OBESITÀ
(XXV, p. 105)
L'o. è quella condizione patologica in cui il peso corporeo è aumentato per un aumento della massa del tessuto adiposo. Questa definizione pone evidentemente il problema di stabilire quali sono i limiti ponderali normali. Mentre in passato sono state largamente usate tavole empiriche di riferimento, oggi si usa calcolare l'indice di massa corporea che è rappresentato dal rapporto fra il peso, espresso in kg e il quadrato dell'altezza, espresso in metri. In genere, si conviene di considerare obeso un soggetto adulto il cui indice di massa corporea superi il valore di 27÷28.
Il tessuto adiposo appartiene al gruppo dei tessuti mesenchimali e si origina durante lo sviluppo fetale da cellule indifferenziate del tessuto connettivo. Esso è costituito in massima parte da cellule di grandi dimensioni denominate adipociti, nelle quali si accumula una gran quantità di materiale di deposito costituito da trigliceridi. Mentre un tempo si riteneva che questo materiale fosse inerte, gli studi compiuti negli ultimi decenni hanno dimostrato molto chiaramente che esso è sede di vivaci scambi metabolici.
I trigliceridi sono costituiti da una molecola di glicerolo e da tre molecole di acidi grassi; pertanto, per la sintesi lipidica è necessario che questi componenti vengano sintetizzati all'interno della cellula oppure che vi provengano dall'esterno. Il glicerolo presente nei trigliceridi deriva interamente dal metabolismo del glucosio all'interno dell'adipocita e pertanto ha un'origine extracellulare. All'opposto, gli acidi grassi possono venire sintetizzati nelle cellule adipose, ma possono anche provenire dalla scissione delle lipoproteine circolanti nel sangue. In tal modo il grasso presente nel tessuto adiposo ha una duplice origine: proviene in parte dal metabolismo degli idrati di carbonio e in parte dal metabolismo di altri composti lipidici. Ciò spiega perché si aumenti di peso sia ingerendo grandi quantità di carboidrati, sia ingerendo lipidi.
La composizione corporea è stata molto studiata negli ultimi anni e può essere schematizzata in vario modo. Secondo un modello molto semplice essa può venir suddivisa in due compartimenti, la massa magra, divisibile a sua volta in vari sottocompartimenti, e la massa grassa. Un soggetto adulto di circa 30 anni con un peso di circa 72 kg è costituito da una massa adiposa di circa 9 kg, che equivale quindi pressappoco al 12% del peso corporeo. Nel soggetto obeso l'aumento del peso corporeo è dovuto in massima parte a un incremento della massa adiposa, ma, in piccola parte, anche a un aumento della massa magra che accompagna sempre l'incremento del tessuto adiposo. Teoricamente, l'aumento della massa adiposa si può realizzare attraverso due meccanismi diversi: l'incremento del contenuto dei trigliceridi presenti in ogni singolo adipocita e l'aumento del numero globale di adipociti che, singolarmente presi, contengono una normale quantità di lipidi.
Forme di obesità. - Queste due possibilità si realizzano dando luogo rispettivamente all'o. ipertrofica e all'o. iperplastica. In genere le o. di grado moderato che insorgono durante la vita adulta sono di tipo ipertrofico, mentre le o. che insorgono durante l'infanzia sono iperplastiche. Quando l'o. ipertrofica si aggrava e supera di più del 75% il peso ideale, essa si accompagna a un aumento del numero degli adipociti. Le o. ipertrofiche spesso hanno una distribuzione prevalente del grasso al tronco e si associano a disturbi metabolici, con un aumento della pressione arteriosa e con disturbi cardiaci. Le o. insorte nell'infanzia sono di tipo iperplastico perché in alcuni periodi dell'età infantile gli adipociti possono moltiplicarsi molto attivamente e aumentare quindi notevolmente di numero. Lo stimolo per la moltiplicazione delle cellule adipose sarebbe dato dall'ingestione di cibo, cosicché un notevole aumento degli alimenti introdotti determinerebbe, appunto, un cospicuo aumento delle cellule del tessuto adiposo.
Il tessuto adiposo è presente soprattutto nel sottocutaneo e nel cavo addominale, intorno ai vari visceri. L'aumento della massa del tessuto adiposo spesso non è uguale nei vari settori del corpo, cosicché nell'obeso la distribuzione dell'adipe può essere diversa da quella del soggetto normale. Queste modificazioni della distribuzione del tessuto adiposo possono essere molto evidenti e hanno permesso di classificare vari tipi di obesità. La classificazione morfologica più usata divide le o. in centrali e periferiche. L'o. periferica è più frequente nelle femmine ed è caratterizzata da un maggior accumulo di tessuto adiposo a livello dei glutei e della radice delle cosce; all'opposto l'o. centrale, che è più frequente nei maschi, è caratterizzata dall'aumento del tessuto adiposo al tronco. Molti studi hanno ormai ben accertato che l'o. addominale ha sull'intero organismo ripercussioni metaboliche più negative dell'o. periferica: essa si accompagna infatti con maggior frequenza al diabete mellito, a un aumento dei lipidi nel sangue, all'ipertensione arteriosa e soprattutto all'insorgenza di malattie cardiovascolari. Accanto alle o. che abbiamo considerato finora, e che possono dirsi tutte o. armoniche, esistono alcune forme di sovrappeso in cui la distribuzione del grasso in eccesso è molto diversa da quella abituale, cosicché il corpo assume forme particolarmente sgraziate e a volte addirittura caricaturali; queste forme di o. − peraltro piuttosto rare − vengono chiamate o. distrofiche o disarmoniche. Fra queste meritano di essere ricordate le paralipodistrofie nelle quali l'adipe si accumula nella parte del corpo sottostante l'ombelico, mentre la parte superiore può essere normale o addirittura lipoatrofica.
Aspetti etiopatogenetici. - La storia naturale dell'o. è quanto mai varia: essa può iniziare a svilupparsi o peggiorare in tutte le età della vita. Così, accanto a forme che iniziano nell'adolescenza e persistono sostanzialmente immutate, si possono osservare soggetti che in età adulta divengono obesi nel giro di pochi anni e soggetti che aumentano gradualmente e progressivamente di peso lungo tutto l'arco della loro vita. Anche per quanto concerne la gravità, la variabilità è grandissima: mentre alcuni mantengono solo un lieve sovrappeso, altri raggiungono livelli ponderali così elevati che impediscono di condurre un'esistenza normale. Quanto più grave è l'eccesso del peso corporeo tanto più gravi sono le conseguenze dell'o. sull'intero organismo: così, mentre per un modesto eccesso ponderale i danni sono molto limitati e i pazienti conducono una vita normale, nei casi di o. estremamente gravi i pazienti possono addirittura divenire incapaci di compiere le normali attività quotidiane.
Le cause dell'obesità sono molto complesse e a esse negli ultimi decenni sono state dedicate numerosissime ricerche sperimentali e cliniche. Mentre un tempo si riteneva che l'aumento del peso corporeo fosse sempre il risultato di un aumento esagerato dell'ingestione di cibo, oggi questa opinione è stata attenuata e in parte modificata. Allo stesso modo anche l'opinione un tempo diffusa che l'o. fosse spesso dovuta all'alterazione primitiva di una ghiandola endocrina è stata ormai rifiutata. Gli studi compiuti sono venuti via via mostrando che le cause dell'o. sono molteplici e che mentre in alcuni soggetti sono importanti alcuni meccanismi, in altri intervengono fattori e processi del tutto diversi: così, è venuta via via emergendo e imponendosi l'idea che il termine o. indichi in realtà molte malattie diverse.
L'osservazione comune della presenza di molti soggetti obesi negli stessi gruppi familiari ha fatto sorgere l'idea che l'ereditarietà giochi un ruolo rilevante nell'aumento del peso corporeo. Per quanto suggestiva, questa constatazione è ben lontana dall'essere probante poiché i membri di una stessa famiglia, oltre a presentare legami genetici, hanno in comune lo stile di vita e le abitudini alimentari. Secondo uno studio condotto con metodi particolarmente rigorosi, circa il 35% del grasso sottocutaneo verrebbe trasmesso da una generazione all'altra, ma di questo il 30% sarebbe dovuto alla trasmissione culturale e solo il 5% alla componente genetica; la situazione sarebbe invece molto diversa per il grasso totale, in cui la trasmissibilità per via genetica raggiungerebbe il 25%. Questi e altri risultati indicano che, mentre la quantità del grasso sottocutaneo non dipende da fattori genetici, il grasso addominale è influenzato in maniera sensibile dal genotipo individuale. Altre ricerche condotte su coppie di gemelli hanno dimostrato che quando le calorie ingerite inducono un aumento di peso, la quantità di grasso che viene depositato è molto simile nei gemelli, mentre varia notevolmente tra una coppia e l'altra. Questi risultati hanno mostrato che l'accumulo di adipe che si osserva nell'iperalimentazione dipende dal genotipo e spiegano l'esperienza comune secondo la quale alcuni soggetti aumentano con facilità di peso anche senza ingerire quantità esagerate di alimenti. Al di là del valore della componente genetica, non vi è dubbio che il progressivo accumulo di tessuto adiposo sia dovuto a un bilancio calorico positivo, cioè a un eccesso delle calorie che vengono introdotte con gli alimenti rispetto alle calorie utilizzate dall'organismo per automantenersi e per compiere le attività lavorative quotidiane. Naturalmente ciò non significa che tutti gli obesi siano soggetti che introducono costantemente grandi quantità di cibo nel proprio organismo; ciò equivale soltanto a ritenere che in tutti gli obesi, per periodi più o meno lunghi della loro vita, si è verificato uno squilibrio calorico in cui le calorie ingerite erano superiori a quelle impiegate nella spesa energetica.
Stabilite queste limitazioni, bisogna dire che un gran numero di obesi assume grandi quantità di cibo. Le ragioni di questo fenomeno sono le più varie: mentre in alcuni casi esso è giustificato da motivazioni sociali o familiari, in altri esso è provocato da reazioni emotive a eventi o a situazioni ambientali che generano insoddisfazioni o frustrazioni. Infine, in una percentuale non ben precisabile di soggetti, esiste una modificazione del senso della fame e/o del senso della sazietà che derivano con tutta probabilità da una alterazione funzionale del sistema che presiede al controllo alimentare e che comprende i centri della fame e della sazietà, situati nell'ipotalamo. Oltre che a modificazioni dell'introito calorico, l'o. si accompagna anche ad alterazioni della spesa energetica. Queste sono in parte attribuite al fatto che i soggetti in sovrappeso spesso tendono a condurre una vita sedentaria e a spendere quindi meno calorie per produrre lavoro; in parte sono, però, anche dovute a una maggior efficienza dei loro processi metabolici e quindi a una riduzione del consumo energetico impiegato in condizioni di riposo o speso per compiere un certo lavoro.
Gli studi degli ultimi anni hanno ben dimostrato che la spesa energetica a riposo è sostanzialmente normale nell'obeso, mentre l'aumento che si verifica fisiologicamente dopo l'introduzione di cibo (fenomeno denominato termogenesi indotta dagli alimenti) è ridotto nei soggetti in sovrappeso. Questa riduzione della spesa energetica può contribuire al mantenimento dell'eccesso ponderale, ma non può essere considerata con sicurezza un fattore determinante nella genesi dell'o.; essa infatti potrebbe rappresentare solo una conseguenza e non una causa dell'accumulo ponderale. Alcune ricerche hanno però mostrato che i soggetti che hanno una ridotta spesa energetica per unità di massa magra vanno incontro a un maggior rischio di aumentare di peso.
Aspetti metabolici e clinici. - Nei pazienti obesi si riscontrano con frequenza modificazioni della concentrazione di alcune sostanze presenti nel sangue. Queste modificazioni indicano la presenza di alterazioni metaboliche che sono la conseguenza dell'aumentata massa adiposa, ma che in qualche caso giocano anche un ruolo nel facilitare l'accumulo o la persistenza dell'eccesso di tessuto adiposo. È frequente osservare negli obesi un certo aumento del glucosio nel sangue sia in condizioni di digiuno che dopo l'assunzione di un carico di zucchero; questo fenomeno può poi aggravarsi fino a sfociare in un vero e proprio diabete mellito, il quale è quindi più frequente negli obesi che nei soggetti di peso normale. Nei soggetti in sovrappeso è anche riscontrabile un aumento dell'insulina nel sangue sia a digiuno che dopo l'introduzione di cibo; ciò può essere provocato sia dall'eccessiva alimentazione con cibi ricchi di carboidrati, sia da una particolare sensibilità agli stimoli delle cellule pancreatiche che secernono l'insulina. Qualunque sia il meccanismo che lo determina, questo fenomeno è di grande importanza perché l'insulina stimola potentemente la sintesi dei lipidi e la sua elevata concentrazione nel sangue favorisce quindi l'accumulo dei trigliceridi nel tessuto adiposo. All'o. si associa frequentemente un aumento dei trigliceridi circolanti e delle lipoproteine a densità molto bassa. L'aumento dei trigliceridi costituisce, insieme con il diabete mellito e con l'eccesso di insulina, un elemento che favorisce lo sviluppo dell'aterosclerosi nel soggetto obeso. Anche il colesterolo aumenta, sia pur lievemente, con l'aumentare della massa corporea; peraltro la concentrazione di questa sostanza negli obesi non è in media esageratamente elevata.
Il progressivo accumulo del tessuto adiposo comporta, direttamente o indirettamente, una serie di conseguenze negative sull'organismo umano e l'insieme di questi fenomeni influenza negativamente l'aspettativa di vita del soggetto obeso. Dal complesso delle ricerche effettuate appare che quanto più cospicuo è l'eccesso ponderale tanto maggiore è il rischio di morte, e che l'o. aumenta maggiormente la mortalità negli uomini rispetto alle donne. Secondo studi recenti, in questi fenomeni la distribuzione del tessuto adiposo gioca un ruolo rilevante, favorendo la mortalità nei soggetti che hanno un prevalente accumulo di grasso nella regione addominale profonda.
Per quanto concerne le cause di morte, l'o. si accompagna a una aumentata frequenza di malattie cardiovascolari. È stato ben dimostrato che i valori medi della pressione arteriosa sono più elevati negli obesi e che in questi soggetti l'ipertensione arteriosa è più frequente rispetto alle persone di peso normale. Il volume del sangue circolante aumenta e ciò comporta un aumento del volume e del peso del cuore. Se l'o. si aggrava e si prolunga, compare una disfunzione cardiaca biventricolare che può giungere allo scompenso di cuore. L'o. è anche associata con lo sviluppo della cardiopatia ischemica e sembra che tale associazione sia più stretta nel caso delle obesità viscerali. L'o. grave comporta inoltre una serie di disturbi respiratori i quali, pressoché inavvertibili e non dimostrabili nelle forme più lievi, vanno facendosi sempre più evidenti con l'aggravarsi del sovrappeso. L'aumento della massa adiposa altera i movimenti respiratori e riduce la capacità funzionale polmonare; inoltre, nei soggetti con un grande eccesso ponderale gli alveoli polmonari sono scarsamente ventilati e la pressione parziale arteriosa dell'O2 si riduce; in queste condizioni è possibile che si instauri anche un aumento dell'anidride carbonica nel sangue (ipercapnia). Negli obesi durante il sonno è frequente il fenomeno del russamento al quale seguono periodi di apnea ostruttiva con peggioramento dell'ossigenazione del sangue e dell'ipercapnia. Nei casi estremi, si configura la cosiddetta sindrome di Pickwick caratterizzata da cianosi, grande facilità ad addormentarsi durante il giorno e sonno agitato. Accanto a questi disturbi si presentano spesso l'osteoporosi e alterazioni articolari, specie in quelle articolazioni sulle quali, come il ginocchio e la caviglia, grava il peso corporeo.
Nelle donne obese si riscontrano con grande frequenza alterazioni del ciclo mestruale; questo fenomeno è più comune nei soggetti con irsutismo e con un eccesso di ormoni ad azione androgena. In realtà il sovrappeso è frequente nella policistosi ovarica in cui, appunto, si assiste a un'aumentata produzione di ormoni androgeni, a una diminuita capacità ovulatoria e a una conseguente ridotta fertilità. Studi epidemiologici condotti su larga scala hanno anche mostrato che nei maschi obesi è aumentata la mortalità per l'insorgenza di neoplasie della prostata e del colon, e che nelle donne sono aumentati i tumori dell'utero, dell'ovaio, della mammella e della colecisti. Nel complesso, l'insieme di queste alterazioni patologiche rende l'o. una condizione morbosa spesso invalidante e caratterizzata da un sensibile rischio per la salute dell'uomo.
Approcci terapeutici. - La consapevolezza della gravità delle conseguenze che l'o. porta con sé ha spinto a ricercare diverse strategie terapeutiche allo scopo di ridurre stabilmente l'eccesso del peso corporeo. In realtà, nessuno dei vari tentativi finora effettuati ha potuto risolvere in via definitiva il problema dell'o. e in una percentuale di casi, dopo un iniziale successo terapeutico, si assiste a un graduale nuovo aumento del peso corporeo.
Gli approcci terapeutici all'o. sono di tipo molto diverso. Essi possono comunque essere divisi in due grandi categorie: quelli che intendono ridurre l'introduzione di alimenti e quindi di calorie e quelli che mirano ad aumentare il dispendio energetico. Il primo provvedimento terapeutico nell'o. è ovviamente la limitazione del cibo e quindi la prescrizione di una dieta adeguata. Considerando che la quantità di calorie consumate quotidianamente da un individuo di peso normale per mantenere i processi biologici basali è di circa 1600 kcal (chilocalorie), una dieta adatta a ridurre il peso deve contenere una quantità di calorie inferiore a questa cifra. L'entità del dimagramento non è peraltro desumibile con precisione dal deficit calorico; ciò avviene per due ragioni principali. Da un lato, infatti, nella vita ordinaria l'entità della spesa energetica globale è molto variabile da un individuo all'altro e da un giorno all'altro, cosicché non è possibile conoscere con esattezza l'entità del deficit calorico. Da un altro lato, il fatto che un individuo mantenga una dieta ipocalorica riduce di per sé l'intensità dei processi metabolici ossidativi e modifica quindi l'entità della spesa energetica basale. Nella pratica clinica, le diete usate con maggior frequenza vanno dalle 800 alle 1200 kcal giornaliere. In alcuni casi particolarmente gravi, in cui è necessario ridurre più velocemente il peso corporeo, si ricorre a diete fortemente ipocaloriche, che possono anche aggirarsi intorno alle 300 kcal giornaliere. Naturalmente ogni procedimento dietetico che preveda simili restrizioni dell'apporto calorico comporta alcuni rischi e deve essere attuato per periodi limitati di tempo e sotto accurata sorveglianza medica. Secondo un'opinione largamente condivisa un dimagramento ragionevole dovrebbe aggirarsi intorno ai 200 gr giornalieri.
Poiché i pazienti obesi si adattano con difficoltà alle restrizioni dietetiche e, soprattutto, tendono ad abbandonare la dieta dopo un periodo più o meno lungo, nella terapia dell'o. è stato introdotto l'impiego di farmaci anoressanti, di farmaci cioè che riducono il senso della fame. Questi sono rappresentati dai derivati dell'amfetamina, dal mazindolo e dalla fenfluramina e riducono l'introito alimentare agendo, con meccanismi biochimici diversi, sul sistema nervoso centrale. L'uso dei derivati amfetaminici non è privo di effetti collaterali e di rischi. In tesi generale, la somministrazione dei farmaci che riducono il desiderio di cibo viene effettuata per periodi limitati di tempo e, pur costituendo uno strumento terapeutico molto utile, non si può considerare una soluzione definitiva del problema terapeutico dell'obesità. Recentemente si sono tentati vari approcci psicologici per aiutare il soggetto obeso a ridurre l'introito calorico, con tecniche che vanno dall'approccio comportamentistico all'approccio psicodinamico.
Di fronte ai frequenti insuccessi delle terapie tradizionali che miravano a ridurre la quantità o a modificare la qualità del cibo ingerito, negli ultimi anni si è tentato un approccio diverso, cercando di ridurre l'assorbimento da parte dell'intestino degli alimenti introdotti con l'alimentazione.
Per raggiungere questo obiettivo sono stati concepiti diversi tipi di interventi chirurgici che riducono la lunghezza del tratto intestinale attraversato dagli alimenti, e che modificano la composizione dei succhi digestivi deputati a digerire il cibo. Il by-pass digiuno-ileale riduce il canale intestinale a 45 cm, mentre il by-pass duodeno-ileale lo riduce a 55 cm. Il by-pass gastrico-biliopancreatico consente al cibo di passare direttamente dal terzo superiore dello stomaco a un'ansa dell'intestino tenue, mediante resezione dei 2/3 inferiori dello stomaco e passaggio delle secrezioni biliari e pancreatiche all'ileo terminale. In linea di massima, gli interventi sull'intestino sono efficaci nel ridurre il peso, ma sono molto spesso gravati dalla comparsa di numerosi e importanti effetti collaterali. Per questo motivo essi sono stati in gran parte abbandonati e vengono comunque riservati a casi estremamente gravi di eccesso ponderale e a pazienti particolarmente motivati e consapevoli. Un diverso tipo di intervento chirurgico è costituito dalla gastroplastica e consiste nel costruire nella parte superiore dello stomaco una tasca di dimensioni ridotte che comunica con il resto dell'organo attraverso un ristretto orifizio. Questo intervento, di facile esecuzione, riduce meccanicamente la quantità di cibo che il paziente può introdurre, non è gravato da severi effetti collaterali e tende oggi a essere applicato in un certo numero di pazienti resistenti alle terapie classiche.
Un altro tipo di intervento terapeutico nell'o. è rappresentato dal tentativo di indurre un aumento della spesa energetica dell'organismo. La modalità più tradizionale consiste nell'aumentare la quantità di lavoro corporeo effettuato quotidianamente dall'obeso e quindi nell'attuazione regolare di un programma di esercizio fisico da parte del soggetto in cura. Gli studi compiuti hanno mostrato che l'attività fisica è certamente capace di ridurre il peso, ma che, ai livelli di esercizio che sono comunemente effettuati dai pazienti obesi, questa modalità terapeutica da sola non può riuscire a risolvere stabilmente il problema dell'eccesso ponderale. All'opposto, quando viene associata alla dieta, essa si rivela molto utile nel favorire e nel mantenere il dimagrimento. In passato si è tentato di aumentare la spesa energetica somministrando ai soggetti obesi gli ormoni tiroidei. Questa terapia è efficace, ma induce importanti conseguenze negative sull'organismo cosicché è stata del tutto abbandonata. Al momento attuale si stanno studiando altri composti capaci di aumentare il dispendio calorico; tuttavia, per quanto queste ricerche siano molto promettenti sul piano teorico, finora nessun farmaco di questo tipo è stato introdotto nella terapia dell'o. umana.
Bibl.: Hormones, thermogenesis and obesity, a cura di H. Lardy e F. Stratman, New York 1989; J. Vague, Obesities, Londra 1991; Obesity: basic concepts and clinical aspects, a cura di F. Belfiore, B. Jeanrenaud e D. Papalia, Basilea 1992; Obesity. Theory and therapy, a cura di A.J. Stunkard e T.A. Wadden, New York 1992; P. Bjorntorp, B.M. Brodoff, Obesity, Filadelfia 1992.