obesità. Aspetti endocrinologici dell’obesità
L’obesità, patologia cronica conseguenza dell’eccessivo accumulo di grasso a livello del tessuto adiposo, è fortemente associata a comorbilità severe in grado di ridurre la sopravvivenza dell’individuo. L’obesità rappresenta oggi un problema di salute pubblico globale, che ha raggiunto proporzioni epidemiche in tutto il mondo: si stima che circa 315 milioni di persone in tutto il mondo abbiano un indice di massa corporea (BMI) pari o superiore a 30 kg/m2 e rientrino dunque in una delle categorie di obesità definite dall’OMS. L’obesità insieme alla dislipidemia, l’ipertensione arteriosa e l’insulino-resistenza, rappresenta un criterio diagnostico della sindrome metabolica.
L’adipe è stato per lungo tempo considerato un tessuto monofunzionale preposto esclusivamente all’accumulo di calorie, sotto forma di trigliceridi, durante i periodi di aumentata disponibilità alimentare e al rilascio di energia, sotto forma di acidi grassi liberi, nei periodi di scarsità di cibo. Tuttavia, la scoperta della leptina, avvenuta nel 1994, ha dimostrato che gli adipociti sono responsabili della sintesi di sostanze ad azione sia paracrina che endocrina (ossia in grado di comunicare con cellule limitrofe e distanti). Da allora sono state identificate svariate molecole prodotte nel tessuto adiposo, la cui specifica funzione resta, nella maggior parte dei casi, solo in parte chiarita. Tuttavia, molti tra i fattori identificati sembrerebbero esercitare un’influenza sull’omeostasi glicidica e sulla sensibilità insulinica, sui processi coagulativi e sulla risposta immuno-infiammatoria. Da un punto di vista squisitamente endocrino, la cellula adiposa (adipocita) è capace di metabolizzare gli ormoni steroidei, non solo trasformando ormoni sessuali ‘deboli’ di provenienza surrenalica in androgeni ed estrogeni ‘forti’ (rispettivamente, landrosterone in testosterone e l’estrone in estradiolo), ma anche interconvertendo androgeni in estrogeni, e viceversa. Quest’ultima reazione si deve alla presenza dell’enzima aromatasi: negli stati di obesità l’abnorme attività di tale enzima rende ragione di fenomeni di mascolinizzazione in donne obese e femminilizzazione in uomini obesi.
La capacità di deposito di energia è virtualmente illimitata e si avvale di due principali meccanismi: l’aumento della quantità di lipidi accumulati in ogni singola cellula (lipogenesi) e l’incremento del numero di cellule adipose, attraverso processi cellulari di replicazione e differenziazione. In presenza di un eccessivo introito alimentare protratto per lungo tempo, l’abnorme accumulo di sostanze energetiche comporta modificazioni endocrino-metaboliche svantaggiose, che portano il soggetto obeso a essere fortemente esposto al rischio d’insorgenza di diabete tipo 2, ipogonadismo, turbe cardiocircolatorie, neoplasie, disfunzioni di pertinenza psichiatrica o psicologica e patologie ortopediche. Assume inoltre particolare rilevanza la distribuzione anatomica dell’adipe, risultando l’obesità di tipo viscerale a maggior rischio di insorgenza di patologie. In partic., forte è la relazione tra accidenti cardiovascolari e obesità viscerale, come evidente con la riduzione ponderale è l’attenuazione dei fattori di rischio cardiovascolare, con miglioramento del profilo lipidemico (abbassamento dei livelli di colesterolo totale e LDL) e riduzione dei valori di pressione arteriosa. Alcune molecole prodotte nel tessuto adiposo, come l’inibitore dell’attivatore del plasminogeno (PAI-1), in parte coinvolte nella patogenesi dell’infarto miocardico e delle trombosi venose, mostrano concentrazioni ematiche tipicamente elevate negli stati di obesità e rappresentano pertanto un punto di legame tra obesità e rischio cardiovascolare.
Gli acidi grassi liberi (free fatty acids, FFA) derivanti dalla dieta e dalla rimozione delle riserve di trigliceridi, nonché prodotti in parte dal fegato, rappresentano energia utilizzabile in tutto il corpo e inoltre influenzano un certo numero di funzioni metaboliche, incluse la sintesi e l’azione dell’insulina. Negli stati di obesità si riscontrano elevati livelli di FFA, cui si associa una ridotta azione dell’insulina sui tessuti bersaglio (fegato e muscolo), eventi che autoalimentano un circolo vizioso dismetabolico. A tale alterazione si associa l’incremento della sintesi nel tessuto adiposo di altre molecole, alcune delle quali aventi funzione immunitaria e denominate in maniera generica citochine: tra esse, occupano un posto primario il TNF-α (Tumor Necrosis Factor-α) e l’interleuchina-6 (IL-6), nonché proteine appartenenti alla famiglia del complemento, coinvolte nei meccanismi coagulativi. Un cenno a parte merita una proteina esclusivamente prodotta dall’adipocita, a cui un numero crescente di osservazioni scientifiche accrediterebbe un fondamentale ruolo metabolico protettivo: l’adiponectina. Tale molecola, coinvolta anch’essa nella regolazione dei livelli di glucosio e nell’omeostasi lipidica, favorisce l’azione insulinica, riduce la produzione epatica di zuccheri, contrasta i fenomeni di aterosclerosi e risulta tipicamente ridotta nei soggetti obesi. Altro ormone proteico prodotto pressoché esclusivamente dall’adipocita, la leptina svolge un ruolo chiave nella regolazione dell’appetito, interagendo con specifici recettori espressi sia a livello encefalico che periferico. Nel topo, il deficit di tale sostanza è associato ad aumento di appetito, riduzione del metabolismo e vari disturbi endocrini, tra cui infertilità. I livelli di leptina sono strettamente legati all’introito alimentare e aumentano significativamente nelle condizioni di obesità, probabilmente in seguito all’instaurarsi di fenomeni di resistenza ormonale, che possono sovrapporsi all’insulino-resistenza; l’eccesso di leptina sembrerebbe inoltre inibire la produzione testicolare del maggiore androgeno maschile, il testosterone, il cui deficit è fortemente correlato alla sindrome metabolica.