NUZI
L'odierna collina di Yorgantepe, di conformazione approssimativamente quadrangolare e di una lunghezza di circa m 200, sorge nella pianura tra le montagne del Kurdistan a N-E, il Gebel Humrin a S-E e lo Zab inferiore a N-O. Si ritiene che il nome più antico della città sia Gasur, attestato in età accadica; ma l'identificazione si basa solo sulla notevole frequenza del nome nei testi rinvenuti in situ. Dai testi più tardi, la cui datazione intorno al 1500 a. C. è resa certa dal rinvenimento di una lettera del re di Mitanni Shaushshatar, risulta il controverso nome di N. (uru nu-zi, uru nu-zu, uru nu-zu-e).
Contro l'ipotesi di C. H. Gordon, che riteneva accadico il nome e leggeva Nuzu, e di J. Loewy, prima A. Goetze, il quale tuttavia manteneva la lettura Nuzu, e di recente E. A. Speiser hanno sostenuto il carattere hurrita del toponimo; sembra quindi accertata la lettura Nuzi.
Sul sito di Yorgantepe la Harvard University, le American Schools of Oriental Research, lo University Museum di Phìladelphia e lo Iraq Museum hanno condotto campagne di scavo dal 1927 al 1931; le ricerche sono state dirette successivamente da E. Chiera, R. H. Pfeiffer e R. F. S. Starr.
L'occupazione preistorica del sito è documentata dai ritrovamenti di uno dei tre sondaggi in profondità che furono operati e che permisero l'individuazione di dodici livelli. Nei livelli XII-XA si sono rinvenuti numerosi frammenti di ceramica dipinta o incisa; i reperti sono in tutto analoghi a quelli venuti alla luce sul vicino sito di Kudish Saghir; i frammenti ceramici corrispondono a quelli degli strati profondi di Ninive e di Tepe Gaura. Nel X livello, in cui compare un nuovo tipo di ceramica non dipinta, sono state rinvenute tracce di murature in mattoni crudi; i due fenomeni hanno indotto R. F. S. Starr a postulare un mutamento di popolazione, di cui peraltro non si ha alcun indizio. Nei livelli IX-VII che corrispondono ai periodi di Uruk e di Gemdet Nasr non sono venuti alla luce resti architettonici di un certo interesse; altrettanto deve dirsi per i più antichi livelli corrispondenti alla città di Gasur, con cui si indicano convenzionalmente gli agglomerati protodinastici, accadici e neosumerici. Alle fasi recenti del periodo di Gasur sembrano appartenere il tracciato della cinta muraria, che più tardi sarà incorporata nella pianta della città hurrita, e le più antiche strutture del tempio (fase G e settore N-O nella fase F). Nel livello II si riconoscono senza difficoltà due complessi monumentali separati, il tempio e il palazzo, intorno ai quali si raccolgono case private, che si dispongono intorno ad un cortile interno ovvero come una serie di ambienti che circondano una sala più ampia. La cinta muraria, per la quale si devono riconoscere le stesse fasi di sviluppo constatate per il tempio, appare risultante della giustapposizione di due muri paralleli con lo spazio intermedio riempito di terra; una porta sul lato S-E è protetta da un bastione ad O e rafforzata da uno spessore dei muri doppio per una lunghezza diversa sui due lati. Delle porte della cinta muraria sono menzionate dai testi la "grande porta", la porta Tishshae, la porta Zizzae, e la "porta meridionale" (accadico abullu shupālu, hurrita ashar duriwe), oltre una minore che prendeva nome dal canale sharae; tuttavia mentre è probabile che Tishshae fosse il nome di un adito monumentale di un palazzo, Zizzae doveva essere la porta che introduceva nel quartiere periferico dello stesso nome. Dai testi è inoltre noto che la città nel periodo di N. doveva avere vaste zone verdi, il cui mantenimento era agevolato da un ottimo sistema idrico organizzato mediante canali che erano alimentati da un fiume spesso menzionato; dalle fonti scritte sono noti anche alcuni ponti, tra i quali uno notevole sull'importante canale Nirashshu.
L'importante complesso cultuale, di cui si è fatto cenno, si evolve dalla fase G, nella quale è documentata una sola cella con accesso sul lato E e tre vani adibiti a magazzini sui lati O e S, fino alla fase B con una sola sostanziale alterazione consistente nell'erezione di un'altra cella a S della prima e nella recinzione con mura di un'ampia zona nel settore S ed E dell'area sacra. Nella fase finale A le due celle mantengono due aditi separati, uno sul lato E ed uno sul lato S, ma tra i due recinti si apre una porta secondaria. L'attribuzione del tempio N alla dea Ishtar sembra probabile; più ipotetica è la connessione del dio hurrita Teshup con il santuario S; secondo R. F. S. Starr proprio l'avvento di popolazioni di lingua hurrita avrebbe determinato l'erezione del tempio del nuovo dio accanto a quello antico e locale per rivendicare la legittimità della presenza del nuovo elemento etnico. D'altra parte i testi (e soprattutto SMN 2684) indicano chiaramente che nella città esistevano i templi di Teshub di Khalab (Aleppo), di Ishtar di Ninuwa (Ninive) e di Nergal.
Il palazzo principesco che sorge tra le strade 4, 12 e 5, separa la residenza dal complesso monumentale sacro, e si articola attorno ad una grande corte (M 100) a cielo scoperto sulla quale dà la sala L 20 sul lato S-O; la sala del trono L 11 sorgeva accanto alla sala L 20 su un asse parallelo. La cella del tempio interno del palazzo doveva essere probabilmente il piccolo ambiente L 6 a N della sala del trono ovvero il vano L 16 ad O. Sui lati E e N-E si aprivano gli ambienti di servizio. Nella sala L 15 B sono stati rinvenuti ampî frammenti di decorazione parietale policroma a fasce verticali con volti umani, bucrani e piante sacre alternati.
Tra i reperti più notevoli si devono ricordare numerosi frammenti di placche di terracotta del periodo paleobabilonese e parecchi oggetti cultuali in argilla di non facile interpretazione. Rilevante è anche una statuetta d'osso databile intorno al 1500 a. C. che presenta nell'abbigliamento e negli attributi un'iconografia assai insolita; anche la tiara alta, di tipo conico spezzato e munita di corna, è estranea ai moduli mesopotamici. Allo stesso periodo è datata la bella ceramica policroma con motivi spiraliformi e vegetali stilizzati, losanghe, cerchi, stelle a quattro raggi, uccelli e serpenti schematizzati. Questa caratteristica ceramica si ritrova a Tell Billa III, a Tepe Gaura I-II, a Tell Brak, a Çagar Bazar I 4, a Tell Hammam nella valle del Balikh presso ῾Ain el-῾Arus, a Tell Açana II-III, a Tell el-Giudeide VI e a Hama G. Tale diffusione ha fatto proporre a R. T. O'Callaghan il nome di "mitannica" per questa ceramica che si è voluta connettere con l'espansione del regno di Mitanni e con il periodo del suo fiorire (1500-1350 a. C.).
Le impronte di sigilli che sono state rinvenute in numero rilevante a N. e, in generale, in tutta la zona di Kerkuk mostrano caratteri compositi derivanti dal patrimonio iconografico della I dinastia di Babilonia e dalla tradizione che oggi si definisce paleosiriana: tali elementi sono originalmente rielaborati da un gusto particolare dominato dalla tendenza ad evitare i vuoti compositivi e gli squilibri compositivi. Un numero non irrilevante di cilindri cosiddetti "mitannici" è venuto alla luce anche in Siria ed in Palestina; ciò indica senza dubbio che non può trattarsi di un fatto culturale "mitannico" ma che deve essere considerato in un quadro assai più ampio. Notevole è l'importanza dello stile glittico di N. per la formazione della civiltà artistica medio-assira. Si deve qui infine far cenno alle circa 4000 tavolette cuneiformi provenienti da N. di notevole importanza per le numerose glosse in lingua hurrita.
Bibl.: R. F. S. Starr, Nuzi. Report on the Excavations at Yorgan Tepa near Kirkuk, Iraq 1927-1931, 2 voll., Cambridge Mass., 1937-39; E. Porada, Seal Impressions of Nuzi, in Annual of the American Schools of Oriental Research, 24, New Haven 1947. I volumi ove sono pubblicati i testi editi da E. Chiera, R. H. Pfeiffer, T. Meek, E. A. Speiser, C. H. Gordon e E. R. Lacheman si trovano nelle Harvard Semitic Series e nella collezione della Baghdad School oltre che in Muséon, 48, 1935, 113-32, in Annual of the American Schools of Oriental Research, 1936 e in Revue d'Assyriologie, 26, 1939, 81-95, 113-219; R.-J. Tournay, in Dict. de la Bible, Suppl., VI, Parigi 1960, c. 646-74.