PALLAVICINO, Oberto I
PALLAVICINO (Pelavisinus, Pelavicino), Oberto I. − Figlio di un Oberto (o Alberto) V (attestato nel 1095 e già defunto nel 1132), appartenne a un ramo collaterale della linea dinastica ‘adalbertina’, una delle due stirpi – l’altra è quella ‘obertina’, dalla quale ebbero origine Estensi e Malaspina – che discesero da Oberto, marchese della marca della ‘Liguria orientale’ e conte del sacro palazzo nei decenni centrali del secolo X (tra il 945 e il 972). Fu la tradizione erudita ottocentesca ad assegnare alla progenie di costui la denominazione complessiva di ‘Obertenghi’.
Il collegamento genealogico tra gli antenati di Pelavicino (tutti di nome Oberto) e gli ‘adalbertini’, dai quali provennero i marchesi di Massa-Corsica, di Parodi e di Gavi, è stato a lungo discusso dalla storiografia, ma è certo. L’accordo tra i diversi rami obertenghi conosciuto come ‘pace di Lucca’ (1124) menziona, infatti, un «proavus Pelavicini» (identificato nelle genealogie col nome di Oberto III), contitolare di una quota del patrimonio obertengo con il proavo di Guglielmo ‘Francigena’ o ‘Franciscus’, capostipite dei marchesi di Parodi.
Pelavicino, nato in data imprecisata negli ultimi decenni del secolo XI (nel 1143 aveva un nipote di età adulta), appare attivo agli inizi del successivo ed è già radicato a nord dell’Appennino, nell’Emilia occidentale: contro di lui combatterono nel 1108 le truppe alleate di Cremona e di Parma, presso Fidenza (già Borgo San Donnino; cfr. Menant, 2004, p. 206), uno dei principali luoghi di radicamento del suo ramo famigliare. Alcuni anni più tardi, nel 1112, erano invece i piacentini e i ministeriales di Enrico V ad affiancare i cremonesi contro Pelavicino, attaccando il monastero di S. Maria di Castione Marchesi presso Fidenza (fondato nel 1033 dall’obertengo Adalberto II) di cui egli era advocatus (ibid., p. 235). I rapporti di Pelavicino con le città e con l’imperatore sono comunque, in quegli anni, mutevoli. Nel 1116 egli figura, infatti, come testimone alla concessione da parte di Enrico V – allora in Emilia per l’acquisizione dei beni matildici – di un diploma per la città di Bologna, e a un altro provvedimento imperiale a favore del capitolo di Parma (restituzione della corte di Marzaglia). Nel 1120 Pelavicino appare inserito nella vita civica di Cremona tanto da svolgere la funzione di testimone, scelto tra i presenti all’arengo, in occasione di un’investitura di beni comunali cui presenziano anche alcuni capitanei (ibid., pp. 250, 255). L’insieme di queste testimonianze, seppur episodiche, mostra il notevole rilievo politico del personaggio e l’ampiezza del suo dominato, ampiamente innervato di clientele aristocratiche ben attestate dalle fonti successive.
Nel diploma bolognese del 1116 compare per la prima volta l’appellativo Pelavisinus: una novità significativa, ma ben inserita in un processo evolutivo tipico in quegli anni delle pratiche onomastiche dell’intera agnazione ‘obertenga’. Abbandonata la risalente pratica del doppio nome (Oberto Obizzo, Adalberto Azzo ecc.), diversi membri della stirpe (a eccezione dei futuri marchesi d’Este) affiancarono ai tradizionali nomi un secondo elemento costituito da un soprannome (per es. Francigena, Brotoporrata) o, più tardi, da un toponimico derivato dai principali luoghi di radicamento patrimoniale (marchesi di Gavi, marchesi di Parodi ecc.). Alcuni di questi soprannomi (come Pelavicino, ma anche Malaspina, Malnepote ecc.) sono stati a lungo interpretati dalla storiografia come «peggiorativi» (Nobili, 1993, p. 92): sarebbero derivati dalla pressione della ‘opinione pubblica’ circostante volta a limitare i comportamenti violenti e sopraffattori dei marchesi. Più di recente ne è stata proposta un’interpretazione opposta: i soprannomi, assunti volontariamente, avrebbero fatto parte di un progetto ideologico di esaltazione delle pratiche di dominio e della violenza signorile, funzionale alla creazione di ampi dominati da parte delle maggiori famiglie aristocratiche dell’Italia centrale (Collavini, 2009). In ogni caso, alcuni soprannomi, ripetendosi nel tempo, si trasformarono gradualmente in nome di famiglia (Pelavicino, Malaspina). Si stava evidentemente consolidando l’autocoscienza dinastica dei singoli rami; sino ad allora invece il ceppo obertengo aveva gestito la carica marchionale aderendo a una «accentuata mentalità consortile» (Nobili, 1993, p. 89), ben diversamente dalla scelta dinastica di Arduinici e Canossiani presso i quali già da tempo solo una persona e un ramo era titolare della carica. Nel caso di Pelavicino, un soprannome – ormai fattosi cognome – dal significato inequivocabile fu solo in seguito fonte di disagio per la famiglia e venne allora edulcorato in ‘Pallavicino’.
Il 18 ottobre 1124 Pelavicino era presente a Lucca al già menzionato lodo (‘pace di Lucca’), nel quale venne composta una lite tra due marchesi obertenghi (il citato Guglielmo ‘Francigena’ e Alberto ‘Malaspina’) e il vescovo di Luni per il controllo del monte Caprione (posto nel territorio della diocesi tirrenica), e rese una sua testimonianza.
Per gli anni successivi, le notizie su Pelavicino provengono per lo più da documentazione concernente le istituzioni monastiche che egli fondò o dotò, agendo come guida di un ramo famigliare ormai nettamente distinto dal resto degli ‘Obertenghi’: una scelta in piena armonia con le dinamiche di dinastizzazione allora in atto. Come già accennato, una delle zone di radicamento territoriale di Pelavicino si trovava a cavaliere tra i distretti di Parma e Piacenza, e si imperniava sui centri di Firenzuola d’Arda (ove è attestata una «caminata marchionis», 1137) e Fidenza. Quando nel 1135 per il convergente impulso del vescovo e della comunità cittadina di Piacenza fu fondato il monastero cistercense di Chiaravalle della Colomba, Pelavicino orientò verso la nuova fondazione – agendo «cum uxore et filiis» (ma nel 1144 si precisa rievocando gli eventi del 1136 anche «consilio suorum baronum») – cospicue donazioni. Si trattava di corti, terre, braide, a Baselicaduce e Carretto (1136), Saliceto, Castione Marchesi (1136), «Petra Adraldi» (1142); egli indusse inoltre il sopra citato monastero familiare di Castione Marchesi a effettuare permute coi cistercensi (1143). Come mostra una memoria del 1154, Pelavicino aveva inoltre concesso a coloro che da lui derivavano terre e diritti nella zona di donare liberamente al monastero tali beni. Si trattava in primo luogo di gruppi aristocratici di vassalli, ma la concessione riguardava più latamente tutti i dipendenti dalla signoria marchionale. Di particolare interesse è la donazione relativa a Viadana, ove Pelavicino concesse ai cistercensi ciò che essi avrebbero acquistato «ex vassallis meis de Cremona de curia Videliane», a comprova dell’ampio raggio territoriale entro il quale si distribuivano le sue clientele (1139). A favore di Chiaravalle della Colomba, Pelavicino operò in quegli anni parallelamente a Corrado Cavalcabò, anch’egli capostipite di un casato obertengo; risulta anzi che i due marchesi – le donazioni dei quali (effettuate a pochi mesi di distanza l’una dall’altra) furono espressamente confermate da Innocenzo II e da Lotario III (1137), da Lucio II (1144), e ancora dal cardinale Ariberto legato di Lucio III (1145) – abbiano in prima persona definito l’area di pertinenza del monastero: con Corrado, Pelavicino «cruces posuit confinium». Altre concessioni, solo in parte indagate dalla storiografia, beneficiarono il monastero famigliare di S. Giovanni di Borgo San Donnino (oggi Fidenza).
I rapporti con Piacenza si strinsero proprio in quegli anni. Il 5 agosto 1145 Pelavicino cedette al Comune cittadino tutti i beni allodiali e feudali ubicati nel territorio ecclesiastico di Parma sulla riva sinistra del Taro (Soragna, Polisii, S. Michele, Pariola, Casale Barbati, Fidenza, Medesano, Noceto, Varano, Banzole ecc.), più un paio di corti, riottenendoli immediatamente dai consoli «per feudum et beneficium»: nell’occasione giurò fedeltà al Comune «salva fidelitate» dell’imperatore e dei vescovi di Parma e Piacenza, e si impegnò a ricostruire la torre del castello di Soragna qualora fosse stato riconquistato. L’importante cittadinatico fu ribadito solennemente il 18 settembre, quando i consoli investirono Pelavicino «per confanonum et destrerium», ottenendo un nuovo giuramento di fedeltà; il documento si conclude con la dichiarazione che quanto accade è «adimpletum a parte populi».
Questo accordo si inserisce in un complesso contesto politico-militare solo in parte chiarito dalla storiografia: si intrecciavano infatti la rivalità tra i Comuni di Parma (spalleggiata da Cremona) e Piacenza per l’egemonia politica su un’area di confine, con le tensioni tra i vari figli di Pelavicino per il controllo dell’eredità di un uomo ormai anziano. L’atto informa, infatti, che uno dei figli di Pelavicino, Dalfino, si era alleato con non meglio precisati nemici del padre, macchiatisi dell’uccisione di Tancredi (un altro dei figli di Pelavicino), e aveva fatto guerra al resto della famiglia (compresi i fratelli Guglielmo, Borgognone e Alberto Greco). Proprio perciò, ora, Dalfino era privato del controllo sulle terre nel Parmigiano avute in gestione dal padre (e delle quali aveva in precedenza percepito la metà dei redditi), sottoposte invece alla tutela del Comune piacentino e trasformate in un feudo unitario, verosimilmente destinato a passare a Guglielmo, l’unico dei figli di Pelavicino presente all’accordo.
Pelavicino era ancora vivo nel 1147 quando beneficò ancora una volta Chiaravalle della Colomba, donando beni a «Cavallaria» (presso Viadana) e a «Casale Alberto». Ma il fatto che nel 1149 si menzioni un contrasto «de patrimonio marchionis Oberti» tra il figlio Dalfino e un «marchio» non altrimenti denominato (forse Guglielmo?) e vengano inoltre ribaditi i diritti dei piacentini su «quod ab Oberto marchione de patrimonio eius Parmensi habuerunt», lascia presumere che Pelavicino fosse defunto e che le tensioni interne alla famiglia per l’eredità paterna fossero tutt’altro che risolte. La tradizione che vuole Pelavicino sepolto a Chiaravalle della Colomba è molto dubbia e riflette verosimilmente il suo forte legame con l’abbazia (destinato a durare nelle generazioni a venire). Il consolidamento dinastico era comunque ormai avviato; ancora nel 1181 le fonti menzionano il «marchio Pelavicinus vetulus», da identificarsi certamente in Pelavicino.
Come si è accennato, nelle donazioni a Chiaravalle della Colomba Pelavicino agisce, nel 1136, «cum uxore et filiis». Della moglie non si conoscono le generalità; diversi dei discendenti, invece, sono occasionalmente menzionati nella documentazione di questi anni. Erede della leadership familiare fu Guglielmo, al quale Pelavicino investì nel 1143 i suoi beni e vassalli nel Piacentino, poi donati al medesimo nel 1144 (Budrio, Basilicaduce, Castello Arda) mantenendone l’usufrutto; pochi anni dopo (1146) Guglielmo agisce autonomamente («in loco Florenciole, in caminata») insieme con la moglie Clarmundia «de Porta». Tra gli altri figli, oltre a Dalfino (che pure portò il titolo di «marchio»), vanno ricordati Borgognone («Burgundio»), menzionato nel 1144, Alberto Greco, ancora in vita nel 1174, e Tancredi, ucciso avanti il 1145. Una donazione del 1136 e un lodo del 1143 riguardanti il monastero dei Ss. Giovanni Battista ed Evangelista di Fidenza consente di rilevare che ivi vissero le figlie Martina (allora badessa) e Berta (allora novizia).
Fonti e Bibl.: L.A. Muratori, Delle antichità estensi ed italiane, Modena 1717, I, pp. 257-259; Id., Antiquitates Italicae Medii Aevi, V, Milano 1741, coll. 641-644; I. Affò, Storia della città di Parma, II, Parma 1792, pp. 100, 191 s.; Appendice, n. LIV, a. 1143; L. Astegiano, Codice diplomatico cremonese, 715-1334, II, Cremona 1898, p. 285 nt. 2 (1120); Diplomata regum et imperatorum Germaniae, VIII, Lotharii III diplomata…., a cura di E. von Ottenthal - H. Hirsch, in Monumenta Germaniae Historica,Berlin 1927, n. 104; M. Lupo Gentile, Il regesto del Codice Pelavicino, Genova 1912, pp. 73, 75-77; C. Manaresi, Le origini della famiglia Cavalcabò, in Miscellanea di studi in onore di Ettore Verga, Milano 1931, pp. 179-205; G. Drei, Le carte degli archivi parmensi del secolo XII, III, Parma 1950, pp. 81-83 (doc. 93, 94), 90 (doc. 105), 93 (doc. 109), 101 s. (doc. 119, 121), 114 (doc. 138), 119 (doc. 142), 123 s. (doc. 146, 147), 130 s. (doc. 151, 152), 135 (doc. 159), 138-140 (doc. 163), 144 (doc. 170) [si tratta dei documenti dell’archivio di Chiaravalle della Colomba]; E. Nasalli Rocca di Corneliano, La posizione territoriale e politica degli Obertenghi, Pallavicino, Malaspina, Estensi, nei secoli XII e XIII, in Rivista araldica, LVIII (1960), pp. 253 s.; R. Schumann, Authority and the Commune, Parma 833-1133, Parma 1973, pp. 61-63, 214-216, 218, 239 s.; C. Manaresi - A. Cavalcabò, Notizie storico-genealogiche della famiglia Cavalcabò, in Bollettino storico cremonese, XXVII (1975-77), p. 43; Il Registrum Magnum del Comune di Piacenza, a cura di E. Falconi, Milano 1984-97, I, docc. 150, 151 (anno 1145);C. Soliani, Antichi signori di Borgo San Donnino e Bargone, in Archivio storico per le Province Parmensi, XXXVII (1985), pp. 101-138; C. Soliani, Nelle terre dei Pallavicino, I, Parma 1989, pp. 113, 124, 132-134, 139 n. 73; regesti nn. 23, 25-28; tavv. I-II; M. Nobili, Formarsi e definirsi dei nomi di famiglia nelle stirpi marchionali dell’Italia centro-settentrionale: il caso degli Obertenghi, in Nobiltà e chiese nel medioevo e altri saggi. Scritti in onore di Gerd G. Tellenbach, a cura di C. Violante, Roma 1993, pp. 82, 84-86, 95; A.M. Rapetti, La formazione di una comunità cistercense, Roma 1999, pp. 23, 36 s., 191, 193, 195-97, 200 s.; F. Menant, La prima età comunale (1097-1183), in Storia di Cremona. Dall’alto medioevo all’età comunale, a cura di G. Andenna, Cremona 2004, pp. 206, 235, 250, 255; P. Grillo, Monaci e città. Comuni urbani e abbazie cistercensi nell’Italia nord-occidentale, Milano 2008, p. 224; S.M. Collavini, Sviluppo signorile e nuove strategie onomastiche, in Studi di storia offerti a Michele Luzzati, a cura di S.P.P. Scalfati - A. Veronese, Pisa 2009, pp. 73-85; R. Greci, Origini, sviluppo e crisi del comune, in Storia di Parma, III, 1 (Parma medievale. Poteri e istituzioni), Parma 2010, p. 124.