OBBEDIENZA canonica
È l'obbedienza che i sacerdoti, in virtù dei sacri canoni, sono tenuti a prestare al proprio vescovo (cod. dir. can., 127 e 128), e della quale fanno speciale promessa nella loro ordinazione. Non è un voto, come quello della professione religiosa, ma una conferma pubblica e solenne dell'obbligo già imposto dal diritto divino e dalle leggi ecclesiastiche.
Nei primi tempi della Chiesa non si ha vestigio di legge o prassi di simile promessa, perché allora l'ordinazione produceva di per sé un vincolo strettissimo tra l'ordinato e l'ordinante. La sua origine viene comunemente riferita alla necessità sentita dai superiori gerarchici di unire più strettamente a sé i chierici per evitare scismi e discordie. Esistono esempî anteriori, ma soltanto nel sec. VII si trova una legge esplicita in proposito, nel canone 27 del Concilio toletano IV (633), rinnovata più chiaramente nel canone 10 del Concilio toletano XII (675) che ebbe grande influsso sulle chiese di altre regioni. In alcune diocesi d'Italia, come attesta il Muratori, nel sec. VIII già era in vigore simile prassi; la stessa cosa consta per le Gallie, dalla collezione di canoni di Benedetto levita (v.), della metà del sec. IX. Dal sec. XI al XVI l'uso di tale promessa si estese sempre più, come risulta dai concilî, dai libri liturgici e dagli scritti dei canonisti. Il Pontificale Romano nella sua edizione definitiva del 1485 conteneva questa promessa, e Clemente VIII avendolo reso obbligatorio per tutta la Chiesa, anche l'obbligo della promessa fu reso universale e divenne parte del rito dell'ordinazione, emettendosi dopo la comunione della messa, e non prima dell'ordinazione, come si usava anticamente.
Da questa promessa sorge un nuovo titolo, che lega il sacerdote alla sottomissione al suo vescovo. Oggetto dell'obbedienza è l'accettare quel carico che il vescovo stimerà conveniente secondo il bisogno della diocesi e il bene delle anime, e disimpegnarlo fedelmente secondo i sacri canoni, gli statuti diocesani e le direttive del vescovo. Per officio non s'intende solo quello parrocchiale, ma anche altri molti, tutti a servizio delle anime, come sarebbero rettore o cappellano di chiese, oratorî, confraternite, case religiose, confessore e direttore spirituale, professore nel seminario, ecc. Il codice di dir. can. non stabilisce pene speciali contro gli ecclesiastici che si rifiutassero all'obbedienza canonica, ma dà al vescovo il potere di punirli con pene e censure proporzionate.