Obiettivo
Obiettivi educativi
La ricerca sugli o. educativi, sviluppatasi nella seconda metà del 20° sec., si è rivelata uno dei filoni più proficui della ricerca pedagogica, in ordine ai problemi e alle esigenze specifiche dell'organizzazione dell'insegnamento e dei processi di istruzione. Impegnata a lungo, prima nel lavoro di definizione teorica e poi nella sperimentazione delle diverse tassonomie elaborate nel corso del tempo, si può dire che essa, più di altri settori della ricerca pedagogica contemporanea, ha finito per lasciare il segno nella concreta organizzazione didattica e nella stessa normativa degli ordinamenti scolastici più aggiornati o in corso di aggiornamento. È servita anzitutto a superare, o quanto meno a integrare, la prospettiva di tradizione filosofica (specialmente europea) che si limitava a prefigurare, relativamente ai processi di istruzione, generali e generiche finalità educative, riferite per lo più a un intero ordine di studi. Gli orientamenti più pragmatici e sperimentali della pedagogia anglosassone, in particolare di fronte ai problemi non facili posti dai fenomeni della scolarizzazione di massa e della partecipazione crescente a livelli di istruzione più elevata, hanno indirizzato la ricerca in senso operativo, preoccupandosi dell'organizzazione dei percorsi di studio, della concreta articolazione dell'attività didattica e dell'insegnamento, al fine di rendere l'intervento formativo per quanto possibile efficace, mirato, verificabile. In una prima fase, tuttavia, la ricerca è rimasta a lungo impegnata nel tentativo di definire tassonomie generali degli o. educativi, consistenti per lo più nell'individuazione di capacità, competenze o condotte standardizzate, delineate in base a modelli teorici, ispirati a indirizzi differenti di psicologia sperimentale, di psicologia dell'apprendimento, di teorie del comportamento e altro ancora. Così, negli Stati Uniti, tra il 1956 e il 1963, la scuola di B.S. Bloom, la prima a operare in questo campo, si era impegnata a elaborare, oltre alla tassonomia degli o. cognitivi (riferiti alle abilità intellettive), che ha avuto ampia diffusione a livello internazionale, anche tassonomie nei settori dell'educazione affettiva e di quella psicomotoria, ma con assai scarso successo. In effetti, è parsa un'ingenuità credere di poter racchiudere all'interno dei processi di istruzione tutte le possibili espressioni della formazione dell'individuo. Anche se alcune dimensioni affettive, psicosociali e comportamentali finiscono per influenzare, in positivo e in negativo, le stesse capacità di apprendimento, si è dovuto riconoscere che le situazioni in questione non sono prefigurabili in schemi astratti, ma vanno considerate caso per caso e affrontate con misure specifiche.
Obiettivi cognitivi
Poiché il campo primario di competenza dell'istruzione rimane comunque quello della promozione e dello sviluppo delle capacità intellettive, organizzative e applicative e delle connesse conoscenze, intorno a tali capacità e competenze si è concentrata la ricerca, che ha prospettato varie tassonomie degli o. cognitivi. Quella citata di Bloom, interessata all'attività di insegnamento, si articola in sei categorie: conoscenza (di idee, dati, fenomeni), comprensione (relativa al messaggio contenuto in una comunicazione), applicazione (utilizzazione di rappresentazioni astratte in situazioni concrete), analisi (separazione delle singole parti di una comunicazione e loro rapporti), sintesi (connessione delle parti in un tutto), valutazione (giudizi di valore, efficacia, congruenza di determinate opere, idee, metodi ecc.). Pur oggetto di non poche osservazioni critiche, il modello di Bloom ha rappresentato a lungo un punto di riferimento primario per i ricercatori sul campo e le sperimentazioni pilota. Il modello elaborato da R.M. Gagné (1965) è interessato soprattutto alle condizioni e modalità dell'apprendimento. Esso prevede comportamenti disposti in una serie di complessità crescente: apprendimento di segnali (signal learning), di collegamenti stimolo-risposta, di serie verbali (verbal association), di concetti, di principi, di risoluzione di problemi (problem solving). Nel quadro dell'educazione personalizzata si muove invece la tassonomia di V. García Hoz (1970), che distingue gli o. di apprendimento specifico (connessi alle discipline d'insegnamento) dagli o. di sviluppo, dei quali Hoz individua sei fasi: percettiva (di osservazione-identificazione), riflessiva (di analisi-relazione), acquisitiva (di sintesi-memorizzazione), comunicativa (di espressione-descrizione), estensiva (di ampliamento-creazione), pratica (di applicazione-realizzazione). Alquanto più complesso è il modello di J.P. Guilford (1971), che, pur finalizzato alla individuazione dei fattori specifici dell'intelligenza, è quello che presenta una maggiore organicità. Esso prevede una struttura di fattori ordinati su tre differenti dimensioni: contenuti, operazioni, prodotti. I 'contenuti' sono distinti da Guilford in figurativi, simbolici, semantici e comportamentali; le 'operazioni' concernono cognizione, memoria, produzione divergente, produzione convergente, valutazione; i 'prodotti' consistono in unità, classi, relazioni, sistemi, trasformazioni, implicazioni. Il limite maggiore di tali modelli è dato dal fatto che si tratta di ipotesi teoriche, alquanto formalizzate e schematiche, di difficile traduzione sul terreno della concreta organizzazione dell'attività didattica.
Obiettivi e progettazione curricolare
Un passo avanti è stato fatto negli anni Settanta-Ottanta, quando la tematica degli o. educativi è stata ripresa dalla ricerca pedagogico-didattica nel quadro delle teorie del curricolo. Ai sostenitori di tale indirizzo è apparso subito evidente come la individuazione di o. educativi specifici e operativi, ossia determinati e concretamente verificabili, costituisse una fase preliminare indispensabile per la realizzazione di un qualsiasi progetto didattico. La definizione di o. specifici appare, in questa prospettiva, più concreta rispetto alle precedenti teorizzazioni di matrice psicologica, perché più direttamente correlata alle dimensioni proprie di un progetto di istruzione. In via preliminare, la scelta dipende molto dalla concezione che si ha della scuola e del suo ruolo nella società, a seconda che si accordi preminenza allo sviluppo psicologico, ai processi di socializzazione o alla formazione culturale (istruzione, in senso stretto). In secondo luogo, la correlazione obiettivi-contenuti varia in ragione del livello formativo: scuola dell'infanzia, istruzione primaria, istruzione secondaria di formazione generale, di formazione professionale e altro ancora. In terzo luogo, quella stessa correlazione è diversamente influenzata a seconda che il progetto curricolare venga focalizzato sulle discipline d'insegnamento, oppure sulla promozione e cura di 'processi' (abilità, capacità, orientamenti, disposizioni). Ma la questione degli o. è di particolare rilievo anche per le procedure di valutazione, che rappresentano un altro momento qualificante della progettazione curricolare. La valutazione comprende una fase di verifica e di misurazione degli oggetti interessati, che sarebbe impossibile praticare in assenza di precisi o. prefigurati dal progetto nel suo complesso e nelle sue articolazioni (moduli, unità didattiche). Tale verifica riguarda non soltanto la valutazione individuale degli allievi, bensì anche quella di tutte le condizioni e variabili coinvolte nel progetto (collaborazioni di programma, tempi di applicazione, metodi e strumenti adottati, risorse impiegate ecc.). Proprio in ragione degli o. prefigurati è possibile valutare l'efficacia del progetto stesso, la validità delle procedure programmate e messe in atto, nonché l'opportunità degli adattamenti e delle correzioni da apportare.
L'ampia letteratura in materia, seguita dalla preparazione di repertori ordinati in base a vari criteri e dalla disponibilità di banche di o., messe a punto soprattutto negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, hanno favorito la diffusione di un tipo di programmazione attenta alla determinazione di o. formativi correlati ai programmi d'insegnamento. Negli anni Ottanta-Novanta molti operatori scolastici, grazie agli spazi aperti dall'autorizzazione alla sperimentazione di piani di studio, si sono cimentati in quelle procedure, spesso contaminando i risultati di differenti indirizzi di ricerca. Non c'è dubbio, tuttavia, che tale lavoro, proprio perché compiuto sul campo dagli stessi insegnanti e da altri operatori scolastici, ha contribuito a far prendere coscienza della complessità del processo formativo e della necessità di assumere all'interno delle istituzioni scolastiche atteggiamenti più ponderati, coordinati e verificabili. Gli stessi ordinamenti scolastici hanno finito per accogliere alcune delle indicazioni emerse sia dalla ricerca pedagogica sia dalla pratica delle sperimentazioni scolastiche. Ciò ha riguardato anche l'Italia. Nell'innovativo regolamento sull'autonomia (d.p.r. 8 marzo 1999 nr. 275) si parla per la prima volta della definizione, sul piano nazionale, di curricoli (art. 8), all'interno dei quali devono essere individuati: a) gli obiettivi generali del processo formativo; b) gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni. La legge delega al governo (l. 28 marzo 2003 nr. 53), dopo avere indicato con una certa precisione le finalità generali di ognuna delle articolazioni del sistema di istruzione, fa salvo il principio dell'autonomia delle istituzioni scolastiche, e quindi la loro competenza progettuale (e non solo relativamente alla quota del curricolo riservata alle istituzioni stesse), limitandosi a riservare allo Stato "l'individuazione del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale relativamente agli o. specifici di apprendimento, alle discipline e alle attività costituenti la quota nazionale dei piani di studio" (art. 7). Con ciò si è superata la tradizione di programmi d'insegnamento predefiniti a livello nazionale in ogni loro dimensione.
bibliografia
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