obietto
Latinismo a bassa frequenza, esclusivo del Convivio e della Commedia; è termine proprio del linguaggio filosofico.
Nel senso di " oggetto " esterno in quanto percepito dai nostri sensi, è usato in Pd XXX 48 Come sùbito lampo che discetti / li spiriti visivi, sì che priva / da l'atto l'occhio di più forti obietti, " priva l'occhio umano da l'atto di più forti obietti, che avanzano la virtù visiva... imperò che, debilitata, la virtù visiva non può esercitare l'atto del vedere in quelle cose che prima, se non fusse divisa, arebbe potuto vedere " (Buti); e in Pg XXIX 47 l'obietto comun, che 'l senso inganna, cioè, aristotelicamente, l'aspetto della realtà percepibile con più sensi; per ciò stesso la percezione è soggetta a errore (mentre il singolo senso non sbaglia mai nel percepire l'o. proprio: cfr. Arist. Anima II 6, 418a 12): si veda Cv III IX 6 sensibili [comuni] si chiamano: le quali cose con più sensi comprendiamo, e IV VIII 6 'l sensuale parere... sia molte volte falsissimo, massimamente ne li sensibili comuni, là dove lo senso spesse volte è ingannato.
Analogamente nel senso di " oggetto " colto dagli angeli con un puro atto intellettivo, in Pd XXIX 80 non hanno vedere interciso / da novo obietto: " tutto vedendo in Dio onniveggente, negli angeli il vedere (sapere) non è interciso, interrotto dal sopravvento di nuovi ‛ oggetti ', via via richiamanti a sé l'attività intellettiva " (Mattalia); ma v. CONCETTO; INTERCISO.
Il sostantivo sta anche a significare ciò cui s'indirizza la volontà o l'amore: Pd XXXIII 103 'l ben, ch'è del volere obietto; Pg XVII 95 malo obietto, " oggetto al quale è peccato rivolgersi " (Chimenz); Cv III XIV 6 sì come lo divino amore è tutto etterno, così conviene che sia etterno lo suo obietto di necessitate, e 7 (due volte).