OBELISCO (ὀβελίσκος, più antico ὄβελος)
È termine greco ("spiedo") con il quale anche noi designiamo tipici monumenti egiziani. Si tratta in genere di blocchi monolitici a sezione quadrata e assai slanciati, lievemente rastremati verso l'alto, e terminati, nella estremità superiore, in un pyramìdion. È difficile separare l'origine dell'o. da quella di altri pilastri che sorgono liberi da impegni architettonici e che hanno valore religioso: tali pilastri si incontrano a Heliopolis, a Denderah (città dette entrambe "Città del Pilastro" in egiziano), a Mendes, a Busiri (che da un altro pilastro sacro prendono nome). Così l'o. sembra anch'esso connesso con una pietra, carica di significato mitologico, la pietra benben di Heliopolis, specie di menhir su cui si posa la fenice e che è connessa con il sorger del sole. Anche in epoca storica il carattere sacro dell'o. viene mantenuto: gli si fanno addirittura offerte come a divinità. Ma rispetto agli altri pilastri sacri, l'o. assume un più franco valore architettonico.
Già nell'Antico Regno lo si trova, usato a coppie, in piccoli esemplari di calcare che inquadrano le porte di monumenti funerarî, e quindi in una particolare funzione nei templi solari di Abu Sir (v.); qui l'o. ha una chiara funzione di monumento cultuale, in quanto il tempio, dedicato al culto di Rē῾, constava di un cortile aperto, al centro del quale l'o. rappresentava direttamente la divinità; davanti è un altare per il sacrificio. Caratteristica di questi o. di Abu Sir, per quanto è dato ricostruire delle loro dimensioni, è un'altezza assai modesta rispetto al lato della base, e il loro levarsi su uno zoccolo a tronco di piramide (nel tempio di Neuserrē῾ il lato di tale zoccolo misura circa m 40). Mentre gli o. più tardi sono monolitici, questi sono formati di blocchi connessi gli uni con gli altri secondo un normale lavoro di muratura. Dopo questi primi esperimenti, i primi o. che ci siano pervenuti sono quelli della XII dinastia. A Heliopolis (Matariyah), un o. di Sesostris I 1971-1930 a. C.) misura circa 20 m di altezza e consta di un monolito di granito rosa: è già delle proporzioni e del tipo che sarà classico per il resto della storia egiziana. L'iscrizione, eguale sulle quattro facce, ricorda la festa del giubileo trentennale della sovranità: con tale festa sarà regola connettere l'erezione degli o., così come sarà regola l'innalzarli davanti a templi di divinità solari. Di non molto posteriore (Sesostris Il, 1897-1879 a. C.) è un altro monumento del genere, a Begig nel Fayyūm. Il monolito, alto originariamente circa 13 m, oggi giace al suolo spezzato in due: singolare è il fatto che la sezione non ne è quadrata ma rettangolare, e che la cima non sia costituita da un pyramidion a quattro facce, ma sia arrotondata. Si ha un monumento che può essere interpretato come una altissima stele. L'età che ha con più abbondanza elevato o. è il Nuovo Regno fra la XVIII e la XIX dinastia (sec. XVIXIII a. C.). I sovrani si compiacciono di ornare i templi di o. di cui vantare nelle loro iscrizioni l'altezza e la decorazione. Sono sempre monoliti di granito, in cui in genere l'altezza è dieci volte il lato base e che in più di un caso hanno avuto rivestimenti metallici, in qualche caso d'oro. L'o. di Ḥashepsowe a Karnak è alto m 29,50 (base m 2,46); quello di Thutmosis III, oggi infranto, doveva misurare m 37,77. Una iscrizione dello stesso re parla di un o. alto 110 cubiti (circa 57 m). Le età più tarde hanno o. assai più modesti, e l'epoca greco-romana rinuncia a così costosi monumenti: quelli che hanno iscrizioni di quest'epoca si ritengono decorati, ma non tagliati, allora. Il taglio e la erezione degli o., nonché il loro trasporto, sono imprese di cui gli architetti egiziani solevano vantarsi nelle loro autobiografie funerarie, ma su cui abbiamo mezzi molto modesti di indagine. Un o., di proporzioni colossali (circa m 32 di altezza),è ancora abbandonato nella cava ad Assuan, probabilmente per la scoperta di alcune imperfezioni nel blocco. Si può così cercare di stabilire la tecnica di estrazione, che sembra estremamente lenta, in quanto l'uso dei cavicchi di legno da introdurre in fori praticati nella roccia e da far poi saltare quando l'aggiunta di acqua li faccia ingrossare non dispensa da un lungo lavoro di consunzione della pietra per mezzo di biocchetti di dolente sfregati contro di essa. Resta assai dubbio come si potessero caricare gli o. sulle zattere da trasporto, e come, soprattutto, si potesse drizzarli verticalmente: si ricordi che gli Egiziani non conoscevano, nella loro tecnica muraria, le impalcature in legno. Si sono immaginati sistemi molto ingegnosi, secondo i quali piani inclinati di mattoni crudi e pozzetti artificiali pieni di sabbia, che possono essere vuotati dal basso, sono sufficienti all'operazione. Ma non ci sono prove che gli architetti antichi si servissero davvero di tali procedimenti. Nell'architettura egiziana gli o. - la cui forma è chiaramente imparentata con le esperienze del gusto geometrico arcaico - divengono elementi accessorî, insieme con gli altri che ravvivano l'edificio templare vero e proprio. Son collocati davanti al portale, sempre in numero pari (c'è una sola eccezione, nella XVIII dinastia a Tebe, di o. senza compagno). Non sono in genere della stessa altezza, ché si cerca di ottenere dalla cava ogni volta l'o. più alto possibile. In un caso (o. di Ramesses Il del tempio di Luxor) a tale differenza si ovvia ponendo i due o. a distanza ineguale dalla porta, in modo da correggere, con un accorgimento prospettico, l'asimmetria. La loro funzione è analoga a quella dei colossi, che sono anch'essi posti davanti ai templi, e agli alti pennoni di cedro del Libano innestati nelle mura del pilone. Debbono da un lato avvivare la semplicità dell'edificio, dall'altro dare un'impressione di sfarzosa ricchezza, che è un elemento sempre sottolineato nelle iscrizioni egiziane di fondazione. Questo carattere prezioso è stato bene riconosciuto nell'antichità agli obelischi. Già gli Assiri, i primi che abbiano violato le frontiere dell'Egitto, si vantano di aver riportato o. come preda al loro paese. In epoca romana numerosi di questi monumenti, di diversa grandezza, furono trasportati in Italia e poi a Costantinopoli. A Roma già Augusto comincia a inserire gli o. nella nuova sistemazione urbanistica della città: uno fu drizzato nel Circo Massimo e vi fu dedicato al Sole (l'attuale o. di Piazzale Flaminio), un altro nel Campo Marzio fungeva da gnomone di una meridiana colossale (quello oggi a Montecitorio). Fino davanti alla tomba dell'imperatore si levavano due o. (l'Esquilino e il Quirinale). L'esotismo di Adriano si compiacque di o.: uno che oggi è al Pincio e prima sorgeva presso il cenotafio di Antinoo fuori Porta Maggiore, porta una iscrizione che commemora il giovane diletto dell'imperatore. L'ultimo o. che fu portato a Roma da Costanzo Il è quello del Laterano, già elevato da Thutmosis III a Tebe. Nella urbanistica della Roma barocca questi o. ebbero di nuovo estrema importanza. E non si deve trascurare che per molto tempo furono, questi o. romani, i più importanti testimoni che della civiltà egiziana avessero i dotti, e che al loro studio si deve, indirettamente, la lettura dei geroglifici.
Bibl.: R. Engelbach, The Problem of the Obelisks, Londra 1923; G. Jequier, Manuel d'archéologie égyptienne, Parigi 1924, pp. 343-350.