Nuove religioni e culti misterici
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I Romani hanno sempre integrato nella propria religione nuovi dèi e nuovi culti, prima prendendoli in prestito a Etruschi e Greci, poi accogliendo divinità proveniente dall’“Oriente”. Spesso le “religioni orientali” prendono la forma di “culti misterici”, ma cosa sono esattamente questi culti e in che cosa consistono i misteri? Osserveremo quali sono le modalità e la procedura per introdurre queste nuove divinità e le ragioni per cui questi culti hanno riscontrato un grande successo a Roma. Tre divinità e “culti orientali” maggiori saranno presentati in modo più dettagliato: Iside, Cibele e Mitra.
Sin dalle sue origini, la religione romana è favorevole all’integrazione di dèi e culti stranieri. La religione praticata dai Romani è il risultato dell’assorbimento progressivo di culti stranieri che si sono sovrapposti all’antico fondo italico. Alcune divinità sono ufficialmente accolte, altre s’installano “ufficiosamente”, guadagnando poco a poco un posto nelle famiglie e nelle città. I Romani classificano i loro dèi in due categorie: le divinità tradizionali (indigetes) e le divinità aggiuntesi successivamente (nouensiles). Questa distinzione riflette il pluralismo proprio dei Romani che integrano progressivamente nuovi popoli e nuove élite parallelamente all’estendersi del loro impero.
Dall’età arcaica, dèi etruschi o greci sono accolti e onorati dai Romani. In seguito, durante la repubblica e soprattutto durante l’impero, vengono adottate divinità giunte da Egitto, Siria, Asia, Persia. Tali culti sono comunemente raggruppati sotto l’appellativo di “religioni orientali” o di “culti misterici”, che hanno in comune il fatto di essere ritualisti, comunitari e non esclusivi: essi permettono infatti che i loro adepti possano occuparsi anche del culto di altre divinità, a differenza delle religioni monoteistiche, come il giudaismo e il cristianesimo, che s’inseriscono anch’essi nel panorama romano. Tutti questi culti e credenze non soppiantano la religione tradizionale, ma si affiancano a essa.
Quali sono queste nuove religioni che giungono a Roma dall’“Oriente” e che chiamiamo più comunemente “culti orientali” o “culti misterici”? Da dove arrivano veramente? Quando giungono su suolo italico e quali sono le modalità del loro arrivo? Qual è l’identità di coloro che le introducono e che le praticano? Perché i Romani integrano nuovi dèi? E infine cosa distingue questi culti dalla religione romana tradizionale?
I sacra peregrina sono i culti di origine straniera introdotti a Roma e nell’impero in tempi diversi, alcuni ufficialmente, altri no. Tra la metà del VI e l’inizio del V secolo a.C. la religione romana subisce una prima ondata di ellenizzazione che modifica il suo sistema religioso, porta nuovi concetti e nuovi riti e un arricchimento del mondo divino. Queste influenze greche si fanno sentire anche tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C. con una seconda ondata. Sono la conseguenza delle conquiste militari romane e dei contatti con popoli lontani alleati o sottomessi.
Gli apporti greco-etruschi comportano anzitutto una modifica della triade primitiva Giove-Marte-Quirino che diventa la triade capitolina composta da Giove-Giunone-Minerva. Nel 509 a.C. il primo tempio dedicato a questa triade è inaugurato sul Campidoglio. Altri santuari sono dedicati a Saturno (496 a.C.), Mercurio (495 a.C.), Cerere, Libero e Libera (493 a.C.), e ai Castori (484 a.C.). Queste consacrazioni testimoniano la penetrazione a Roma di nuove divinità giunte da città vicine o nemiche e i cambiamenti subiti dalle divinità antiche. Sotto l’influenza della Grecia e dell’Etruria le antiche divinità italiche si trasformano, la loro natura si precisa, e a volte i loro riti cadono in disuso o mutano.
L’introduzione di nuove divinità può avvenire in quattro modi diversi. Il primo consiste nell’introduzione per vicinanza, cioè prendendo in prestito divinità da città vicine come Diana (Aricia), Fortuna (Anzio e Praeneste), e i Castori (Lanuvio). La seconda possibilità è di accettare le divinità che i negozianti portano con loro durante i loro spostamenti. Così sono stati introdotti Ercole, Hermes e Apollo dai commercianti che viaggiano nel Mediterraneo. La terza possibilità è l’evocatio da città nemiche. Questa pratica consiste nell’invitare una divinità nemica ad abbandonare il proprio campo per raggiungere quello dei Romani in cambio della promessa di ricevere un culto a Roma. In questo modo è stata introdotta Giunone Regina, evocata da Marco Furio Camillo dopo la vittoria di Roma su Veio nel 396 a.C.
Tito Livio
Ab urbe condita, Libro V, cap. XXI Una folla immensa si riversò nell’accampamento. Allora il dittatore, presi gli auspici, si fece avanti, e, dopo aver dato ordine ai soldati di armarsi: “O pitico Apollo”, disse “sotto la tua guida e per tua divina ispirazione mi avvio a distruggere la città di Veio, e a te offro in voto la decima parte del bottino che se ne trarrà. Nello stesso tempo supplico te, Giunone regina, che adesso risiedi a Veio, di seguire noi vincitori nella nostra città che fra breve sarà anche tua, perché ivi possa accoglierti un tempio degno della tua grandezza”.
T. Livio, Storia romana, trad. it. M. Scandola, Milano, BUR, 1992
Infine l’ultima possibilità prevede la consultazione dei libri Sibillini, i famosi oracoli della Sibilla, la profetessa di Apollo. Questi libri sono interpretati da un collegio sacerdotale specializzato, i Quindecimviri sacris faciundis, e a volte suggeriscono l’adozione di nuovi culti. Seguendo tale procedura sono stati introdotti il dio greco guaritore Asclepio e la dea frigia Cibele, chiamata anche Grande Madre degli dèi.
Tito Livio
Ab urbe condita, Libro XXIX, cap. X
In quel momento un nuovo timore religioso aveva invaso la città, poichè nei libri sibillini, consultati per il motivo che in quell’anno erano cadute pietre dal cielo piuttosto frequentemente, era stata trovata questa profezia: qualora un nemico proveniente da una terra straniera avesse portato guerra in Italia, sarebbe stato possibile cacciarlo dall’Italia e sconfiggerlo se [la statua del] la Mater Idaea fosse stata portata da Pessinunte a Roma. Questa profezia, scoperta dai decemviri, turbò i senatori ancora di più per il fatto che anche gli ambasciatori che avevano portato un’offerta a Delfi riferivano che, quando avevano sacrificato ad Apollo Pizio, tutti i presagi erano stati favorevoli e che dall’oracolo era venuto il responso che al popolo romano stava per giungere una vittoria molto più grande di quella dal cui bottino portavano offerte.
in E. Sanzi, I culti orientali nell’impero romano: un’antologia di fonti, Cosenza, Edizioni Giordano, 2003
Per i Romani, epidemie, minacce gravi o avvenimenti eccezionali sono intesi come una rottura della pax deorum, cioè del rapporto sereno e corretto con gli dèi: per rimediare a tale rottura è necessario chiamare nuove divinità o ricorrere ad antiche pratiche diventate eccezionali come per esempio i sacrifici umani. Per quanto riguarda la localizzazione di questi culti stranieri a Roma e nelle città dell’impero, la maggior parte di essi si sono stabiliti nelle zone dove si praticano anche altri culti più recenti. Nell’urbs, i santuari dei nuovi dèi sono normalmente edificati fuori del pomerium, dunque fuori della zona sacra che delimita la parte più antica della città. Tuttavia, un’eccezione attenua questa regola: si tratta del caso di Cibele. Questa divinità, introdotta nel 204 a.C. dalla Frigia, è venerata a Roma in un tempio costruito sul Palatino, proprio all’interno del pomerium. In questo caso tuttavia, la sistemazione trova giustificazione nelle origini troiane della dea che, legandosi alle origini troiane di Roma stessa, ne fanno quasi una divinità tutelare della città. D’altronde quest’esempio prova la capacità dei Romani ad integrare nuovi culti anche se questi portano con loro rituali e cosmologie parzialmente estranee al mondo greco-romano.
Nelle città dell’impero gli scavi archeologici hanno dimostrato che questi culti d’origine straniera sono perfettamente integrati al tessuto urbano, fatto che ci induce a pensare che siano ben accettati dalla comunità. In effetti, questi peregrina sacra hanno in comune la caratteristica di mischiare elementi stranieri ed elementi romani. Sono celebrati dai cittadini romani secondo un rito che si ispira alla regione di cui essi sono originari, ma che integra anche elementi romani. Il loro contenuto e le loro modalità sono a volte sentiti come esotici, e i loro sacerdoti possono essere stranieri o romani, a volte entrambi.
Quelli che chiamiamo “religioni orientali” o “culti misterici” sono assai difficili da definire. Si tratta di forme religiose propagatesi nell’impero romano soprattutto in Occidente. Alcuni aspetti comuni permettono di distinguerli dai culti civici tradizionali della religione greco-romana. Si tratta di culti di origine straniera, celebrati con una procedura che è sentita come più “esotica”, in onore di divinità esterne al pantheon greco-romano. Questi culti prendono spesso la forma di “culti misterici” (definizione a sua volta problematica) e richiedono spesso ai fedeli un’iniziazione, un’adesione più personale e la promessa di mantenere il segreto sui riti compiuti. Nelle cerimonie le emozioni suscitate dalle performances rituali sono molto importanti.
Dobbiamo l’espressione “religioni orientali” allo studioso belga Franz Cumont, che nell’opera Le religioni orientali nel paganesimo romano (1906), presenta sotto questo appellativo un insieme di culti di origine diversa, tutti provenienti dal Vicino Oriente antico e diffusisi in ondate successive nel mondo romano tra il II secolo a.C. e il IV secolo d.C. A partire da quest’opera, per “religioni orientali” si intendono comunemente i culti egiziani, siriani, anatolici la cui diffusione a Roma e nell’impero romano è attestata dall’archeologia, dall’epigrafia e dalla letteratura. Oltre a Iside e Serapide, Cibele e Attis, Mitra, Adonis e Atargatis, il Baal siriaco originario di Heliopolis, quello di Doliche e quello di Damasco, Cumont prende anche in conto i misteri di Bacco, un appellativo del dio greco Dioniso, le cui ascendenze tracio-frigie permettono di farne un dio orientale. In compenso, il cristianesimo e il giudaismo sono esclusi dalla sua lista.
Riunire tutti questi culti e divinità sotto l’appellativo di “religioni orientali” significa concepirli come un gruppo omogeneo che arriva nello stesso modo e seguendo lo stesso itinerario. Oggi questa categoria è rimessa in questione. Infatti, benché i tempi, le condizioni e le modalità del loro arrivo non siano sempre facilmente ricostruibili, è evidente che sono diversi. Alcuni arrivano prima, altri seguono un cammino più lungo, alcuni sono introdotti ufficialmente, mentre altri restano ufficiosi e marginali. Durante la loro migrazione verso Roma, queste divinità hanno subito dei cambiamenti importanti e a volte non hanno più niente in comune con il loro prototipo di origine. Questi culti si sono evoluti nel tempo e nello spazio perché nessuno di essi possiede una norma né un dogma unificatore. Per di più, non provengono dalla stessa regione, da un medesimo “Oriente”. Alcuni vengono dall’Africa, altri dall’Asia, altri ancora dalla Persia. Il concetto e la categoria di “religioni orientali” è ancora oggi discussa, anche se viene utilizzata in mancanza di una terminologia migliore. L’Oriente infatti è un concetto unicamente geopolitico che i Romani non applicano né alle “religioni” né ai culti. Ai loro occhi, un culto è ufficiale o no, a seconda se sia o meno finanziato dallo stato, e indipendentemente dalla sua origine, locale o straniera. Infatti i Romani non parlano di “religioni orientali” ma di “religioni straniere”. Inoltre, oppongono volentieri la religio (nazionale e autentica) alla superstitio (esotica e sospetta). Tali culti definiti in epoca moderna come “orientali” sono considerati una externa superstitio dai Romani.
In realtà però queste pratiche religiose non hanno in alcun modo soppiantato la religione tradizionale. Poiché non sono delle credenze esclusive, si sono aggiunte ai culti precedenti, offrendo scelte complementari.
L’espressione “culti misterici” è oramai conosciuta ed è comunemente utilizzata per i culti di Eleusi, di Dioniso-Bacco, nonché per la maggior parte dei “culti orientali” in particolare quello di Iside, Cibele e Mitra. Si tende tuttavia a distinguere i culti misterici più antichi e di origine greca dai misteri di epoca posteriore e connessi ai culti orientali.
I misteri comportano cerimonie d’iniziazione segrete, cioè riti di passaggio preliminari compiuti al fine di essere ammessi al culto. Non sappiamo in che cosa consistessero esattamente questi riti d’iniziazione, dato che il segreto è di rigore. Attraverso i riti misterici, l’iniziato aspira a una vita migliore e alla prospettiva di una salvezza, spesso ma non esclusivamente in senso escatologico.
Plutarco
Iside e Osiride Tutto ciò che è avvolto e celato nei sacri rituali misterici, tutto ciò che è conservato segreto nei riti iniziatici e non è visibile per la massa, ha una simile ragione.
in P. Scarpi, Le religioni dei misteri, Milano, Mondadori, 2002
I misteri sono aperti a tutti i gruppi sociali, compresi gli schiavi, nonché a entrambi i sessi (ad eccezione del culto di Mitra). Dato che questi culti ignorano le barriere sociali, politiche e sessuali, sono il frutto di una scelta personale. Nel sistema politeistico, una persona può praticare una pluralità di culti, che non sono in concorrenza tra di loro. Essere “iniziato” non implica un’adesione mistica, né esclusiva. D’altronde un candidato può essere iniziato a diversi culti misterici – lo provano molti casi e in particolar modo l’altare di Vettius Agorius Praetextatus e di sua moglie Aconia Fabia Paulina (CIL VI, 1779), che ricordano le loro numerose iniziazioni e funzioni sacerdotali nei diversi “culti orientali”.
Inoltre, accanto ai misteri esistono varie forme di devozione anche per i non-iniziati, tra cui le feste annuali a data fissa e le offerte private. Se alcuni culti orientali si sono diffusi nel mondo romano insieme ai loro riti d’iniziazione, altri, quali per esempio quello di Iside e Cibele, possiedono dei culti pubblici prima di avere cerimonie d’iniziazione private.
Le divinità di origine “orientale” che si sono installate a Roma sono numerose. Non ne faremo qui un catalogo completo. Abbiamo scelto di presentare, in modo più dettagliato, tre divinità e culti tra i più importanti e rappresentativi. Inizieremo con Iside e le divinità egiziane che le sono associate: Serapide e Arpocrate; quindi gli dèi o Magna Mater, e Attis, e infine il dio Mitra, proveniente della Persia. Esistono poi “culti orientali minori” che hanno, anch’essi, trovato posto a Roma.
Il culto di Iside e delle divinità egiziane che le sono associate, in particolare Serapide, ha subito numerose modifiche attraverso il tempo. Nella sua prima fase in epoca faraonica si venerava la triade composta da Osiride, Iside e Horus. Il mito di Osiride era l’elemento fondamentale. Il culto non comprendeva allora riti misterici. La seconda fase risale all’epoca ellenistica, quando Tolomeo I Soter modificò il culto egiziano dando a Iside una collocazione centrale ed ellenizzando il suo aspetto egiziano. Inoltre, Tolomeo creò due nuove divinità che, con Iside, formano una triade inedita: Serapide, suo sposo, sostituisce Osiride, Arpocrate suo figlio prende il posto di Horus. Inventando il personaggio di Serapide, frutto della combinazione dei caratteri di diverse divinità preesistenti, Tolomeo riesce ad aprire l’antico culto egiziano alla popolazione greca di Alessandria attraverso la creazione di riti misterici. Sotto questa forma rinnovata ed ellenizzata il culto egiziano si diffonde prima in Grecia e poi in Occidente con grande rapidità. Infatti, molto più di tutti gli altri culti orientali, il culto isiaco conosce la massima espansione prima in Grecia e poi a Roma, assimilando a sé sempre più divinità greche e romane, ritenute analoghe le une alle altre per le loro funzioni. Questo spiega perché Iside viene definita da Apuleio (Metamorfosi, XI, 5,1) la dea dai mille aspetti e dai mille nomi.
Il culto di Iside si diffonde prima nelle regioni sotto influenza lagide, cioè l’Egitto e i suoi territori esteri, in particolare Delo. Da lì raggiunge le coste italiane: la Campania, la Sicilia e il sud dell’Italia e infine anche Roma. In Italia il culto egiziano si diffonde in modo ufficioso, come è testimoniato dal fatto che il senato ordina ripetute volte la distruzione delle cappelle private e delle statue (nel 58, 53, 50 e 48 a.C.) per frenarne l’espansione (Cassio Dione, Storia romana, 40, 47, 3-4 e 42, 26, 1-2). Solo nel 43 a.C. i triumviri Marco Antonio, Marco Emilio Lepido e Cesare Ottaviano Augusto ordinano la costruzione di un tempio pubblico a Iside e Serapide sul Campo di Marte (Cassio Dione, Storia romana, 47, 15, 4). Questo tempio vi rimase anche dopo la battaglia di Azio e la vittoria di Ottaviano su Antonio e l’Egitto, e fu frequentato almeno fino al V secolo. Tuttavia, per ragioni politiche e propagandiste ovvie, Ottaviano proibisce i culti egiziani all’interno del pomerium, in compenso autorizza le costruzioni private promosse dalla popolazione (Cassio Dione, Storia romana, 53, 2, 4). Mentre Tiberio Giulio Cesare Augusto è anche lui ostile ai culti egiziani, a partire da Caligola gli imperatori romani successivi danno il loro consenso a questo culto. Infatti altri templi in onore di Iside o di Serapide sono edificati a Roma sul Campidoglio, l’Aventino e il Quirinale.
Il culto di Iside ha complessivamente subito molte influenze greche, ma per alcuni tratti è rimasto egiziano: i sacerdoti specializzati sono di origine orientale, vestono all’egiziana, la liturgia prevede la recitazione di testi in lingua egiziana (geroglifici o ieratici) e in greco.
Il culto comporta diversi elementi pubblici e privati. I sacerdoti compiono ogni giorno un rituale per l’apertura del tempio. La statua cultuale viene venerata con preghiere, inni e libagioni. Sacerdoti e fedeli possono offrire anche loro sacrifici, banchetti e offerte private. Una festa pubblica annuale, Navigium Isidis, fissata il 5 marzo, coincide con la ripresa della navigazione dopo la sosta invernale. In quanto dea protettrice dei marinai e della navigazione, Iside è solennemente accompagnata in processione dai fedeli fino al porto, mentre i sacerdoti partecipano alla processione portando gli attributi simbolici della dea.
Apuleio
Metamorfosi, Libro XI, 16
Il sommo sacerdote, con una fiaccola splendente, un uovo e dello zolfo, recita preliminarmente le più solenni preghiere con bocca casta, consacrò e dedicò alla dea, purificata nella forma più scrupolosa possibile, la nave, fabbricata a regola d’arte e variamente adornata di splendide pitture egizie. La vela del fortunato vascello, d’un luminoso tessuto, recava davanti delle lettere ricamate: c’era scritto un voto augurale per la ripresa del traffico.
[...] Allora tutti, iniziati e profani, fanno a gara ad accumulare setacci colmi d’aromi e d’altre offerte del genere e libano sui flutti un intruglio a base di latte. Alla fine, la nave, carica di generosi doni e d’altre offerte votive propiziatrici, levate le ancore, è consegnata al mare, sotto la spinta di una mite brezza. Quando poi essa si fu allontanata tanto che quasi non si vedeva, i portatori si caricano di nuovo delle sacre effigie, che avevano deposte, e di buon passo presero la via del ritorno alla volta del santuario, dopo aver ricomposto in ordine la fila della processione.
in P. Scarpi, Le religioni dei misteri, Milano, Mondadori, 2002
L’ultimo libro delle Metamorfosi di Apuleio è la nostra fonte più importante per la conoscenza dei misteri di Iside. Anche se si tratta di un testo letterario e non di un trattato religioso, esso rappresenta comunque una fonte molto importante e in gran parte affidabile. Da Apuleio veniamo infatti a sapere che l’iniziazione prevede numerose fasi. Dopo che la dea ha dato il suo consenso al futuro iniziato, quest’ultimo deve sottoporsi a una serie di riti preliminari che lo preparano alla grande cerimonia.
Apuleio
Metamorfosi, Libro XI, 19
Fui destinato a servire la dea con veste ancora di privato condividendo la vita con i sacerdoti e senza staccarmi dal culto della grande dea. Non trascorse una notte, non ci fu sonno per me senza che la dea mi apparisse e mi consigliasse; anzi, a più riprese, mi spingeva a farmi iniziare a quei sacri riti, cui da gran tempo mi aveva destinato. Io tuttavia, benché lo desiderassi e lo volessi, esitavo per una sorta di scrupulo religioso: mi ero coscienziosamente informato e avevo saputo che arduo era osservare una regola religiosa così difficile e rispettare l’astinenza imposta dalla pratica ascetica.
in P. Scarpi, Le religioni dei misteri, Milano, Mondadori, 2002
Dopo un bagno purificatore, l’astinenza da carne e vino per dieci giorni, il candidato viene istruito dal sacerdote mediante i libri sacri. Il rito d’iniziazione si svolge di notte, in una parte nascosta del santuario, e, secondo quanto scrive Apuleio, l’esperienza emotiva dell’iniziando è assai intensa, perché egli pensa di giungere, attraverso il rito, fino a vedere la soglia stessa degli inferi. Il mattino successivo, l’iniziato indossa 12 vesti, una per ogni costellazione zodiacale. Infine, riveste l’abito di lino e viene presentato agli altri fedeli nella sua nuova veste.
Apuleio
Metamorfosi, Libro XI, 21-24
Il giorno in cui uno doveva essere iniziato veniva sempre fissato su indicazione della dea, la quale, nella sua provvidenza, sceglieva anche il sacerdote che doveva officiare e stabiliva l’ammontare delle spese per la cerimonia. [...] Le porte dell’inferno e gli strumenti della salvezza sono in mano della dea e la stessa iniziazione viene celebrata come una morte volontaria e una salvezza temporanea.
Ascolta, dunque, e credi: è tutto vero. Guadagnai i confini della morte, misi il piede sulla soglia di Proserpina e tornai indietro, trascinato attraverso tutti gli elementi; nel cuore della notte vidi il sole vibrare di luce radiosa, venni alla presenza degli dèi inferi e degli dèi celesti e li adorai da vicino.
Venne il mattino e compiute le solenni cerimonie, uscii su un palco di legno eretto nel mezzo del tempio, davanti al simulacro della dea [...] una preziosa clamide mi scendeva giù dalle spalle, dietro la schiena, fino ai talloni. [...] Dopo celebrai il giorno più lieto per me, la mia nascita rituale, con un sereno banchetto e allegri festini.
in P. Scarpi, Le religioni dei misteri, Milano, Mondadori, 2002
Sebbene all’inizio il movimento isiaco sia stato perseguitato dalle autorità romane, il culto della dea s’inserisce tuttavia nella religione romana e raggiunge il suo apice nel III secolo per poi spegnersi lentamente dopo il IV secolo insieme agli altri culti della religione romana.
La Grande Madre degli dèi, più comunemente chiamata Cibele, è una divinità unica per quanto riguarda la sua storia, le sue caratteristiche, il suo culto, il suo clero e il suo statuto ambiguo a Roma. Di origine frigia (nell’attuale Anatolia), Cibele è stata una delle prime divinità straniere ad essere introdotta ufficialmente a Roma dal collegio dei Decemviri (più tardi diventato i Quindecimviri sacris faciundis). Secondo quanto riporta lo storico Livio, nel 205 a.C., durante la seconda guerra punica che vede Roma affrontare Cartagine, i Romani decidono di introdurre la Grande dea Frigia nel loro pantheon in seguito a una profezia dei libri Sibillini. Si pensa che la dea assicurerà la vittoria a Roma.
I Romani si recano in Frigia per chiedere alla dea di giungere a Roma dove riceverà un culto. Il 4 aprile del 205 a.C, scortata da un’ambasciata di senatori, giunge a Ostia la statua della dea, per la quale si costruisce un tempio destinato a diventare il principale luogo di culto della dea. Questo edificio che rispetta lo stile dell’architettura romana viene eretto nella zona sud-ovest del Palatino, all’interno del pomerium, nella zona più antica di Roma e normalmente riservata ad antiche divinità legate alle origini della città. Esso è dedicato il 10 aprile 191 a.C. e le sue fondazioni sono ancora visibili.
Cibele è dunque integrata ufficialmente nel pantheon romano tradizionale. La dea conserva il suo nome e non viene assimilata a nessun’altra divinità greco-romana. Conserva anche i suoi attributi e i suoi miti. Rimane una dea Madre, originaria della Frigia, rappresentata spesso seduta sul trono tra due leoni, con una corona turrita sul capo e in mano un timpano e i cimbali. Insieme alla dea arriva anche il suo compagno, amante e sacerdote, il giovane Attis. Il mito racconta che Attis si evira sotto un albero di pino dopo essere stato infedele a Cibele, e muore. Tuttavia, il giovane dio non viene integrato ufficialmente nel pantheon romano insieme a Cibele. Attis rimane un dio ”marginale” anche se presente vicino alla Grande Madre.
A Roma, la Madre degli dèi riceve un doppio culto: uno di tipo “orientale” compiuto da un personale di culto frigio, l’altro di tipo “romano” eseguito dalle autorità romane e conforme ai riti romani. In seguito, esso verrà eseguito da sacerdoti e sacerdotesse romani, e in particolare da un sacerdote di grado superiore, chiamato archigallo. Questi operano accanto a quel clero frigio formato da sacerdoti eunuchi, i Galli. Imitando Attis, i Galli si evirano nel corso di una cerimonia particolare, dopo essere entrati in trance. I Galli si vestono come donne, si truccano in modo vistoso, portano i capelli lunghi e mendicano per le vie, suscitando l’avversione dei Romani. Tuttavia i Romani accettano la loro presenza per non offendere la dea.
I Romani onorano la Grande Madre anche con una festa annuale, i ludi Megalenses, che si tiene dal 4 al 10 aprile. Questa festa comprende una processione, giochi nel circo, banchetti e sacrifici, e commemora la venuta della dea a Roma. Poi a partire dall’imperatore Tiberio Claudio Cesare Augusto, altre feste in onore della dea sono aggiunte al calendario nel mese di marzo, tra il 15 e il 27. I riti che si svolgono in questi giorni sono collegati al mito di Attis. Le festività iniziano il 15 marzo con la Canna intrat, l’ingresso del giunco, che consiste in una processione eseguita dal collegio dei “cannofori” (i “portatori di canna”). Il 22 marzo è dedicato alla Arbor intrat, l’ingresso dell’albero, una seconda processione eseguita questa volta dal collegio dei “dendrofori” (i “portatori di alberi”) che portano il pino sacro, simbolo del dio Attis, fino al santuario palatino. Il 24 marzo è chiamato il giorno del sangue, Sanguis. In questo giorno i Galli eseguono le loro danze frenetiche e si flagellano. È probabile che il rito della castrazione abbia luogo in questo giorno.
Arnobio
Contro i pagani, Libro V, 17 [...] e quelli là, evirati e smidollati – li vediamo insieme a voi partecipare ai sacri riti in onore di quella divinità –, di che si lamentano lì, di che si angosciano, di che si preoccupano? perché si percuotono il petto e si lacerano le braccia, come coloro che piangono, e simulano il destino di chi versa in una sorte lacrimevole? che senso hanno le corone, le viole, i leggeri veli delle morbide lane? perché, alla fine, proprio il pino, poco prima un tronco che pigramente ondeggiava tra le maccie, è poi collocato ritto nei templi della Gran Madre, quale divinità potente e maestosa? o il motivo è quello che si trova nei vostri scritti e nei vostri formulari: allora, è evidente, voi non celebrate divine cerimonie, ma date vita a una ripetizione di gesti dolorosi; se altra è la ragione necessariamente deve condividere qualche vergognosa indecenza. Chi di fatto crederebbe che vi è un po’ di onestà nei riti a cui iniziano volgari Galli, che celebrano effeminati dissoluti?
Le Religioni dei Misteri, Eleusi, Dionisismo, Orfismo, a cura di P. Scarpi, Milano, Mondadori - Fondazione Lorenzo Valla, 2002
Alla fine della giornata, l’albero sacro e le parti amputate sono seppelliti, e inizia una lunga veglia funebre. Il giorno seguente, il 25 marzo, che corrisponde all’equinozio primaverile, viene annunciata la risurrezione di Attis. È un giorno di grande gioia, Hilaria. Invece, il 26 marzo, Requieto, è un giorno di riposo che precede la grande processione del 27 marzo, che accompagna la statua della dea fino al fiume Almo per un bagno purificatorio. Questo ciclo festivo racchiude anche ulteriori riti riservati agli adepti e per i quali non abbiamo informazioni precise.
Giuliano l’Apostata
La Madre degli dèi
Questo è per noi il grande dio Attis; queste sono le dipartite del re Attis in occasione delle quali si intonano canti funebri, le sparizioni, le scomparse e le discese nell’antro; per me la prova di questo è da leggersi nel periodo in cui hanno luogo [le cerimonie sacre]. Infatti si dice che l’albero sacro venga tagliato in quel giorno nel quale il sole raggiunge il punto più alto dell’orbita equinoziale; poi [il giorno dopo] tutt’intorno si diffonde il suono delle trombe; nel terzo si taglia la messe sacra e indicibile del dio Gallos; dopo questi avvenimenti, dicono, gli Hilaria e le feste.
in I culti orientali nell’impero romano: un’antologia di fonti, trad. it. di E. Sanzi, Cosenza, Edizioni Giordano, 2003
La Grande Madre degli dèi e Attis sono onorati anche da altri due riti particolari: il taurobolio e il criobolio che sono probabilmente anche loro connessi con i riti misterici. Il primo prevede il sacrificio di un toro, il secondo di un ariete. Diversi altari ricordano questi sacrifici senza però precisarne né la procedura né lo scopo esatto.
Il culto di Cibele è presente a Roma dal II secolo a.C. fino al IV secolo. Subisce numerose trasformazioni e si spegne anch’esso con gli altri culti.
Dall’antica Persia giunge a Roma anche il dio Mitra. Nella religione zoroastriana Mitra è il garante dei patti e dei contratti, dio della giustizia, associato al Sole, e ha anche funzioni militari.
La prima attestazione di Mitra nella storia romana risale all’epoca di Gneo Pompeo Magno, quando il generale si trova impegnato contro i pirati cilici che venerano il dio persiano con riti strani e segreti (Plutarco, Vite Parallele, di Pompeo, 24). Anche se il culto di Mitra si diffonde a partire dal I secolo e riscuote un grande successo nel III secolo, esso non viene mai ufficialmente accolto a Roma né diventa oggetto di un culto pubblico, rimane sempre privato.
I riti sacri si svolgono nel mitreo, un tempio costruito come una grotta artificiale. Tutti i mitrei rinvenuti presentano la stessa architettura. L’edificio deve essere buio e il soffitto a volta decorato di stelle. Dall’ingresso si accede con un corridoio centrale alla sala principale di forma rettangolare. Sui due lati sono sistemate panche usate dai fedeli per banchettare. Sulla base dei resti animali ritrovati possiamo affermare che i commensali consumano carne di pollo e di maiale. In fondo alla grotta si trova l’altare del dio decorato con una scena canonica: la rappresentazione della tauroctonia, cioè dell’uccisione del toro in una grotta per mano del dio. Un cane e un serpente leccano il sangue che sgorga dalla ferita, mentre uno scorpione attacca i testicoli della vittima. Vicino a Mitra si trovano Cautes e Cautopates, che simboleggiano il giorno e la notte. Il Sole e la Luna osservano la scena dall’alto. A volte, la rappresentazione principale della tauroctonia si trova al centro di una serie d’immagini che mostrano le gesta eroiche di Mitra: la sua nascita dalla roccia primordiale, la sua alleanza col Sole, e altri avvenimenti della sua vita.
Porfirio
L’antro delle Ninfe [...] Così anche i Persiani danno il nome di antro al luogo in cui durante i riti introducono l’iniziato al mistero della discesa delle anime sulla terra e della loro risalita da qui. Dopo Zoroastro, prevalse anche presso gli altri di celebrare riti iniziatici in antri e caverne, sia naturali sia costruiti artificialmente [...].
Porfirio, L’antro delle Ninfe, trad. it. P. Scarpi, Le religioni dei misteri, Milano, Mondadori, 2002
I mitrei si sono moltiplicati tra il II e il IV secolo nell’impero romano ma soprattutto a Roma e Ostia, nei porti, sugli assi stradali e nelle zone strategiche, in particolare lungo le frontiere difese dall’esercito. In base alle dimensioni spesso ridotte dei mitrei, si pensa che le comunità non contassero molti adepti (una media di 20 persone) o che non li riunissero tutti all’interno. Se le donne non sono ammesse alle iniziazioni, in compenso lo sono tutti gli strati sociali: schiavi, liberti, cittadini romani, cavalieri e senatori. La maggioranza dei seguaci di Mitra è tuttavia costituita da soldati e ufficiali dell’esercito romano, sono loro infatti che hanno favorito la diffusione di questo culto.
Sappiamo che il candidato all’iniziazione deve, innanzitutto, seguire un insegnamento preparatorio il cui contenuto purtroppo ci sfugge. Il candidato deve pronunciare il giuramento solenne che lo obbliga a tenere segreto ciò che gli sarà svelato. Dopo di che, partecipa all’iniziazione vera e propria, raffigurata in alcuni dipinti rinvenuti nei mitrei. Questa prova permette all’iniziato di entrare ufficialmente nella comunità mitraica e di accedere al primo grado della gerarchia. Gli iniziati possono salire in ordine ascendente sette gradi: il corvo (corax), lo sposo (nymphus), il soldato (miles), il leone (leo), il Persiano (perses), l’eliodromo, cioè colui che corre col Sole (heliodromus), e il padre (pater). A ciascuno di questi gradi corrisponde un pianeta tutelare e un segno zodiacale. Al capo del gruppo si trova infine un Padre dei riti sacri (pater sacrorum).
Gerolamo
Lettere
E per tralasciare le cose antiche affinché non risultino infondate agli increduli, non è forse vero che pochi anni fa Gracco, quel vostro parente nel cui nome risuona la nobilità patrizia, mentre era prefetto della città fece abbattere, distruggere e incendiare una grotta di Mitra e tutti i mostruosi gradi, ai quali sono iniziati il corax (corvo), il nymphus (ninfo, sposo), il miles (soldato), il leo (leone), il Perses (persiano), l’heliodromus (eliodromo) e il pater (padre)? E non è forse vero che, fattosi precedere da questi come se fossero dei prigionieri, chiese e ricevette il battesimo di Cristo?
I culti orientali nell’impero romano: un’antologia di fonti, trad. it. E. Sanzi, Cosenza, Edizioni Giordano, 2003
Il culto di Mitra inizia il suo declino nel IV secolo sotto Flavio Valerio Costantino e i suoi successori. Dopo il 387 a Roma non si trova più nessuna dedica al dio.
Oltre a Iside e Serapide, Cibele e Attis, e Mitra, altri dèi di origine “orientale”si istallano a Roma e nell’impero, in epoche diverse, e meritano di essere segnalati: Men, Sabazio e Ma-Bellona di origine anatolica, la dea Syria e i Baal originari della Siria e della Commagene. Men è un dio guaritore che simboleggia la Luna, le cui origini sono discusse. Sabazio è un dio dalla personalità complessa, il cui culto orgiastico e mistico è attestato a Atene già nel IV secolo a.C. Ma-Bellona è una dea solare e guerriera. Il culto di Ma viene introdotto a Roma da Lucio Cornelio Silla in occasione della campagna militare contro Mitridate VI, e si confonde con quello della dea italica Bellona.
Albio Tibullo
Elegie, Libro I, 6, 45-54
Questa [la sacerdotessa], dopo che è stata sconvolta dall’impulso di Bellona, fuori di sé, non teme né la viva fiamma né i colpi di staffile; lei stessa, furiosa, con la bipenne si taglia le braccia e sicura cosparge la dea del sangue versato; e rimane in piedi trapassata nel fianco da uno spiedo, rimane in piedi ferita nel petto, e vaticina gli eventi secondo quello che le ispira la grande dea [...].
I culti orientali nell’impero romano: un’antologia di fonti, trad. it. di E. Sanzi, Cosenza, Edizioni Giordano, 2003
Gli adepti di questo culto cruento sono gli hastiferi (i “portatori di lancia”), che partecipano anche al culto di Cibele. La dea Syria è la somma divinità del pantheon di Hierapolis-Bambyke, nel nord-est della Siria. Il suo culto si diffonde in Occidente a partire dal II secolo a.C. Infine i tre Baal locali: il Baal di Heliopolis, quello di Doliche e quello di Damasco, riscuotono un successo diverso a Roma. Il più fortunato è il Baal di Doliche, città della Commagene, che è stato, già all’epoca ellenistica, assimilato a Giove Ottimo Massimo, diventando Giove Dolicheno.
I culti orientali, così come la religione romana tradizionale, tramontano progressivamente a partire dal IV secolo, quando una serie di decisioni imperiali decreta la fine di ciò che viene ormai definito “paganesimo”. Nel 380 Flavio Teodosio insieme agli altri due Augusti, Flavio Graziano e Flavio Valentiniano, promulga un editto con il quale il cristianesimo viene riconosciuto religione di stato. Poi, nel 381 e nel 385, viene sancito il divieto di celebrare i riti pagani in tutto l’impero. Da questo momento in poi, tutti i culti pagani sono definitivamente vietati e il cristianesimo s’impone come unica religione.