Nuove modifiche per il processo civile: il d.l. n. 59/2016
Con il d.l. 3.5.2016, n. 59 (convertito dalla l. 30.6.2016, n. 119) il legislatore è nuovamente intervenuto sul processo di esecuzione forzata, ed in particolare su quello di espropriazione, con l’ambizione di renderlo più efficiente. Ne approfitta, però, anche per introdurre due nuovi istituti di diritto sostanziale, che direttamente interferiscono con l’espropriazione forzata (il pegno non possessorio e il cd. patto marciano), costituendo delle vere e proprie eccezioni al divieto di patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c., e per ritornare sull’art. 2929 bis c.c. A queste importanti novità è dedicato il contributo che segue.
Negli ultimi anni il legislatore è intervenuto a più riprese sul processo esecutivo, nel tentativo di renderlo più efficiente. L’ultimo intervento in ordine di tempo si deve al d.l. 3.5.2016, n. 59, convertito in legge, con modificazioni, dalla l. 30.6.2016, n. 119, che anticipa alcune novità contenute nel disegno di legge delega per la complessiva riforma del processo civile, già approvato dalla Camera dei deputati il 10 marzo 2016 (A.C. n. 2953) e attualmente all’esame del Senato (A.S. n. 2284, Delega al Governo recante disposizioni per l’efficienza del processo civile). Il nuovo decreto legge, tuttavia, è stato già preceduto nei due anni precedenti – come noto – da altri due decreti legge (il d.l. 27.6.2015, n. 83, convertito dalla l. 6.8.2015, n. 132, e il d.l. 12.9.2014, n. 132, convertito dalla l. 10.11.2014, n. 162), che pure contenevano significative modifiche del processo esecutivo1.
Al di là delle perplessità che continua a suscitare l’utilizzo della decretazione d’urgenza in materia processuale, già evidenziate in altre sedi2, e nonostante la cattiva abitudine del Governo di omettere l’individuazione dei presupposti di necessità e urgenza pure imposta dall’art. 77 Cost., l’attenzione del legislatore è stata rivolta ancora una volta all’espropriazione forzata ed a quella immobiliare in particolare. Peraltro, con lo stesso testo normativo vengono introdotti due nuovi istituti che mirano a consentire al creditore – sul modello di esperienze straniere – di evitare, in determinate situazioni, la stessa necessità di ricorrere all’espropriazione forzata, in evidente deroga al divieto di patto commissorio dell’art. 2744 c.c. Si tratta del pegno non possessorio e del contratto di finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato. In entrambi i casi, infatti, al verificarsi dell’inadempimento del debitore e in presenza delle particolari condizioni stabilite dallo stesso legislatore, il creditore può arrivare ad appropriarsi direttamente del bene oggetto della garanzia del finanziamento.
Infine, con il nuovo intervento normativo il legislatore cerca di superare alcuni dubbi interpretativi e problemi applicativi relativi al nuovo art. 2929 bis c.c., introdotto nel 2015, che già erano stati segnalati dai primi commentatori.
In questa sede, dunque, occorre soffermarsi non solo sulle novità che interessano più da vicino il processo esecutivo, ma anche sulle ricadute sul piano processuale dei due nuovi istituti derogatori del divieto di patto commissorio introdotti dal legislatore (pegno non possessorio e c.d. patto marciano) e sugli “aggiustamenti” che sono stati apportati all’art. 2929 bis c.c.
Prendendo le mosse dalle novità direttamente incidenti sul processo esecutivo, esse si muovono in quattro diverse direzioni, tutte connesse all’espropriazione forzata:
a) esperibilità dell’opposizione all’esecuzione;
b) pignoramento con modalità telematiche e custodia dell’immobile pignorato;
c) vendita e assegnazione forzata;
d) distribuzione del ricavato nell’espropriazione immobiliare.
In primo luogo, innovando la precedente soluzione adottata dal codice di rito del 19403, l’art. 4 d.l. n. 59/2016 ha integrato il co. 2 dell’art. 615 c.p.c., prevedendo che, in sede di espropriazione forzata, l’opposizione all’esecuzione è inammissibile dopo che sia stata disposta la vendita o l’assegnazione forzata, salvo che essa sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero che l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile. Questa prima modifica comporta anche la necessità di inserire nell’art. 492 c.p.c. l’obbligo di avvertire il debitore con l’atto di pignoramento della presenza di tale preclusione.
In secondo luogo, il legislatore del 2016 ritorna ancora sia sulla ricerca con modalità telematica dei beni da pignorare, prevista dall’art. 492 bis c.p.c., ampliandone l’applicabilità, sia sulla custodia dell’immobile pignorato.
Con riferimento alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare, l’art. 155 sexies disp. att. c.p.c. già prevede che essa possa applicarsi anche per l’esecuzione del sequestro conservativo e nell’ambito delle procedure concorsuali, dei procedimenti in materia di famiglia e di quelli relativi alla gestione dei patrimoni altrui. Con il d.l. n. 59/2016 viene aggiunto che il curatore, il commissario e il liquidatore giudiziale possono avvalersi delle medesime disposizioni anche per accedere ai dati relativi ai soggetti nei cui confronti la procedura ha ragioni di credito, anche in mancanza di titolo esecutivo nei loro confronti. Stabilendo che, quando di tali disposizioni ci si avvale nell’ambito di procedure concorsuali e di procedimenti in materia di famiglia, l’autorizzazione spetta al giudice del procedimento. In relazione, invece, alla custodia dell’immobile pignorato, viene innovato in più parti l’art. 560 c.p.c., il quale ora prevede:
i) l’impugnabilità con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. del provvedimento del giudice dell’esecuzione che disponga la liberazione dell’immobile pignorato (prima non impugnabile)4 e la decorrenza del termine per proporre tale opposizione (20 giorni) dalla notificazione del provvedimento per il terzo che vanti un diritto di godimento opponibile alla procedura;
ii) che il custode possa attuare il provvedimento di rilascio secondo le disposizioni del giudice, senza l’osservanza delle formalità previste dagli artt. 605 ss. c.p.c. per l’esecuzione forzata del rilascio di immobili;
iii) che, quando nell’immobile si trovino beni mobili che non debbono essere consegnati o documenti relativi ad un’attività imprenditoriale o professionale, il custode intima di asportarli (assegnando un termine) alla parte tenuta al rilascio o al soggetto al quale appartengono e, laddove l’asporto non avvenga, si considerano abbandonati e potranno essere smaltiti o distrutti;
iv) che gli interessati a presentare offerte di acquisto del bene pignorato hanno diritto di esaminare i beni entro 15 giorni dalla richiesta da avanzare (al custode) attraverso l’istituendo portale delle vendite pubbliche.
Ulteriori interventi, poi, attengono – come detto – alla vendita e assegnazione forzata. Anzitutto, il d.l. n. 59/2016 interviene sul co. 2 dell’art. 503 c.p.c. a proposito della limitazione nell’utilizzabilità della vendita con incanto. Già il legislatore del 2014 ha previsto che, in sede di vendita forzata nell’espropriazione immobiliare, l’incanto possa essere disposto dal giudice soltanto quando ritenga probabile che in tal modo si possa ottenere un ricavato superiore della metà rispetto al valore del bene, determinato a norma dell’art. 568 c.p.c. Ora il legislatore aggiunge che la stessa limitazione vale anche per l’espropriazione mobiliare, e dunque anche in tal caso il ricorso alla vendita con incanto potrà aversi solo laddove il giudice ritenga che si possa ricavare un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene mobile come determinato dall’ufficiale giudiziario in sede di pignoramento (art. 518 c.p.c.) o dallo stimatore nominato dal giudice dell’esecuzione in sede di integrazione del pignoramento (art. 540 bis c.p.c.).
Con riferimento, poi, alla vendita mobiliare a mezzo commissionario, viene modificato l’art. 532, co. 2, c.p.c. stabilendo che, nel fissare il numero complessivo di esperimenti di vendita, il giudice non possa superare il numero di tre (in precedenza questo era il numero minimo di esperimenti) e che, nel fissare il termine finale alla cui scadenza il commissionario deve restituire gli atti in cancelleria, non possa superare i sei mesi. Viene, infine, opportunamente puntualizzato che, quando gli atti sono restituiti dal commissionario, a seguito dell’esito negativo degli esperimenti di vendita, il giudice dispone la chiusura anticipata del processo esecutivo (anche in mancanza dei presupposti di cui all’art. 164 bis disp. att. c.p.c.), sempre che non vi siano istanze di integrazione del pignoramento, a norma dell’art. 540 bis c.p.c.
Quanto alla vendita forzata con modalità telematiche – già prevista come scelta preferibile nell’espropriazione mobiliare con il d.l. 24.6.2014, n. 90 (convertito dalla l. 11.8.2014, n. 114) –, essa viene ora parimenti indicata come scelta preferibile anche per l’espropriazione immobiliare. Infatti, intervenendo sul co. 4 dell’art. 569 c.p.c., il d.l. n. 59/2016 ha previsto che, con l’ordinanza di autorizzazione alla vendita, il giudice «stabilisce [in precedenza: può stabilire], salvo che sia pregiudizievole per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura, che il versamento della cauzione, la presentazione delle offerte, lo svolgimento della gara tra gli offerenti e, nei casi previsti, l’incanto, nonché il pagamento del prezzo, siano effettuati con modalità telematiche, nel rispetto della normativa regolamentare di cui all’art. 161 ter disp. att. c.p.c.». Va anche aggiunto che con d.m. 26.2.2015, n. 32 del Ministro della giustizia sono state stabilite le regole tecnico-operative per la vendita telematica di beni ed è stato istituito il registro dei gestori di tale particolare modalità di vendita.
Particolarmente significativa è, poi, l’innovazione che riguarda l’assegnazione forzata nell’ambito dell’espropriazione immobiliare. Come noto, stabilisce l’art. 588 c.p.c. che, quando la vendita del bene pignorato non ha luogo, si possa procedere all’assegnazione dello stesso, sempre che questa sia stata chiesta in precedenza da uno dei creditori (onerato a farlo 10 giorni prima dell’udienza fissata per la vendita, ma sul presupposto che la vendita non abbia luogo). Tale disposizione viene ora integrata – con l’obiettivo di renderla più fruttuosa – con l’inserimento della possibilità che la richiesta di assegnazione venga avanzata da ciascuno dei creditori «per sé o a favore di un terzo», e dunque anche a favore di un soggetto diverso dal creditore istante. Peraltro, avendo introdotto tale possibilità, il legislatore si preoccupa di disciplinare nel nuovo art. 590 bis c.p.c. gli adempimenti a carico del creditore che abbia chiesto e ottenuto l’assegnazione a favore di un terzo. E stabilisce che «il creditore … deve dichiarare in cancelleria, nei cinque giorni dalla pronuncia in udienza del provvedimento di assegnazione ovvero dalla comunicazione, il nome del terzo a favore del quale deve essere trasferito l’immobile, depositando la dichiarazione del terzo di volerne profittare. In mancanza, il trasferimento è fatto a favore del creditore». Ai fini di una maggiore responsabilizzazione del creditore che avanzi istanza di assegnazione a favore di un terzo, lo stesso art. 590 bis c.p.c. aggiunge che in ogni caso gli obblighi derivanti dalla presentazione dell’istanza di assegnazione «sono esclusivamente a carico del creditore».
Sempre nell’ambito dell’espropriazione immobiliare, una delle situazioni più difficili da gestire riguarda l’ipotesi in cui, dopo l’insuccesso del tentativo di vendita, non siano state avanzate istanze di assegnazione da parte dei creditori oppure queste non siano state accolte. In proposito stabilisce l’art. 591, co. 1, c.p.c. che il giudice dispone l’amministrazione giudiziaria del bene, a norma degli artt. 592 ss. c.p.c., oppure pronuncia una nuova ordinanza perché si proceda alla vendita con incanto «sempre che ritenga che la vendita con tale modalità possa aver luogo ad un prezzo superiore della metà rispetto al valore del bene, determinato a norma dell’art. 568». Aggiunge il co. 2 del medesimo art. 591 c.p.c. (dopo le modifiche introdotte dal d.l. n. 59/2016) che, ove il giudice abbia optato per questa seconda soluzione, possa anche – con l’obiettivo di favorire l’efficace conclusione della procedura – stabilire diverse condizioni di vendita e diverse forme di pubblicità, «fissando un prezzo base inferiore al precedente fino al limite di un quarto e, dopo il quarto tentativo di vendita andato deserto, fino al limite della metà». La modifica legislativa non risolve il quesito di come procedere nell’ipotesi che anche quest’incanto rimanga senza esito. Nella quale ipotesi parrebbe inevitabile l’amministrazione giudiziaria ai sensi degli artt. 592 ss. c.p.c., sempre che non si ritenga possibile riaprire la via “circolare” dell’eventuale assegnazione o fissazione di altro incanto con l’ulteriore superamento dei limiti indicati.
Veniamo, infine, alle modifiche che riguardano la fase distributiva. Anche in questo caso l’attenzione del legislatore è rivolta all’espropriazione immobiliare, nella cui disciplina della distribuzione del ricavato introduce due rilevanti innovazioni integrando l’art. 596 c.p.c.
La prima riguarda la possibilità (peraltro, già utilizzata dalla prassi) che il giudice dell’esecuzione (o il professionista delegato a norma dell’art. 591 bis c.p.c.) disponga anche una distribuzione parziale del ricavato della vendita immobiliare, purché comunque non superiore al 90% delle somme da ripartire.
La seconda innovazione, invece, attiene alla possibilità che lo stesso giudice dell’esecuzione (o il professionista delegato) procedano a distribuzione anche parziale delle somme ricavate a favore dei creditori aventi diritto all’accantonamento ai sensi dell’art. 510, co. 3, c.p.c. (intervenuti non ancora muniti di titolo esecutivo) ovvero dei creditori i cui crediti siano oggetto di controversia distributiva ai sensi dell’art. 512 c.p.c. Ciò, tuttavia, a condizione che costoro presentino una fideiussione autonoma, irrevocabile e a prima richiesta, rilasciata da uno dei soggetti indicati dall’art. 574, co. 1, secondo periodo, c.p.c. (banche, società assicuratrici o intermediari finanziari che svolgono in via esclusiva o prevalente attività di prestazione di garanzie e che siano sottoposte a revisione contabile da parte di una società di revisione); fideiussione idonea a garantire la restituzione alla procedura delle somme che risultino indebitamente ripartite. Con le stesse modalità – aggiunge sempre l’art. 596, co. 3, c.p.c. – si potrà procedere a distribuzione a favore dei creditori che avrebbero diritto al ricavato qualora risulti totalmente o parzialmente insussistente il credito del soggetto avente diritto all’accantonamento oppure oggetto di contestazione in sede di distribuzione.
Infine, un cenno merita anche la modifica apportata al co. 1 dell’art. 648 c.p.c. a proposito della concessione della provvisoria esecutività al decreto ingiuntivo, in caso di opposizione e di contestazione parziale del decreto ingiuntivo. Il legislatore del 2016 ha voluto sostituire la previsione secondo cui «il giudice concede l’esecuzione provvisoria parziale del decreto ingiuntivo opposto limitatamente alle somme non contestate, salvo che l’opposizione sia proposta per vizi procedurali», con l’altra «il giudice deve concedere …». In realtà, si tratta di un intervento meramente ricognitivo dell’interpretazione assolutamente prevalente della disposizione, essendo pacifico nella giurisprudenza5 e nella dottrina6 che la precedente formulazione andasse interpretata proprio nel senso della sussistenza di un vincolo in capo al giudice di attribuzione della provvisoria esecutività al decreto ingiuntivo opposto solo con contestazione parziale, salva l’ipotesi dell’opposizione proposta per vizi processuali.
Come già anticipato, il legislatore utilizza il d.l. n. 59/2016 anche per introdurre due istituti sostanziali del tutto nuovi per il nostro ordinamento, che presentano strette connessioni, però, con l’espropriazione forzata, in quanto consentono a specifiche categorie di creditori, in presenza di determinate condizioni, di ottenere il soddisfacimento del proprio credito senza dover ricorrere al processo esecutivo. Si tratta del pegno non possessorio e del cd. patto marciano. L’art. 1 d.l. n. 59/2016, infatti, consente al creditore che abbia concesso un credito a favore dell’imprenditore o di terzi (e l’abbia trascritto in un apposito «Registro» tenuto dall’Agenzia delle entrate)7 di ottenere, a garanzia del suo credito, un pegno non possessorio8 sui beni mobili (anche immateriali) non registrati destinati all’esercizio dell’impresa (e sui crediti derivanti da o inerenti a tale esercizio). Ottenuto tale pegno, il creditore, al verificarsi di un evento che ne determina l’escussione, ha facoltà di procedere:
a) alla vendita dei beni oggetto di pegno tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati;
b) alla escussione o cessione dei crediti oggetto di pegno, dandone comunicazione al datore della garanzia;
c) ove previsto nel contratto di pegno e iscritto nel registro, alla locazione del bene, fino a concorrenza della somma garantita;
d) ove previsto dal contratto di pegno e iscritto nel registro, all’appropriazione dei beni oggetto di pegno, sempre fino a concorrenza della somma garantita.
Occorre ricordare, infine, che resta ferma in ogni caso la possibilità per il debitore, entro 3 mesi dall’intimazione ricevuta dal creditore, di agire in giudizio per il risarcimento del danno quando l’escussione è avvenuta in violazione dei criteri e delle modalità stabilite o il corrispettivo ottenuto o comunicato dal creditore non corrisponde al valore di mercato del bene oggetto del pegno.
Sempre nell’ottica di una maggiore tutela delle ragioni creditorie degli enti finanziatori dell’imprenditore (e in deroga al divieto di patto commissorio di cui all’art. 2744 c.c.) si muove anche il nuovo istituto del finanziamento garantito dal trasferimento dell’immobile (cd. patto marciano), senza la necessità di ricorrere all’espropriazione forzata, e quindi di esporsi all’eventuale concorso degli altri creditori a salvaguardia della par condicio creditorum di cui all’art. 2741 c.c. Stabilisce, infatti, l’art. 2 d.l. n. 59/2016, introducendo il nuovo art. 48 bis t.u.b. (d.lgs. 1.9.1993, n. 385), che, ove le parti (un imprenditore e una banca o altro soggetto autorizzato a concedere finanziamenti nei confronti del pubblico) stipulino il contratto di finanziamento garantito dal trasferimento dell’immobile, il finanziamento all’imprenditore viene garantito (a favore del creditore o di una società dallo stesso controllata o al medesimo collegata) da un particolare patto, stipulato al momento della conclusione del contratto di finanziamento o anche successivamente9 e trascritto nei registri immobiliari (con nota di trascrizione che deve indicare gli elementi di cui all’art. 2839, co. 2, nn. 4, 5 e 6, c.c.)10. Tale patto prevede il trasferimento al creditore – senza necessità di procedere con l’espropriazione forzata – «della proprietà di un immobile o di un altro diritto immobiliare dell’imprenditore o di un terzo11, sospensivamente condizionato all’inadempimento del debitore», ove quest’inadempimento integri determinate condizioni previste dal co. 5 dello stesso art. 48 bis t.u.b. Vale a dire – secondo quel che prevede il co. 5 dello stesso art. 48 bis t.u.b. –, quando il mancato pagamento si protragga:
a) per oltre nove mesi (elevato a dodici mesi, ove il debitore abbia già rimborsato l’85% del finanziamento) dalla scadenza di almeno 3 rate, anche non consecutive, in caso di rimborso del finanziamento a rate mensili;
b) per oltre nove mesi dalla scadenza di una sola rata, in caso di rimborso rateale superiore a quello mensile;
c) per oltre nove mesi dalla scadenza del rimborso previsto nel contratto, quando nel contratto di finanziamento non sia previsto il rimborso rateale.
Non meno rilevanti – sempre per le interferenze che essi presentano con il processo esecutivo – sono gli ulteriori interventi che il d.l. n. 59/2016 effettua sull’art. 2929 bis c.c. Come noto, il d.l. n. 83/2015 (convertito dalla l. n. 132/2015) aveva già previsto, introducendo il nuovo art. 2929 bis c.c., la possibilità che il creditore, in caso di atti di costituzione di vincoli di indisponibilità o di alienazione a titolo gratuito di beni immobili o mobili registrati, compiuti dal proprio debitore, agisca in via esecutiva, se munito di titolo esecutivo (senza dover preventivamente esperire l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c.), purché trascriva l’atto di pignoramento entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole o purché intervenga nell’esecuzione da altri promossa12. Il legislatore del 2016 introduce nello stesso art. 2929 bis c.c. altri tre commi per risolvere alcuni dubbi interpretativi che la disposizione aveva fatto emergere.
Il primo profilo problematico che viene affrontato è quello dell’applicabilità della disposizione anche nei confronti del subacquirente del medesimo bene. Stabilisce ora il co. 3 dell’art. 2929 bis c.c. che, ove il bene in questione sia stato trasferito ad un terzo, il creditore può promuovere l’azione esecutiva anche nei confronti del subacquirente nelle forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario e, in sede di distribuzione del ricavato, è preferito ai suoi creditori personali. Aggiunge, inoltre, che, se con l’atto è stato riservato o costituito alcuno dei diritti di cui al co. 1 dell’art. 2812 c.c. (usufrutto, uso, abitazione o servitù), il creditore potrà pignorare il bene come libero nei confronti del proprietario e tali diritti si estinguono con la vendita del bene, salva la possibilità per i terzi titolari di far valere le loro ragioni sul ricavato con preferenza rispetto ai creditori cui tali diritti sono opponibili.
Il secondo profilo problematico affrontato riguarda l’ampiezza dei rimedi esperibili dal debitore, dal terzo assoggettato a espropriazione e da ogni altro interessato alla conservazione del vincolo. Questi possono proporre le opposizioni esecutive (a seconda dei casi, l’opposizione all’esecuzione dell’art. 615 c.p.c. o quella di terzo dell’art. 619 c.p.c.) per contestare che sussistano i presupposti per l’esercizio dell’azione esecutiva, previsti dal co. 1 dell’art. 2929 bis c.c., o che l’atto abbia arrecato pregiudizio alle ragioni dello stesso creditore o che il debitore abbia avuto conoscenza del pregiudizio arrecato.
Infine, viene risolto anche il problema della salvaguardia dell’eventuale terzo che abbia acquistato diritti a titolo oneroso dall’avente causa del debitore, prevedendo espressamente che nei suoi confronti l’azione esecutiva in questione non può esercitarsi, salvi ovviamente gli effetti della trascrizione del pignoramento, e dunque salvo che l’acquisto in questione non sia trascritto dopo la trascrizione del pignoramento. Ciò che implicitamente porta ad ammettere l’esperibilità dell’azione esecutiva di cui al co. 1 dell’art. 2929 bis anche nei confronti del terzo che abbia acquistato il bene a titolo gratuito dall’avente causa del debitore.
Fra le novità del d.l. n. 59/2016, senza dubbio quelle che presentano i maggiori profili problematici, anche per la loro innovatività, riguardano, da un lato, il pegno non possessorio e il cd. patto marciano; dall’altro, la preclusione dell’esperibilità dell’opposizione all’esecuzione nell’espropriazione forzata e le conseguenze che essa comporta sul piano pratico e sistematico.
Cominciando dal nuovo istituto del pegno non possessorio13, il primo profilo che merita attenzione attiene agli strumenti difensivi a disposizione del debitore o del terzo concedente il pegno. A questo proposito l’art. 1 d.l. n. 59/2016, anche alla luce delle modifiche introdotte dalla legge di conversione, prevede che il creditore pignoratizio, in caso di inadempimento del debitore, prima di procedere direttamente nei modi stabiliti dal co. 5 del medesimo art. 1 (e che abbiamo già visto: v. supra, § 2.6) deve notificare (anche mediante pec) un’intimazione al debitore o all’eventuale terzo concedente il pegno e un avviso scritto agli eventuali titolari di pegno non possessorio trascritto successivamente. Ricevuta l’intimazione, il debitore o l’eventuale terzo concedente il pegno hanno diritto di proporre opposizione giudiziale, entro cinque giorni, con ricorso e secondo le modalità del procedimento sommario di cognizione, e dunque davanti al tribunale in composizione monocratica, che deciderà con ordinanza appellabile.
Altro profilo processuale di interesse riguarda il modo attraverso il quale il creditore riesce ad aggredire il bene oggetto di pegno non possessorio.
Stando a quel che prevede l’art. 1, co. 7-bis, d.l. n. 59/2016, al di là dell’eventuale opposizione e salvo che il contratto di pegno non disponga diversamente, il datore della garanzia deve consegnare al creditore il bene entro 15 giorni dall’intimazione, mentre, in caso di inottemperanza, il creditore può fare istanza, anche verbale, all’ufficiale giudiziario perché proceda con le modalità dell’esecuzione forzata per consegna di cui agli artt. 605 ss. c.p.c. Aggiunge lo stesso co. 7-bis che, in tal caso, l’ufficiale giudiziario, ove non sia di immediata identificazione il bene oggetto del pegno, si avvale di un esperto stimatore o di un commercialista, su istanza del creditore e con spese anticipate da questi e comunque a suo carico. Se risulta che il pegno si sia trasferito sul corrispettivo ricavato dall’alienazione del bene, l’ufficiale giudiziario provvederà a ricercare, mediante esame delle scritture contabili oppure mediante la consultazione delle banche dati a norma dell’art. 492 bis c.p.c. e previa autorizzazione del presidente del tribunale, i crediti del debitore o di chi ha concesso il pegno, nei limiti della somma garantita. I crediti così rinvenuti verranno riscossi dal creditore in forza del contratto di pegno e del verbale delle operazioni di ricerca redatto dall’ufficiale giudiziario.
Il terzo profilo di interesse attiene al necessario coordinamento del pegno non possessorio con l’eventuale processo di espropriazione forzata sui medesimi beni oggetto di pegno.
Di questo si occupa il co. 7-quater sempre dell’art. 1 d.l. n. 59/2016 (introdotto in sede di conversione in legge), prevedendo che, ove ciò dovesse accadere, il giudice dell’esecuzione, su istanza del creditore, lo autorizza all’escussione del pegno, stabilendo con proprio decreto il tempo e le modalità dell’escussione, salva corresponsione alla procedura esecutiva dell’eventuale eccedenza e salvi, ovviamente, i crediti degli aventi diritto con prelazione anteriore a quella del creditore istante.
Per quanto riguarda, invece, il cd. patto marciano, introdotto come abbiamo visto con l’art. 48 bis t.u.b., un primo profilo problematico riguarda le modalità con le quali si perviene alla stima del valore del bene oggetto del patto. Nel citato articolo si stabilisce che, verificatosi l’inadempimento da parte del debitore (alle particolari condizioni già viste supra, § 2.6), il creditore comunica al debitore e, se diverso, al titolare del diritto reale sull’immobile, nonché a coloro che hanno diritti derivanti da titolo iscritto o trascritto sull’immobile, la volontà di avvalersi degli effetti del patto di garanzia, precisando l’ammontare del credito per cui procede. Decorsi 60 giorni dalla notificazione della dichiarazione, il creditore chiede al presidente del tribunale del luogo dove si trova l’immobile la nomina di un perito per la stima del valore del diritto reale oggetto del patto medesimo.
Non era chiaro nell’originaria formulazione come dovesse procedere il perito. A colmare questa lacuna ha provveduto la legge di conversione del d.l. n. 59/2016, stabilendo che il perito procederà in conformità ai criteri indicati dall’art. 568 c.p.c. per la determinazione del valore dell’immobile pignorato. Nonostante questa integrazione, il co. 6 dell’art. 48 bis t.u.b. continua a prevedere che in tal caso si applica anche l’art. 1349, co. 1, c.c., che imporrebbe al perito di procedere «con equo apprezzamento». Ma ciò, probabilmente, è frutto di un difetto di coordinamento.
Quanto, poi, all’ipotesi che l’immobile oggetto del patto venga sottoposto ad espropriazione forzata, il co. 10 dell’art. 48 bis t.u.b. puntualizza che questo non impedisce il trasferimento “diretto” del bene a favore del creditore. Perché ciò avvenga, tuttavia, è necessario che il giudice dell’esecuzione accerti (con ordinanza) l’avvenuto inadempimento (non si chiarisce, tuttavia, con quali modalità processuali) e conseguentemente fissi un termine entro il quale il creditore deve versare una somma non inferiore alle spese di esecuzione e, ove vi siano, ai crediti aventi diritto di prelazione anteriore a quello dell’istante ovvero pari all’eventuale differenza tra il valore di stima del bene e l’ammontare del credito inadempiuto.
Solo in sede di conversione in legge del d.l. n. 59/2016 è stato risolto l’ulteriore problema riguardante i rapporti fra il patto in questione e le ipoteche e quello del valore del patto in sede di concorso fra i creditori. E così, il co. 13-bis dell’art. 48 bis t.u.b. prevede che «ai fini del concorso tra i creditori, il patto a scopo di garanzia di cui al comma 1 è equiparato all’ipoteca». Nella sostanza ciò significa equiparare (ove rilevi il concorso fra creditori) la posizione del creditore, il cui credito sia garantito dal patto in questione, a quello ipotecario, e quindi con diritto ad essere soddisfatto prioritariamente – in sede di distribuzione del ricavato all’esito dell’espropriazione forzata che coinvolga il bene oggetto della garanzia – rispetto agli altri creditori nella stessa posizione nella quale si troverebbe il creditore ipotecario. Sempre nell’ottica della piena equiparazione di effetti fra patto e ipoteca si pone anche il co. 13-ter, anch’esso inserito con la legge di conversione del d.l. n. 59/2016, il quale chiarisce che la trascrizione del patto nei registri immobiliari produce la medesima estensione della garanzia agli interessi sul credito prevista per l’ipoteca dall’art. 2855 c.c.
Quanto, infine, all’eventualità che il patto in questione venga aggiunto ad un contratto di finanziamento già stipulato e garantito da ipoteca, il co. 4 dell’art. 48 bis t.u.b. prevede espressamente che il patto, una volta trascritto, prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite successivamente all’iscrizione dell’ipoteca. Aggiunge, inoltre, che, fatti salvi gli effetti dell’aggiudicazione, anche provvisoria, e dell’assegnazione, ciò vale anche quando l’immobile sia stato sottoposto a espropriazione in forza di pignoramento trascritto prima della trascrizione del patto, ma dopo l’iscrizione dell’ipoteca.
Passando ad esaminare, invece, l’innovazione legata alla preclusione dell’esperibilità dell’opposizione all’esecuzione nell’ambito dell’espropriazione forzata, essa comporta conseguenze particolarmente rilevanti, sia sul piano pratico che su quello sistematico. Infatti, mentre nel passato l’opposizione all’esecuzione era ritenuta proponibile fino alla conclusione del processo esecutivo14, ora con riferimento all’espropriazione forzata il legislatore individua un termine ultimo certo (il momento in cui viene disposta la vendita o l’assegnazione), oltre il quale la possibilità di esperire tale rimedio viene definitivamente meno. Ciò, sempre che l’opponente non fondi l’opposizione all’esecuzione su fatti sopravvenuti (ad es., avvenuto adempimento) ovvero non dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile. In questo modo, peraltro, il d.l. n. 59/2016 non fa altro che anticipare quanto già contenuto nel disegno di legge delega già richiamato in precedenza15.
Il fatto che, per effetto di tale innovazione normativa, la proponibilità dell’opposizione all’esecuzione, nell’ambito del processo espropriativo, sia consentita fino al momento in cui venga disposta la vendita o l’assegnazione forzata, non significa, tuttavia, che il credito oggetto dell’esecuzione non sia più suscettibile di contestazione dopo tale momento, né che, ove non esperita nei termini l’opposizione ex art. 615 dal debitore, diventi indiscutibile l’idoneità del titolo esecutivo16 o la pignorabilità dei beni17. Ed infatti, la modifica legislativa lascia invariato rispetto al passato sia il rapporto che sussiste fra l’opposizione di cui all’art. 615 c.p.c. e le controversie in sede distributiva di cui all’art. 512 c.p.c., che possono essere proposte dal debitore o dai creditori concorrenti per contestare l’esistenza o l’ammontare di uno dei crediti, sia la questione della rilevabilità d’ufficio da parte del giudice dell’idoneità del titolo esecutivo e della pignorabilità dei beni.
Piuttosto, per effetto della modifica riemerge in maniera ancor più rilevante il problema, già posto in passato, del necessario coordinamento fra l’opposizione all’esecuzione dell’art. 615 e le controversie in sede distributiva dell’art. 512 c.p.c.
Come noto, infatti, nel passato il problema più serio di coordinamento tra queste due disposizioni sorgeva per le contestazioni del debitore nei confronti del creditore procedente o intervenuto munito di titolo, per risolvere il quale la prevalente giurisprudenza (seguita da autorevole dottrina) arrivava ad ammettere la proponibilità dell’opposizione all’esecuzione anche nella fase della distribuzione del ricavato, rinvenendone l’elemento di differenza rispetto all’opposizione distributiva nell’oggetto della contestazione: il «diritto a procedere ad esecuzione forzata», in caso di opposizione ex art. 615 c.p.c.; il «diritto a partecipare alla distribuzione», nel caso della controversia in sede distributiva dell’art. 512 c.p.c. Secondo un simile orientamento, dunque, l’opposizione all’esecuzione sarebbe stata proponibile anche dopo la vendita forzata fino all’espletamento della fase distributiva18. Come già sostenuto in altra occasione19, al fine di eliminare qualsiasi possibilità di concorrenza e di sovrapposizione fra i due rimedi sarebbe stato opportuno seguire il suggerimento della Commissione Tarzia e individuare un termine ultimo, ben prima della distribuzione, per la proposizione dell’opposizione ex art. 615 c.p.c.20 Ciò che ha sostanzialmente fatto il d.l. n. 59/2016 con la nuova disposizione introdotta nel co. 2 dell’art. 615 c.p.c.
Alla luce di tale nuova disposizione, dunque, si deve escludere la possibilità che in fase di distribuzione possa essere ancora avanzata un’opposizione all’esecuzione (salvi i limitati casi di opposizione “tardiva” previsti dallo stesso co. 2 dell’art. 615 c.p.c.). Restando inteso che, se le controversie alle quali fa riferimento l’art. 512 c.p.c. sono quelle che hanno ad oggetto – come già evidenziato altrove21 – (non la contestazione del diritto del creditore procedente di procedere ad esecuzione forzata, ma) l’accertamento della sussistenza o dell’ammontare del diritto di credito o del diritto di prelazione dei diversi creditori in concorso fra loro, esse saranno proponibili in sede di distribuzione del ricavato solo nei limiti in cui non comportino un superamento della preclusione già maturata a carico del debitore esecutato (o del terzo assoggettato all’espropriazione) nei confronti del creditore procedente e della contestazione del suo diritto di procedere all’esecuzione forzata (e salva sempre l’opposizione “tardiva”).
Sempre a proposito del necessario coordinamento fra il rimedio dell’opposizione all’esecuzione e delle controversie distributive, l’innovazione normativa del co. 2 dell’art. 615 finisce per smentire parimenti la tesi – anch’essa autorevolmente sostenuta nel passato – secondo cui il titolo esecutivo legittimerebbe non soltanto la fase espropriativa, ma anche quella satisfattiva o distributiva. Seguendo una simile impostazione, infatti, nel passato – stante l’assenza di un termine finale per l’esperimento dell’opposizione all’esecuzione – si ammetteva da parte di alcuni la concorrenza fra i due rimedi anche in fase distributiva, ritenendo, quindi, che l’art. 512 c.p.c. si riferisse unicamente alla controversia tra debitore e creditori sforniti di titolo e che l’opposizione contro i soggetti muniti di titolo esecutivo continuasse ad essere disciplinata dall’art. 615 c.p.c, sul presupposto che il possesso di tale titolo esecutivo qualificasse anche il diritto (processuale) alla consegna del ricavato22. In presenza dell’inequivocabile preclusione oggi imposta dal co. 2 dell’art. 615 c.p.c., ci pare da escludere che tale tesi possa essere riproposta.
Alla medesima conclusione – e cioè, l’esclusione di qualsiasi possibile concorrenza (salvi sempre i limitati casi di opposizione all’esecuzione “tardiva” previsti dallo stesso co. 2 dell’art. 615 c.p.c.) – dovrà pervenirsi laddove si voglia seguire la tesi, per quanto detto altrove non condivisibile23, secondo la quale l’oggetto delle controversie distributive non sarebbe più la reale esistenza dei crediti ed il loro ammontare, né l’effettiva esistenza delle cause di prelazione e la loro collocazione, bensì il solo «diritto (processuale) al concorso»24.
A tal proposito, infatti, si è sostenuto in passato che la conseguenza sul piano delle interferenze tra opposizione distributiva ed opposizione all’esecuzione dovrebbe essere nel senso che, prima della vendita e dell’assegnazione, il rimedio sarebbe l’opposizione ex art. 615 c.p.c. nei confronti dei creditori muniti di titolo e quest’opposizione sarebbe ammissibile anche in fase distributiva per ottenere l’accertamento pieno ed esauriente del diritto del creditore procedente o degli altri creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo. Sempre secondo una simile impostazione, laddove, invece, l’opponente intendesse limitarsi a contestare la pretesa del creditore concorrente di partecipare alla distribuzione del ricavato, e dunque la posizione del credito contestato nell’ambito del piano di riparto, l’unica strada percorribile sarebbe stata quella della controversia distributiva di cui all’art. 512 c.p.c.25 Anche questa soluzione non sembra possa essere riproposta oggi, stante l’espressa volontà del legislatore di limitare l’operatività dell’opposizione all’esecuzione alla sola fase liquidatoria (salvi, come detto, i limitati casi di opposizione all’esecuzione «tardiva»).
Come già detto, strettamente collegato all’innovazione introdotta nel co. 2 dell’art. 615 c.p.c. è poi l’inserimento di un ulteriore periodo al co. 3 dell’art. 492 c.p.c. a proposito del contenuto del pignoramento. In base a tale nuova disposizione «il pignoramento deve contenere l’avvertimento che, a norma dell’art. 615, comma 2, terzo periodo, l’opposizione è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione a norma degli artt. 530, 552 e 569 c.p.c., salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero che l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile». Ciò, evidentemente, al fine di mettere al corrente il debitore esecutato del fatto che, se intende proporre opposizione all’esecuzione, sarà costretto a farlo entro i termini ora indicati dal co. 2 dell’art. 615 c.p.c.
Sennonché, la nuova disposizione, da un lato, non chiarisce a chi spetti la formulazione dell’«avvertimento» e, dall’altro lato, quali conseguenze comporti l’omissione di tale adempimento. Dubbi che, tuttavia, possono essere risolti alla stregua delle conclusioni alle quali si è pervenuti con riferimento all’altro «avvertimento» al debitore che l’art. 492 c.p.c. impone in sede di pignoramento, quello di poter chiedere la conversione del pignoramento ai sensi dell’art. 495 c.p.c.26 Ebbene, alla luce di tali conclusioni, è ragionevole ritenere che anche il nuovo «avvertimento» debba essere formulato dall’ufficiale giudiziario e che, in assenza di una previsione espressa, la sua mancanza non comporti nullità, ma mera irregolarità dell’atto.
Note
1 Carratta, A.D’Ascola, P., Riforme per il processo civile: il d.l. 132/2014, in Libro dell’anno del Diritto 2015, Roma, 2015, 483 ss.; De Stefano, F., Novità sull’espropriazione forzata, in Libro dell’anno del Diritto 2016, Roma, 2016, 585 ss.
2 Carratta, A.D’Ascola, P., op. cit., 490.
3 A differenza di quel che accadeva nel codice di rito del 1865, dove l’art. 649 impediva le opposizioni d’ordine e di merito «dopo seguita la vendita o l’aggiudicazione» nell’ambito dell’espropriazione mobiliare (e la medesima regola veniva estesa in via interpretativa anche all’espropriazione immobiliare). V., in proposito, Liebman, E.T., Le opposizioni di merito nel processo d’esecuzione, Roma, 1931, 223.
4 Cass., 30.6.2010, n. 15623, e Cass. 17.12.2010, n. 25654, entrambe in Riv. dir. proc., 2011, 1262, con nota di S. Vincre.
5 V., ad es., Trib. Oristano, 23.9.2015, in ilcaso.it; Trib. Palermo, 10.12.2002, in Giur. mer., 2003, 427 ss.
6 V., in proposito, Barreca, L., Sulla provvisoria esecuzione parziale del decreto ingiuntivo, in Giur. mer., 2005, 49 ss.; Cea, C., L’esecuzione parziale del decreto ingiuntivo alla luce del nuovo testo dell’art. 648 c.p.c., in Foro it., 2006, I, 213 ss.; Valitutti, A.De Stefano, F., Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, Padova, 2008, 443.
7 L’originaria formulazione del co. 4 dell’art. 1 d.l. n. 59/2016 attribuiva un’efficacia costitutiva all’iscrizione nel registro dei pegni non possessori («il pegno non possessorio si costituisce esclusivamente con la iscrizione in un registro …»). Questa formulazione, tuttavia, è stata modificata dalla legge di conversione nel senso di attribuire all’iscrizione mera efficacia di pubblicità verso i terzi dell’avvenuta costituzione del pegno non possessorio. Aggiunge il co. 6 che l’iscrizione ha una durata decennale, rinnovabile per mezzo di una nuova iscrizione nel registro effettuata prima della scadenza del decimo anno, mentre la cancellazione può essere richiesta di comune accordo dal creditore e dal datore del pegno oppure domandata giudizialmente. Comunque sia, gli aspetti legati alla gestione del registro sono regolati da un apposito decreto del Ministro dell’economia, di concerto con quello della giustizia.
8 Mediante contratto costitutivo che, a pena di nullità, deve risultare da atto scritto con indicazione del creditore, del debitore e dell’eventuale terzo concedente il pegno, la descrizione del bene, del credito e dell’importo garantito (co. 3 dell’art. 1 cit.).
9 Ed anche per i contratti di finanziamento in corso alla data di entrata in vigore della nuova disposizione, per atto notarile, in sede di successiva modificazione delle condizioni contrattuali (co. 4 dell’art. 48 bis cit.).
10 Ciò al fine di consentire agli altri creditori di conoscere l’ammontare e la scadenza del credito e gli interessi che esso produce.
11 Sempre che non si tratti di immobili adibiti ad abitazione principale del proprietario, del coniuge o di suoi parenti e affini entro il terzo grado (co. 3 dell’art. 48 bis).
12 V., in argomento, De Stefano, F., Novità sull’espropriazione forzata, cit., 585 ss.; Bove, M., Profili processuali dell’art. 2929 bis c.c., in Riv. esecuzione forzata, 2016, 157 ss.; Capponi, B., Prime impressioni sugli aspetti processuali dell’art. 2929 bis c.c. (la tecnica del bypass applicata all’esecuzione forzata), ibidem, 59 ss.; Tedoldi, A., Le novità in materia di esecuzione forzata nel d.l. n. 83/2015 … in attesa della prossima puntata, in Corr. giur., 2016, 155 ss.
13 Sul quale v., in particolare, Brianda, G., Le prospettive del divieto del patto commissorio tra normativa comunitaria, lex mercatoria e tradizione, in Contr. e impr., 2016, 797 ss,
14 Cass., 7.7.2009, n. 15892; Cass., 1.6.2004, n. 10495; Cass., 26.3.2003, n. 4488; Cass., 5.4.2001, n. 5077. In dottrina, per tutti, Andrioli, V., Commento al codice di procedura civile, III, Napoli, 1957, 344; Garbagnati, E., Opposizione all’esecuzione, in Nss. D.I., XI, Torino, 1965, 1069; Vaccarella, R., Opposizioni all’esecuzione, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1990, 5 s.; Mandrioli, C.Carratta, A., Diritto processuale civile, IV, Torino, 2016, 213 ss.
15 Nell’art. 1, lett. d), n. 12, del d.d.l. (A.C. n. 2953 – A.S. n. 2284), fra i principi e criteri direttivi della delega, si stabilisce: «Prevedere che, nell’esecuzione per espropriazione, l’opposizione all’esecuzione non sia ammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione a norma degli articoli 530, 552 e 569 del codice di procedura civile, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero che l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile».
16 V., ad es., Cass., 7.2.2000, n. 1337, secondo la quale il titolo esecutivo è condizione dell’azione esecutiva e dunque deve essere verificata d’ufficio dal giudice la sua idoneità a fungere da titolo esecutivo; Cass., 28.7.2011, n. 16541, per la quale il principio, per cui spetta al giudice dell’esecuzione verificare la sussistenza originaria e la permanenza del titolo esecutivo per tutto il corso del processo esecutivo, deve essere coordinato, in sede di opposizione all’esecuzione, con i principi della domanda e della corrispondenza fra chiesto e pronunciato; Cass., 6.8.2002, n. 11769.
17 V., ex multis, Cass., 22.3.2011, n. 6548; Cass., 16.9.2008, n. 23727; Cass., 11.6.1999, n. 5761.
18 Cass., 11.12.2012, n. 22642; Cass., 26.10.2011, n. 22310; Cass., 23 aprile 2001, n. 5961, in Giust. civ. 2002, I, 177 ss., con nota di Delle Donne, C., La cassazione e la contestazione dei crediti nella fase di riparto dell’esecuzione forzata: ancora un’occasione mancata; in precedenza, fra le molte, Cass., 20.12.1972, n. 3648, in Foro it., 1973, I, 2884; Trib. Roma, 7.7.1964, in Riv. dir. proc., 1965, 296 ss., con nota di Verde, G., Ancora sui rapporti tra l’opposizione all’esecuzione e contestazione dei crediti. Nello stesso senso, in dottrina, Garbagnati, E., Il concorso di creditori nel processo di espropriazione, Milano, 1959, 93 ss.; Id., Opposizione all’esecuzione, cit., 1072; Id., Espropriazione, azione esecutiva e titolo esecutivo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1956, 1361 ss.
19 Rinviamo a Carratta, A., Le controversie in sede distributiva fra diritto al concorso e «sostanza» delle ragioni creditorie, in Corr. giur., 2009, 569 ss.
20 In particolare, il progetto elaborato dalla Commissione Tarzia (Testo del disegno di legge delega, in Riv. dir. proc., 1996, 949 ss., spec. 952), al n. 33, prevedeva: «Revisione della disciplina delle opposizione nel processo esecutivo secondo i seguenti principi: a) proponibilità dell’opposizione all’esecuzione per espropriazione fino al provvedimento che dispone l’assegnazione o la vendita, da emanarsi non prima di novanta giorni e non oltre centocinquanta giorni dal pignoramento; b) previsione che il precetto per l’espropriazione contenga, a pena di nullità, l’espresso avvertimento del termine per proporre l’opposizione». Nel senso della limitazione alla fase liquidativa dell’esperibilità dell’opposizione all’esecuzione anche la proposta avanzata nel Progetto di A. Proto Pisani, in Foro it., 2009, V, 101.
21 Carratta, A., Le controversie, cit., 571 ss. In giurisprudenza, sembra orientata nel senso del testo anche Cass., 21.6.2013, n. 15654. In argomento, v. anche Barreca, G.L., Le nuove norme sulle controversie distributive, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, 267 ss.; Romano, A.A., Espropriazione forzata e contestazione del credito, Napoli, 2008, 395 ss.; Vincre, S., Profili delle controversie sulla distribuzione del ricavato (art. 512 c.p.c.), Padova, 2010, 242 ss.; Nascosi, A., Contributo allo studio della distribuzione della somma ricavata nei procedimenti di espropriazione forzata, Napoli, 2013, 205 ss.; Capponi, B., Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2015, 323 ss.; Tiscini, R., Le controversie distributive di nuova generazione. Riflessioni sulla natura e sui rapporti con altri incidenti cognitivi, in Riv. esecuzione forzata, 2015, 1 ss.
22 V., in particolare, Satta, S., La distribuzione del ricavato e opposizione all’esecuzione, in Riv. dir. proc., 1953, I, 89 ss., spec. 98 ss.; Id., Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1965, 212 ss.; v. anche Allorio, E.Colesanti, V., Esecuzione forzata (dir. proc. civ.), in Nss. D.I., VI, Torino, 1960, 744.
23 Rinviamo, anche per gli opportuni riferimenti, a Carratta, A., Le controversie, cit., 569 ss.
24 Per questa conclusione, infatti, v. Cirulli, M., Le nuove disposizioni in materia di espropriazione forzata contenute nella legge 30 giugno 2016, n. 119, in Judicium (judicium.it), (26 luglio) 2016, 7.
25 A questa conclusione pervengono quanti sostengono che oggetto della controversia distributiva sia il cd. diritto (processuale) al concorso: v. Costantino, G., Processo esecutivo, in AA.VV., La riforma (della riforma) del processo civile. Note a prima lettura sulla legge 28 dicembre 2005, n. 263, in Foro it., 2006, V, 67 s.; Bove, M., La distribuzione, in Balena, G.Bove, M., Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 266 s.; Monteleone, G., Risoluzione delle controversie, in Riforma del processo civile. Commentario, a cura di F. Cipriani e G. Monteleone, in Nuove leggi civ., 2006, 1066 s.; Canale, G., Sub art. 512 c.p.c., in Le recenti riforme del processo civile, commentario diretto da S. Chiarloni, II, Bologna, 2007, 751 ss.; Merlin, E., Le controversie distributive, in AA.VV., Il processo civile di riforma in riforma, II, Milano, 2006, 149 ss.
26 Cass., 12.4.2011, n. 8408; Cass., 23.3.2011, n. 6662.