Abstract
Si esamina la disciplina internazionalprivatistica, di fonte prevalentemente europea, delle obbligazioni extracontrattuali, con riguardo sia alla giurisdizione (reg. «Bruxelles I bis») che alla legge applicabile (reg. «Roma II»).
In conseguenza della cd. ‘comunitarizzazione’ del diritto internazionale privato, anche le obbligazioni extracontrattuali sono oggi prevalentemente disciplinate, per gli aspetti rientranti in tale materia, da norme di diritto UE. Occorre infatti fare riferimento: a) per i profili di diritto processuale civile internazionale, al reg. UE n. 1215/2012 («Bruxelles I bis»), che dal 10.1.2015 ha sostituito il reg. CE n. 44/2001; b) per le questioni di diritto applicabile, al reg. CE n. 864/2007 dell’11.7.2007 («Roma II»), qualora i fatti generativi del danno si siano verificati dall’11.1.2009 in poi (artt. 31 e 32; C. giust., 17.11.2011, C-412/10, Homawoo). Questi strumenti formano, insieme al reg. CE n. 593/2008 («Roma I») sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, un sistema integrato e coerente di norme uniformi applicabili in tutta l’UE, con la sola eccezione della Danimarca (v. considerando n. 7 regg. Roma I e II). In virtù del primato del diritto UE, pertanto, le norme interne della l. 31.5.1995, n. 218, trovano ormai applicazione in via residuale alle fattispecie (o agli aspetti) non direttamente disciplinati dalle norme UE, e purché non pregiudichino la piena efficacia di queste ultime.
La normativa UE si applica solo «in materia civile e commerciale», dalla quale esula, in particolare, la «responsabilità dello Stato per atti od omissioni nell’esercizio di pubblici poteri (acta iure imperii)» (artt. 1, par. 1, regg. Bruxelles I bis e Roma II). La riconducibilità dei rapporti tra pubblica amministrazione e privati alla sfera materiale del d.i.p. UE dipende dal fondamento e dalle modalità di esercizio dell’azione. Vi rientra, ad es., l’obbligo di risarcire i danni causati da un patto illecito costituito a fini di frode IVA solo se trova fonte nelle norme comuni in tema di responsabilità civile (C. giust., 12.9.2013, C-49/12, Sunico); per contro, ne esula sia la responsabilità di uno Stato per le azioni delle proprie forze armate nell’ambito di operazioni di guerra sul territorio di un altro Stato (C. giust., 15.2.2007, C-292/05, Lechouritou), sia l’obbligo di un’impresa di restituire un’ammenda inflittale per violazione delle norme antitrust, e poi indebitamente rimborsata (C. giust., 28.7.2016, C-102/15, Siemens Aktiengesellschaft Österreich).
Entrambi i regolamenti cedono sia rispetto alle disposizioni speciali contenute in altri atti di diritto UE (art. 67, reg. n. 1215/2012, art. 27, reg. n. 864/2007; per un es. di norma speciale sulla giurisdizione, v. art. 79, reg. UE n. 2016/679 del 27.4.2016, relativo alla protezione dei dati personali: cfr. Kohler, C., Conflict of Law Issues in the 2016 Data Protection Regulation of the European Union, in Riv. dir. int. priv. proc., 2016, 653 ss.), sia rispetto alle convenzioni internazionali già in vigore per gli Stati membri (artt. 71, 72 e 73, par. 3, reg. n. 1215/2012, art. 28, par. 1, reg. n. 864/2007). Peraltro, il rapporto tra norme pattizie e norme UE non si pone in termini di superiorità, ma di coordinamento o integrazione tra i vari atti (v. Malatesta, A., Origini, obiettivi e caratteri del regolamento (UE) n. 1215/2012 (Recast), in Malatesta, A., a cura di, La riforma del regolamento Bruxelles I, Milano, 2016, 10).
Tra i titoli speciali di giurisdizione previsti dal reg. n. 1215/2012 (sul quale vedi voci: Giurisdizione in materia civile e commerciale e Riconoscimento delle sentenze straniere in materia civile e commerciale [dir. proc. civ. int.] ), due attengono specificamente alla responsabilità extracontrattuale: l’art. 7, n. 3, in forza del quale un’azione risarcitoria o restitutoria nascente da reato può essere intentata dinanzi al giudice dell’azione penale, se ciò è consentito dalla legge del foro, e soprattutto l’art. 7, n. 2, ai sensi del quale, «in materia di illeciti civili dolosi e colposi», è competente il giudice «del luogo in cui l’evento dannoso è avvenuto o può avvenire». Quest’ultima disposizione è stata oggetto di una copiosa giurisprudenza, che ne ha delineato i tratti essenziali.
Il foro dell’illecito, poiché deroga al foro generale del domicilio del convenuto, deve essere interpretato in modo restrittivo (C. giust., 21.12.2016, C-618/15, Concurrence); esso si giustifica solo per ragioni di prossimità, per lo stretto legame esistente tra la controversia e il giudice, mentre è ad esso estraneo uno scopo di tutela del danneggiato (C. giust., 17.10.2017, C-194/16, Bolagsupplysningen e Ilsjan).
È poi pacifica l’autonomia della nozione di illecito civile, da interpretarsi alla luce del sistema e degli obiettivi del reg., senza riguardo alle qualificazioni operate dal diritto nazionale. Essa è stata definita in negativo dalla Corte di giustizia, come nozione residuale rispetto alla materia contrattuale di cui all’art. 7, n. 1, comprensiva di ogni forma di responsabilità non fondata sulla violazione di un obbligo volontariamente assunto da una parte nei confronti di un’altra (sent. 13.3.2014, C-548/12, Brogsitter; 28.1.2015, C-375/13, Kolassa). Vi rientra, in particolare, la responsabilità precontrattuale ove derivi solo dalla violazione di norme giuridiche (C. giust., 17.9.2002, C-334/00, Tacconi). Non è d’altronde possibile un cumulo oggettivo di domande aventi diverso titolo, contrattuale l’una e illecito l’altra, poiché la competenza speciale in materia di illeciti civili non si estende alle pretese contrattuali eventualmente connesse, e viceversa (C. giust., 27.9.1988, 189/87, Kalfelis).
Il criterio dell’evento dannoso deve intendersi riferito sia al luogo del fatto generatore del danno sia a quello in cui il danno si è concretizzato, sicché il convenuto può essere citato, a scelta dell’attore, dinanzi ai giudici dell’uno o dell’altro luogo (C. giust., 30.11.1976, 21/76, Mines de Potasse). Per locus damni si intende quello in cui è insorto il danno immediato e diretto. Da un lato, quindi, rileva solo il luogo in cui il fatto illecito ha prodotto direttamente i suoi effetti dannosi nei confronti della vittima immediata, e non invece quello in cui la vittima indiretta abbia subito un pregiudizio indiretto (C. giust., 11.1.1990, C-220/88, Dumez France). Dall’altro, non può rilevare qualsiasi luogo in cui possano essere avvertite le conseguenze lesive di un fatto che ha causato un danno iniziale effettivamente avvenuto altrove (C. giust., 19.9.1995, C-364/93, Marinari; 16.6.2016, C-12/15, Universal Music). Il locus commissi delicti non potrebbe perciò identificarsi con il luogo in cui la vittima ha subito un impoverimento patrimoniale che sia soltanto una conseguenza ulteriore della lesione del bene protetto (v. però sent. Kolassa cit., sulla responsabilità da prospetto, e 21.5.2015, C-352/13, CDC Hydrogen Peroxide, sul danno antitrust). Per la giurisprudenza italiana è quindi rilevante solo il danno-evento, con simmetrica esclusione della rilevanza dei cd. danni-conseguenza (ex multis Cass., S.U., ord. 28.4.2015, n. 8571).
Quando da un unico fatto generatore derivi una pluralità di conseguenze dannose localizzate in Stati diversi (danno plurimo o plurilocalizzato), solo il foro dell’azione ha competenza estesa all’integralità dei danni, mentre i giudici dei diversi luoghi del danno sono competenti solo per la porzione di danno insorta nel territorio del loro Stato (C. giust., 7.3.1995, C-68/93, Shevill). Nel caso invece di lesione dei diritti della personalità per mezzo del web, la Corte di giustizia ha eccezionalmente stabilito che il foro del danno, che si realizza nello Stato membro in cui la vittima ha il centro dei propri interessi, è competente a conoscere della totalità del danno (C. giust., 25.10.2011, C-509/09 e C-161/10, eDate Advertising), per poi chiarire, mutando un precedente orientamento, che non può chiedersi la rettifica di dati inesatti e la rimozione di contenuti lesivi ai giudici di ciascun Stato membro sul cui territorio l’informazione pubblicata su Internet sia accessibile (sent. Bolagsupplysningen e Ilsjan cit.).
Non vi è dubbio, infine, che anche in materia di responsabilità extracontrattuale le parti possano designare il giudice competente ai sensi dell’art. 25. Il vero problema, in pratica, è se l’electio fori contenuta in un contratto estenda la sua efficacia anche alle controversie di natura extracontrattuale che possano insorgere tra le parti del contratto. In tema di responsabilità degli intermediari finanziari, la giurisprudenza italiana ha accolto, con argomenti invero discutibili, un approccio fortemente restrittivo (Cass., S.U., ord. 27.2.2012, n. 2926, in Riv. dir. int. priv. proc., 2012, 941 ss.; 18.9.2014, n. 19675, ivi, 2015, 653 ss.; 19.1.2017, n. 1311), che sembrerebbe trovare riscontro nella recente giurisprudenza europea, per la quale «una clausola che si riferisce astrattamente alle controversie che sorgano nei rapporti contrattuali non copre una controversia relativa alla responsabilità extracontrattuale» derivante da un’infrazione al diritto antitrust (sent. CDC Hydrogen Peroxide cit., ma v. ora Cass. fr., 11.10.2017 n. de pourvoi 16-25259). Si deve tuttavia osservare che, ai sensi del nuovo art. 31, par. 2, reg. n. 1215/2012, ogni valutazione della portata dell’electio fori spetta esclusivamente al giudice putativamente prorogato eventualmente adito (Vitellino, G., Le novità in materia di litispendenza e connessione, in Malatesta, A., a cura di, La riforma, cit., 101 ss.).
Salvo talune eccezioni che qui non rilevano, se il convenuto non è domiciliato nell’UE, l’ambito della giurisdizione di ciascun Stato membro è definito dalle norme comuni, alle quali rinvia l’art. 6, par. 1, reg. n. 1215/2012. Per l’Italia viene in rilievo l’art. 3, co. 2, l. n. 218/1995, che richiama a sua volta i criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della convenzione di Bruxelles del 1968, compreso il locus commissi delicti. Il criterio viene però a operare in uno schema ben diverso da quello originario. Qui non è più questione di ripartire la competenza all’interno di uno spazio giudiziario unificato, ma di delimitare unilateralmente, verso l’esterno, l’ambito della giurisdizione italiana; il criterio non opera come alternativa al forum rei, comunque disponibile all’interno dell’UE, bensì con valenza sussidiaria rispetto ai titoli previsti dall’art. 3, co. 1, l. n. 218/1995. Da tali differenze di contesto sistematico deriva che il richiamo al forum delicti non possa estendersi all’interpretazione restrittiva che ne ha dato la giurisprudenza europea (cfr. Salerno, F., Giurisdizione ed efficacia delle decisioni straniere nel regolamento (UE) n.1215/2012 (rifusione), IV ed., Padova, 2015, 118 s.; contra, Marongiu Buonaiuti, F., Le obbligazioni non contrattuali nel diritto internazionale privato, Milano, 2013, 46).
Tra le importanti novità introdotte dal reg. n. 1215/2012 vi è la disciplina della litispendenza e connessione con Stati terzi (artt. 33 e 34), che però non può dirsi esaustiva. L’art. 7, l. n. 218/1995 mantiene, infatti, una portata residua per i casi in cui la giurisdizione nei confronti di un convenuto non domiciliato nell’UE si fondi sulle norme interne (Vitellino, G., Le novità, cit., 111). Non è invece chiaro se, e a quali condizioni, la giurisdizione possa essere declinata in assenza di procedimenti paralleli, in particolare nel caso di accordi di scelta del foro di uno Stato terzo (Vitellino, G., op. cit., 113 ss.; Fentiman, R., Articles 33, 34, in Magnus, U.-Mankowski, P., eds., European Commentaries on Private International Law. Brussels Ibis Regulation, Köln, 2016, 766 ss.).
Il reg. n. 864/2007 stabilisce norme di conflitto uniformi volte a determinare la legge applicabile alle «obbligazioni extracontrattuali in materia civile e commerciale» (art. 1, par. 1), fatte salve alcune specifiche categorie di obbligazioni escluse (art. 1, par. 2). La nozione di «obbligazione extracontrattuale» deve essere interpretata in modo autonomo e complementare rispetto a quella di «obbligazione contrattuale» (art. 1, par. 1, reg. n. 593/2008), alla luce dell’obiettivo dell’applicazione coerente di tali regg. e del reg. n. 1215/2012. In pratica, i criteri elaborati dalla Corte di giustizia per delimitare i rispettivi ambiti del foro del contratto e del foro dell’illecito, imperniati sulla fonte – consensuale o legale – dell’obbligazione controversa (v. supra, § 2.1), dovrebbero in principio valere anche nella definizione delle rispettive sfere materiali di applicazione dei due regg. sulla legge applicabile (C. giust., 21.1.2016, C-359/14 e C-475/14, Ergo Insurance e Gjensidige Baltic). L’esigenza di coerenza non deve però far dimenticare che, nel contesto dei conflitti di legge, la qualificazione ha un oggetto differente rispetto a quello che essa ha nell’ambito dei conflitti di giurisdizione. Si spiega probabilmente così la posizione della Corte di giustizia che, con riguardo a un’azione inibitoria per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori contro l’impiego di clausole contrattuali vessatorie, ha sì accolto la qualificazione extracontrattuale ai fini della giurisdizione (sent. 1.10.2002, C-167/00, Henkel) e della legge applicabile all’azione stessa (sent. 28.7.2016, C-191/15, Amazon), ma ha poi qualificato separatamente l’oggetto di detta azione, il quale, consistendo nell’esame della vessatorietà di clausole contrattuali, non può che avere natura contrattuale e, quindi, rientrare nel campo del reg. n. 593/2008 (sent. Amazon cit.).
La normativa uniforme si applica «in circostanze che comportino un conflitto di leggi» (art. 1, par. 1), cioè a rapporti caratterizzati da elementi di estraneità rispetto al foro, circostanza che può essere determinata anche dalla sola volontà delle parti (art 14, par. 2, sul quale v. infra, § 3.5). Infine, le norme di conflitto hanno carattere universale, sono cioè suscettibili di designare tanto la legge di uno Stato membro quanto la legge di uno Stato terzo (art. 3).
Il reg. n. 864/2007 cerca un equilibrio tra due opposte esigenze, non facilmente conciliabili tra loro, ossia la certezza del diritto e la soluzione più adeguata al caso concreto; ricerca che si manifesta nell’elaborazione di un sistema complesso, articolato attorno a una norma generale e a ben nove norme speciali. La regola generale di cui all’art. 4, par. 1, adotta il criterio «del paese in cui il danno si verifica» (lex loci damni), mentre non dà nessun rilievo al luogo del fatto generatore del danno. Togliendo all’attore (o al giudice) la scelta tra la legge del danno e quella dell’azione, la norma risulta così estranea a considerazioni materiali di favor per il danneggiato (Honorati, C., Regolamento n. 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni non contrattuali, in Trattato notarile, diretto da Preite, F., vol. 4, tomo I, Milanofiori Assago, 2011, 496). Per altro verso, è rilevante solo il danno diretto o iniziale (il cd. danno-evento), consistente in linea di principio nella lesione di un bene giuridicamente protetto, mentre restano prive di pregio le conseguenze ulteriori e indirette, quali l’impoverimento patrimoniale (cfr. supra, § 2.1) oppure il danno non patrimoniale sofferto dai parenti della vittima di un sinistro stradale (C. giust., 10.12.2015, C-350/14, Lazar).
In caso di danni plurimi, un’interpretazione letterale della norma condurrebbe a un’applicazione distributiva delle leggi di tutti i paesi coinvolti. Tale soluzione, conforme all’insegnamento della sentenza Shevill, appare però problematica sul piano dei conflitti di leggi, soprattutto se si tiene conto che anche i presupposti della responsabilità per un fatto essenzialmente unitario sarebbero regolati da più leggi. Sono perciò apprezzabili i tentativi dottrinali tesi a favorire l’applicazione di un’unica legge (v. ad es. Franzina, P., Il regolamento n. 864/2007/CE sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, in Nuove leggi civ., 2008, 994 ss., e Honorati, C., Regolamento n. 864/2007, cit., 500 ss.).
In deroga al criterio generale, l’art. 4, par. 2, rende applicabile la legge del paese in cui le parti siano abitualmente residenti (cfr. artt. 5, par. 1, e 9). Se lo scopo è garantire un’opportuna flessibilità in casi particolari, la soluzione appare un po’ troppo rigida e comunque superflua; il vero fine sembrerebbe in realtà essere quello, vagamente nazionalista, di sottoporre i propri residenti alla propria legge (Honorati, C., op. cit., 505 s.).
Una nota di flessibilità è infine introdotta dalla cd. clausola di salvaguardia di cui all’art. 4, par. 3 (analoghe clausole sono previste agli artt. 5, par. 2, 10, par. 4, 11, par. 4, e 12, par. 2, lett. c). Ove risulti con chiarezza che il fatto illecito presenta «collegamenti manifestamente più stretti» con un paese diverso da quello designato dai rigidi criteri di cui ai paragrafi 1 e 2, in particolare a motivo del legame con una relazione preesistente tra le parti, quale un contratto (cd. collegamento accessorio), si applicherà la legge di tale diverso paese. Trattandosi di un’eccezione, a tale clausola si dovrebbe comunque fare ricorso in casi assolutamente residuali (rifiuta di applicarla, ad es., Trib. Bologna, 17.3.2014, in Riv. dir. int. priv. proc., 2017, 126 ss.).
Il reg. appronta una disciplina specifica per alcune tipologie di fatto illecito «per le quali la norma generale non permette di raggiungere un equilibrio ragionevole fra i contrapposti interessi» (considerando n. 19). Si tratta segnatamente: della responsabilità da prodotto (art. 5), per atti di concorrenza sleale o restrittivi della libera concorrenza (art. 6), per danno ambientale (art. 7), per violazione di un diritto di proprietà intellettuale (art. 8) e per danni causati da un’attività sindacale (art. 9).
Le citate disposizioni presentano tra loro differenze, a volte marcate, in particolare quanto alle tecniche conflittuali utilizzate: ad es., l’art. 5 prevede un sistema a cascata di criteri di collegamento, temperati da una clausola di prevedibilità, ma anche una clausola di eccezione, mentre gli artt. 6 e 8 dettano un unico criterio di collegamento (la marketplace rule, l’uno, e la lex loci protectionis, l’altro), inderogabile e senza margini di flessibilità; l’art. 7 è la sola disposizione basata sull’ubiquità dell’illecito. Caratteristica comune sembra invece essere una maggiore sensibilità verso gli interessi materiali in gioco, che però non implica, di massima, un abbandono della tradizionale tecnica di localizzazione spaziale. Un vero e proprio favor per la vittima dell’illecito sottende soltanto gli artt. 7 e 6, par. 2, lett. b), che permettono al danneggiato di scegliere tra due leggi quella sulla quale fondare le proprie pretese.
Contrariamente alla proposta originaria della Commissione, il testo finale del reg. non contiene una norma generale sui danni «causati da un atto diverso da un fatto illecito», ma solo una disciplina specifica delle tre principali categorie, ossia l’arricchimento senza causa, compresa la ripetizione dell’indebito (art. 10), la negotiorum gestio (art. 11) e la culpa in contrahendo (art. 12). È pertanto opinione comune che le fattispecie non inquadrabili nelle tre categorie nominate, ad es. la promessa unilaterale, rimangano al di fuori della disciplina uniforme.
Gli artt. 10, 11 e 12 presentano identica struttura. In via principale, fanno ricorso alla tecnica del cd. collegamento accessorio, non già come elemento presuntivo del collegamento più stretto (v. supra, § 3.2), ma come autonomo metodo di individuazione del diritto applicabile: ove esista uno stretto legame con una relazione esistente tra le parti (in particolare, un contratto), l’obbligazione in esame è sottoposta alla legge regolatrice di tale relazione. Questa soluzione permette di risolvere spinosi problemi, soprattutto di qualificazione (si pensi alla ripetizione di indebito a seguito di contratto nullo). In via subordinata, per il caso in cui il collegamento accessorio non possa operare, sono previsti criteri di collegamento successivi, a cascata, mitigati dalla clausola di eccezione.
3.5 La libertà di scelta
L’art. 14 reg. riconosce, seppur in modo limitato, il principio consensualistico: la facoltà di scelta della legge applicabile è ammessa per tutti i tipi di obbligazioni extracontrattuali, con la sola eccezione di quelle derivanti da atti di concorrenza sleale o limitativi della concorrenza (art. 6, par. 4) e dalla violazione di diritti di proprietà intellettuale (art. 8, par. 3).
L’accordo di scelta, che può essere espresso o risultare «in modo non equivoco dalle circostanze del caso di specie», deve perfezionarsi in un momento successivo rispetto al verificarsi del fatto generatore del danno (art. 14, par. 1, lett. a). Una scelta ex ante è, infatti, eccezionalmente possibile solo «se tutte le parti esercitano un’attività commerciale» e purché sia liberamente negoziata (art. 14, par. 1, lett. b), nel chiaro intento di proteggere le parti più deboli (considerando n. 31). In pratica, i soggetti professionali legati da un vincolo contrattuale possono sottoporre a un’unica lex voluntatis l’insieme dei rapporti connessi a tale vincolo.
L’autonomia delle parti è piena, nel senso che la scelta può ricadere anche su un ordinamento privo di legami con l’obbligazione. Essa incontra solo tre ordini di limiti. In primis, non può pregiudicare i diritti dei terzi. In secondo luogo, se, nel momento in cui si verifica il fatto che determina il danno, tutti gli elementi pertinenti alla situazione siano ubicati in un solo paese (situazione cd. puramente interna), la scelta di una legge straniera non pregiudica l’applicazione delle disposizioni della legge di quel paese che siano inderogabili dalle parti (cd. norme imperative semplici: art. 14, par. 2). Un meccanismo simile è infine previsto dall’art. 14, par. 3, per l’ipotesi che tutti gli elementi pertinenti «siano ubicati … in uno o più Stati membri» (situazione cd. puramente intra-UE). In questo caso, sono le disposizioni imperative del diritto UE, «se del caso, nella forma in cui sono applicate nello Stato membro del foro», a non poter essere pregiudicate dalla designazione della legge di uno Stato terzo.
Gli artt. 15 e 18-22 si preoccupano di definire quali aspetti della questione litigiosa siano regolati dalla lex delicti. Se ne ricava a contrario un’indicazione in ordine alle questioni destinate a rimanere estranee all’ambito di tale legge, o perché aventi natura processuale e, come tali, sottoposte alla lex fori, o perché disciplinate da altre leggi; è questo il caso, in particolare, della legge applicabile al diritto dalla cui lesione sorge la responsabilità extracontrattuale, la quale determina non solo l’esistenza e il contenuto di tale diritto, ma anche se esso sia stato violato.
Tra le questioni regolate dalla lex delicti rientrano, segnatamente: l’esistenza, la natura e la valutazione del danno, i provvedimenti che possono essere presi dal giudice, la prescrizione e la decadenza (art. 15, lett. c, d, h); l’esistenza e la portata di presunzioni legali e la ripartizione dell’onere della prova (art. 22). L’impressione è che il sistema sia congegnato «in modo da attribuire la portata più ampia possibile alla legge applicabile», in particolare «sottraendo alla lex fori molte questioni che verrebbero normalmente qualificate come processuali e sottoponendole alla lex delicti». Ne discende tra l’altro la necessità di qualificare in modo autonomo, e non lege fori, la natura delle norme, sostanziale o processuale, con attribuzione a quest’ultima di una portata restrittiva, confinata alle sole norme dirette a regolare la conduzione del processo (Honorati, C., op. cit., 554 s.).
Le norme di conflitto stabilite dal reg. Roma II incontrano, innanzitutto, i due limiti tradizionali dell’eccezione dell’ordine pubblico e delle norme di applicazione necessaria. Da un lato, la legge richiamata dalla norma di conflitto non può trovare applicazione se produce effetti manifestamente incompatibili con i principi di ordine pubblico del foro (art. 26). Ad es., non può essere applicata dai giudici italiani perché contraria all’ordine pubblico una legge straniera che non preveda la risarcibilità del danno non patrimoniale da morte di un congiunto (cd. danno parentale: Cass., 22.8.2013, n. 19405). La giurisprudenza più recente sembra invece non considerare più incompatibile con i principi ispiratori del nostro ordinamento, sempreché siano soddisfatte talune condizioni, l’istituto statunitense dei punitive damages (v. Cass., S.U., 5.7.2017, n. 16601; cfr. però il considerando n. 32 reg.). Dall’altro lato, opera il limite delle norme di applicazione necessaria del foro, ossia quelle disposizioni imperative che vogliono applicarsi alla situazione, in base ai propri criteri autonomamente fissati, quale che sia la legge applicabile (art. 17). Non si dà invece alcun rilievo, diversamente dal reg. Roma I, alle norme di applicazione necessaria di Stati terzi.
Sicuramente più innovativo, almeno per l’ordinamento italiano, è l’art. 17, il quale attribuisce un’autonoma rilevanza, proprio rispetto alle norme di applicazione necessaria, alla categoria delle norme di sicurezza e condotta (Malatesta, A., Il nuovo diritto internazionale privato in materia di obbligazioni non contrattuali: il regolamento (CE) “Roma II” entra in vigore, in Danno e resp., 2008, 1211 s.). La norma consente infatti al giudice, nel valutare la responsabilità dell’autore dell’illecito in base alla legge applicabile (ossia, di regola, quella del luogo in cui si verifica il danno: v. supra, § 3.2), di tenere conto discrezionalmente, «quale dato di fatto e ove opportuno», delle norme di sicurezza e condotta vigenti nel luogo in cui è stata posta in essere l’azione dannosa.
Si deve infine tenere conto dell’impatto delle norme di diritto UE. Da un lato, le norme imperative di matrice UE tendono a definire direttamente il proprio ambito di applicazione territoriale, in funzione degli scopi perseguiti. Di conseguenza, se la situazione rientra in detto ambito, tali norme devono trovare necessaria applicazione, anche se la legge applicabile è quella di uno Stato terzo (C. giust., 9.11.2000, C-381/98, Ingmar); se invece la situazione esula da detto ambito, esse in principio non devono applicarsi, in quanto «autolimitate», anche se fosse applicabile la legge di uno Stato membro (C. giust., 16.2.2017, C-507/15, Agro Foreign Trade & Agency). Dall’altro lato, l’applicazione della lex delicti può incontrare un ulteriore limite nelle cd. clausole mercato interno, come quella prevista dall’art. 3 dir. 2000/31/CE dell’8.6.2000 sul commercio elettronico (considerando n. 35; C. giust., 25.10.2011, C-509/09 e C-161/10, eDate Advertising GmbH).
Le norme interne possono applicarsi soltanto alle fattispecie escluse dall’ambito materiale del reg. n. 864/2007, o di altri atti UE. Ciò implica che una disposizione come l’art. 63, l. n. 218/1995, non ha più alcuno spazio applicativo perché la materia da essa disciplinata – la responsabilità da prodotto – è ora interamente regolata dall’art. 5 reg. Quanto alle altre disposizioni del Capo XI, l. n. 218/1995, è controverso se l’art. 58, sulla promessa unilaterale, conservi una sua operatività, mentre l’art. 61, sulle obbligazioni legali, ha una portata residua assai modesta (v. Malatesta, A., Sulla disciplina delle obbligazioni extracontrattuali e contrattuali, in Riv. dir. int. priv. proc., 2011, 656 s.). L’art. 62 continua invece certamente ad applicarsi alle obbligazioni extracontrattuali derivanti dalla violazione della vita privata e dei diritti della personalità, escluse dal reg. (art. 1, par. 1, lett. g; v. Diritti della personalità). Esso designa inoltre la legge applicabile agli aspetti del diritto al risarcimento del danno da violazione del reg. n. 2016/679 cit., sulla protezione dei dati personali, non disciplinati dal regolamento stesso (cfr. Kohler, C., Conflict of Law Issues, cit., 673 s.).
Va infine tenuto presente che alcune obbligazioni extracontrattuali sono escluse dal reg. perché attratte nella disciplina di un altro rapporto. È questo in particolare il caso delle obbligazioni derivanti dal diritto delle società (art. 1, par. 1, lett. d reg.). Così, ad es., la responsabilità della capogruppo per gli illeciti commessi da una sua controllata dipende dalla legge applicabile, ai sensi dell’art. 25, l. n. 218/1995, a quest’ultima società (Benedettelli, M., sub art. 25, in Bariatti, S., a cura di, Legge 31 maggio 1995, n. 218. Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, in Nuove leggi civ., 1996, 1119).
Fonti normative
Regolamento (CE) n. 864/2007 dell’11.7.2007; regolamento (UE) n. 1215/2012 del 12.12.2012; convenzione di Lugano del 30.10.2007; l. 31.5.1995, n. 218.
Bibliografia essenziale
Corneloup, S.-Joubert, N., a cura di, Le règlement communautaire «Rome II» sur la loi applicable aux obligations non contractuelles, Dijon, 2008; Dickinson, A., The Rome II Regulation, New York, 2008; Franzina, P., Il regolamento n. 864/2007/CE sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali, in Nuove leggi civ., 2008, 971 ss.; Honorati, C., Regolamento n. 864/2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni non contrattuali, in Trattato notarile, diretto da Preite, F., vol. 4, tomo I, Milanofiori Assago, 2011, 483 ss.; Malatesta, A., Il nuovo diritto internazionale privato in materia di obbligazioni non contrattuali: il regolamento (CE) “Roma II” entra in vigore, in Danno e resp., 2008, 1206 ss.; Marongiu Buonaiuti, F., Le obbligazioni non contrattuali nel diritto internazionale privato, Milano, 2013; Mosconi, F.-Campiglio, C., Diritto internazionale privato e processuale. Vol. I, Parte generale e obbligazioni, VIII ed., Milanofiori Assago, 2017, 424 ss.; Plender, R.-Wilderspin, M., The European Private International Law of Obligations, IV ed., London, 2015; Pretelli, I., La legge applicabile alle obbligazioni non contrattuali nel Regolamento “Roma II”, in Bonomi, A., a cura di, Diritto internazionale privato e cooperazione giudiziaria in materia civile, Torino, 2009, 409 ss.