OBBLIGAZIONE (XXV, p. 96)
Il codice civile del 1942 dedica alla disciplina delle obbligazioni il libro IV (articoli 1173-2059). La sistematica seguita dal nuovo codice differisce notevolmente da quella del codice civile del 1865, ora abrogato.
Infatti quest'ultimo regolava le obbligazioni nel libro III intitolato "Dei modi di acquistare e di trasmettere la proprietà e gli altri diritti sulle cose", come se limitasse la materia delle obbligazioni a quella dei contratti traslativi e costitutivi di diritti reali. In realtà altri tipi di contratti e obbligazioni con contenuto diverso erano regolati da quel libro III, ma si notava tuttavia nella disciplina delle obbligazioni una troppo stretta connessione, e talora confusione, con la principale fonte di produzione: il contratto. Il nuovo codice invece, oltre a contenere, come si è detto, la disciplina delle obbligazioni in un libro apposito, sgancia la regolamentazione dell'obbligazione in senso stretto, ovverosia del rapporto obbligatorio, da quella delle fonti di essa (contratto, ecc.) dedicandovi un apposito titolo (il primo) del libro IV suddetto.
Con la unificazione dei due codici di diritto privato, civile e commerciale, in un unico codice, è venuta a mancare qualsiasi differenza di regolamentazione tra obbligazioni civili e obbligazioni commerciali. Conseguentemente sono state estese alle obbligazioni civili talune norme dettate dall'abrogato codice di commercio, soddisfacendo così, accanto all'esigenza di unicità di disciplina, quella di un regolamento meglio rispondente alle esigenze moderne.
Concetto e definizione. - Anche il nuovo codice, come l'abrogato, evita ogni definizione dell'obbligazione. Rimane quindi compito della dottrina il ricercare qual'è la situazione giuridica che il legislatore ha voluto indicare col termine "obbligazione". Si può anzitutto dire che si tratta di un rapporto giuridico tra due soggetti, l'uno chiamato debitore e l'altro creditore, dei quali l'uno è tenuto verso l'altro ad un certo comportamento. Da ciò deriva che, dal punto di vista del debitore, tale situazione giuridica rientra nella più ampia categoria del dovere giuridico.
Assai importante, ai fini della individuazione del concetto e della figura dell'obbligazione, in seno a tale più ampia categoria, è l'articolo 1174 del codice civile, il quale così suona: "La prestazione che forma oggetto dell'obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale, del creditore". Da questa norma deriva che: a) la prestazione deve essere economicamente o - come suol dirsi - pecuniariamente valutabile; b) alla prestazione deve corrispondere un interesse del creditore; c) tale interesse può essere anche non patrimoniale.
Un primo carattere dell'obbligazione solennemente affermato dal nuovo codice è adunque la patrimonialità della prestazione: cadono quindi tutte le dispute sorte al riguardo sotto l'impero dell'abrogato codice. Non è, tuttavia, molto agevole stabilire il significato di tale carattere, anche per le incertezze che la dottrina suol avere al riguardo. Crediamo però che - di fronte alla dizione del ricordato art. 1174 - debba considerarsi più giusta l'opinione secondo la quale la patrimonialità è un carattere obbiettivo della prestazione; diversamente, si perderebbe l'importanza di tale carattere individuatore dell'obbligazione.
Altro carattere, desumibile sempre dal citato art. 1174, è costituito dalla presenza di un interesse del creditore, destinato ad essere soddisfatto dall'adempimento del dovere del debitore. La necessità della presenza di un interesse del creditore non deve considerarsi limitata al momento iniziale ma deve invece accompagnare l'obbligazione per tutto il suo svolgimento: cosicché, se l'interesse venisse a mancare, il rapporto dovrebbe cessare.
Tale interesse - come si ricava sempre dal citato art. 1174 - può anche essere non patrimoniale; l'obbligazione è destinata perciò a soddisfare anche i bisogni culturali, religiosi, morali dell'individuo. Dal fatto che un tale interesse può anche essere non patrimoniale, mentre la prestazione, come si è visto, deve essere patrimoniale, può ricavarsi la seguente conseguenza: che non deve considerarsi inerente alla funzione dell'obbligazione la necessità che il risultato economico della prestazione ridondi a vantaggio del creditore; quel risultato può anche ridondare a vantaggio di un terzo o addirittura del debitore, purché il creditore abbia a ciò interesse.
Infine, un altro carattere fisionomico dell'obbligazione è costituito dal fatto che essa deve essere ricollegata a due soggetti determinati: il debitore, sul quale grava il dovere ed è perciò tenuto ad un comportamento, e il creditore, titolare dell'interesse destinato a essere soddisfatto da quel comportamento. L'importanza di tale carattere dell'obbligazione è rilevata dal fatto che esistono doveri, la cui osservanza è destinata a soddisfare l'interesse di un numero indeterminato di persone (ad es. il dovere di non uccidere), e che perciò non implicano un rapporto giuridico tra due soggetti.
La necessità della determinatezza dei due soggetti può - a prima vista - sembrare negata quando (come comunemente avviene) si afferma che i soggetti del rapporto obbligatorio possono essere semplicemente determinabili. In realtà gli esempî addotti per dimostrare che i soggetti possono essere determinabili sono il più spesso casi in cui uno dei due soggetti del rapporto viene ad essere individuato per la sua posizione nei riguardi di una cosa o di un documento (cosiddetta obbligazione reale, titoli al portatore, ecc.).
Da tutti questi caratteri e dal complesso della regolamentazione dell'obbligazione si ricava che il creditore ha un diritto soggettivo avente come oggetto la prestazione (ovverosia il comportamento del creditore) destinata a soddisfare il suo interesse. È opportuno aggiungere che una definizione dell'obbligazione, se non vuole rimanere imprecisa, deve tener conto di tutti i suddetti elementi fisionomici. Altrimenti si viene a definire non già l'obbligazione ma, genericamente, il dovere giuridico.
L'obbligazione e gli obblighi non giuridici. Le cosiddette obbligazioni naturali. - Assai interessante è la distinzione tra le obbligazioni che cadono nella sfera del diritto e quelle che cadono invece nella sfera del costume, della morale o della religione; ed altrettanto interessante è la rilevanza che le obbligazioni del secondo tipo possono talora avere nel campo del diritto.
Anche in seno ai rapporti del costume, della morale e della religione possono incontrarsi situazioni perfettamente corrispondenti al tipo dell'obbligazione, in cui, cioè, vi sia a carico di una persona determinata il dovere di tenere un certo comportamento (patrimonialmente valutabile) verso un'altra persona determinata: così il dovere di dare al povero. La distinzione tra le due categorie di obbligazioni si può dire investa tutto il problema del diritto. Si possono tuttavia dare dei criteri di massima.
Occorre distinguere due diverse ipotesi. Così, rispetto agli obblighi aventi struttura simile a quella dell'obbligazione, ma la cui fonte di produzione è estranea, e in certo senso superiore alla volontà degli individui, deve dirsi che, ove il diritto non ne sanzioni esplicitamente l'osservanza, l'obbligo rimane sicuramente estraneo alla sfera giuridica. Così la legge non pone l'obbligo di soccorrere tutti coloro i quali si trovano in stato di indigenza, ma solo alcuni parenti e affini, oltre al coniuge (cosiddetto obbligo alimentare). Il problema si fa più complesso quando si tratta di obblighi volontariamente assunti dai consociati nella loro vita di relazione.
Non sempre, tuttavia, gli obblighi non giuridici sono irrilevanti per il diritto. A tal proposito occorre parlare delle cosiddette obbligazioni naturali. Sotto questa rubrica così stabilisce l'art. 2034 del nuovo codice: "Non è ammessa la ripetizione di quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali, salvo che la prestazione sia stata eseguita da un inapace. I doveri indicati nel comma precedente, e ogni altro per cui la legge non accorda azione ma esclude la ripetizione di ciò che è stato spontaneamente pagato, non producono altri effetti". Con questa disposizione il nuovo codice ha voluto regolare più chiaramente la materia già regolata dall'infelice art. 1237 del codice abrogato. Secondo la nuova disposizione l'obbligazione naturale è un dovere non giuridico (in quanto sfornito di azione), il cui adempimento non attribuisce però all'obbligato il diritto di ottenere la restituzione di quanto ha dato. Vi sono, per il citato art. 2034, due categorie di obbligazioni naturali: l'una è costituita da alcune ipotesi in cui è la legge stessa che espressamente sfornisce di azione il creditore, il che avviene per la fiducia testamentaria, per il debito colpito da prescrizione e per il debito del perdente al giuoco o alla scommessa; l'altra categoria è costituita genericamente dai "doveri morali o sociali", secondo la dizione dello stesso art. 2034.
Distinzioni tra diritti reali e obbligazioni. - La dottrina dominante ritiene che detta distinzione riposi sulla diversità dei caratteri peculiari delle due categorie di diritti. I diritti reali avrebbero il carattere della immediatezza sulla cosa e della assolutezza, in quanto si eserciterebbero o si rifletterebbero nei confronti di tutti i consociati; mentre il diritto di credito sarebbe invece mediato, in quanto il raggiungimento del bene non verrebbe garantito mediante una potestà sul bene medesimo ma solo per il tramite dell'attività del debitore e sarebbe relativo, in quanto si eserciterebbe e si rifletterebbe solo nei confronti di una persona determinata, il debitore. Tra le critiche fatte a tale opinione, ricordiamo la più recente. È stato osservato che esistono situazioni giuridiche, che tradizionalmente si fanno appartenere alla categoria dei diritti reali, nelle quali fa difetto or l'uno or l'altro dei due suddetti requisiti; mentre all'incontro vi sono situazioni giuridiche, che tradizionalmente si fanno appartenere alla categoria dei diritti di credito, nelle quali sono presenti i requisiti proprî dei diritti reali. Come esempî del primo tipo si sono addotti, in particolare, il pegno e l'ipoteca; come esempio del secondo tipo, in particolare la locazione, il comodato e l'anticresi. Da ciò si è tratta la convinzione che la distinzione tra diritti reali e diritti di credito va posta su basi completamente diverse. Conseguenza pratica di tale nuova teoria sarebbe la regolamentazione più sicura di talune fattispecie pratiche presentatesi all'esame dei tribunali (tipica quella dei vincoli convenzionali circa la destinazione del terreno, stabiliti in occasione della vendita di aree edificabili).
Fonti. - L'art. 1097 dell'abrogato codice enumerava, come fonti dell'obbligazione, il contratto, il quasi-contratto, il delitto, il quasi-delitto e la legge. Tale classificazione era quasi universalmente criticata. Tra l'altro si era scoperto che la corrispondente classificazione contenuta nelle Istituzioni giustinianee, sulla quale essa sostanzialmente si modellava, costituiva un'alterazione delle classificazioni del diritto romano classico. Soprattutto artificiose venivano giustamente considerate le due figure del quasi-contratto e del quasi-delitto.
Si proponeva perciò - de iure condendo - di solito una classificazione più comprensiva, quale quella che condensava le fonti dell'obbligazione in due generiche categorie: il fatto dell'uomo e la legge. Il nuovo codice ha preferito, nell'art. 1173, classificare le fonti in tre categorie: contratto (v. in questa App.), fatto illecito (v. in questa App.), ogni altro atto o fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico. È evidente che l'ultima di tali categorie deve considerarsi oltremodo generica (al pari di quella che, nel ricordato art. 1097 dell'abrogato codice, era espressa come "la legge"). Ciò dimostra che una enumerazione precisa delle fonti dell'obbligazione non è possibile al legislatore: ed allora tanto varrebbe che qualunque classificazione fosse bandita dal codice.
Maggiore rilievo pratico hanno pertanto le disposizioni (articoli 1987-91) nelle quali il nuovo codice ha risoluto la dibattutissima questione se le promesse unilaterali siano fonte di obbligazione. La soluzione è favorevole, pur entro i giusti limiti che la legge pone. Nelle citate disposizioni la legge regola la promessa di pagamento, il riconoscimento del debito (che ricevono un'unica disciplina) e inoltre la premessa al pubblico, ovverosia l'ipotesi di chi, rivolgendosi al pubblico, promette una prestazione a favore di chi si trovi in una determinata situazione o compia una determinata azione (ad es. in una gara letteraria, sportiva, ecc.). Dalla promessa al pubblico occorre ben distinguere la cosiddetta offeita al pubblico, regolata nell'art. 1336 del codice civile, la quale consiste invece in una offerta di contrattare fatta alla generalità dei cittadini (ad es., a mezzodi vetrine di esposizioni, annunci pubblicitarî, ecc.). L'offerta al pubblico, al contrario della promessa al pubblico, non è da sola fonte di obbligazione, in quanto abbisogna dell'accettazione dell'altra parte: in tal modo offerta e accettazione danno vita ad un contratto, il quale sarà, esso, fonte delle obbligazioni.
Esecuzione dell'obbligazione. - Il nuovo codice contiene a proposito dell'esecuzione dell'obbligazione alcune norme sconosciute all'abrogato codice.
Anzitutto l'art. 1175 dispone che "il debitore e il creditore devono comportarsi secondo le regole della correttezza". (Esso aggiungeva "in relazione ai principî della solidarietà corporativa", ma tale inciso è stato abolito dal decr. legge luog. 14 settembre 1944, n. 27). Tale disposizione contiene un precetto altamente civile, in quanto impone alle due parti, debitore e creditore, un comportamento che, oltre alle regole - talora crude - del diritto, sia ispirato a norme che l'art. 1175 chiama di "correttezza" in mancanza di un vocabolo più adeguato (dato che quello, forse più adeguato, di "equità" ha acquistato col tempo un significato forse alquanto lontano dal concetto che il legislatore ha voluto esprimere nell'art. 1175). La norma di cui discorriamo, imponendo un dovere di correttezza anche al creditore, si pone indubbiamente accanto a quella - contenuta nell'art. 833 dello stesso nuovo codice civile "Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri" - che vieta i cosiddetti atti emulativi, norma la quale, sebbene dettata a proposito della proprietà, deve essere intesa come applicabile a qualunque diritto soggettivo.
Altra norma importante, sempre in tema di esecuzione dell'obbligazione, è quella contenuta nell'art. 1176, a proposito della diligenza del debitore nell'adempimento del suo obbligo. Qui íl nuovo codice, pur modellando tale diligenza su quella del "buon padre di famiglia" - vecchio e forse antiquato schema che ci proviene dalle fonti romane (e ciò a differenza di altri codici moderni che le avevano abbandonate) -, aggiunge che "nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata".
A proposito dell'inadempimento dell'obbligazione, è sorto il dubbio se il diritto al risarcimento del danno in forma specifica, che il nuovo codice esplicitamente attribuisce al danneggiato da fatto illecito (art. 2058), spetti anche al creditore nei confronti del debitore inadempiente. La questione è stata variamente risoluta.
Sempre a proposito dell'inadempimento dell'obbligazione, il fenomeno della svalutazione monetaria, cui abbiamo di recente assistito durante e specie dopo l'ultima guerra, ha fatto sorgere interessanti e gravi problemi. Come è ovvio, quando l'oggetto dell'obbligazione è costittuito dal denaro, il creditore, in seguito alla svalutazione monetaria, vede diminuito il valore del suo credito, dato il cosiddetto principio nominalistico, contenuto nell'art. 1277 del codice civile, per il quale i debiti pecuniarî si estinguono con moneta avente corso legale al momento del pagamento e per il suo valore nominale. I rimedî contro le iniquità della situazione (quando le parti non abbiano stipulato una clausola monetaria) possono dirsi limitati all'ipotesi in cui il debito sorge da un contratto a esecuzione differita o continuata: in tale ipotesi, in base alla disposizione introdotta dal nuovo codice (art. 1467) spetta al creditore il diritto alla risoluzione del contratto per sopravvenuta "eccessiva onerosità" (cosiddetta clausola rebus sic stantibus). Altro riflesso della svalutazione riguarda il criterio della valutazione dei danni conseguenti all'inadempimento dell'obbligazione: la giurisprudenza, dopo qualche iniziale incertezza, è orientata nel senso di tener conto della svalutazione nella liquidazione del danno.
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