Abstract
La voce esamina la disciplina dei conflitti di leggi dettata dal regolamento CE n. 593/2008 («Roma I») e dalla convenzione dell’Aja del 15 giugno 1955, nonché le norme che definiscono l’ambito della giurisdizione italiana in materia contrattuale e quelle, pur non dettate con specifico riferimento ai contratti, che disciplinano la circolazione internazionale delle decisioni riguardanti tale materia.
Negli Stati membri dell’UE, esclusa la Danimarca, la soluzione dei conflitti di leggi in materia di contratti è affidata in linea generale al regolamento (CE) n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali («Roma I»). Adottato sulla base delle competenze oggi contemplate dall’art. 81 TFUE, ed applicabile dal 17 dicembre 2009 ai contratti conclusi da quella data in avanti, il regolamento «Roma I» prosegue l’esperienza di unificazione normativa avviata con la convenzione di Roma del 19 giugno 1980.
Il rapporto di continuità fra il regolamento e la convenzione permette all’interprete di valorizzare con riguardo al nuovo strumento gli indirizzi maturati nell’ambito del precedente, quali emergono in particolare dalla relazione elaborata da Giuliano e Lagarde (in GUCE, C 282 del 31 ottobre 1980) e dalle sentenze rese dalla Corte di giustizia in forza della competenza in via pregiudiziale attribuitale da due protocolli conclusi il 19 dicembre 1988 (ivi, L 48 del 20 febbraio 1989).
Il contesto in cui si colloca il regolamento differisce peraltro in modo significativo da quello della convenzione. I valori di riferimento, riconducibili all’edificazione e al buon funzionamento del mercato interno, appaiono più marcati; la trama normativa più fitta. Nel quadro della «cooperazione giudiziaria in materia civile» il regolamento «Roma I» è chiamato, in effetti, a «completare» la disciplina della giurisdizione e dell’efficacia delle decisioni dettata dal regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000 («Bruxelles I»), nel frattempo sostituito, con effetto dal 10 gennaio 2015, dal regolamento (UE) n. 1215/2012 del 12 dicembre 2012 («Bruxelles I bis»), e ad affiancarsi alla disciplina di conflitto in tema di obbligazioni extracontrattuali di cui al regolamento (CE) n. 864/2007 dell’11 luglio 2007 («Roma II»). I tre strumenti normativi ora evocati esigono un’interpretazione reciprocamente coerente.
Il regolamento n. 593/2008 disciplina le «obbligazioni contrattuali» (art. 1, par. 1), salvo escludere dalla propria sfera applicativa (art. 1, par. 2) alcune categorie di obbligazioni, accostabili per qualche aspetto al fenomeno del contratto (ad es., le obbligazioni «derivanti da regimi patrimoniali tra coniugi»), e alcune questioni che pure a quel fenomeno si riconnettono (ad es., la questione volta a «stabilire se l’atto compiuto da un intermediario valga ad obbligare di fronte ai terzi il mandante»).
La normativa uniforme non precisa che cosa conferisca a un’obbligazione natura «contrattuale». Pacificamente, la nozione di contratto va ricostruita in chiave autonoma, guardando allo scopo del regolamento e al suo contesto, e non alle categorie di questo o quell’ordinamento nazionale. In linea di principio, la sua portata corrisponde a quella del concetto di «materia contrattuale» cui si riferiscono i regolamenti «Bruxelles I» e «Bruxelles I bis» (come, prima, la convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968). Nella giurisprudenza della Corte di giustizia, la materia contrattuale è stata intesa ricomprendere le fattispecie in cui si riscontri un «obbligo liberamente assunto da una parte nei confronti dell’altra» (C. giust., 17.6.1992, Handte, C-26/91, in Racc. C. giust. CE, 1992, I-3967 ss.). La responsabilità precontrattuale è estranea all’area del contratto. La sua disciplina conflittuale si trova nel regolamento «Roma II».
Il regolamento «Roma I», pur riferendosi sin dal titolo alle «obbligazioni» contrattuali, non sembra voler occuparsi dei soli profili obbligatori del rapporto, ed anzi affronta in modo esplicito questioni di natura diversa, come quelle relative alla validità sostanziale del contratto (art. 10) o alle conseguenze della sua nullità (art. 11, par. 1, lett. e).
La disciplina regolamentare si applica «in circostanze che comportino un conflitto di leggi» (art. 1, par. 1), cioè a rapporti caratterizzati da elementi di estraneità rispetto al foro. L’estraneità può attestarsi sul versante soggettivo del rapporto (ad es., se le parti contraenti sono stabilite in paesi diversi) come su quello oggettivo (ad es., se il rapporto è sorto in un paese diverso da quello del giudice o deve trovarvi esecuzione). Appaiono attratti nella sfera del regolamento anche i contratti il cui unico profilo di internazionalità consista nella electio compiuta dalle parti in favore di una legge straniera (sul punto v. infra, § 1.2).
Le fattispecie comprese nella sfera applicativa del regolamento rinvengono in esso una disciplina tendenzialmente esclusiva. Da un lato, infatti, le norme di conflitto del regolamento hanno carattere universale (art. 2). Esse sono suscettibili di designare tanto la legge di uno Stato membro quanto la legge di uno Stato terzo; una qualità, questa, che le rende idonee a disciplinare anche fattispecie collegate in modo preminente a un paese extraeuropeo (assume pratica rilevanza, in ragione di ciò, il problema del “rinvio”, che il regolamento risolve in termini negativi: art. 20). Va rammentato, dall’altro, che la normativa regolamentare gode del primato spettante in via generale al diritto UE. La sua efficacia non è dunque pregiudicata da disposizioni interne con essa contrastanti. Giova ricordare in proposito che l’art. 57 l. 31.5.1995, n. 218 compie in materia di contratti un rinvio «in ogni caso» alla convenzione di Roma, estendendone l’applicazione al di là dei casi a cui la stessa si applicherebbe per forza propria (posizioni diverse si registrano in dottrina circa la possibilità di leggere attualmente tale rinvio come un rinvio al regolamento «Roma I»; la tesi che ne esclude un’interpretazione “evolutiva”, a dispetto degli inconvenienti pratici cui dà luogo, è sorretta da argomenti difficilmente superabili: Salerno, F., in Salerno, F.-Franzina, P., a cura di, Regolamento CE n. 593/2008. Commentario, in Nuove leggi civ., 2009, 533 ss.; contra Marongiu Buonaiuti, F., ibidem, 534 ss.).
L’esclusività del regolamento è solo tendenziale. L’art. 25 fa salva l’applicazione delle convenzioni internazionali sui conflitti di leggi già in vigore per uno o più Stati membri. La norma (sulle cui implicazioni v. infra, § 1.7), determina il permanere in Europa di soluzioni conflittuali non allineate al regolamento, in ossequio agli obblighi assunti dai singoli Stati membri nei confronti di Stati terzi.
Il contratto è disciplinato in prima battuta dalla legge scelta dalle parti (art. 3, par. 1). La libera designazione della legge applicabile al contratto ad opera dei contraenti costituisce la pietra angolare del regolamento. Il favor per l’autonomia riflette ragioni di ordine politico e tecnico. La valorizzazione della volontà rispecchia, per un verso, il paradigma neoliberista di organizzazione del mercato sotteso a larga parte delle politiche dell’UE; per un altro verso, risponde al desiderio di mitigare le incertezze insite nella localizzazione obiettiva del rapporto ed accrescere l’efficienza del ragionamento conflittuale, che si vuole spedito e capace di esiti “meccanicamente” prevedibili.
Le parti possono designare la legge di qualsiasi paese, non occorrendo alcun legame – oggettivo o soggettivo – col territorio o l’economia dello Stato scelto. L’electio, per contro, può riguardare solo una legge statale. L’accordo volto ad assoggettare il rapporto a regole non statali (ad es., i Principi Unidroit per i contratti commerciali internazionali) integra un’incorporazione materiale della normativa designata, la cui ammissibilità deve apprezzarsi alla luce della legge statale applicabile al contratto, quale risulta designata dalle pertinenti regole di conflitto.
L’electio può investire il contratto nella sua interezza o riguardare «una parte soltanto di esso» (art. 3, par. 1), verificandosi in tal caso un frazionamento – o dépeçage (volontario) – del contratto. Le parti possono decidere, ad es., di assoggettare la questione della validità dell’accordo ad una legge diversa da quella che disciplina i rimedi (sostanziali) esperibili in caso di inadempimento, o ancora, ove il programma contrattuale debba eseguirsi in più paesi, sottoporne ciascun segmento nazionale alla lex loci solutionis.
Il pactum de lege utenda può essere concluso in modo espresso o risultare «chiaramente dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze del caso» (art. 3, par. 1). Occorre peraltro distinguere fra la scelta tacita (che è una scelta reale, ancorché non contenuta in una dichiarazione specifica o non veicolata da segni espliciti) dalla scelta presunta (vale a dire la scelta che le parti avrebbero verosimilmente compiuto se ne avessero compiuta una). Il regolamento ammette la prima, negando rilievo alla seconda.
La scelta può aver luogo contestualmente alla conclusione del contratto o in un momento successivo (art. 3, par. 2). La designazione successiva non inficia la validità formale acquisita ab origine dal contratto e non pregiudica i diritti dei terzi.
Quanto ai limiti dell’autonomia (quelli specificamente riferiti alla scelta di legge: sui limiti che interessano la disciplina conflittuale intesa nel suo insieme, v. infra, § 1.6), l’art. 3, par. 3, contempla anzitutto l’ipotesi di un contratto collegato in ogni suo aspetto ad un unico paese, salvo per la scelta delle parti in favore della legge di un altro paese. La scelta, in questo caso, non pregiudica l’applicazione delle disposizioni della legge del primo paese che le parti non possano derogare convenzionalmente (c.d. norme imperative semplici). Il meccanismo, mutatis mutandis, è riproposto dall’art. 3, par. 4, per i contratti i cui elementi «siano ubicati … in uno o più Stati membri». In questo caso, la designazione della legge di uno Stato terzo non impedisce l’applicazione delle disposizioni del diritto UE, «se del caso, come applicate nello Stato membro del foro», cui non sia consentito derogare convenzionalmente.
In mancanza di scelta, la legge applicabile al contratto si determina, in generale, secondo quanto disposto all’art. 4. Oggetto di modifiche significative nel passaggio dalla convenzione di Roma al regolamento «Roma I», la norma appare scomponibile in tre parti.
Nella prima, corrispondente ai paragrafi 1 e 2, trova spazio un’articolata regola “generale”. Vi confluiscono anzitutto una sequenza di regole di conflitto riguardanti specifiche categorie contrattuali (delimitate da espressioni corrispondenti a nozioni “autonome”). Così, ad es., ai sensi dell’art. 4, par. 1, lett. c), il contratto avente per oggetto un diritto reale immobiliare o la locazione di un immobile è disciplinato dalla legge del paese in cui l’immobile è situato, mentre, ai sensi della lett. g), il contratto di vendita di beni all’asta è disciplinato dalla legge del paese nel quale ha luogo l’asta, sempre che tale luogo possa essere determinato. Alcune delle regole speciali contenute nell’art. 4, par. 1, richiamano la legge del paese in cui una delle parti ha la residenza abituale (ad es., per i contratti di prestazione di servizi, l’art. 4, par. 1, lett. b, richiama la legge del paese in cui risiede il prestatore). La residenza abituale deve determinarsi in concreto alla luce delle precisazioni di cui all’art. 19. La regola “generale” è completata da una previsione concernente i contratti “non tipici” e quelli che presentano gli elementi caratteristici di più tipi. In entrambe le ipotesi, il contratto è disciplinato dalla legge del paese in cui risiede abitualmente la parte che deve fornire la prestazione caratteristica (art. 4, par. 2), cioè la prestazione in cui si riassume la funzione economica e sociale del contratto e la ragion d’essere pratica dell’operazione. Riferendosi ai contratti da cui derivino «un insieme di diritti e obblighi che possono essere considerati rientrare in più di uno dei tipi» elencati al par. 1, il 19° considerando del regolamento precisa che la prestazione caratteristica va determinata «in funzione del … baricentro» del contratto.
Il secondo segmento di cui si compone l’art. 4 ospita una clausola di salvaguardia (art. 4, par. 3). Il suo compito è correggere il funzionamento della regola generale quando le ragioni della prevedibilità astratta – perseguite dai criteri di collegamento di tipo rigido dei paragrafi 1 e 2 – conducano alla designazione di un paese non significativamente collegato col contratto. Ove risulti con chiarezza «dal complesso delle circostanze del caso» che il contratto presenta «collegamenti manifestamente più stretti» con un paese diverso da quello designato dalla regola generale, il contratto sarà soggetto alla legge di tale diverso paese.
La terza porzione dell’art. 4 contiene una previsione residuale (art. 4, par. 4), in virtù della quale, se la legge applicabile «non può essere determinata a norma dei paragrafi 1 o 2» (ad es. perché si tratti di una vendita all’asta e il luogo dell’asta non sia determinabile), «il contratto è disciplinato dalla legge del paese con il quale presenta il collegamento più stretto». Tale paese va identificato caso per caso mediante una valutazione ponderata di tutti gli elementi pertinenti (ad es., la lingua e la valuta dell’accordo, il luogo in cui il contratto è stato negoziato e concluso, la nazionalità delle parti ecc.).
Il regolamento «Roma I» stabilisce per alcuni contratti una disciplina di conflitto a carattere speciale. Soluzioni particolari sono stabilite anzitutto in tema di trasporto, di merci e di passeggeri. Per la prima ipotesi, l’art. 5, par. 1, si limita a dettare una regola obiettiva, integrativa dell’art. 4. Per il trasporto di passeggeri, l’art. 5, par. 2, predispone invece un regime conflittuale tendenzialmente completo, che si compone di una regola oggettiva e di una norma sull’electio iuris (la scelta, qui, è limitata ad un ridotto novero di paesi). La specialità delle regole ora indicate esprime l’intento di garantire al passeggero, parte “debole” del rapporto, una tutela speciale.
Considerazioni di carattere materiale sottendono anche le norme sui contratti conclusi dai consumatori (art. 6) e i contratti di lavoro (art. 8). In entrambi i casi, il regolamento si preoccupa, per un verso, di introdurre una speciale disciplina a carattere obiettivo, incentrata rispettivamente sul criterio della residenza abituale del consumatore e sul criterio dell’abituale svolgimento del lavoro (connessioni, queste, che dovrebbero normalmente risolversi nell’applicazione della legge di un paese “vicino” alla parte debole del rapporto e, come tale, per regola, più facilmente conoscibile dalla stessa). Per un altro verso, il regolamento si preoccupa di far sì che la protezione garantita alla parte debole dalla legge applicabile a titolo obiettivo non venga compressa per effetto di una scelta in favore della legge di un diverso paese: a tal fine, l’electio è ammessa solo in quanto agevoli il risultato materiale perseguito dalla norma, vale a dire l’innalzamento della tutela assicurata al consumatore e al lavoratore su base obiettiva.
Considerazioni materiali e ragioni di prossimità sottendono altresì la complessa disciplina conflittuale prevista dal regolamento in materia di contratti assicurativi (art. 7).
L’operare delle norme di conflitto del regolamento è soggetto a due limiti di carattere generale. Il primo consiste nella tradizionale “eccezione” dell’ordine pubblico. I giudici degli Stati membri sono abilitati dal regolamento a non applicare la legge richiamata dalle relative norme di conflitto quando, nel caso di specie, l’applicazione di tale legge produca effetti manifestamente incompatibili con l’ordine pubblico del foro (art. 21). Limite “successivo” al richiamo internazionalprivatistico, l’ordine pubblico, lungi dall’assolvere un compito solo “difensivo” teso alla conservazione di valori “nazionali”, è in grado di assicurare in linea di principio anche la realizzazione di interessi internazionalmente condivisi (ad es., la stabilità del mercato finanziario) o l’osservanza di imperativi “regionali” (ad es., la tutela contro il licenziamento ingiustificato: art. 30 della Carta dei diritti fondamentali UE). Il carattere dichiaratamente eccezionale della norma ne spiega l’impiego sporadico (per un es., v. Cass., 12.11.2002, n. 15822). Nel silenzio del regolamento, è da ritenere che, in Italia, una volta esclusa per ragioni di ordine pubblico l’applicabilità del diritto richiamato in prima battuta, la legge applicabile al contratto vada identificata – in linea con l’art. 16, co. 2, l. n. 218/1995 – nella legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente operanti nella fattispecie; solo in mancanza si farà ricorso alla lex fori (cfr. Biagioni, G., in Salerno, F.-Franzina, P., op. cit., 917 ss.).
Il secondo limite corrisponde alle «norme di applicazione necessaria». Sono tali le disposizioni «il cui rispetto è ritenuto cruciale da un paese per la salvaguardia dei suoi interessi pubblici, … al punto da esigerne l’applicazione a tutte le situazioni che rientrino nel loro campo d’applicazione», quale che sia la legge applicabile al contratto (art. 9, par. 1). Il riferimento agli interessi «pubblici» dello Stato, se da un lato permette di attrarre nella nozione in esame le norme poste a presidio, ad es., della funzionalità concorrenziale del mercato o della sovranità valutaria del paese, non esclude la possibilità di riconoscere carattere “internazionalmente” imperativo anche alla tutela (privatistica) di particolari categorie di individui ritenuti “deboli”. Il regolamento non osta, anzitutto, all’applicazione delle norme di applicazione necessaria del foro (art. 9, par. 2). Queste, pertanto, sono chiamate a disciplinare le situazioni (o le singole questioni) a cui “vogliono” applicarsi, a prescindere da quanto stabilito dalle pertinenti norme di conflitto (di queste ultime le norme di applicazione necessaria determinano tipicamente un’evizione preventiva). Il regolamento dà rilievo anche alle norme di applicazione necessaria di uno Stato terzo (diverso, cioè, dalla lex causae come dalla lex fori), ma solo nel senso di prevedere la «possibilità» che venga «data efficacia» alla normativa internazionalmente imperativa del paese in cui le obbligazioni contrattuali devono essere eseguite, nella misura in cui tale normativa «renda illecito l’adempimento del contratto».
La legge applicabile al contratto, sia essa scelta delle parti o individuata in via oggettiva, rappresenta la cornice entro cui vanno decise in linea di principio tutte le questioni di natura contrattuale suscettibili di insorgere in relazione al rapporto. Fra queste, ai sensi dell’art. 12, par. 1, rientrano le questioni concernenti l’interpretazione dell’accordo, l’esecuzione delle obbligazioni che ne discendono (ma non le «modalità» dell’esecuzione stessa, per le quali viene in rilievo la lex loci solutionis), i rimedi in caso di inadempimento ecc. Occorre del pari riferirsi alla lex contractus per accertare se il vincolo si sia perfezionato e se il contratto sia valido quanto alla sostanza (art. 10). Regole particolari operano in tema di validità formale (art. 11) e capacità delle parti (art. 13), nonché in tema di cessione del credito e surrogazione convenzionale (art. 14), surrogazione legale (art. 15) e obbligazioni solidali (art. 16).
I conflitti di leggi in materia di compravendita di «oggetti mobili corporali» (salvo non si tratti di contratti conclusi da consumatori) continuano ad essere disciplinati, in Italia e in altri Stati membri, dalla convenzione dell’Aja del 15 giugno 1955. Il regolamento «Roma I», ai sensi del già menzionato art. 25, “cede” alla disciplina ivi prevista (Franzina, P., in Salerno, F.-Franzina, P., op. cit., 671 ss.).
La convenzione consente alle parti di designare di comune accordo la legge regolatrice del contratto (art. 2), a condizioni in buona parte sovrapponibili a quelle stabilite dal regolamento. In mancanza di scelta, si applica la legge del paese in cui il venditore risiede abitualmente, salvo non risulti che l’ordine sia stato ricevuto dal venditore o da un suo rappresentante nel paese del compratore, nel qual caso il contratto è retto dalla legge di detto Stato (art. 3).
L’ambito della giurisdizione italiana in materia di contratti è delimitato da una pluralità di norme. Nella pratica, ciò impone di stabilire preliminarmente quale regime venga di volta in volta in rilievo ai fini della soluzione della quaestio iurisdictionis. Rilievi simili valgono per le norme sulla circolazione internazionale delle decisioni, deputate a definire le condizioni alle quali una decisione è ammessa a spiegare la sua efficacia (di accertamento, esecutiva ecc.) al di fuori dello Stato d’origine.
In materia «civile e commerciale» (e dunque anche in materia di contratti), la giurisdizione italiana, come quella degli altri Stati membri dell’UE, può innanzitutto dover essere determinata sulla base del regolamento n. 44/2001 (e, in prospettiva, sulla base del regolamento n. 1215/2012). La sua applicabilità dipende da condizioni non omogenee.
Alcune norme, come quella che istituisce un foro esclusivo «in materia di diritti reali immobiliari e di contratti d’affitto di immobili» (art. 22, n. 1; art. 24, n. 1, regolamento «Bruxelles I bis), sono applicabili a prescindere da qualsiasi legame di ordine personale fra la lite e lo spazio giudiziario europeo. La giurisdizione, nella materia evocata, appartiene in via esclusiva ai «giudici dello Stato membro in cui l’immobile è situato» (regole particolari sono dettate per certe locazioni di breve durata).
Altre norme del regolamento, e segnatamente l’art. 23 (art. 25 regolamento n. 1215/2012), si applicano invece quando almeno una delle parti sia domiciliata in uno Stato membro (il domicilio, agli effetti di questa e delle altre disposizioni del regolamento, si determina ai sensi degli artt. 59 e 60, corrispondenti agli artt. 62 e 63 regolamento n. 1215/2012). La previsione consente alle parti di attribuire convenzionalmente la lite – sia essa già insorta o solo suscettibile di insorgere – alla cognizione dei giudici di un dato Stato membro. La designazione è efficace se sono soddisfatti i requisiti formali di cui all’art. 23, par. 1 (art. 25, par. 1, del nuovo testo).
Le restanti disposizioni del regolamento «Bruxelles I» in tema di giurisdizione sono applicabili, in linea di principio, quando il domicilio del convenuto si trovi sul territorio di uno Stato membro. La competenza, allora, appartiene per regola generale proprio ai giudici di tale Stato (art. 2; art. 4 regolamento «Bruxelles I bis»).
Col foro generale concorrono una serie di competenze “speciali”. Una di queste, contemplata all’art. 5, n. 1 (art. 7, n. 1, del nuovo testo), riguarda le liti «in materia contrattuale» (ma non le liti in materia di contratti assicurativi, di consumo e di lavoro, per le quali esistono specifiche discipline settoriali: artt. 8-14, 15-17 e 18-20; artt. 10-16, 17-19 e 20-23 regolamento n. 1215/2012). L’art. 5, n. 1, stabilisce, alla lett. a), che una persona domiciliata in uno Stato membro può essere convenuta in un diverso Stato membro «davanti al giudice del luogo in cui l’obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita». Tale luogo si determina in due fasi: dapprima s’identifica, mediante le norme di conflitto applicabili nel foro, la legge regolatrice del contratto; quindi si procede – sulla base dei criteri stabiliti in quella legge – all’individuazione del locus solutionis (C. giust., 23.4.2009, Falco, C-533/07, in Racc. C. giust. CE, 2009, I-3327 ss.). La norma, dando rilievo alla proiezione geografica dell’obbligazione litigiosa, reca in sé un pericolo di dispersione del contenzioso, giacché domande diverse, pur traendo origine dal medesimo rapporto, potrebbero essere devolute su questa base alla cognizione di giudici di più Stati. L’art. 5, n. 1, lett. b), prescrive un diverso modus procedendi per l’ipotesi in cui si controverta su una «compravendita di beni» o una «prestazione di servizi». La competenza, sempre concorrente con quella generale, spetta allora, rispettivamente, al giudice del luogo della consegna dei beni e della fornitura dei servizi; ciò a prescindere dal fatto che la lite riguardi l’obbligazione di consegnare i beni o prestare i servizi, o un diverso profilo del rapporto. L’identificazione di tale luogo è comunque sottratta al metodo “conflittuale”, operante per la lett. a), ed è ancorata a riscontri («fattuali» e) uniformi (C. giust., 25.2.2010, Car Trim, C-381/08, in Racc. C. giust. UE, 2010, I-1255 ss.; cfr. Franzina, P., Struttura e funzionamento del foro europeo della materia contrattuale alla luce delle sentenze Car Trim e Wood Floor della Corte di giustizia, in Riv. dir. int. priv. proc., 2010, 655 ss.).
Il regolamento «Bruxelles I» disciplina in modo unitario l’efficacia delle decisioni in materia civile e commerciale (artt. 32 ss.). A tale regime – ora profondamente inciso dalle modifiche apportate dal regolamento n. 1215/2012 (artt. 36 ss.) – bisogna far capo, anche in materia contrattuale, quando si vogliano far valere in uno Stato membro gli effetti di una decisione resa in un altro Stato membro. La circolazione delle decisioni in materia contrattuale può peraltro avvenire, ove ricorrano le pertinenti condizioni, anche in base ai regolamenti che provvedono a sopprimere la necessità dell’exequatur dando vita ad un «titolo esecutivo europeo», come il regolamento (CE) n. 1896/2006 sul procedimento europeo di ingiunzione di pagamento.
I regolamenti «Bruxelles I» e «Bruxelles I bis» non pregiudicano l’applicazione, negli Stati membri, delle convenzioni internazionali concluse dagli Stati membri per disciplinare la competenza giurisdizionale e l’efficacia delle decisioni in materie particolari, come la convenzione di Ginevra del 19 maggio 1956 sul contratto internazionale di trasporto di merci su strada (CMR).
Norme sulla competenza giurisdizionale pressoché identiche a quelle del regolamento «Bruxelles I» si rinvengono nella convenzione di Lugano del 30 ottobre 2007, in vigore nei rapporti fra UE, Islanda, Norvegia e Svizzera. Gli schemi descritti nel paragrafo precedente, per quanto concerne tanto le condizioni di applicabilità quanto il contenuto delle norme sulla giurisdizione, valgono per gli Stati contraenti di tale convenzione nello stesso modo in cui valgono, nel regolamento, per gli Stati membri dell’UE.
Il regime dell’efficacia delle decisioni, anch’esso corrispondente a quello del regolamento, si applica alla circolazione delle pronunce fra Stati vincolati dalla convenzione.
Nelle situazioni che non rientrano nella sfera del regolamento «Bruxelles I» né della convenzione di Lugano (o di altri strumenti pattizi), l’ambito della giurisdizione italiana in materia di contratti si determina in base alle norme comuni. L’art. 3, co. 2, l. n. 218/1995 prevede che, rispetto alle controversie comprese nella sfera applicativa materiale della convenzione di Bruxelles (cioè all’interno della «materia civile e commerciale» quale è intesa anche dal regolamento «Bruxelles I» e dal regolamento «Bruxelles I bis»), la giurisdizione italiana sussista allorché si perfezionino in Italia le circostanze che la stessa convenzione – nelle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II – eleva a titolo di giurisdizione. Di fatto, la norma estende unilateralmente l’efficacia di alcuni criteri uniformi, consentendo loro di fungere da titoli di giurisdizione (a favore del giudice italiano) anche quando tali criteri non operino per forza propria, in quanto sussistano le condizioni materiali per l’applicabilità della disciplina uniforme ma non quelle personali (trovandosi il domicilio del convenuto in un paese extraeuropeo).
Per Cass., 21.10.2009, n. 22239, il richiamo alla convenzione di Bruxelles deve intendersi, anche dopo l’entrata in vigore del regolamento «Bruxelles I» (che pure ha sostituito la convenzione nei rapporti fra gli Stati membri), come un richiamo alla convenzione, e non al regolamento. Di fatto, per quanto concerne il foro speciale della materia contrattuale (v. supra, § 2.2), ciò significa che la giurisdizione italiana sussiste, in base all’art. 3, ogniqualvolta si verifichi in Italia la circostanza stabilita in quello che è oggi l’art. 5, n. 1, lett. a), del regolamento (corrispondente a quello che era l’art. 5, n. 1, tout court dalla convenzione, applicabile anche in materia di compravendita di beni e prestazione di servizi).
Il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni straniere in materia contrattuale, ove non siano applicabili né i regolamenti «Bruxelles I» e «Bruxelles I bis» né la convenzione di Lugano (o altre convenzioni internazionali), dipendono dalle condizioni di cui agli artt. 64 ss. l. n. 218/1995.
Convenzione dell’Aja del 15 giugno 1955, resa esecutiva in Italia con l. 4.2.1958, n. 50; regolamento (CE) n. 44/2001 del 22 dicembre 2000; regolamento (CE) n. 593/2008 del 17 giugno 2008; convenzione di Lugano del 30 ottobre 2007; l. 31.5.1995 n. 218.
Boschiero, N., a cura di, La nuova disciplina comunitaria della legge applicabile ai contratti (Roma I), Torino, 2009; Boschiero, N., Obbligazioni contrattuali, in Enc. dir., Annali, V, 2012, 925 ss.; Calliess, G.P., a cura di, Rome Regulations: Commentary on the European Rules of the Conflict of Laws, Alphen aan den Rijn, 2011; Corneloup, S.-Joubert, N., a cura di, Le règlement communautaire «Rome I» et le choix de loi dans les contrats internationaux, Dijon, 2011; Ferrari, F.-Leible, S., a cura di, Rome I Regulation: The Law Applicable to Contractual Obligations in Europe, Munich, 2009; Franzina, P., La giurisdizione in materia contrattuale, Padova, 2006; Salerno, F., Giurisdizione ed efficacia delle decisioni straniere nel regolamento (CE) n. 44/2001, III ed., Padova, 2006; Salerno, F.-Franzina, P., a cura di, Regolamento CE n. 593/2008. Commentario, in Nuove leggi civ., 2009, 521 ss.