OBELISCO
. Monumento commemorativo dell'antico Egitto. La sua forma svelta, allungata, quadrangolare, terminante alla sommità con una punta piramidale, lo fece rassomigliare dai Greci ad un piccolo spiedo (ὀβελίσκος, più antico ὀβελιός). Il nome egizio è téḥen, d'ignoto significato; la punta si chiama benbéne (t). Questa parola viene confusa spesso con un'altra designante il feticcio-pietra eliopolitano, ben ovvero benben (dalla stessa radice jbn "puntuto"), e se ne inferisce, a torto, un carattere sacro per l'obelisco, che esso non ha mai avuto. Quindi cade pure ogni idea sull'origine fallica di tale oggetto. H. Brugsch lo designò anche come parafulmine; ma il testo di Edfū su cui si fondava, parla di obelischi che "toccano le nubi" per l'altezza, non che "frangono la tempesta".
Tutte le paia di obelischi che i faraoni hanno eretto all'ingresso dei templi (qualche rara volta alla fine di un colonnato, o presso la riva del Nilo) commemorano la celebrazione del giubileo trentennale. Oltre ai titoli del protocollo e agli epiteti sovrani che ricoprono le quattro facce, c'è espressa menzione del dono dei monoliti alle divinità, secondo i casi Haráéte di Eliopoli, Amenrìe di Tebe e di Soleb, Gnûm di Elefantina, ecc. Anche Augusto Soli donum dedit i due elevati in Roma. Perché poi l'erezione di due piccoli obelischi costituisse una cerimonia dei funerali e si trovino presso le tavole delle offerte, o lasciati all'ingresso delle tombe, non ci viene chiarito. Si può pensare che fosse in relazione con il giubileo di Osiri, re dei Morti. La pietra in cui sono tagliati gli obelischi è la sienite, eccezionalmente il basalto. Essi venivano lavorati nella cava prima su tre lati; il quarto lo si distaccava facendo gonfiare cunei di legno inseriti in fori distanti almeno 75 cm. l'uno dall'altro. Sul luogo stesso venivano provvisti d'iscrizioni. Con quali mezzi gli Egiziani riuscissero a incidere con tanta finezza queste pietre, ci è del tutto ignoto. Il trasporto dalla cava al luogo destinato avveniva per fiume; sappiamo, ad esempio, che per quello dei due obelischi di Thutmose I a Karnak, ciascuno alto m. 21,75 e largo alla base m. 1,84 (circa 143 tonnellate), venne costruita una nave lunga m. 63 e larga 21. Il monolito era di solito staccato dal suolo con una leggiera base quadrangolare; ma quelli di Ramessése II a Luxor mostrano agli angoli di essa quattro cinocefali, adoranti il sole. Va pure ricordato che la cuspide era talora rivestita d'oro, perché riflettesse i raggi solari. Quanto al modo usato dagli Egiziani per erigere tali colossi, le indagini più recenti hanno assodato che l'obelisco veniva tratto su con canapi e leve di legno, facendo rotare un angolo della sua estremità inferiore dentro un incavo rotondo, praticato al margine della base. Non sempre l'operazione riusciva perfettamente e qualche base si osserva rovinata e schiantata.
Il più alto degli obelischi è quello rimasto incompiuto nella cava di Assuan (metri 41,75); viene poi il Lateranense (32 m.). Nelle iscrizioni di Thutmóse III se ne menziona uno di 57 m. Il più antico sta ad Eliopoli (al-Maṭariyyah) e appartenne a Zenwósre I (dinastia XII). I più recenti sono: l'obelisco di Domiziano (oggi in Piazza Navona a Roma), in origine forse davanti all'Iseo Campense, e quello di Adriano, eretto in onore di Antinoo, oggi sul monte Pincio. Sono pure note le imitazioni che si fecero in Etiopia di tali monumenti, la cui caratteristica è di essere a sezione rettangolare anziché quadrata e con le facce più larghe intagliate, in modo da rappresentare un edifizio (v. aksum).
Il primo che ne trasportò via da Tebe pare sia stato Assurbanipal. Parecchi giunsero a Roma in epoca imperiale e uno a Costantinopoli sotto Teodosio. Nel secolo XIX anche altre città vollero ornate le loro piazze da obelischi e uno ne andò a Parigi nel 1836, un altro a Londra nel 1877, un terzo a New York nel 1880. Verso la metà del secolo ne erono stati elevati due d'imitazione nella Villa Torlonia a Roma, con iscrizioni dell'Ungarelli.
Tale Ermapione, del tutto ignoto, ci ha lasciato una buona versione del testo dell'obelisco, già nel Circo Massimo, poi in Piazza del Popolo a Roma; essa si trova inserita nel XVII libro della Storia di Ammiano Marcellino.
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Fu soltanto nel sec. XVI che gli obelischi egizî che per la maggior parte giacevano abbattuti per le strade dell'Urbe furono valorizzati e rialzati nei punti più importanti della città papale. A Sisto V si deve per la massima parte quest'opera iniziata nell'anno 1586 con il trasporto e il sollevamento dell'unico obelisco ancora in piedi, quello che fungeva da meta nel Circo Neroniano. Per la realizzazione di quest'opera fu dapprima chiamato a Roma Bartolomeo Ammannati il quale giudicò il problema talmente arduo da richiedere un anno soltanto per gli studî preliminari. Il Fontana invece fu più sollecito e il 10 settembre 1586 l'obelisco fu alzato sull'esile base tanto criticata dall'acerbo F. Milizia. Il Fontana riuscito brillantemente nella sua prima prova si specializzò quasi in questi lavori e in tre anni sistemò gli obelischi di S. Maria Maggiore, di S. Giovanni e di Piazza del Popolo.
Da allora e per oltre un secolo gli obelischi servirono quasi di meta al nuovo tracciato urbanistico della città; tre ne troviamo infatti sul percorso Trinità dei Monti (innalzato sotto Benedetto XIV), S. Maria Maggiore e San Giovanni, uno sulla Piazza del Quirinale all'inizio dell'attuale Via XX Settembre, anch'esso sistemato durante il pontificato di Benedetto XIV, e un altro a Piazza del Popolo quasi a segnare il centro di partenza delle tre vie radiali del Corso, del Babuino e di Ripetta.
Altri ne furono sistemati dinnanzi ai complessi architettonici più notevoli della città papale, quasi per conferire maggior dignità all'ambiente: così uno dinnanzi alla Curia innocenziana in Piazza Montecitorio, sotto il pontificato di Benedetto XIV, un altro in Piazza Navona arditamente innalzato sul vano formato dalle rocce della fontana berniniana. Un altro ancora infine, poggiato su un elefante, noto a Roma con il nomignolo di Pulcino della Minerva, ne innalzò il Bernini stesso dinnanzi a quella chiesa. Per la sistemazione di questo obelisco il Bernini ci lasciò una serie di studî tra cui uno nel quale con ardita concezione egli immaginò di far sostenere l'obelisco da un nerboruto gigante; difficoltà di ordine tecnico spaventarono forse l'artista sicché il progetto non fu eseguito; infine un altro obelisco, già citato, di origine romana, proveniente dalla tomba di Antinoo, fu sistemato su un piazzale del Pincio.
Gli obelischi conferiscono un caratteristico elemento decorativo alla città; gli artisti seppero servirsene - fatta eccezione del Fontana che si limitò al semplice basamento a sezione quadrata - nel più vario dei modi, spesso a completamento della fontana; nell'alto la cuspide è sormontata da un fiore di giglio, oppure da una palla, in Piazza Navona dalla colomba Pamphilia, più spesso sull'alto dell'obelisco è la croce. Il concetto dell'elemento pagano a sostegno della croce di Cristo è affermato nell'iscrizione dell'obelisco vaticano: ECCE CRUX DOMINI - FVGITE PARTES ADVERSAE. All'estero rari sono gli obelischi: uno ve ne ha nella città di Arles, uno sulla piazza della Concordia a Parigi, due a Costantinopoli, altri due rispettivamente al Bois de Vincennes e nella foresta di Fontainebleau (Parigi).
V. tavv. XV e XVI.