Abstract
Si esamina, sotto il profilo strutturale e funzionale, il procedimento disciplinato dalla legge processuale per l’applicazione della oblazione, sia ordinaria che speciale, prevista dalla legge penale sostanziale quale causa di estinzione del reato. Il procedimento è inquadrato tra i riti alternativi al dibattimento, dei quali condivide lo schema-base, articolato sulla rinuncia volontaristica dell’imputato alle garanzie dell’accertamento ordinario, in cambio del beneficio che l’ordinamento riconosce per via della deflazione del carico giudiziario che riesce a conseguire.
Il procedimento applicativo della oblazione è regolato tra le disposizioni di attuazione, in una sedes, perciò, “periferica” rispetto al corpo centrale costituito dalle norme codicistiche, dove non trova il corrispondente istituto di riferimento, ubicato al contrario nel codice penale, alveo naturale per un fenomeno che, dogmaticamente inquadrato tra le cause di estinzione del reato, tra queste rinviene il proprio statuto, nella duplice forma della oblazione comune o ordinaria (art. 162 c.p.) e della oblazione speciale o discrezionale (art. 162 bis c.p.), introdotta dall’art. 126, l. 24.10.1981, n. 689. Pertanto, nonostante la sua collocazione, la disposizione ha valore di norma non meramente attuativa, bensì integrativa del procedimento di oblazione, regolato in modo tendenzialmente completo ed omogeneo dalla disposizione medesima la quale, in forza del criterio posto dall’art. 15 disp. prel. c.c. per cui lex posterior derogat priori, ha abrogato, ove incompatibili, le prescrizioni delle previgenti norme sostanziali (Cass. pen., 8.3.2006, M.V., in CED Cass., n. 12939; Cass. pen., 14.10.1999, Tomasi, in Cass. pen., 2000, 2644; Cass. pen., 19.12.1997, Gulli, ivi, 1999, 871; Cass. pen., 10.1.1997, Di Cecco, ivi, 1999, 165-166).
Notevole lo scarto, in verità, tra l’esito raggiunto e l’obiettivo di uniformità perseguito, non agevolato dall’innesto della fattispecie procedimentale sul dato sostanziale preesistente, ispirato per di più a un diverso background processuale di riferimento; l’integrazione tra “vecchio” e “nuovo” lascia a desiderare, visto che la disciplina accumula, senza coordinamento, disposizioni pertinenti ad un inserimento della oblazione sia nella fase delle indagini che in fasi propriamente processuali (Piziali, G., Il procedimento di oblazione, in I procedimenti speciali in materia penale, a cura di M. Pisani, Milano, 2003, 575). Infatti, i commi 1 e 2 dell’art. 141 disp. att., fanno esclusivo riferimento a domande di oblazione presentate durante le indagini preliminari; il comma 3 si occupa, invece, di un momento processuale diverso da quello che precede la formulazione della imputazione, stabilendo un requisito integrativo del decreto penale di condanna per il caso in cui, durante le indagini, l’interessato non sia stato avvisato della facoltà di proporre domanda di oblazione. Il comma 4, nel regolare la scansione più propriamente dinamica del procedimento, si connota di una forza applicativa valida per il momento sia procedimentale che processuale. L’ultimo comma disciplinando, infine, la restituzione in termini dell’imputato in caso di modifica dell’imputazione originaria in altra per la quale risulti ammissibile l’oblazione, presuppone l’avvenuto esercizio dell’azione penale. Nonostante l’imperfetta simmetria risultante dalla sovrapposizione dei due piani disciplinatori, è in ogni caso condivisibile la scelta del legislatore di regolamentare nel dettaglio una fattispecie procedimentale dall’esito non sempre favorevole per il contravventore, considerato che il margine di discrezionalità, che connota la valutazione giudiziale propria della oblazione cosiddetta speciale, elide l’automatismo dell’effetto estintivo conseguente alla richiesta di oblazione comune.
Pur a fronte della sua esclusione dal Libro VI riguardante i riti speciali, il procedimento di oblazione è inquadrato dalla dottrina prevalente tra le ipotesi di definizione anticipata del procedimento (da ultimo Carini, C., Oblazione, in La giustizia penale differenziata. I procedimenti speciali, coordinato da F. Giunchedi, t. I, in Il processo penale, diretto da A. Gaito e G. Spangher, Torino, 2010, 485 ss.; così anche C. cost., 29.12.1995, n. 530, in Cass. pen., 1996, 1084), tutte azionate dalla iniziativa dell’imputato che rinuncia alle garanzie connaturate al modello ordinario di accertamento, allettato dalla prospettiva del “premio” – nella oblazione, l’estinzione del reato – che il legislatore riconosce per via della deflazione del carico giudiziario che, in tal modo, riesce a conseguire.
L’oblazione appartiene al diritto penale moderno, essendosi radicata per fronteggiare l’enorme dilatazione del carico di lavoro che venne a gravare sugli organi giurisdizionali con l’abolizione del contenzioso amministrativo (l. 20.3.1895, n. 2248, all. E). In tale contesto si consolidò la prassi per cui, ove il trasgressore non contestasse la violazione attribuitagli, la pena fosse applicabile dalla autorità amministrativa. Gli effetti positivi connessi al volontario pagamento della sanzione pecuniaria da parte del contravventore davanti alla autorità amministrativa competente, indussero il legislatore ad estendere il meccanismo anche alle contravvenzioni sanzionate dal codice penale, costitutive con quelle previste in leggi speciali, del diritto penale amministrativo. Di qui la successiva positivizzazione dell’istituto nel codice Zanardelli, tra le cause di estinzione dell’azione e delle condanne penali. Per incrementarne l’operatività, in parte frenata dal necessario pagamento del massimo della pena, i redattori del codice Rocco, inserita l’oblazione tra le cause di estinzione del reato, fissarono una più lieve sanzione, stabilendo che l’effetto estintivo conseguisse al versamento di una somma pari alla terza parte del massimo della pena edittale, oltre le spese del procedimento.
Sul piano della politica criminale, il fondamento dell’istituto è ravvisato nella esigenza dell’ordinamento di definire con il massimo di snellezza e celerità e, dunque, anche con economia di spese, i procedimenti riguardanti illeciti di minima rilevanza, senza tuttavia eludere la pretesa punitiva dello Stato e il carattere di inderogabilità della sanzione penale, che trova comunque applicazione. In virtù di questo principio di efficienza, che contempera le esigenze di giustizia con quelle di economia processuale (Ramacci, F., Corso di diritto penale, Torino, 2007, 617) rispetto a condotte qualificate da un grado di offensività scarsamente percepibile dai consociati, l’ordinamento riconosce la possibilità di beneficiare dell’effetto estintivo al contravventore che rinunci a difendersi dall’addebito mossogli.
La natura giuridica della oblazione quale fenomeno estintivo del reato costituisce, oggi, dato indiscusso: l’estinzione dell’illecito conseguente al pagamento della sanzione cui si assoggetta il contravventore, è l’innegabile risultato che la legge penale riconduce all’istituto (affatto isolata la posizione della suprema Corte che, in anni recenti, ha riproposto la tesi del Manzini della oblazione come causa di trasformazione del reato in illecito amministrativo innescata dalla manifestazione di volontà del privato, Cass. pen., 30.11.1995, Bettinsoli, in Cass. pen., 1997, 1376).
L'oblazione è ammessa su domanda della parte privata, cui compete l’iniziativa esclusiva in materia; il soggetto legittimato a formulare l’istanza si identifica, prevedono le norme sostanziali, con l’autore del reato contravvenzionale, sia esso sottoposto a indagini oppure imputato; questi, rispetto alla oblazione ordinaria, vanta un vero e proprio diritto soggettivo ad ottenere la dichiarazione di estinzione del reato, a seguito dell’avvenuto pagamento; nel caso di oblazione discrezionale, invece, al soggetto è riconosciuto soltanto il diritto a che la domanda sia valutata secondo le condizioni di ammissibilità previste ex lege. Circa la legittimazione del difensore a formulare la relativa richiesta, la disciplina codicistica non prevede espressi poteri di rappresentanza al riguardo; recente pronuncia della Suprema corte a sezioni unite ha affermato la legittimità, ai sensi dell’art. 99, co. 1, c.p.p., della proposizione della domanda di oblazione da parte del difensore dell’imputato, anche se privo di procura speciale (Cass. pen., S.U., 29.10.2009, D’Agostino, in Dir. pen. e processo, 2010, 158).
Circa i termini di introduzione della domanda, il contravventore può introdurla sia durante le indagini preliminari, sia dopo l'esercizio dell'azione penale, in ogni caso non più tardi della fase che precede l’apertura del dibattimento, che costituisce sbarramento invalicabile. È comunque riconosciuta la possibilità di riproposizione in dibattimento della domanda già formulata contestualmente all’opposizione al decreto penale di condanna, qualora, al momento dell’opposizione, l’imputato non sia stato nelle condizioni di fornire la prova dell’avvenuta rimozione delle conseguenze dannose del reato (Cass. pen., 8.10.2004, Fazzari, in Dir. pen. e processo, 2006, 1818).
In caso di proposizione della domanda prima della formulazione della imputazione, il contravventore deve depositarla presso la segreteria del p.m., che la trasmette con gli atti del procedimento all’ufficio del g.i.p., eventualmente avvisando l’interessato che, in presenza dei presupposti di legge, può essere ammesso all’oblazione. Non prevedendosi alcun termine per l’eventuale iniziativa dell’interessato, si ritiene che nel redigere l’invito il p.m. indichi un termine congruo per l’esercizio della facoltà di accesso alla oblazione, quantificabile, ex art. 604, co. 7, c.p.p., in misura non superiore a dieci giorni (Piziali, G., Il procedimento di oblazione, cit., 559). L’avviso in questione, che non è atto obbligatorio per il p.m., diventa adempimento inderogabile, ai sensi del co. 3, se è stato precedentemente omesso: ove non risulti dal fascicolo che il p.m. vi abbia già provveduto, il giudice deve obbligatoriamente inserire nel decreto penale, pena la sua nullità ex art. 178, co. 1, lett. c), l’avvertimento circa la facoltà riservata all’imputato di fruire della causa estintiva del reato.
In ipotesi di esercizio dell’azione penale mediante decreto di citazione diretta a giudizio di fronte al giudice monocratico, competente per la totalità degli illeciti contravvenzionali, la domanda di oblazione, sia obbligatoria che facoltativa, può essere presentata sino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, che funge da limite temporale con carattere di perentorietà. Il medesimo termine si applica altresì nei procedimenti davanti al giudice di pace, per quanto non sia prescritto l’avviso, all’interno dell’atto di citazione a giudizio, della facoltà di accedere all’oblazione.
Se l’esercizio dell’azione penale avviene ai sensi dell’art. 459, la domanda può essere presentata dopo l’emissione del decreto di condanna, il quale, dato il mancato avviso precedente alla formulazione della imputazione di cui al co. 2 dell’art. 141 disp. att., deve fare menzione – impone il comma successivo – della facoltà per l’imputato di fruire della oblazione. La domanda, comunque, deve sempre precedere l’eventuale instaurazione del giudizio conseguente alla opposizione, intervenendo prima che il decreto stesso divenga irrevocabile: per effetto del disposto degli artt. 461 e 464 c.p.p., l’istanza, senza alcuna distinzione tra oblazione discrezionale e obbligatoria, va presentata a pena di decadenza entro il termine di quindici giorni dalla notificazione del decreto penale di condanna contestualmente all’atto di opposizione (Cass. pen., 27.3.2008, C., in CED Cass., n. 12914; Cass. pen., 8.3.2006, Managò, in CED Cass., n. 233932). Viceversa, ove la richiesta di oblazione sia stata tempestivamente proposta ma erroneamente rigettata, opera la normativa generale che prevede la riproponibilità della domanda di oblazione nel successivo giudizio, non potendo trovare spazio, attesa la diversità di ratio, l’art. 464, co. 3, c.p.p. riferibile alle sole ipotesi in cui, per la prima volta, davanti al giudice del dibattimento, l’imputato opti per uno dei riti alternativi e il cui divieto si riferisce al caso in cui l’istanza di oblazione sia proposta per la prima volta nel giudizio immediato conseguente all’opposizione (Cass. pen., 20.5.2008, P.A., in CED Cass., n. 24062).
Impraticabile l’oblazione nel corso sia del giudizio abbreviato che del cd. patteggiamento.
Il giudice decide in merito all’accoglimento della domanda di oblazione dopo aver acquisito il parere che il p.m., in quanto titolare dell’azione penale, è tenuto a manifestare riguardo alla richiesta formulata dall’interessato. Se la domanda di oblazione è presentata durante le indagini, l’ufficio del p.m. ne è il naturale destinatario; ricevuta l’istanza, l’accusa verifica l’identificazione del fatto e l’esattezza del suo inquadramento nella relativa fattispecie incriminatrice operate dall’istante. Tale parere ha valenza esclusivamente consultiva, pertanto anche se dissenziente non assume mai carattere vincolante in ordine all’ammissibilità dell’oblazione, dal momento che l’accusa pur potendo legittimamente incidere sulla scelta del rito in quanto titolare dell’azione penale, non può in ogni caso interferire nell’attività squisitamente giurisdizionale esercitata dal giudice nel momento della irrogazione della sanzione (C. cost., 3.2.1992, n. 58, in Cass. pen., 1992, 1458).
Costituendo l’oblazione comune un diritto soggettivo del contravventore, il ruolo del giudice nel relativo procedimento risulta marginale, in quanto circoscritto ad una serie di attività valutative preliminari funzionali alla verifica delle condizioni “formali” cui è subordinata l’ammissibilità del beneficio. Verificata la propria competenza, il giudice accerta la natura della pena edittale minacciata per il reato contestato, tenendo conto della pena comminata in astratto per la fattispecie contravvenzionale, rispetto alla quale non incide l’eventuale previsione di pene accessorie, che non sono d’ostacolo all’accesso all’oblazione (Cass. pen., 6.7.2007, S.P., in Dir. pen. e processo, 2008, 50), né alla determinazione del quantum da versare nelle casse dell’erario ai fini della estinzione del reato; procede inoltre all’accertamento circa l’applicabilità dell’art. 129 c.p.p., il quale opera «in ogni stato e grado del procedimento». In assenza di condizioni per pronunciare il non luogo a procedere, il giudice passa a controllare la corretta qualificazione giuridica data al fatto nella imputazione formulata – o ipotizzata in fase di indagini – dalla pubblica accusa. Il rigetto da parte del giudice della domanda di oblazione in ragione di una diversa qualificazione giuridica attribuita al fatto di reato, costituisce motivo di incompatibilità ex art. 34, co. 2, c.p.p. a partecipare al successivo giudizio (C. cost., 15.12.1994, n. 453, in Cass. pen., 1995, 821).
Nel procedimento applicativo della oblazione discrezionale, il vaglio giurisdizionale si arricchisce oltre alle attività da compiere con riferimento a quella comune, dell’accertamento relativo alla sussistenza delle condizioni oggettive e soggettive cui è subordinata l’estinzione del reato ai sensi dell’art. 162 bis c.p. e alla gravità del fatto. Il giudice verifica, anzitutto, se nei confronti dell’istante siano già state contestate l’abitualità nelle contravvenzioni, la professionalità nel reato o la recidiva reiterata; status che, secondo la giurisprudenza, non devono essere stati contestati nel capo di imputazione ovvero dichiarati dal giudice con sentenza, ritenendo sufficiente che di essi il giudice abbia la mera cognizione desumibile dal certificato penale (Cass. pen., 7.6.1994, Cosentino, in Cass. pen., 1995, 2893; Cass. pen., 18.9.1992, Petrì, ivi, 1994, 310). Ulteriore motivo di impedimento oggettivo alla fruizione del beneficio è il permanere di conseguenze dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore, il cui doveroso accertamento implica un giudizio di merito ancorato alla descrizione della vicenda operata nel capo di imputazione purché redatto in termini puntuali e precisi e, se l’istanza è stata inoltrata ad esercizio dell’azione penale avvenuto, ai dati probatori esistenti nel fascicolo a disposizione del giudice. Il contravventore può riproporre la domanda durante il dibattimento, quando abbia provveduto ad eliminare le conseguenze dannose e pericolose, che esistenti al momento della iniziale richiesta ne avevano determinato i rigetto (Cass. pen., 25.2.1992, Proni, in Cass. pen., 1993, 1434). La gravità del fatto, ritenuto di particolare disvalore sulla base di criteri di valutativi da intendere nel senso più ampio e non soltanto secondo i fattori di commisurazione della pena ai sensi dell’art. 133, co. 1, c.p. (Cass. pen., 25.2.1992, Proni, cit.), autorizza il giudice a respingere la domanda di oblazione; le ragioni della ritenuta gravità vanno specificate nella motivazione e concretandosi in una scelta di merito, il provvedimento che su di essa si fondi per negare l’accesso alla oblazione, non è ricorribile in Cassazione (Cass. pen., 10.1.1994, Tarquini, in Cass. pen., 1995, 931).
Pervenuta l’istanza di oblazione, il giudice può respingerla pronunciando ordinanza di diniego; contro tale provvedimento non è esperibile alcun mezzo di impugnazione. Del resto, l’ordinanza non è produttiva di alcun effetto preclusivo per la riproposizione della domanda, per la quale l’imputato, ai sensi dell’art. 162 bis, co. 5, c.p., può attivarsi sino «all’inizio della discussione finale del dibattimento di primo grado»: in questo modo, la domanda in precedenza respinta può essere nuovamente valutata dopo lo svolgimento del giudizio, il quale, grazie a sopravvenute o più ampie risultanze probatorie, potrebbe evidenziare che il fatto sia meno grave di quanto apparisse in origine o che le conseguenze dannose o pericolose siano state nel frattempo eliminate dall’autore dell’illecito.
Il p.m., cui a seguito della decisione di rigetto siano stati trasmessi gli atti dal giudice, a seconda che la domanda sia stata avanzata prima della formulazione della imputazione oppure dopo l'emissione del decreto di citazione a giudizio, prosegue le indagini oppure invia il fascicolo al giudice per il dibattimento. Nel procedimento estintivo che abbia luogo in sede di indagini, alla dichiarazione di estinzione del reato con sentenza si sostituisce l’adozione del decreto di archiviazione, ferma restando l’operatività dell’art. 129 c.p.p., per lo meno quando risulti che il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Se la domanda risulta meritevole di accoglimento, il giudice pronuncia la relativa ordinanza e fissa l’importo della somma da pagare e il termine per provvedere, dandone avviso all'interessato. Avvenuto il versamento della somma, da documentare da parte del contravventore, il giudice, in caso di istanza presentata nel corso delle indagini, trasmette gli atti al p.m. affinché quest’ultimo inoltri richiesta di archiviazione per estinzione del reato; se l’istanza interviene a processo avviato, questo si chiude con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, dotata di efficacia ex tunc (art. 183, co. 1, c.p.).
Il giudice decide immediatamente, cioè prima di emettere i provvedimenti adottabili a norma del co. 1 dell’art. 464 c.p.p., quando la domanda sia proposta contestualmente alla dichiarazione di opposizione al decreto penale. In caso di accoglimento, il giudice pronuncia d’ufficio l’estinzione del reato con conseguente revoca del decreto penale; in caso contrario, trattandosi di due istanze autonome, non legate da alcun vincolo di interdipendenza, benché contemporaneamente presentate, il giudice non può dichiarare l’inammissibilità, oltre che dell’oblazione, anche dell'opposizione, ma deve emettere il provvedimento che dispone il giudizio (Cass. pen., 21.4.2004, Foti, in Cass. pen., 2005, 2620; Cass. pen, 10.11.1997, Di Cecco, cit.; Cass., 6.5.1994, Veronesi, ivi, 1996, 569; Cass. pen., 5.5.1994, Semilia, ivi, 1995, 2935).
Ove il rigetto riguardi una domanda di oblazione discrezionale proposta con l’atto di opposizione a decreto penale di condanna, l’istanza è nuovamente proponibile nel corso del giudizio conseguente all’opposizione, purché non vi siano mutamenti della richiesta e della situazione di fatto cui la stessa si riferisce; costituendo la rimozione delle conseguenze dannose o pericolose del reato presupposto di ammissibilità dell’oblazione, la stessa deve essere stata già effettuata al momento dell’opposizione al decreto penale e della contestuale domanda di oblazione, a nulla rilevando una condotta intervenuta in tal senso nelle more del giudizio di opposizione (Cass. pen., 23.3.2005, Vezzari, in CED Cass., n. 231311; Cass. pen., 4.2.2005, ivi, n. 231067). All’imputato che reputi di essere stato illegittimamente escluso dalla fruizione della causa estintiva, è consentito impugnare l’ordinanza di rigetto congiuntamente alla sentenza, proponendo di nuovo l’istanza tra i motivi d’appello. Se il giudice d’appello riconosce che la domanda di oblazione è stata erroneamente respinta nel giudizio di primo grado, sospende il dibattimento fissando un termine massimo non superiore a dieci giorni per il pagamento delle somme dovute, con conseguente pronuncia della sentenza di proscioglimento se il pagamento è adempiuto nel termine.
Per entrambe le figure di oblazione, il versamento della somma di denaro è successivo al provvedimento giudiziale di ammissione, del quale costituisce adempimento esecutivo. La sfasatura riscontrabile tra norma processuale e sostanziale sul momento in cui si colloca il pagamento dopo l’indicazione della somma da parte del giudice, è stata superata ritenendo tacitamente abrogata la norma di cui all’art. 162 bis, co. 2, c.p. per sopravvenuta incompatibilità con la norma del codice Vassalli. Il giudice, accolta la domanda di oblazione ordinaria o speciale, deve determinare il quantum da depositare e il versamento segue la decisione giudiziale in merito all’ammissibilità della causa estintiva, della quale il deposito della somma non costituisce più necessario presupposto di ammissibilità. Avvenuto il pagamento entro il termine massimo di dieci giorni, l’estinzione del reato si verifica automaticamente. Il versamento della somma preclude la revoca dell’ordinanza di ammissione all’oblazione; al contrario, se il termine fissato per il versamento, il quale decorre dall'emissione dell'ordinanza di accoglimento della domanda, trascorre infruttuosamente, il processo prosegue.
Il contravventore ammesso all’oblazione gode altresì anche di una serie di effetti favorevoli ulteriori: la mancata iscrizione nel casellario giudiziale del provvedimento estintivo; la mancata applicazione di misure di sicurezza, fatta eccezione per la confisca obbligatoria, e di pene accessorie, salve le sanzioni accessorie di carattere amministrativo; la possibilità di utilizzare la decisione di non doversi procedere per intervenuta oblazione ai fini del ne bis in idem. Infine, il provvedimento non può costituire elemento di contestazione della recidiva ovvero della dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato.
Grava sull’imputato l’obbligo di pagare le spese processuali, ma non anche l’obbligo di rifusione delle spese sostenute dall’eventuale parte civile già costituita; ciò anche quando l’oblazione sia accolta solo in esito al dibattimento oppure in appello, non operando in tal caso l’art. 578.
In virtù del co. 4 dell’art. 141 disp. att., modificato con l. 16.12.1999, n. 479, anche in caso di oblazione, così come già stabilito per il giudizio abbreviato e l'applicazione della pena su richiesta delle parti, il relativo procedimento non determina la sospensione del processo civile per le restituzioni e il risarcimento dei danni cagionati da reato, qualora l'azione civile sia stata proposta nella sua sede naturale dopo la costituzione nel processo penale. La sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato per oblazione non può essere impugnata dalla parte civile, in quanto l'art. 576, co. 1, c.p.p. stabilisce che sono oggetto di impugnazione della parte privata, ai soli effetti della responsabilità civile, esclusivamente le sentenze di proscioglimento pronunciate «nel giudizio», di qui l’impossibilità di considerare adottate in esito al giudizio le sentenze di estinzione per oblazione. Del resto, neppure sussiste interesse a impugnare, poiché, ex artt. 652 e 654 c.p.p., è produttiva di effetti nel giudizio civile soltanto la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento.
L’introduzione nella disciplina dettata dall’art. 141 disp. att., co. 4 bis, avvenuta con l. n. 479/1999, ha risolto la dibattuta questione relativa alla proponibilità della domanda di oblazione quando l'imputazione originaria, non oblabile, sia modificata in altra per la quale il ricorso alla causa estintiva risulti ammissibile; si è espressamente previsto a favore dell’imputato il diritto alla restituzione in termini, con conseguente fissazione di un termine di dieci giorni per il pagamento della somma dovuta, da cui discende la dichiarazione di estinzione dell’illecito contravvenzionale. L’intervento legislativo ha fatto proprie e trasfuso nel dato positivo le indicazioni provenienti dalla Consulta che nel dichiarare la illegittimità costituzionale degli artt. 516 e 517 c.p.p. nella parte in cui non prevedevano il ricorso alla oblazione in relazione, rispettivamente, al fatto diverso (art. 516 c.p.p.) e al reato concorrente (517 c.p.p.) contestati in dibattimento, precisava che «l’avvenuto superamento del limite temporale – apertura del dibattimento – previsto in linea generale per la domanda di oblazione … non è nel caso in esame riconducibile alla libera scelta dell’imputato, e, cioè, ad inerzia al medesimo addebitabile … costituendo la domanda di ammissione all’oblazione una modalità di esercizio del diritto di difesa, data l’estinzione del reato quale effetto tipico connesso al suo operare, la preclusione per l’imputato di accedere al beneficio estintivo nelle evenienze contemplate dalle disposizioni oggetto di sindacato, è produttiva di una illegittima violazione del diritto tutelato dall’art. 24 Cost.» (C. cost., 29.12.1995, n. 530, in Cass. pen., 1996, 1084). Continua a sfuggire al dato positivo pur dopo la riforma del 1999, l’ipotesi in cui sia il giudice che, ai sensi dell’art. 521 c.p.p., dia al fatto una definizione giuridica diversa da quella attribuita dal p.m. nell’atto di imputazione. La lacuna normativa ha determinato orientamenti giurisprudenziali contrastanti. È indubbio che l’inerzia dell’accusa, a fronte di un quadro probatorio che, evolvendo in sede dibattimentale, consenta una riformulazione della imputazione originaria, preclusiva dell’oblazione, in altra oblabile, leda il diritto di difesa dell’imputato, privato, a causa di comportamento a lui non ascrivibile, della chance estintiva; di qui l’interrogativo se il giudice del dibattimento possa, d’ufficio e senza d’impulso di parte, ricondurre il fatto contestato ad una fattispecie incriminatrice diversa, in grado di restituire l’autore dell’illecito alla ammissione al beneficio. La Corte di cassazione a sezioni unite, chiamata a dirimere il contrasto interpretativo, ha escluso l’obbligo per il giudice di rimettere in termini, ex officio, l’imputato ai sensi dell’art. 141, co. 4 bis, disp. att., disposizione –si afferma in sentenza – che non si applica quando la modifica dell’imputazione sia fatta direttamente dal giudice con la sentenza di condanna. Pertanto, ove sia ritenuta una diversa qualificazione giuridica del fatto suscettibile d’estinzione mediante oblazione, l’imputato potrà fruirne soltanto se, nel corso del giudizio, abbia presentato la relativa richiesta insieme a quella di una più favorevole definizione giuridica del reato. Se il giudice omette di pronunciarsi sull’istanza oppure si pronuncia erroneamente applicando la legge penale, sono attivabili gli ordinari mezzi di gravame (Cass. pen., S.U., 28.2.2006, Autolitano, in Cass. pen., 2006, 1710).
Artt. 141 disp. att. c.p.p.; 162-162 bis c.p.
Carini, C., Oblazione, in La giustizia penale differenziata. I procedimenti speciali, coordinato da F. Giunchedi, in Il processo penale, diretto da A. Gaito e G. Spangher, t. I, Torino, 2010, 471; Lopez, R., Il procedimento di oblazione, in Modelli differenziati di accertamento, a cura di G. Garuti, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, 7, t. II, Torino, 2011, 815; Martini, A., Il procedimento per oblazione, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale. Riti camerali e speciali, coordinati da Nosengo, Torino, 2006, 705; Martini, A., sub art. 162, in Codice penale, a cura di T. Padovani, Milano, 2007, 1086; Piziali, G., Il procedimento di oblazione, in AA.VV., I procedimenti speciali in materia penale, a cura di M. Pisani, Milano 2003, 547; Mazza, L., Oblazione volontaria, in Enc. dir., II Agg., Milano, 1998, 267; Ramacci, F., Corso di diritto penale, Torino, 2007, 617.