DOVARA, Oberto da
Nacque verso la fine del sec. XI, probabilmente a Cremona, da Alberto e da Donella, di cui si ignora il casato. Tra l'inizio del gennaio 1117, quando fu deposto il suo predecessore., e il 28 luglio 1118, quando è ricordato per la prima volta come vescovo, il D. venne elevato alla cattedra vescovile di Cremona.
Secondo una tradizione molto attendibile i Dovara - che appaiono nelle fonti per la prima volta alla fine del X secolo - avrebbero origine milanese e sarebbero venuti a Cremona al seguito dell'arcivescovo Ariberto poco prima del 1040. Ben presto però si staccarono completamente da Milano così come dal villaggio di Dovera sull'Adda, da cui traevano il nome. Nel 1045 Ribaldo da Dovara, nonno del D., figura tra i milites del vescovo di Cremona. Sua moglie Ita, figlia di Bernardo conte di Sospiro, era di stirpe carolingia, in quanto discendente di Bernardo, nipote di Carlo Magno e re d'Italia tra l'810 e l'818. Il padre del D., Alberto (nato nel 1079 e morto tra il 1119 e il 1126), fu vassallo del vescovo di Cremona; il fratello, anch'egli di nome Alberto, ereditò il feudo del padre e figura spesso al fianco del D., la sorella Bellafiora sposò un conte di Bergamo. Un altro Oberto da Dovara, noto simoniaco e nicolaita, che nel 1066 ricevette l'investitura ereditaria dell'arcidiaconato della Chiesa di Cremona, fu probabilmente anch'egli parente del vescovo.
La potenza dei Dovara si basava su vasti domini fondiari, ricevuti in gran parte in feudo dal vescovato. La famiglia possedeva inoltre case e torri nella città di Cremona, intorno alla porta Ariberti, la porta meridionale della città vecchia. Le proprietà terriere dei Dovara erano ripartite in quattro grandi complessi, che comprendevano terre, fortezze, diritti signorili e decime, ed erano tutti situati nelle zone di bonifica della "bassa" intorno a Isola Dovarese e a Monticelli Ripa d'Oglio, fino a Grontardo; intorno a Viadana, Pomponesco e Dosolo; nell'Oltrepò cremonese intorno a Monticelli d'Ongina e infine intorno a Busseto, dove però l'insediamento della famiglia sembra essere stato meno solido. Nello stesso tempo i Dovara tenevano in feudo dal vescovo il controllo delle acque del Po a monte e a valle di Cremona.
Se siamo bene informati sull'origine della famiglia del D., nulla sappiamo degli inizi della sua carriera e assai poco della sua personalità. Tutta la sua attività ruotava intorno a due poli: da una parte viaggi diplomatici e guerre, dall'altra un'attenta amministrazione della diocesi. Fin dalla sua elezione il D. si trovò ad affrontare il problema dei rapporti politici ed ecclesiastici con Milano, problema che dominerà tutto il suo episcopato. È già significativo il fatto che egli fosse stato chiamato a succedere ad Ugo da Noceto, deposto dal concilio provinciale riformatore tenutosi a Milano all'inizio del 1117. La sua consacrazione da parte dell'arcivescovo di Milano fu turbata da una rivolta popolare dei Milanesi, che lo costrinsero, con evidenti secondi fini politici, a giurare fedeltà alla Chiesa e all'arcivescovo di Milano. Milano infatti, allora in piena espansione ai danni delle città vicine, inevitabilmente venne a scontrarsi con Cremona, la sola tra le città lombarde in grado di tenerle testa.
Tuttavia questi antagonismi politici non ostacolavano l'attività collegiale dei vescovi di Lombardia: il D. infatti partecipò ai concili provinciali celebrati a Milano nel novembre 1119 e nel dicembre 1125, come pure a quello di Pavia del 1129, sottoscrivendo ancora nel 1146 un atto emanato dall'arcivescovo. Nel corso degli ultimi soprassalti della lotta tra Papato e Impero, il D. si mostrò fedele alla causa pontificia e Callisto II gli concesse, nel II 20 e nel 1124, dei privilegi che confermavano i beni della sua Chiesa e la sua autorità sul capitolo della cattedrale. Durante lo scisma di Anacleto (1130-38) il D. si schierò dalla parte del pontefice legittimo Innocenzo II, in conformità alla politica cremonese di opposizione a Milano, che sosteneva invece Anacleto. Dopo essersi recato presso di lui, nel luglio 1132, il D. poté ospitare Innocenzo II a Cremona.
L'azione pastorale del D. si aprì con un evento memorabile: nel maggio 1129, probabilmente nel corso di lavori di ricostruzione, il corpo di s. Imerio, patrono di Cremona, venne ritrovato, dopo che per molti anni si era perso il ricordo della sua collocazione nella cattedrale, e vi fu solennemente reinsediato. Nel 1149 inoltre il D. collocò in un nuovo altare le reliquie dei santi Cristoforo, Biagio e Floriano e quindi, nel 1162, anno della sua morte, provvide alla traslazione di altre reliquie venerate, quelle di s. Gregorio, dalla chiesa omonima a quella di S. Michele. Egli consacrò inoltre la cappella di S. Stefano nel palazzo vescovile (1141) e la chiesa di S. Savino, non lontano dalla Città (1152). Nel 1137 fece costruire a Cremona la chiesa di S. Ilario e nel 1161 fondò un ospedale suburbano. Ma l'impresa più rilevante del suo episcopato fu la ricostruzione della cattedrale, che ancor oggi conserva superbe parti romaniche, risalenti a quel periodo. I lavori erano stati cominciati nel 1107, ma l'edificio aveva subito gravi danni in seguito al terremoto del 1117. Alla morte del D., comunque, essi erano ancora molto lontani dall'essere completati definitivamente.
Il D. difese con energia i propri diritti vescovili, da un lato contro il capitolo della cattedrale, col quale il dissidio si trascinava ormai da secoli, dall'altro contro i vescovi delle città vicine (Milano e Bergamo) a proposito delle parrocchie di confine di Arzago e di Romano. Con successi alterni, egli lottò anche per togliere ad alcuni grandi monasteri la giurisdizione su varie chiese: su quella di Morengo, tenuta dai cluniacensi di Pontida (1144), su quella di Cicognara, in mano alle monache di S. Giulia di Brescia (1145) e infine la giurisdizione sulle chiese cittadine di S. Margherita e S. Paolo, rivendicate dall'abate di S. Pietro Po (1144). Egli tentò inoltre, ma invano, di imporre la propria giurisdizione all'abate di S. Tommaso (1140). Sul terreno delle giurisdizioni il suo avversario più agguerrito fu il monastero di S. Benedetto di Crema, affiliato a Montecassino, che controllava molte chiese rurali e animava la resistenza di Crema in campo religioso.
I notevoli progressi della vita monastica nella diocesi durante l'episcopato del D. non vanno attribuiti all'iniziativa dei grandi Ordini. Si trattava piuttosto di creazioni spontanee, sottoposte alla giurisdizione del vescovo e almeno in parte sostenute da lui stesso. Al tempo del D. Cluny ampliò gli insediamenti a Cremona, acquistando le chiese di S. Ippolito e di Ognissanti, tuttavia la fase di espansione dell'Ordine in Lombardia era da tempo terminata. È significativo a questo proposito che la predicazione di s. Bernardo nel 1135 a Cremona si risolvesse in un fallimento completo, in netto contrasto con l'entusiasmo riservatogli dai Milanesi: "I Cremonesi hanno il cuore duro, laloro prosperità li ha perduti. Hanno deluso le mie speranze e annichilito i miei sforzi", concluse il santo cisterciense. In realtà i Cremonesi non erano così materialisti come s. Bernardo li descrive: durante l'episcopato del D. nacquero almeno otto comunità religiose, tutte femminili e di regola imprecisata. Si conserva il ricordo della consacrazione della chiesa di uno di questi monasteri, S. Martino di Robecco (1149), celebrata , dal D. e di una sua donazione ad un altro. quello dei SS. Simone e Giuda (1153). Egli donò inoltre una chiesa a S. Guglielmo, altro monastero di recente creazione (1145), e addirittura due alla collegiata di S. Agata, bastione della riforma gregoriana (1120, 1158). Nel 1151 favorì l'insediamento a Cremona degli ospitalieri di S. Giovanni di Gerusalemme.
Nel complesso l'episcopato del D. si rivela quindi estremamente fecondo dal punto di vista religioso. La difesa delle prerogative giurisdizionali del vescovato, che va di pari passo con l'unificazione politica del contado ad opera del Comune, è certo un aspetto importante dell'opera del D., ma ciò che colpisce di più sono le fondazioni di monasteri ed ospedali. Quest'intensa attività corrisponde da un lato allo slancio economico e demografico della Cremona del tempo, e dall'altro alla presenza di correnti spirituali che animavano la vita religiosa della città, dalla pataria dell'XI secolo e gli umiliati fino all'eresia del XIII.
L'azione temporale del D. era determinata dai grandi avvenimenti del suo tempo. Fu il primo vescovo di Cremona a intitolarsi "episcopus et comes" (1138, 1151), ma con la fine del suo episcopato terminò di fatto l'esercizio dell'autorità del vescovo sulla sua città: con una serie di diplomi Federico I trasferì al Comune l'insieme dei diritti di regalia. D'altra parte le scelte politiche del D. furono in perfetta sintonia con quelle del Comune. Questa identità di vedute ed interessi risulta evidente nel conflitto con Crema: i Cremaschi, che i Cremonesi consideravano dei ribelli, rifiutavano di sottomettersi alla giurisdizione ecclesiastica del vescovo e accolsero addirittura un ampio gruppo di vassalli che lo avevano abbandonato.
Nel febbraio-marzo 1131 il D. si recò in Germania presso la corte imperiale. Questo viaggio portò i suoi frutti nel 1136-37, quando Lotario III [II come imperatore] appoggiò i Cremonesi nella loro guerra contro Milano e Crema. Nel corso di questa guerra il D. venne catturato in armi dai Milanesi, quando costoro assalirono il suo castello di Genivolta; qualche mese più tardi egli riuscì ad evadere grazie alla morte, forse per avvelenamento, del suo carceriere. Successivamente egli ottenne da Eugenio III, in occasione del soggiorno del papa a Cremona, dove celebrò un concilio, una bolla contro i membri del clero di Crema che non si erano sottomessi (1148); egli aveva inoltre fatto condannare da un legato reale i vassalli ribelli (1146?). Come gli altri Cremonesi, il D. fu un fedele partigiano di Federico I, che raggiunse nel 1158 in occasione della grande Dieta di Roncaglia. A più riprese troviamo il D. al fianco dell'imperatore: egli partecipò all'assedio di Crema (fine 1159) e quindi a quello di Milano (1161). La caduta di Crema nel gennaio del 1160, che segnò il trionfo delle ambizioni cremonesi, consentì al vescovo di confiscare feudi e allodi dei vassalli ribelli: in questo modo riacquistò la piena autorità sui suoi vassalli. Non mancò di esprimere la sua riconoscenza all'imperatore appoggiando l'antipapa Vittore IV (febbraio 1160), cosa che gli attirò l'immediata scomunica da parte del legato di Alessandro III.
Il D. si presenta quindi come un grande signore feudale, che si preoccupò di difendere la solidità di una rete di vassalli che le trasformazioni politiche della prima età comunale avevano in più punti sfilacciato. In questa ottica egli rinnovò i feudi ereditari di molti grandi vassalli, recuperò feudi alienati da molto tempo (1156-1160) e ricorse al tribunale feudale per difendere i suoi diritti signorili, in particolare contro i suoi vassalli milanesi (1147, 1150, 1152, 1156). Un'inchiesta fatta nel 1165, dopo la sua morte, ce lo mostra come capo militare, che guida i suoi vassalli e sottovassalli armati nel campo dell'esercito imperiale.
L'ipotesi del Savio secondo cui il D. sarebbe stato deposto (come avvenne ad altri vescovi filoimperiali) è priva di fondamento. Lo studioso si basò su una bolla di Alessandro III (cfr. Cod. dipl. laud., II, n. 41; per la datazione, P. F. Kehr, n. 25, p. 243) nella quale il D. è chiamato "quondani episcopus". Questa espressione non sta tuttavia ad indicare il vescovo deposto bensì il vescovo defunto, come dimostrano altri passaggi dello stesso testo. R quindi sicuro che il D. morì nell'esercizio pieno delle sue funzioni, tra il 27 apr. 1162 e il 20 genn. 1163, data alla quale il suo successore risulta già eletto.
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