla storia sacra. Dall’altra – non senza collegamenti con gli stessi avvenimenti dell’11 settembre – si è diffusa l’idea che la popular culture (cinema, romanzi, telefilm) possa essere fonte non solo d’intrattenimento ma anche di profonde verità che un mondo dominato da ‘poteri forti’ impegnati a nascondere la Verità (con la V maiuscola) permetterebbe di esprimere soltanto in questa forma. Ma ha senso parlare di popular culture in un’epoca postmoderna in cui ogni divisione fra cultura ‘alta’ e cultura ‘popolare’ è messa in discussione, talora non senza qualche ragione? L’espressione popular culture ha mantenuto anche in italiano il senso – diverso rispetto a ‘cultura popolare’, che indica piuttosto il folklore tradizionale – di una cultura ‘di massa’, nata con l’irruzione in Occidente dell’alfabetizzazione di un gran numero di persone che, avendo imparato a leggere, volevano delle letture semplici, attraenti e di effetto immediato.
La popular culture risponde alla domanda su ‘che cosa far leggere’ a queste persone scoprendo che è più facile leggere tutto quanto è seriale, tutto ciò che ritorna con gli stessi personaggi e la stessa ambientazione settimana dopo settimana o mese dopo mese. Questa serialità che si declina in quattro modi – il feuilleton, poi il fascicolo popolare, la dime novel, il pulp, quindi il fumetto, poi ancora le derivazioni radiofoniche e televisive – costituisce in senso rigoroso lo specifico della popular culture. Questi generi hanno anche scatenato polemiche e controversie ideologiche sulla loro natura educativa o al contrario di ‘oppio’ per le masse lavoratrici.
Già alla fine del 20° sec. si era notato come serie cinematografiche e televisive di fantascienza note in tutto il mondo come Star wars e Star Trek erano considerate da molti appassionati non soltanto come prodotti di consumo ma come veri e propri ‘luoghi teologici’, fonti di ‘verità’ di natura inequivocabilmente religiosa. Nel 21° sec. la tendenza a derivare nuove mitologie religiose, condivise da milioni di persone dalla popular culture, si è accentuata, molto al di là della fantascienza, sia con romanzi che hanno creato nuovi miti intorno alla figura di Gesù Cristo sia – su un versante del tutto differente – con la nascita di un vero e proprio universo di natura non cristiana ma pagana al cui centro sta il Fato e che ispira non una sola, ma diverse (e perfino concorrenti) serie televisive di grande successo.
Teorie politiche estreme – che creano una vera e propria sottocultura paranoica – e popular culture entrano così in concorrenza con i movimenti propriamente religiosi per creare nuove mitologie il cui carattere religioso, non sempre evidente alle origini, si fa progressivamente più chiaro.
Complottismo, declino della New Age e mitologia rettiliana
Le teorie del complotto e la visione ‘complottista’ della storia sono oggetto di una vastissima letteratura, e hanno trovato negli ultimi anni il loro principale studioso nel sociologo americano Michael Barkun (2003). La sociologia individua il ‘complottismo’ come il tentativo, per definizione minoritario, di conservare in diversi campi del sapere umano – ma principalmente la storia e la scienza – elementi della reject-ed knowledge (conoscenza scartata), cioè le ipotesi che la comunità accademica nella sua vasta maggioranza, dopo averle esaminate, ha respinto come spiegazioni false o inadeguate della realtà. Il complottista s’immagina che il rigetto della teoria cui è affezionato non sia avvenuto perché, seguendo i suoi normali e consueti modi di funzionamento, la comunità accademica è riuscita a ‘falsificarla’, nel senso di provarla come falsa, ma perché la maggioranza degli accademici – nonché dei media che riportano le loro conclusioni, e delle istituzioni politiche, professionali e religiose che ne tengono conto – partecipa a un vasto complotto dietro cui si celano ‘sette’ misteriose ma potentissime, interessi inconfessabili o poteri capaci di punire con la morte chiunque non obbedisca.
Mentre ‘microcomplotti’, che coinvolgono un numero relativamente limitato di persone, si verificano quotidianamente in molteplici ambiti (dalla criminalità comune al terrorismo), i ‘macrocomplotti’ di cui propriamente postula l’esistenza il complottista e che dovrebbero coinvolgere migliaia o anche milioni di persone sono tecnicamente impossibili. Come già metteva in luce la ‘sociologia del segreto’ di Georg Simmel (1858-1918), un segreto può essere davvero mantenuto solo da un numero ristretto di persone (al più, qualche centinaio): un segreto noto a migliaia di persone non è più tale, perché è statisticamente certo che qualcuno lo svelerà. Il complottismo non ha dunque alcuna plausibilità scientifica, ma ha un grande interesse sociologico, perché è sempre il sintomo di profondi disagi – individuali quando si tratta di manie di singoli, sociali quando le teorie del complotto sono condivise da migliaia di persone – che devono essere studiati e affrontati come tali, e che spesso generano mitologie religiose.
Così l’idea che la responsabilità per gli avvenimenti dell’11 settembre 2001 non sia da attribuire a ultrafondamentalisti islamici ma a esponenti dello stesso governo degli Stati Uniti, alla CIA, a Israele o agli ‘ebrei’ in genere, da una parte sfocia in teorie complottiste di carattere meramente politico, dall’altra assume i caratteri tipici della mitologia religiosa. Un momento di passaggio del cosiddetto movimento della verità sull’11 settembre dalla politica alla religione è costituito dalle opere del giornalista Webster Tarpley, la cui influenza nel movimento è stata profonda fin dalle origini anche se il grande pubblico lo conosce a partire soprattutto da alcune iniziative, particolarmente pubblicizzate, del 2008.
Dietro il ‘negazionismo’ dell’11 settembre di questo autore si nasconde una complessa tesi esoterica, intorno alla quale si è costruita una vera e propria conventicola internazionale di cui Tarpley è il leader. Secondo Tarpley, il compito più urgente dell’umanità è liquidare definitivamente ‘l’orrore che è Venezia’. Per Tarpley un’antica oligarchia che mira a controllare il mondo si è formata a Babilonia, ha controllato a lungo l’impero romano ed è poi diventata la Repubblica di Venezia, che ha avuto tra i suoi agenti sant’Ignazio di Loyola (1491-1556) e i gesuiti, Martin Lutero (1583-1546) e Oliver Cromwell (1599-1658). Dopo aver perso potere sul continente, i veneziani si sono infiltrati in Gran Bretagna e l’hanno trasformata nella ‘nuova Venezia’, prima di estendere il loro potere anche agli Stati Uniti. Ma la famiglia reale inglese, ‘neoveneziana’, continua a controllare molte cose, dal traffico di droga internazionale alla politica balcanica. La lotta – presentata con accenti che è difficile non definire religiosi – fra le forze del Bene e la setta segreta internazionale che discende dall’antica nobiltà veneziana è la chiave attraverso cui Tarpley e i suoi seguaci interpretano tutta la storia mondiale. Anche i principali consiglieri – o meglio, controllori – del presidente George W. Bush, tra cui il vicepresidente Richard Bruce Cheney, avrebbero fatto parte della setta di antica origine veneziana che aspira a controllare il mondo e che le forze del Bene devono sgominare.
La deriva religiosa delle teorie del complotto sull’11 settembre si spiega anche con un altro elemento: la crisi della New Age, un vasto fenomeno che negli ultimi decenni del 20° sec. aveva promesso un futuro utopico di pace e di felicità per tutti. Quando le sue promesse non si sono realizzate, la New Age è passata a una nuova fase che rinuncia alle grandi utopie sociali e si concentra sulla salvezza personale di singoli individui o piccoli gruppi, chiamata nell’Europa continentale Next Age e nei Paesi di lingua inglese Ascension movement (con riferimento alla possibilità – non più per tutti ma solo per qualcuno – di ‘ascendere’ a una condizione più felice, una sorta di New Age privata).
Carol S. Matthews ha insistito sul fatto che l’utopia non più sociale del ‘movimento dell’Ascensione’ comporta anche un elemento di utopismo rovesciato, di distopia, senza che questo elemento ne esaurisca peraltro i temi e le correnti. La New Age, spiegano i teorici del Movimento dell’ascensione, non ha potuto rinnovare il mondo perché si è trovata ad affrontare un avversario terribile che, nella sostanza, non si può battere: i Rettiliani.
La preistoria del mito dei Rettiliani – che è alla base di una delle più diffuse mitologie religiose nel primo decennio del 20° sec. – è letteraria, e certamente i suoi primi promotori hanno tratto ispirazione dal mito di Cthulhu, sviluppato da Howard Phillips Lovecraft (1890-1937) a proposito di mostri di altre dimensioni che gli antichi veneravano come dei e che ancora minacciano l’umanità, e dagli ‘anfibi con tre occhi’ provenienti dal pianeta Sirio creati dallo scrittore di fantascienza Philip Kindred Dick (1927-1982) nel suo romanzo Valis del 1991 (trad. it. 1993). Tuttavia, l’idea della creazione degli uomini da parte di alieni rettiloidi (o anfibioidi) che hanno usato l’ingegneria genetica, può essere datata al 1976, con le prime opere del criptoarcheologo (per altri, meno gentilmente, pseudoarcheologo) Zecharia Sitchin, che pensa di avere trovato presso i Sumeri prove dell’intervento sulla Terra di extraterrestri chiamati Annunaki, da cui derivano le ‘linee di sangue’ aliene ancora presenti sul nostro pianeta. Questa terminologia – Annunaki compresi – si ritroverà nella successiva letteratura, dove – soprattutto dopo l’11 settembre 2001 – gioca un ruolo decisivo a partire dal 1999 David Icke.
Considerato dal citato sociologo M. Barkun il più influente autore ‘complottista’ contemporaneo, e nato nel 1952 a Leicester, Icke è un ex calciatore professionista che ha giocato nella seconda divisione inglese come portiere del Coventry city e dell’Hereford united. Un’artrite reumatoide, stroncandone la carriera di calciatore, lo ha indotto a darsi alla politica nel partito dei Verdi, da cui è stato espulso dopo essersi proclamato pubblicamente ‘Dio’ e avere annunciato contemporaneamente la sua prossima ascensione al Cielo e disastri apocalittici che avrebbero colpito l’Inghilterra. In un Paese dove gli eccentrici sono spesso popolari, queste vicende valgono all’ex portiere frequenti inviti a talk show inglesi, dove emerge come il principale diffusore dell’idea della cospirazione rettiliana, cui dedica voluminose opere che incontrano un notevole successo. Nel 2004, continuando a usare sapientemente la televisione popolare – ma, forse, sapendo anche quando fermarsi – Icke accetta, e successivamente rinuncia, di partecipare all’edizione inglese 2005 del reality show, Big brother, ben noto anche in Italia come Il grande fratello.
La storia dei Rettiliani, così come circola nel Movimento dell’ascensione o nel Next Age, comincia centinaia di migliaia di anni fa sul pianeta Alpha Draconis. Il pianeta è abitato da Rettiliani, così chiamati dai loro ‘studiosi’ terrestri contemporanei perché assomigliano ai grandi rettili presenti sulla Terra, anche se molti di loro nutrendosi di sangue sono anche alle origini del mito del vampiro. Gli scienziati rettiliani notano che sul lontano pianeta Terra le scimmie si stanno evolvendo. Decidono allora di inviare una missione che, grazie ad avanzate conoscenze di ingegneria genetica, innesti il DNA dei Rettiliani su quello delle grandi scimmie per creare una razza di schiavi da dominare e manipolare, l’umanità terrestre. I Rettiliani hanno la capacità di mutare forma e sono sempre stati presenti sulla Terra per sorvegliare gli uomini, sottrarre loro energia e infine impedire che si evolvano eccessivamente.
Tracce della verità sui Rettiliani si trovano nel libro della Genesi – non fu forse un serpente a tentare Eva? – e nei miti sumeri. I Rettiliani – continua questa versione della storia – non vanno confusi con i Grigi (Greys). Questi ultimi sono gli ‘extraterrestri’ che guidano gli ufo e sono stati spesso descritti come ‘omini verdi’. Non derivano dalle scimmie, ma dai delfini (o da antenati di questi ultimi nella storia dell’evoluzione), e sono il frutto di un altro esperimento genetico che ha mescolato DNA rettiliano e DNA di cetacei. A differenza di quello che ha dato origine all’umanità, o l’esperimento non è stato condotto sulla Terra (i cetacei sono stati portati sul pianeta dei Rettiliani) ovvero i Grigi sono stati subito condotti su Alpha Draconis. Comunque sia, il DNA dei Grigi è instabile ed essi devono periodicamente rapire terrestri per ‘ripararlo’: di qui le storie di rapimenti di persone portate a bordo dei dischi volanti e sottoposte a quelli che definiscono, quando ritornano sulla Terra, ‘esperimenti medici’. I Grigi non sarebbero di per sé malvagi, ma molti di loro sono schiavi o alleati dei Rettiliani.
I Rettiliani sono presenti sulla Terra nel mondo antico sotto forma di divinità: queste dunque esistono veramente, anche se non hanno nulla di divino e sono semplicemente extraterrestri infinitamente più potenti degli uomini. Talora si rivelano come sono veramente, e questo spiega tutte le leggende su divinità-serpenti. A un certo punto della loro storia, i Rettiliani invadono la costellazione delle Pleiadi e ne massacrano gli abitanti, moralmente più rispettabili, ma tecnologicamente meno avanzati di loro. I Pleiadiani fuggono in diverse direzioni: alcuni vengono sulla Terra e a loro volta si incrociano con gli uomini, dando origine alle civiltà perdute di Atlantide e di Lemuria. Altri invece rimangono sui loro pianeti cercando di resistere ai Rettiliani o vagano altrove nello spazio, da dove entrano in contatto con persone umane capaci di percepirli per via medianica tramite quella peculiare forma di spiritismo diffusa nella New Age che è il channeling, così che nell’ambiente del Movimento dell’ascensione circolano numerosi volumi di ‘messaggi dalle Pleiadi’.
A causa della resistenza dei Pleiadiani, continua questa mitologia, i Rettiliani non si mostrano più apertamente. Usano la loro capacità di cambiare forma per nascondersi dietro le sembianze di potenti della Terra, mentre con altri – tra cui, da secoli, il governo degli Stati Uniti – stipulano alleanze, di cui sono segno in America la famosa immagine dell’occhio sopra la piramide nel Great seal (e nelle banconote da un dollaro) e l’altrettanto famosa pianta simbolica in base alla quale sarebbe stata costruita la città di Washington (entrambe sono considerate da una vasta letteratura ‘simboli massonici’ secondo leggende che però sono state mostrate da decenni come prive di fondamento). Secondo Icke, i Rettiliani controllano da secoli la Chiesa cattolica, tra l’altro – ma non esclusivamente – attraverso la massoneria. Molte famiglie reali sono di stirpe rettiliana: così la famiglia reale inglese, come proverebbe il fatto che la regina madre Elisabetta d’Inghilterra (1900-2002) sia stata ripetutamente vista trasformarsi da rettiliana in umana. Anche la famiglia Bush sarebbe composta da Rettiliani sotto mentite spoglie.
Il mito assicura che i dirigenti della massoneria, del satanismo, degli Illuminati (una società segreta realmente esistita tra il 18° e il 20° sec., ma la cui influenza è ampiamente esagerata dalle teorie del complotto in genere) sono tutti di stirpe rettiliana. Quanto alla religione, Gesù Cristo e altri profeti non sono mai esistiti e sono solo ‘figure simboliche’ che sono state confuse con antiche ‘divinità’, cioè con Rettiliani adorati come divinità dai popoli antichi.
Benché personalmente egli si dichiari non religioso, la mitologia creata da Icke (e che sfugge al suo controllo, ripresa com’è da centinaia di altri autori e siti Internet) ha evidenti accenti religiosi. La fede nei Pleiadiani come unici alleati dell’umanità contro i Rettiliani è, appunto, una fede. Inoltre, essa s’intreccia con il diffuso culto semireligioso della principessa Diana (Spencer, 1961-1997), che secondo lo stesso Icke aveva scoperto tutto il complotto quando aveva sposato un rettiliano della famiglia reale inglese. E infatti, avendo visto cose che non doveva vedere e avendo rifiutato l’offerta della regina madre di unirsi ai Rettiliani, la principessa Diana sarebbe stata uccisa su un antico luogo sacrificale consacrato alla dea Diana (mascherato da galleria stradale), e alla sua automobile venne fatto colpire, non a caso, il tredicesimo pilastro (tredici essendo naturalmente un numero simbolico rettiliano).
Ma le cose potrebbero anche avere avuto una dimensione più complicata perché, secondo Icke e i suoi seguaci, il principe Carlo d’Inghilterra è oggi uno dei maggiori Rettiliani purosangue. E questi non sempre vanno d’accordo con i Rettiliani mezzosangue, che controllano la setta degli Illuminati nel cui albero genealogico ci sono Rettiliani che si sono accoppiati con umani (si trova qui un’eco della disputa fra maghi di sangue puro e maghi che hanno tra i loro antenati degli umani non dotati di poteri magici, presente nella saga di Harry Potter della scrittrice inglese Joanne K. Rowling, a sua volta di grande influenza su tutta la popular culture degli anni 2000 ma da cui peraltro nessuno ha finora derivato mitologie religiose). Appunto queste beghe fra i Rettiliani e gli Illuminati – da loro controllati ma oggi entrati in uno stato di agitazione – si sono manifestate, secondo Icke, negli attentati dell’11 settembre 2001, di cui tali controversie sono la causa diretta. La famiglia Bush ha certamente responsabilità secondo questa mitologia negli eventi dell’11 settembre, ma non è escluso che c’entrino anche alcuni musulmani, tanto più che, secondo Icke, l’islam sarebbe stato a suo tempo creato dagli stessi Illuminati.
Icke potrebbe sembrare un pazzo isolato, ma non lo è – almeno nel senso che non è isolato. I suoi libri – quasi tutti tradotti anche in italiano – si vendono a centinaia di migliaia di esemplari, e senza considerare il ruolo di Icke e della teoria dei Rettiliani non è possibile neppure cominciare a comprendere una delle principali direzioni in cui si muove il Movimento dell’ascensione, che ha fatto seguito alla New Age e rappresenta per molti versi nel decennio iniziato nel Duemila l’ultimo grido in tema di nuova religiosità.
The Da Vinci code e i nuovi miti su Gesù Cristo
Nessuna opera di popular culture è mai riuscita a creare una nuova mitologia religiosa sulla stessa scala in cui lo ha fatto, nel 2003, il romanzo del professore di liceo statunitense Dan Brown The Da Vinci code (trad. it. Il codice da Vinci, 2003) che ha venduto nel mondo oltre sessanta milioni di copie e ha avuto poi anche un’inevitabile trasposizione cinematografica (Brown si era occupato anche degli Illuminati nel precedente romanzo, di minore successo, Angels & demons, 2000; trad. it. Angeli e demoni, 2004). Indagini sociologiche ci dicono che in un Paese come la Gran Bretagna un buon terzo degli adulti e quasi la metà dei giovani credono che Gesù Cristo fosse effettivamente sposato con Maria Maddalena (secondo la tesi centrale del libro). Non leggono dunque The Da Vinci code come un romanzo, ma ne fanno – precisamente – un ‘luogo teologico’ sulla base del quale elaborano una nuova mitologia religiosa che ha al suo centro una figura di Gesù Cristo ricostruita in un modo nuovo, incompatibile con tutte le tradizioni cristiane precedenti. Un breve esame del libro di Brown, dei suoi antecedenti e della mitologia che è riuscito a creare sembra dunque necessario.
The Da Vinci code mette in scena una caccia al Santo Graal. Quest’ultimo – secondo il testo – non è, come la tradizione ha sempre creduto, una coppa in cui fu raccolto il sangue di Cristo, ma una persona, Maria Maddalena, la vera ‘coppa’ che ha tenuto in sé il sang réal – in francese antico il «sangue reale», da cui ‘Santo Graal’ –, cioè i figli che Gesù Cristo le aveva dato. La tomba perduta della Maddalena è dunque il vero Santo Graal. Apprendiamo inoltre che Gesù Cristo aveva affidato una Chiesa, che avrebbe dovuto proclamare la priorità del principio femminile, non a san Pietro ma a Maria Maddalena, sua moglie, e che non aveva mai preteso di essere Dio. Sarebbe stato l’imperatore Costantino (280-337) a reinventare un nuovo cristianesimo sopprimendo l’elemento femminile, proclamando che Gesù Cristo era Dio, e facendo ratificare queste sue idee patriarcali, autoritarie e antifemministe dal concilio di Nicea (325). Il progetto presuppone che sia soppressa la verità su Gesù Cristo e sul suo matrimonio, e che la sua discendenza sia soppressa fisicamente. Il primo scopo è conseguito scegliendo quattro Vangeli ‘innocui’ fra le decine che esistevano, e proclamando ‘eretici’ gli altri Vangeli ‘gnostici’, alcuni dei quali avrebbero messo sulle tracce del matrimonio fra Gesù e la Maddalena. Il secondo, per disgrazia di Costantino e della Chiesa cattolica, non è realizzato in quanto i discendenti fisici di Gesù si sottraggono e secoli dopo riescono perfino a impadronirsi del trono di Francia con il nome di Merovingi. La Chiesa riesce a fare assassinare un buon numero di Merovingi dai Carolingi, che li sostituiscono, ma nasce un’organizzazione misteriosa, il Priorato di Sion, per proteggere la discendenza di Gesù e il suo segreto.
Al Priorato sono collegati i Templari – per questo perseguitati – e più tardi anche la massoneria. Alcuni fra i maggiori letterati e artisti della storia sono stati Gran maestri del Priorato di Sion, e alcuni – fra cui Leonardo da Vinci (1452-1519) – hanno lasciato indizi del segreto nelle loro opere. La Chiesa cattolica, nel frattempo, completa la liquidazione del primato del principio femminile con la lotta alle streghe, in cui periscono (sempre secondo The Da Vinci code) cinque milioni di donne. Ma tutto è vano: il Priorato di Sion sopravvive, così come i discendenti di Gesù in famiglie che portano i cognomi Plantard e Saint Clair.
Nel romanzo s’ipotizza che il Priorato oggi si appresti a rivelare il segreto al mondo tramite il suo ultimo Gran maestro, un curatore del Museo del Louvre che si chiama Jacques Saunière. Per impedire che questo avvenga, Saunière e i suoi principali collaboratori sono assassinati. Uno studioso di simbologia americano, Robert Langdon, è sospettato dei crimini, ma una criptologa che lavora per la polizia di Parigi – Sophie Neveu, la nipote di Saunière – crede nella sua innocenza e lo aiuta a fuggire. Il lettore è indotto a credere che responsabile degli omicidi sia l’Opus Dei, ma le cose sono più complicate. Sul conto di questo istituto cattolico si ripetono le più crude ‘leggende nere’, cento volte smentite, ma dure a morire, che sono desunte da quella letteratura internazionale che lo critica, e che viene esplicitamente citata. Nel romanzo, un nuovo Papa progressista ha deciso di rescindere i legami fra la Chiesa e l’Opus Dei che risalgono a papa Giovanni Paolo II (1920-2005), e il prelato dell’Opus Dei accetta la proposta che gli proviene da un misterioso Maestro: pagando a questo personaggio una somma immensa, potrà ricattare la Santa Sede impadronendosi delle prove del segreto del Priorato di Sion – cioè della ‘verità’ su Gesù Cristo – e minacciando di rivelarle al mondo. Un ex criminale, ora numerario dell’Opus Dei, è ‘prestato’ al Maestro, e proprio quest’ultimo lo spinge a commettere una serie di crimini. In realtà, il Maestro lavora per sé stesso: è un ricchissimo studioso inglese, anticattolico, che vuole rivelare il segreto al mondo e accusa il Priorato di tacere per timore della Chiesa. Fra morti ammazzati, enigmi e inseguimenti, Robert Langdon e Sophie – fra i quali nasce anche l’inevitabile storia d’amore – finiscono per scoprire la verità: la tomba della Maddalena è nascosta sotto la piramide del Louvre, voluta dall’esoterista e massone presidente francese François Mitterrand (1916-1996), ma il sang réal scorre nelle vene della stessa Sophie, che è dunque l’ultima discendente di Gesù Cristo.
Molti potrebbero obiettare a una discussione del romanzo in una sede come questa che si tratta, appunto, di fiction che in quanto tale non ha a che fare con la religione. Tuttavia – come si è visto – per quanto si tratti indubbiamente di un romanzo il testo è, anzitutto, percepito come fonte d’informazioni religiose da milioni di persone, e dall’interazione fra testo e lettori è nata appunto una nuova mitologia religiosa. In secondo luogo, chi pone questa questione di solito non ha letto la pagina di The Da Vinci code intitolata Informazioni storiche (scomparsa nell’edizione italiana a partire dalla sesta ristampa), dove l’autore Brown afferma che «tutte le descrizioni [...] di documenti e rituali segreti contenute in questo romanzo rispecchiano la realtà» e si fonderebbero in particolare sul fatto che «nel 1975, presso la Bibliothèque Nationale di Parigi, sono state scoperte alcune pergamene, note come Les Dossiers Secrets» con la storia del Priorato di Sion (Brown 2003, trad. it., p. 9).
Queste affermazioni hanno riportato l’attenzione su una controversia che pareva minore e dimenticata. Presso la Bibliothèque nationale de France di Parigi erano stati non ‘scoperti’ ma depositati nel 1967, non nel 1975, Les Dossiers secrets de Henri Lobineau. Non si tratta di pergamene ma di testi che parlano del modo di interpretare certe pergamene, le quali non erano allora né sono adesso alla Bibliothèque nationale de France, ma erano state consegnate da Pierre Plantard (1920-2000), insieme a un suo manoscritto, a un autore di libri popolari sui ‘misteri della Francia’, Gérard de Sède (1921-2004), il quale avrebbe poi rielaborato e pubblicato il manoscritto come L’or de Rennes ou la vie insolite de Bérenger Saunière, curé de Rennes-le-Château (1967). Oggi sono in possesso di Jean-Luc Chaumeil, autore di libri sull’esoterismo.
È assolutamente certo che sia Les Dossiers secrets sia le pergamene sono documenti falsi compilati nello stesso 1967, e tutte le persone coinvolte nella falsificazione lo hanno ammesso, sia pure dopo qualche anno. Secondo de Sède le pergamene erano state fabbricate da Philippe de Chérisey (1925-1985), un marchese attore di sceneggiati televisivi e appassionato di enigmistica. In effetti, de Chérisey non solo ha ripetutamente ammesso di avere confezionato queste pergamene sia in lettere sia in testi pubblicati a stampa, ma anche in un memoriale. In questo che era destinato a essere prima trasmesso a un numero ristretto di amici e studiosi e poi pubblicato vent’anni dopo che fosse morto (il che è avvenuto, tramite Chaumeil, nel 2006) ha descritto minuziosamente i dettagli della mistificazione. Anche Plantard aveva ammesso la falsità dei documenti, già nell’aprile 1989 sul numero 1 della seconda serie della sua rivista «Vaincre», e lo avrebbe ripetuto in seguito anche in tribunale.
Le ricerche condotte con rinnovato interesse dal mondo accademico proprio dopo il successo di The Da Vinci code hanno confermato che tutto è falso nella presunta ‘base fattuale’ del romanzo: falsi i documenti che dovrebbero provare il matrimonio fra Gesù Cristo e la Maddalena, e la loro discendenza che tramite i Merovingi arriverebbe al loro ultimo erede, lo stesso Pierre Plantard; falsa la storia del Priorato di Sion, che non è mai esistito prima della sua fondazione nel 1956 di fronte a notaio da parte di Plantard (che ha poi inventato improbabili genealogie medievali); grossolanamente errata l’interpretazione dei dipinti di Leonardo e in ogni caso falsa l’idea di una sua affiliazione a una società esoterica, appunto il Priorato di Sion, nata solo nel 20° sec.; false le cifre e l’interpretazione della stregoneria; falsa l’interpretazione della storia dei primi secoli cristiani, dove per la ricerca storica è ovvio che la fede nella divinità di Gesù Cristo appartiene alle stesse origini apostoliche e la scelta dei quattro attuali Vangeli come canonici era già saldamente radicata nella Chiesa almeno dalla fine del 2° sec., cento anni prima di Costantino.
La costruzione sociale della nuova mitologia religiosa dopo The Da Vinci code ha portato inoltre nel primo decennio del 21° sec. a un entusiasmo, impensabile solo nel decennio precedente, per i Vangeli apocrifi o ‘gnostici’, dove secondo Brown si troverebbero le prove del matrimonio fra Gesù Cristo e la Maddalena (una tesi che è stata a sua volta respinta nel modo più reciso da tutti gli specialisti dello gnosticismo).
Certo, è a suo modo strabiliante che i vangeli ‘gnostici’ – testi fino al 2003 letti quasi dai soli specialisti – dopo la pubblicazione di The Da Vinci code siano diventati best seller. Essi sembrano infatti necessari alla costruzione della nuova mitologia religiosa, che però deve scambiarli per quello che non sono: resoconti alternativi, con le stesse pretese storiche dei Vangeli canonici, della vita di Gesù Cristo mentre si tratta di testi di valore simbolico ed esoterico che raramente reclamano per sé una veridicità storica. È il caso del Vangelo di Giuda, ‘salvato’ sulla base di un codice la cui storia fa parte delle vicissitudini dell’archeologia clandestina e illegale in Medio Oriente e pubblicato per la prima volta nel 2006 dal «National geographic» con una grande campagna pubblicitaria internazionale: un testo oscuro e difficile che certo non avrebbe raggiunto, come è invece avvenuto, milioni di lettori senza The Da Vinci code.
Il Vangelo di Giuda ricostruito (non completamente) dal gruppo guidato da Rodolphe Kasser sulla base del codice maltrattato da tombaroli malavitosi e antiquari ricettatori è un testo copto che risale al 400 dopo Cristo. Ci sono buone probabilità – ma, come ammettono onestamente gli editori, non la certezza – che sia una tarda traduzione di un testo del 2° sec., noto perché lo cita sant’Ireneo di Lione (130-202) nella sua polemica contro gli gnostici. Il testo non rappresenta (come pretende la nuova mitologia religiosa nata con Brown che lo ha ‘adottato’) una versione che si pretende storica della storia di Gesù Cristo, ma – come la maggioranza dei documenti gnostici – ha natura pedagogica e catechetica. Pochi singoli episodi della vita di Gesù (alcuni diverbi con i discepoli, il rapporto privilegiato con Giuda, la presentazione – peraltro brevissima – del presunto tradimento di Giuda come preordinato e provvidenziale) costituiscono più che altro dei pretesti per insegnare una cosmologia e un’antropologia radicalmente alternative a quelle cristiane.
Nel Vangelo di Giuda Gesù è un messaggero mandato dal regno immortale del Pleroma a riunire gli gnostici denunciando la natura malvagia del creatore di questo mondo, il personaggio venerato come Dio nell’Antico Testamento. Lo scontro di Gesù con l’ebraismo è radicale; egli deride gli Apostoli quando pregano: perché senza saperlo stanno pregando il dio malvagio, la fonte del male. Il vero dio, come in tutti i testi gnostici, non è il creatore di questo mondo imperfetto venerato dagli ebrei ma il Grande che presiede al mondo spirituale degli gnostici.
Ma – in modo anacronistico, e a conferma che ci si trova di fronte a un testo simbolico, senza pretese storiche – Gesù se la prende anche con i cristiani, anch’essi coinvolti nell’adorazione del falso dio creatore, cui rivolgono vane preghiere.
C’è però uno che non prega, Giuda. Gesù lo riconosce come gnostico e lo istruisce segretamente nei misteri del Grande. Ogni gnostico è legato a una stella, una che non è sotto il dominio delle divinità malvagie. E a Giuda Gesù, nel testo pubblicato nel 2006, dice: «Ti è stato detto tutto. Leva gli occhi e osserva la nube e la luce in essa, e le stelle intorno. La stella che indica la via è la tua stella» (Il Vangelo di Giuda, 2006, pp. 41-42).
Nelle ultime righe del documento – le uniche note ai lettori di molti quotidiani che si sono occupati del caso – Giuda è lodato perché con il presunto tradimento permette a Gesù di deporre il ripugnante travestimento che lo faceva scambiare per un membro a pieno titolo del mondo umano e materiale creato dal dio malvagio, e che aveva dovuto adottare per farsi capire. Dopo essere stato ucciso, Gesù ridiventa quel puro spirito del tutto privo di caratteri umani che, per lo gnostico che sapeva vedere al di là delle apparenze, era sempre stato.
Il Vangelo di Giuda – a volerlo leggere nel 21° sec. e dopo The Da Vinci code – potrebbe semmai confermare la distanza fra l’autentico gnosticismo dei primi secoli cristiani e la nuova mitologia di Brown. Nel Vangelo di Giuda Gesù è presentato come meno umano di quanto non sia nei Vangeli canonici, non più umano come vorrebbe lo scrittore americano. Troppo complicato per essere compreso a fondo da molti adepti della nuova mitologia religiosa, che non hanno le categorie storiche e filologiche per collocarlo nel suo contesto storico; anche il Vangelo di Giuda è però servito a rafforzare il mito secondo cui la verità sulle origini cristiane è stata oscurata da un ‘complotto’ ordito dalla cultura ‘ufficiale’ e dalla religione istituzionale, contro il quale si levano le voci fuori del coro di pochi studiosi coraggiosi o di romanzieri come Brown.
Mitologie e serie televisive: un nuovo paganesimo?
La produzione di nuove mitologie religiose da parte della popular culture non è confinata ai romanzi e ai film. Vi giocano un ruolo fondamentale le serie televisive, che raggiungono un pubblico vastissimo. In particolare, benché i loro creatori si professino variamente atei, agnostici o religiosi a modo loro, un certo numero di serie televisive che hanno raggiunto milioni di persone fra la fine del 20° sec. e il primo decennio del 21° condividono la stessa visione del mondo che, propriamente, non è né cristiana né agnostica ma è pagana. Secondo queste serie il mondo è il teatro di uno scontro fra due poli – che si possono provvisoriamente chiamare Luce e Ombra, Bene e Male, anche se approfondendone la natura si scoprirà poi che le cose sono più complicate – ciascuno dei quali è retto da ‘Poteri’, forze personificate che ricordano gli dei delle mitologie antiche e che non sono onnipotenti. Ultimamente gli dei della Luce e quelli dell’Ombra sono tutti sottoposti al Fato, che non si cura della vittoria dell’una e dell’altra parte ma veglia al loro necessario equilibrio.
Questa mitologia è appena abbozzata nella serie The X-Files di Chris Carter, che si è conclusa dopo nove stagioni il 19 maggio 2002, e che mette in scena vari gruppi di alieni e un grande complotto per nasconderne l’esistenza al genere umano, contro cui lottano – sostanzialmente isolati anche all’interno della loro agenzia – due agenti dell’FBI, Fox Mulder e Dana Scully. The X-Files costituisce, per così dire, il ponte fra le serie degli anni Novanta e quelle che vengono a maturità negli anni Duemila, dove il tema pagano dei Poteri e del Fato emerge in tutta la sua chiarezza.
Viene preso qui in considerazione anzitutto il complesso universo creato da Joss Whedon con le due serie collegate Buffy the vampire slayer (Buffy l’ammazzavampiri), che si conclude dopo sette stagioni nel 2003, e Angel (cinque stagioni dal 1999 al 2004). Come emerge nelle ultime stagioni di Buffy, poi con sempre maggiore chiarezza in Angel, i Poteri che reggono il mondo (dove esistono anche altre creature superiori all’uomo, tra cui i vampiri, sopravvivenze di epoche più antiche rispetto alla comparsa dell’umanità) non sono necessariamente ‘buoni’, anzi sono spesso capricciosi e difficili da ascrivere al campo del Bene o del Male. Nella quarta stagione di Angel (2003) si disvela una complessa mitologia dell’Anticristo, incarnato in una bellissima donna, Jasmine, nata già adulta dagli amori di due vampiri, per far nascere la quale i Poteri hanno ingannato i protagonisti principali. Jasmine è sconfitta, ma i Poteri – o almeno alcuni di loro – restano convinti che obbligare l’umanità al bene togliendole il libero arbitrio non sia poi una cattiva idea. La controprova si ha nella quinta stagione (2004) quando la Terra è minacciata dall’Apocalisse, e la domanda se questa si verificherà rimane sospesa, sia perché Whedon ha voluto dare alla lunga saga di Buffy e Angel un finale a sorpresa, una non conclusione, sia perché l’autore pensava che la rete televisiva Warner gli avrebbe permesso di continuare con una sesta stagione, il che poi non è avvenuto (Whedon ha però continuato la saga in una versione a fumetti).
Comunque sia, i Poteri di Whedon non controllano ultimamente né l’umanità (anche se sono molto più potenti di lei e possono condizionarla e ingannarla) né sé stessi, e sono in balia delle leggi del Fato e dell’equilibrio cosmico. Lo stesso si verifica nelle otto stagioni di Charmed (Streghe), che sono andate in onda dal 1998 al 2006 e dove le protagoniste, streghe ‘buone’, collaborano con Angeli bianchi che fanno riferimento ad ‘Anziani’, a loro volta non onnipotenti e che combattono – ma qualche volta trattano – con i mandanti dei rivali Angeli neri. Qui la rivalutazione della stregoneria ‘bianca’ secondo i canoni del movimento religioso, di crescente diffusione negli Stati Uniti, della Wicca o neostregoneria, fa da contrappunto a una visione del mondo sempre più dichiaratamente (neo)pagana.
Alla serie del 2005 Point pleasant – in cui Christina, figlia di una donna umana e di Satana, che è però molto lontano dalla sua raffigurazione biblica, può e deve decidere fra scatenare l’Apocalisse e condurre una vita ‘normale’ fra gli uomini – si dedica solo un breve cenno, non perché la tematica sia secondaria nella costruzione di questa nuova mitologia religiosa, ma perché lo scarso successo di pubblico ha portato a cancellarla dopo una sola stagione.
Forse, la serie televisiva dove la nuova mitologia emerge con maggiore chiarezza è Tru calling (2003-2005), che ha come protagonista Eliza Dushku (l’attrice che interpreta la cacciatrice di vampiri Faith in Buffy). Tru Davies, una studentessa di medicina, lavora in un obitorio. Scopre che da alcuni cadaveri – non da tutti – esce una voce che solo lei può sentire e che chiede: «Aiutami». A questo punto le ultime ventiquattro ore ‘si riavvolgono’: Tru le rivive una seconda volta, ricordando tutto quello che è già avvenuto (così che, per es., può impedire piccoli guai familiari e, se ha bisogno di denaro, scommettere su eventi sportivi di cui conosce già il risultato) e cercando di salvare la vita alla persona che le ha chiesto aiuto. Nella seconda stagione la storia si va sempre più concentrando sulla lotta fra Tru e Jack (comparso negli ultimi episodi della prima serie). Per entrambi le stesse giornate ‘si riavvolgono’, ma i due lavorano per Poteri diversi: Tru cerca di salvare chi è stato vittima di un incidente o di un omicidio, Jack di impedire che Tru svolga la sua opera di salvezza perché il Potere che lo ispira pensa che il destino non debba cambiare.
Si scopre anche che il mentore di Jack – e il suo predecessore in una lunga catena di ‘agenti’ del destino immutabile – è il padre di Tru, e che l’ultima di una serie di persone cui è invece concesso cambiare il Fato e salvare persone destinate a morire è stata, prima di Tru, la sua defunta madre. Gli spettatori e Jack sanno – ma non lo sa Tru – che alla fine, disperando di poterla battere, il padre della protagonista ha ucciso la moglie.
Nonostante i consensi della critica, la casa produttrice Fox ha tagliato brutalmente la serie dopo la sesta puntata della seconda stagione. Negli Stati Uniti capita spesso: se gli ascolti non sono quelli sperati i telefilm finiscono anche se non è finita la storia. La serie finisce così con molte questioni irrisolte: nell’ultimo episodio americano (il penultimo in Italia, dove è andato in onda un episodio speciale di Natale ‘tagliato’ negli Stati Uniti) Tru per la prima volta salva una persona che è morta ma non le ha chiesto aiuto, il biondo studente Jensen di cui si è innamorata. Nell’episodio natalizio Jack e il padre di Tru promettono di occuparsi di Jensen a tempo debito: ma la serie finisce.
Una delle autrici degli scenari – Doris Egan – ha in seguito rivelato alle legioni di fans delusi come sarebbe proseguito Tru calling. Anche in questo caso ci sono due Poteri che si contrappongono senza che l’uno riesca a prevalere sull’altro. Un Potere ha obbedito al Fato come tutti lo conosciamo: chi muore rimane morto. La mitologia non spiega per quali fini questo Potere, che è il più antico, agisca: Jack e i suoi predecessori ci direbbero che, nonostante tutte le apparenze, ci assicura l’ordine, una chiara frontiera fra la vita e la morte, e il migliore dei mondi possibili. A un punto imprecisato nel tempo, forse perché il primo Potere si è diviso in sé stesso come in certe cosmologie gnostiche, un secondo Potere è sorto, si è ribellato e ha deciso di offrire ad alcune delle persone che muoiono – scelte in modo più o meno arbitrario – una seconda possibilità. Dopo la morte passano in uno stato intermedio in cui possono scegliere se rimanere morte o chiedere aiuto agli agenti del secondo Potere, che in questo caso riporteranno indietro il tempo di ventiquattro ore e cercheranno di salvarle. Come le cacciatrici di vampiri di Buffy le agenti del secondo Potere esistono da secoli e si tramandano la capacità di rivivere le giornate una seconda volta secondo linee generazionali (Tru l’ha ricevuta dalla madre). Ma il primo Potere non è rimasto inattivo e ha creato a sua volta una linea di agenti per cui il tempo si riavvolge quando si riavvolge per le Tru di tutte le generazioni. Questi agenti del Potere più antico, l’ultimo dei quali è Jack, lavorano perché il Fato possa arrivare a compimento senza interferenze e chi era destinato a morire, in effetti, muoia.
La Egan afferma di essersi ispirata allo scrittore contemporaneo (che in effetti si potrebbe chiamare neognostico) Philip Pullman, ma nella letteratura c’è una lunga linea di ribelli al Fato a partire dal Satana del poeta inglese John Milton del 17° secolo. Dal momento che lo spettatore è indotto a simpatizzare per chi salva le vite e non per chi lavora per la morte, un critico cristiano potrebbe obiettare che la mitologia di Tru calling è vagamente luciferina e si schiera dalla parte di chi si ribella a Dio e ai suoi imperscrutabili disegni. Ma questo critico sbaglierebbe obiettivo, perché anche l’universo mitologico di Tru calling non è cristiano, è pagano. Non ci sono i buoni e i cattivi, Dio e il Diavolo, ma – come in una tragedia greca – c’è il Fato, che è capriccioso e crudele e non corrisponde affatto alla nozione cristiana di una Provvidenza amorosa e volta al Bene, e c’è chi, nobile e generoso, si ribella al Fato ma così interferisce con il destino e deve sempre pagare un prezzo. In Charmed le sorelle protagoniste – le ‘streghe buone’ – possono viaggiare nel passato ma cercano raramente di cambiarlo perché sanno che il prezzo da pagare può essere altissimo.
Questo, appunto, sarebbe stato chiarito nella parte di Tru calling che non è mai stata realizzata e che avrebbe riservato grosse sorprese a chi – interpretando quasi istintivamente alla luce di duemila anni di religiosità cristiana un universo mitologico pensato invece dai suoi creatori come pagano – si era abituato a considerare semplicemente Tru e i suoi amici che ne condividono il segreto ‘i buoni’ e Jack e i suoi complici ‘i cattivi’. Niente affatto, avrebbero spiegato le puntate successive, che vanno ben oltre le precedenti in cui Jack diventa più umano e ammette di sentire il suo lavoro come un peso di cui preferirebbe liberarsi. Tru, come si è visto, salva Jensen, che non le ha chiesto aiuto, perché è innamorata di lui. Così facendo, viola le regole non solo del Potere per cui opera Jack ma anche del Potere ribelle che si serve di lei e che l’ha incaricata di sottrarre alla morte solo quei pochi a cui, in modo arbitrario, è stata offerta una scelta (Jensen non è fra questi). Quando glielo si fa notare, risponde che non sa bene per chi lavora e che nessuno le ha mai fatto vedere un regolamento (in realtà qualche cosa di simile a un manuale – a somiglianza del ‘libro delle ombre’ che ha un ruolo cruciale in Charmed – esiste: è il diario della madre di Tru, custodito in una banca e che il padre fa di tutto per tenere nascosto alla figlia, ma anche questo è materia di una puntata che non è mai stata girata).
Nell’episodio natalizio interlocutorio sembra che la ‘colpa’ commessa da Tru quando ha salvato Jensen non abbia conseguenze. Ma nelle puntate successive, mai girate né andate in onda (e in parte scritte da una delle autrici di Buffy, Jane Espenson), Tru scopre che – dal momento che Jensen non poteva ‘tornare’ – quello che è tornato sembra Jensen, ma è un corpo con un’altra anima, profondamente disturbata dall’anomalia creata dalla violazione delle regole di tutti i giochi. Esteriormente Jensen è ancora lo studente di cui Tru si è innamorata. Segretamente, è diventato uno psicopatico che a poco a poco si rivela un serial killer. Tru si rende conto a poco a poco dell’orribile verità: il ‘nuovo’ Jensen è un mostro, ed è stata lei a crearlo. Decide così di allearsi con l’esperto di morte, Jack, per cercare di tornare indietro ed eliminare Jensen prima che inizi a uccidere. Alla fine, i due Poteri collaborano contro un’anomalia che rischia di metterli in discussione entrambi.
Ma chi ha ragione? Tru o Jack? In un dialogo non andato in onda, rivelato dalla Egan, Tru torna indietro nel tempo per salvare una donna. Jack la supplica di non farlo, e Tru gli chiede cosa c’è di male a salvare una vita. «Jack: È sbagliato perché c’è un Piano più grande di quanto chiunque possa capire. Se questa donna vive, il Piano esce dai binari. Questa donna sarà a casa quando il suo vicino avrà un attacco di cuore. Lo salverà, il vicino sopravviverà e abuserà dei suoi due figli. Uno dei due bambini diventerà il prossimo Unabomber. L’altro sposerà una donna che era destinata a un altro, a un medico che lei avrebbe aiutato a scoprire la cura per il cancro. Tru: Non puoi saperlo! Jack: Ma so che c’è un Piano e che tu lo stai distruggendo» (dal diario di Doris Egan pubblicato in due parti, il 30 aprile e il 10 maggio 2005, su Internet all’indirizzo http://tightropegirl.livejournal.com).
La serie ha abituato lo spettatore a stare dalla parte di Tru, ma se la Fox non l’avesse fermata a metà avremmo visto Tru, almeno nel caso di Jensen, finire per dare ragione a Jack. La lezione è che la vita e la morte sono entrambe necessarie, che senza l’ombra la luce non è luce. O che, per dirla con la Egan, «il fatto che Quelli per cui lavora Tru sembrino privilegiare la libertà di scelta umana potrebbe farvi pensare che il loro piano è quello che tutti preferiamo. Ma, se fossi in voi, non scommetterei il futuro dell’intera razza umana basandomi solo sul fatto che Essi sembrano più gentili ed educati» (dal citato diario).
Il fatto che la stessa mitologia percorra Buffy, Angel, Charmed, Point pleasant e Tru calling (che, in un certo senso, la ‘spiega’) non è casuale. Gli autori, i registi, i produttori e qualche volta anche gli attori di queste serie talvolta sono gli stessi, altre volte sono collegati, e fanno comunque parte di uno stesso ambiente californiano. Certo, essi normalmente negano di avere voluto offrire una ‘visione del mondo’ ai telespettatori: per loro si tratta solo di una potente metafora letteraria della vita e della morte, del passato e del futuro. Ma non così l’hanno intesa gli spettatori, soprattutto giovani: lo stile technopagan che connota così profondamente la nuova spiritualità degli anni Duemila si organizza intorno a una nuova mitologia religiosa che non sarebbe mai nata senza questi telefilm.
Ruolo delle nuove mitologie religiose
Le nuove mitologie religiose hanno in comune l’idea che la storia si spieghi con grandi complotti – di chi vuole nascondere la verità sull’11 settembre, dei Rettiliani, del Priorato di Sion, di Poteri che, come gli dei dell’Olimpo, non sono necessariamente benevoli e talora cercano d’ingannarci – piuttosto che con la dura fatica della quotidiana comprensione del presente. La domanda è allora perché molti (come già l’agente dell’FBI Fox Mulder della serie televisiva The X-Files) sembrino avere come motto nel primo decennio del 21° sec. I want to believe, voglio credere. Si tratta proprio di ‘volontà di credere’? L’agente Fox Mulder, per la verità, basa la sua avventurosa carriera non su un solo motto, ma su due. Se il primo è I want to believe, il secondo è The truth is out there, la verità è là fuori. A differenza di quanto avviene per eroi eterni come, per es., Topolino, che non cambiano mai la loro età (li vedremo al massimo, quando si vuole presentare il loro passato, bambini, ma mai vecchi), nelle serie televisive spesso i protagonisti mutano e invecchiano di anno in anno, anche perché diversamente occorrerebbe cambiare gli attori. L’agente Mulder e la sua controparte femminile Dana Scully, nel corso di ben nove stagioni di The X-Files (dal 1993 al 2002) dal 20° al 21° sec., non solo invecchiano (e, quando l’attrice Gillian Anderson era incinta, doveva esserlo anche l’agente Scully da lei interpretata, perché la produzione non si arrestasse), ma cambiano anche molte loro idee. Dana diventa, da scettica e scientista, convinta adepta dell’I want to believe. Mulder di stagione in stagione si fa meno credulone ma rimane credente, convinto in particolare che un ‘grande complotto’ leghi alieni presenti con diverse modalità segrete sulla Terra e loro alleati nel governo degli Stati Uniti. La serie si conclude nel 2002 lasciando agli spettatori l’impressione che Mulder non abbia del tutto torto: ma quello che è più interessante è come il clima, in una serie che è durata così a lungo come The X-Files, sia molto cambiato negli anni 2000 rispetto agli esordi del 1993.
Nel 1993 «la verità è là fuori» nel senso che è a portata di mano: gli eroi di The X-Files dovranno certamente, come in ogni storia di avventure che si rispetti, superare molti ostacoli e affrontare potenti nemici e indicibili sofferenze, ma lo spettatore ha l’impressione che alla fine il Bene potrebbe trionfare e la verità venire a galla. Dopo tutto, nel 1993 l’impero sovietico è da poco caduto, e il politologo Francis Fukuyama ha appena assicurato che «la storia è finita»: c’è stata una Terza guerra mondiale – contro il comunismo – ma gli Stati Uniti l’hanno vinta, e non ci saranno più guerre mondiali in futuro.
Negli anni Duemila gli americani – e gli altri – scoprono che ‘là fuori’ non c’è la fine della storia. Venuta meno la minaccia sovietica, riemergono nemici dimenticati, conflitti antichi, «scontri di civiltà» secondo l’espressione resa popolare da un altro politologo statunitense, Samuel Huntington. Anche in The X-Files, tanto più dopo l’11 settembre 2001, il mondo ‘là fuori’ assomiglia sempre di più a quello di Huntington e sempre meno a quello di Fukuyama. Alla fine della serie, allo spettatore è detto con chiarezza che complotti malevoli continuano a dipanarsi nella storia e che, se i protagonisti sono almeno riusciti a non morire ammazzati, non c’è nessun happy end in vista per gli Stati Uniti e l’umanità.
Si potrebbe pensare che la saga di The X-Files sia finita nel 2003 – oltre che per stanchezza, dopo nove stagioni – anche perché ormai il pubblico aveva altri complotti cui pensare: la vera cospirazione di Usāma ibn Lādin faceva ben più paura di quella immaginaria degli alieni. Ma d’altro canto gli alieni, gli extraterrestri, hanno sempre avuto anche un ruolo di metafora religiosa. E il senso della metafora è cambiato: se all’inizio gli extraterrestri (pur non mancando eccezioni) erano più spesso personaggi benevoli e simpatici che venivano a mettere in guardia gli uomini contro l’egoismo e le guerre – un tema ancora preservato dai movimenti religiosi che si ispirano a messaggi trasmessi dai ‘fratelli dello spazio’ – oggi sono sempre più spesso esseri ostili che vengono per conquistarci e dominarci. Del resto, già Carl Gustav Jung (1875-1961) nel 1958 spiegava che l’attrazione dei nostri contemporanei verso i dischi volanti è un’espressione delle nostre paure profonde generate dalla bomba atomica e dalla guerra fredda, ma anche del desiderio corrispondente di essere ‘angeli tecnologici’, la versione moderna del deus ex machina. Non ci vuole neppure troppa fantasia per vedere nell’alieno inteso come extraterrestre una metafora dell’alieno inteso come ‘straniero’ assoluto, quell’ultrafondamentalista islamico (o quell’immigrato) che è totalmente ‘estraneo’ all’Occidente e ai suoi valori.
Fin qui si tratta di offerta di teorie complottiste della storia e di nuove mitologie religiose, talora romantiche, talora assurde e mistificanti. Ma l’offerta di beni simbolici non diventa fenomeno culturale diffuso se non quando incontra una domanda. Il quesito, allora, è perché questa offerta nel 21° sec. sembra avere più successo che nel 20°. Dov’è la domanda? Da un primo punto di vista, la questione è posta male: in una certa misura, dopo la sua prima affermazione ‘di massa’ in quello strano secolo di illuministi e illuminati che è il Settecento, il complottismo non ha mai smesso di abitare in Occidente e nuove mitologie religiose sono state prodotte a getto quasi continuo. Se si elimina la religione tradizionale, il puro razionalismo dei Lumi non è sufficiente a spiegare la storia, convincere le menti e scaldare i cuori. La domanda di sacro, negata dalla critica illuminista delle religioni istituzionali, si sfoga nelle forme di un irrazionalismo magico, esoterico e – appunto – complottista.
Da un altro punto di vista, numeri come quelli di Brown e delle serie televisive rappresentano una novità. La letteratura complottista aveva raggiunto al massimo centinaia di migliaia, mai decine di milioni di lettori. La semplice diffusione della cultura di massa nel 21° sec. non è una spiegazione sufficiente, ed è necessario esplorare altre ipotesi. Nell’Occidente contemporaneo in genere la maggioranza delle persone (oltre 80% nell’Unione Europea, oltre il 90% negli Stati Uniti) si dice ancora religiosa, anzi l’ateismo e l’agnosticismo sono in calo dopo il crollo delle ideologie che ne fondavano le giustificazioni teoriche. Tuttavia, la maggioranza di queste persone ‘religiose’ non è in contatto regolare con alcuna Chiesa o istituzione: né con le vecchie né con le nuove religioni. Frequentano almeno mensilmente un luogo di culto circa il 40% degli americani e il 20% dei cittadini dell’Unione Europea. La religione di maggioranza in Occidente non è più il cristianesimo: il fenomeno dominante diventa, secondo la fortunata formula della sociologa inglese Grace Davie, il believing without belonging, il ‘credere senza appartenere’ – forse, a sua volta, costruito come una nuova mitologia religiosa di massa.
La stessa Davie, nelle sue Sarum theological lectures tenute nella cattedrale di Salisbury, in Inghilterra, nel corso dei mesi di aprile e maggio 2001, parlando da credente a credenti è sembrata in qualche modo lanciare – sia pure con la discrezione propria di un’impostazione che rimane sociologica – una sfida alle nuove mitologie, in cui è difficile non cogliere anche una valenza morale. Chi «crede senza appartenere» non «appartiene» e non frequenta i luoghi di culto a causa di una forma di disimpegno, di un’ideologia della delega peraltro più diffusa in Europa che negli Stati Uniti. Si ha qui, incalza la Davie, un fenomeno di «religione vicaria», in cui più della metà degli europei vede le Chiese come utili istituzioni sociali, di cui la grande maggioranza della popolazione avrà probabilmente bisogno in un’occasione o due durante la vita (non da ultimo, in occasione della morte: Davie 2000). Ma, per il resto della sua esistenza, un numero significativo di europei si accontenta di lasciare che le Chiese e chi va in chiesa mantengano viva una memoria per loro conto (ed è questo il significato essenziale dell’aggettivo vicario). Detto in termini più brutali, dal momento che «appartenere» costa, una maggioranza disimpegnata che «crede senza appartenere» delega a una minoranza impegnata il compito di «appartenere» e di andare in chiesa. Ma alla maggioranza rimane un certo senso di colpa.
Dan Brown, e gli altri che si affaccendano intorno alla creazione di nuove mitologie religiose, quasi sempre complottiste, danno al vasto e ormai maggioritario mondo del believing without belonging sia qualche ragione per credere sia molte ragioni per non appartenere. Le nuove mitologie rassicurano lettori e telespettatori confermandoli nell’idea secondo cui credere che ci siano più cose in Cielo e in Terra – e nella storia – di quante sia capace di vederne un razionalismo ormai fuori moda è più che legittimo, ed è anche politicamente corretto. Ma soprattutto li tranquillizzano, e tolgono loro ogni senso di colpa quanto al «non appartenere»: fanno bene a non essere praticanti, hanno ragione a non andare in chiesa. Non si tratta di pigrizia o disimpegno: le chiese non vanno frequentate perché la Chiesa è un’istituzione nel migliore dei casi irrilevante (le serie televisive la ignorano), nel peggiore fondata storicamente – come suggerisce The Da Vinci code – sulla mistificazione, sulla violenza e sull’inganno. L’offerta di nuove mitologie religiose incontra così una vasta domanda che viene dal mondo del believing without belonging. A un popolo per definizione senza dottrine, è offerta un’ideologia: fate bene a credere, ma anche a non appartenere, perché le istituzioni sono un luogo di potere e solo fuori delle istituzioni c’è libertà.
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