OBLIQUAE IMAGINES
La espressione è stata usata da Plinio due volte (Nat. hist., xxxv, 56; 90) e con significato apparentemente diverso.
Nel primo caso Plinio cerca di render latino il termine katàgraphon, che in greco vale "la proiezione sul piano" di un qualsiasi corpo dato, plastico o geografico, parallelo alla vista o "scorciato"; nel secondo caso si vuol soltanto definire il semplice ripiego disegnativo di mostrare la faccia di Antigono - cieco da un occhio - "obliqua" in modo che si veda solo la metà del viso coll'occhio buono.
Storicamente i due termini di katàgraphon e di obliquus hanno le loro radici nella legge universale della "miglior visione", la quale, per definizione, prescinde dalla procedura e dalla mentalità dello scorcio. Ad un certo momento della sua esperienza l'artefice constata a poco a poco che gli oggetti e i corpi non diminuiscono la loro consistenza e il loro volume, anche quando sian disegnati secondo visioni ridotte, cioè di fianco, di sotto, di sopra: le braccia e le gambe mantengono la loro naturale lunghezza all'occhio umano, anche se disegnate raccorciate o piegate; basta che al contorno lineare delle figure si accompagni un facile ed automatico accorgimento chiaroscurale di tratteggio ai margini (già documentato in epoca minoica).
Soltanto, è da notare che il termine katàgraphon comprende ambedue le accezioni disegnative dell'oggetto, quella della miglior visione e quella comunque raccorciata (il termine infatti è usato per tutti i fenomeni disegnativi connessi con Kimon); invece il vocabolo latino ignora questa latitudine semantica e si riferisce soltanto a visioni laterali e quindi allo scorcio.
Bibl.: S. Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, ad loc.