oblio
La dimenticanza intesa come scomparsa del ricordo. Più in partic., il processo che determina la perdita dei ricordi per attenuazione, modificazione o scomparsa delle tracce mnemoniche.
Se noi cerchiamo di ricordare cosa abbiamo mangiato a cena dieci giorni fa, probabilmente l’abbiamo dimenticato, l’informazione è andata incontro all’oblio. Ma se dieci giorni fa era il nostro compleanno, probabilmente ce lo ricordiamo. Quali fattori determinano l’oblio? Il primo studio su questo argomento venne compiuto da Hermann Ebbinghaus verso la fine dell’Ottocento. Egli studiò la memorizzazione di triplette di lettere, consonante-vocale-consonante, prive di senso, tipo dax e bok, evitando in questo modo la possibilità di associare il materiale da ricordare con un significato, che ne avrebbe facilitato il ricordo ed avrebbe anche implicato nel test il bagaglio cognitivo del soggetto. Ebbinghaus si esercitava a memorizzare una lista di triplette fino a che otteneva un ricordo immediato completo, poi verificava quanto tempo impiegava per dimenticarle sottoponendosi a prove di rievocazione sempre più distanti dall’apprendimento: da 20 minuti fino a 31 giorni. In questo modo egli poté descrivere una curva dell’o.: il declino della prestazione di rievocazione era particolarmente rapido nei primi 20 minuti, ancora elevato entro il primo giorno e poi rallentava. I dati potevano essere descritti da una curva esponenziale. Secondo questo approccio, l’o. dipenderebbe dal decadimento della traccia di memoria. Studi successivi hanno mostrato che questa spiegazione non è sufficiente. In partic., la forma della curva è fortemente influenzata dalle attività svolte durante l’intervallo di ritenzione e il decadimento esponenziale non si applica alle memorie autobiografiche. Sono stati quindi proposti altri meccanismi per spiegare l’oblio.
Un meccanismo proposto è legato ai fenomeni di consolidamento della memoria (➔). Una traccia di memoria a lungo termine subisce un processo di consolidamento che ne rende possibile il richiamo in tempi successivi. Questo processo può essere influenzato dallo stato del soggetto al momento dell’apprendimento, e in partic. dall’attenzione (➔) e dalla motivazione (➔), che sono collegate: se siamo motivati ad apprendere qualcosa, vi dedichiamo più attenzione. Lo stato attentivo e di attivazione del soggetto influenza sia la codifica e l’organizzazione del materiale da memorizzare sia il processo di consolidamento attraverso fattori molecolari legati all’attività di neurotrasmettiori come acetilcolina, noradrenalina, dopammina e all’attivazione di ormoni circolanti. La presenza di componenti emozionali è un altro fattore che influenza il consolidamento, attraverso lo stato di attivazione del soggetto e attraverso le interazioni fra i sistemi neurali dell’emozione e i sistemi neurali di memoria. Siamo tutti consapevoli che memorie emotivamente cariche sono particolarmente resistenti all’oblio. Probabilmente ci ricordiamo tutti dove eravamo e cosa facevamo nel momento in cui abbiamo ricevuto una notizia particolarmente felice o particolarmente drammatica, come se rivedessimo una foto presa in quel momento (sono le cosiddette memorie flashbulb). Al contrario, livelli elevati e prolungati di stress o di paura possono portare all’o., con conseguente perdita di memoria che può andare da lieve a grave. In questo caso, l’o. potrebbe essere dovuto all’azione del cortisolo sui suoi recettori nell’ippocampo, che danneggerebbe il consolidamento di memorie recenti e il recupero di memorie remote.
Un altro meccanismo responsabile dell’o. è l’interferenza, in partic. l’interferenza retroattiva: l’apprendimento di nuove informazioni interferisce cioè con la rievocazione di informazioni apprese precedentemente. Questo spiegherebbe il fatto che il tipo di attività svolta durante l’intervallo di ritenzione influenza la curva dell’oblio. L’interferenza è tanto maggiore quanto più il materiale nuovo è simile al materiale da ricordare. È quindi probabile che il risultato di azioni quotidiane (per es., il mangiare) sia facilmente soggetto a interferenza retroattiva, a meno che non sia caratterizzato da qualcosa di particolare (per es., un compleanno, o l’aver cenato fuori casa o l’aver mangiato qualcosa di insolito), o se sono presenti componenti emozionali che facilitano il consolidamento. L’interferenza gioca un ruolo anche nella perdita di materiale dalla memoria a breve termine.
L’interferenza non agirebbe cancellando la traccia di memoria ma impedendo l’accesso a essa. E qui arriviamo alla terza possibile causa dell’o.: la mancanza di recupero. In questo caso, la traccia di memoria non è assente, come nel caso di una mancanza di consolidamento; essa è ancora immagazzinata nella memoria a lungo termine, ma non è accessibile e quindi non può essere richiamata. Questo è stato verificato nell’uomo attraverso il cosiddetto richiamo stimolato: se si forniscono a un soggetto informazioni correlate con un evento che egli non è in grado di ricordare, il soggetto potrebbe riuscire a ricordarlo. Per es., la menzione della presenza di una particolare persona a un evento apparentemente caduto nell’o. potrebbe portarci a ricordarlo interamente. Questo dimostra che la traccia era disponibile e che il ‘difetto’ stava nella sua inaccessibilità.
La quantità di informazioni che arrivano continuamente al cervello è enorme e se venissero tutte memorizzate saremmo probabilmente sopraffatti: un primo filtro è dato dai processi attentivi, che limitano le informazioni che entrano nei sistemi di memoria, ma un secondo filtro è dato dall’oblio. Il caso di soggetti ipermnesici, quali il paziente S., studiato dal neuropsicologo russo Aleksander Lurja, ne è un esempio. Non poter dimenticare nulla faceva sì che la sua mente fosse continuamente invasa da memorie che interferivano, alla fine, proprio con la capacità di ricordare i fatti, le persone e le cose della vita reale