MALASPINA, Obizzo
Figlio di Guglielmo, fu capostipite del ramo dello Spino Fiorito. Nacque verso la fine del secolo XII.
La sua prima menzione è del 1212 quando giurò la concordia tra i Malaspina da una parte e Piacenza e Milano dall'altra, già sottoscritta dal padre Guglielmo e da Corrado di Obizzo (II) Malaspina (detto l'Antico): a quella data il M. doveva quindi avere già superato il quindicesimo o diciottesimo anno d'età. Insieme con il padre si accordò l'anno successivo con il Comune di Lucca. Sostituì di fatto il genitore nella conduzione della famiglia già nel 1219, quando partecipò, insieme con il già ricordato Corrado, alla spedizione genovese contro Ventimiglia. Divenne definitivamente capofamiglia alla morte del padre, nella primavera del 1220: in quel periodo il M. si mise in urto con il Comune di Piacenza per aver occupato la fortificazione di Pietracorva contravvenendo agli accordi sottoscritti con quella città.
Si deve al M. e a Corrado Malaspina la prima grande divisione del patrimonio familiare avvenuta tra l'aprile e l'agosto 1221, che spartì il vasto dominio in due parti e diede l'avvio ai due grandi rami dello Spino Fiorito, assegnato al M., e dello Spino Secco, assegnato a Corrado.
Non si conoscono i motivi che portarono alla separazione dei beni e dei rami, ma alcuni passi dei documenti che tramandano la spartizione fanno sospettare l'esistenza, tra le altre, anche di ragioni squisitamente finanziarie. In particolare è segnalato un forte indebitamento da parte della famiglia nei confronti di due personaggi non meglio identificati, Petraccio Belengario e Armando de Rizolo, per il quale era stato impegnato il pedaggio della val Trebbia. Nella divisione fu il M. a prendersi in carico tale debito.
Quali che fossero le ragioni, la spartizione del grande patrimonio familiare venne preceduta da una serie di atti tesi a stabilire con precisione estensione, pertinenze e diritti. La divisione fu organizzata su base geografica e riguardò proprio queste due principali aree di dominio. Nell'Appennino lombardo-ligure spettarono al M. svariati beni aventi come punti di riferimento la Val Staffora e i castelli di Pietracorva e Oramala; in Lunigiana occupò invece le terre poste alla sinistra del fiume Magra, aventi come capoluogo Filattiera.
Nonostante la separazione dei rami, le strategie familiari dei Malaspina marciarono parallelamente e in maniera concorde, almeno per quanto riguarda lo scenario politico locale e di più ampio raggio. Inizialmente e per gran parte del regno di Federico II, il M. e Corrado furono infatti molto vicini all'imperatore. Nel 1220, all'indomani della incoronazione imperiale, ottennero la conferma di possedimenti e diritti. Tra il 1220 e il 1226 il M. e Corrado coadiuvarono Federico partecipando alla sua Curia, seguendo la sua corte itinerante nel Nord e Centro Italia, facendo da testimoni ai suoi atti. In particolare il M. ospitò l'imperatore a Oramala per un mese intero nel marzo 1238.
La strategia comune emerge anche nei confronti delle città ai margini del dominio malaspiniano e in particolare di Piacenza, con la quale il M. ebbe un rapporto particolarmente stretto. Fu egli infatti, nel 1229, a stringere con il Comune di Piacenza un'alleanza militare contro Pontremoli, giurata solo in un secondo momento anche da Corrado. L'accordo, sottoscritto nel maggio, portò a operazioni militari già tra l'agosto e il settembre 1229, con la discesa in campo dei contingenti armati del M. e di Corrado. Anche se le manovre non diedero i risultati sperati, il legame tra Piacenza e il M. perdurò al punto che, nel corso delle lotte intestine alla città tra la fazione dei milites e quella del Popolo, la guida della prima fu data appunto al Malaspina. Nel 1234 questi, proprio in qualità di podestà della pars militum, siglò la pace con il podestà della parte avversa, il cremonese Belengerio Mastagio.
I problemi sorsero a partire dal 1236 quando cominciò a farsi più teso il rapporto tra le città lombarde e Federico II. A quella data infatti si ebbe la cacciata dei Malaspina da Piacenza.
Daterebbe al 1236 per il Giulini, al 1237 secondo il Litta, l'assegnazione al M. dell'incarico di podestà di Milano. L'evento pone però alcuni problemi, interpretativi, proprio per la posizione antimperiale del Comune milanese nel periodo indicato, che mal si concilia con l'incarico di podestà assegnato a un personaggio all'epoca decisamente vicino a Federico II. Dal punto di vista documentario questa notizia non ha trovato riscontri certi: il Litta non dà riferimenti di sorta, mentre il Giulini rimanda al cronista Galvano Fiamma che, com'è noto, non è sempre affidabile.
Dal 1239 il M. e Corrado combatterono a fianco dell'imperatore, non ricoprendo tuttavia un ruolo di primo piano nella compagine guidata dal marchese Manfredi (II) Lancia, tra Liguria e Lombardia, al di fuori quindi, dei domini lunigianesi.
Forse proprio in conseguenza della perturbazione portata dall'imperatore all'intricato gioco di equilibri, scontri, incontri e alleanze che caratterizzava il territorio appenninico si verificò la prima grande divergenza tra i due rami. Nel maggio 1246 infatti sia il M. sia Corrado passarono dalla parte imperiale a quella di Milano e Piacenza, ma, mentre per il M. il passaggio fu stabile, Corrado rientrò dopo pochi mesi nei ranghi imperiali, restandoci fino alla fine.
Nel 1247 il M. combatté quindi sul fronte guelfo; in quell'anno, in particolare, gli fu assegnato il compito di inseguire la compagine guidata da re Enzo, che si muoveva tra Parma, Reggio Emilia e Modena. Alla parte antimperiale si unirono anche, in Lunigiana, suo figlio Bernabò e Federico Malaspina, figlio di Corrado; entrambi tuttavia vennero sconfitti: Federico fu preso prigioniero, mentre Bernabò riuscì a rifugiarsi nel castello di Groppo San Pietro, perdendo però Filattiera.
A partire da questa data il M. comincia a latitare dalla documentazione, mentre ad agire nelle questioni patrimoniali e militari compaiono sempre più frequentemente i suoi figli Bernabò, Isnardo e, in seguito, Alberto. Furono per esempio Bernabò e Isnardo, nel 1250, a rappresentare in giudizio la famiglia nelle controversie sorte con i signori di Marciaso. L'ultima menzione del M. risale al 1253 quando, riconciliatosi con Corrado, riconquistò Pontremoli insieme con i già ricordati Bernabò e Federico.
Il borgo di Pontremoli, spettante alla Camera imperiale, era stato assegnato da Guglielmo d'Olanda a Niccolò Fieschi, conte di Lavagna. Coalizzati dalla volontà comune di reagire a quest'affronto il M., Corrado e i rispettivi discendenti si riappropriarono dell'abitato, ma dovettero però restituirlo poco dopo al vicario imperiale, per l'insorgere di problemi di ordine finanziario.
Il M. morì prima dell'aprile 1255. Furono suoi figli i già ricordati Bernabò, Isnardo e Alberto.
Alberto fu capostipite dei Malaspina di Filatteria. Attivo tra il 1255 e il 1280 (per alcuni autori 1284), si sposò con Fiesca Fieschi, figlia del conte di Lavagna Niccolò e forse, in seconde nozze, con Bellotta, figlia di Pietro dei Bianchi d'Erberia.
Proprio in questo Alberto, e non nel coevo consorte Alberto di Corrado l'Antico, sarebbe da ravvisare, in via del tutto ipotetica, il marchese Malaspina che, unico fra i grandi, sostenne, secondo gli Annales Placentini gibellini, il tentativo di Corradino di Svevia, figlio di Corrado IV e nipote di Federico II, di restaurare l'autorità imperiale nella penisola. Alla data del 29 genn. 1268 così scrive l'annalista: "milicia regis cum Papiensibus ceperunt et combuxerunt Laudem vegium, et tunc misit suos nuincios ad civitates et marchiones ut obedirent ei, set nullus de Lombardia excepto Alberto marchione Malaspina obedire voluit" (pp. 524 s.). Il sostenitore solitario del giovane imperatore è nominato in un altro passo della medesima cronaca alla data del 23 apr. 1268 quando, volendo i sostenitori di Corradino raggiungerlo a Pisa, passarono per la Val di Taro senza toccare Pontremoli, ma entrarono senza problemi a Sarzana e a Massa (p. 526).
La scelta di Alberto fu opposta a quella compiuta dal fratello Isnardo, anch'egli ricordato negli Annales. Sotto la pressione militare di Carlo d'Angiò, Isnardo cedette infatti a questo il castello di Pontremoli, e nell'inverno 1268, il valico di monte Bardone risultò perciò bloccato alle truppe imperiali di stanza a Pavia; Corradino, per arrivare a Pisa, scese allora nella Liguria di Ponente dove si imbarcò su vascelli pisani aggirando il blocco. Da Pisa Alberto e gli altri seguaci dell'imperatore, pur non toccando Pontremoli, riuscirono ad arrivare in aprile a Sarzana e a Massa. Ricongiunto ai suoi sostenitori, nel giugno 1268 Corradino punì militarmente la Lucchesia e in particolar modo il Massese, di pertinenza del ramo di Isnardo.
Alberto compare abbastanza frequentemente nella documentazione della seconda metà del XIII secolo e sovente a fianco dei fratelli Isnardo e Bernabò; tuttavia la documentazione presenta una lacuna sospetta negli anni 1267-68, proprio quelli in cui si svolse la parabola imperiale. Lo si ritrova nuovamente a fianco di Isnardo solo nel febbraio 1269, quando Corradino era morto da pochi mesi. Qualche anno più tardi, nel 1275, quando i sottorami dello Spino Fiorito si divisero l'eredità, nel documento si dichiarava che erano condonate e dimenticate le offese arrecate vicendevolmente, in seguito a discordie sorte negli anni precedenti. è possibile che queste fossero state causate anche dalle differenti scelte operate da Isnardo e Alberto del quale non sono note altre notizie oltre tale data.
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Per Alberto, in particolare: Annales Placentini gibellini, cit., pp. 524-526; Le carte anteriori al 1400 nell'Archivio Malaspiniano, cit., ad ind.; K. Hampe, Geschichte Konradins von Hohenstaufen, a cura di H. Kämpf, Leipzig 1940, pp. 214, 242.