OBOE (fr. hautbois; sp., ted. e ingl. oboe)
Strumento a fiato (del gruppo dei legni) munito d'un'ancia doppia. Nel tubo, leggermente conico, si aprono alcuni fori e lungo di esso son collocate le chiavì. L'estremità inferiore è leggermente svasata.
L'origine dell'oboe è antichissima. È noto come sotto il generico termine di αὐλός i Greci (e i Romani sotto quello di tibia) comprendessero varî strumenti di analoga specie. Si racconta che all'ἀυλός di Mida d'Agrigento, durante un'esecuzione, si ruppe l'ancia e che allora Mida senza di essa "seguitò a suonare, con meraviglia degli ascoltatori, nel tubo dell'αὐλός come se fosse stato una siringa". Qui troviamo dunque una netta distinzione fra i due strumenti; distinzione del resto fatta anche da molti altri scrittori antichi. Con l'indebolirsi della civiltà pagana, l'arte auletica decadde: rimase retaggio principalmente dei giullari e dei suonatori girovaghi. In un manoscritto del sec. XI, proveniente dall'abbazia di Limoges, si trovano due disegni che raffigurano un suonatore di uno strumento somigliante all'oboe che accompagna un giocoliere.
Nel Medioevo, per indicare strumenti del genere di quello di cui ci occupiamo senza designarne con precisione le varietà, si usavano varî vocaboli. Così le parole della bassa latinità: fistula pandura, cabreta, pipa erano tutte varietà di strumenti genericamente designati col termine calamus che nel volgare italiano si tradusse in cialamo e cialamello, in quello francese in chalumeau, e in quello tedesco di Schalmey.
I due maggiori trattatisti tedeschi, S. Virdung (1511) e M. Praetorius (1618) distinguevano due specie di tali strumenti: Cromorni e Schalmey o Pommer (perché, forse, usati particolarmente nella Pomerania); quelli a tubo ricurvo e questi a tubo dritto. I cromorni - chiamati in Italia anche cornamuti torti - avevano altresì l'ancia doppia chiusa dentro un bossolo e un'estensione molto limitata: formavano una famiglia strumentale costituita da quattro membri (soprano, contralto, tenore e basso); avevano una sonorità malinconiosa ed erano privi di chiavi.
Secondo il Mahillon, durante la dominazione spagnola nei Paesi Bassi, lo Schalmey era lo strumento principalmente usato nelle feste popolari e nelle musiche che si facevano per le pubbliche solennità per le parate.
Il Praetorius distingue negli Schalmey i seguenti membri: KleineSchalmey, che risponde al francese chalumeau e all'italiano piffero; Diskant-Schalmey, che risponde al francese dulfaine; Pommer-Alte, che in Francia fu distinto col termine haultbois (poi hautbois); Pommer-Tenor, Pommer basso e Gros-Quint Pommer che furono più tardi sostituiti dai fagotti. Queste quattro ultime varietà assunsero in Italia rispettivamente il nome di: bombardino, bombarda tenore, bombarda bassa e bombardone, mentre italianizzando il francese hautbois, il Diskant-Schalmey fu chiamato oboe o (come si usava dire nel passato) oboè.
Di tutti questi strumenti, che formavano un'intera famiglia, ognuno aveva un'estensione di circa due ottave. Quelli di registro più basso venivano muniti anche di chiavi e, data la lunghezza, venivano suonati per mezzo di una serpentina all'estremità della quale si applicava l'ancia doppia. Questi oboi furono in uso nella pratica musicale del Cinque e Seicento soprattutto per accompagnare danze popolari e nelle bande delle città (in Italia erano noti col nome di Pifferi della Signoria o di Palazzo), ma col tempo gli oboi di registro basso per il loro disagevole maneggio caddero in disuso e furono sostituiti da strumenti affini, mentre rimasero in vigore quelli di registro acuto. Sulla fine del sec. XIV alla corte di Francia erano stati molto in voga gli haultbois de Poitou come ornamento e diletto delle feste campestri unitamente alle cornamuse e alle musettes. Nel Seicento poi si trasformarono in Grande Hautbois de l'Ecurie e il padre Mersenne ne rileva la potenza sonora e la grande armoniosità, superata solo da quelle della tromba.
Per tale loro qualità gli oboi cominciarono a essere usati anche nelle bande militari, e G. B. Lulli scrisse per essi apposite marce a quattro voci. Ma, uniti ai violini, dovettero cedere a questi il predominio nei concerti. Data la loro penetrante sonorità, gli oboi cominciarono a essere usati come strumenti di ripieno negli oratorî, nelle cantate e nelle opere e, quando il loro meccanismo fu perfezionato, l'esattezza della loro intonazione cominciò a essere corretta, cosicché si pensò a servirsene negli "a solo", come si nota nelle partiture di Bach e di Händel.
A mettere in maggior rilievo le qualità espressive e timbriche dell'oboe contribuirono notevolmente i fratelli Besozzi di Parma che furono nel Settecento celebrati nei maggiori paesi europei, e per l'abilità come suonatori e per l'eccellenza delle loro composizioni per oboe. Questo strumento che nel principio del secolo possedeva solo tre o quattro chiavi, andò mano a mano accrescendo il numero delle chiavi. Lo scopo di queste era di evitare che, per ottenere certi suoni, si dovessero chiudere a metà alcuni fori e rendere quindi l'intonazione poco sicura. Fabbricanti di oboi del Settecento furono, tra i più rinomati: il Hotteterre, Gherardo Hofmann, il Sallantin e in principio del secolo passato il Vogt, Professore nel Conservatorio di Parigi.
Nel metodo del Sellner, pubblicato a Vienna nel 1825, appare che l'oboe possedeva già dieci chiavi: non tutte, però, collocate in felice posizione agli effetti della digitazione.
Maggiori perfezionamenti apportò nell'Ottocento F. Triebert che riuscì ad ottenere suoni puri e omogenei mercé l'opportuna collocazione di alcune chiavi, specialmente a vantaggio della digitazione. Infine l'applicazione nell'oboe della chiave ad anelli di Böhm diede uno strumento che risponde compiutamente alle esigenze della pratica odierna. Il meccanismo riesce perfezionato, migliorata la sonorità per omogeneità e rotondità fonica, possibili taluni passaggi, trilli e abbellimenti. L'oboe moderno ha un'estensione di due ottave e mezzo dal si sotto il rigo al fa sopra (e anche dal si bemolle al la sopracuto), è costruito in ebano e in cedro, ha un timbro abbastanza delicato, benché, nel registro acuto, dia un suono mordente, e soffuso di melanconia.
Il basso dell'oboe, chiamato corno inglese, deriva dall'oboe da caccia (dei tempi bachiani) a sua volta derivato dal Pommer tenore. Pare che siffatto nome sia dovuto al fatto che un certo Giovanni Ferlendi, d'origine bergamasca, vivente a Strasburgo, ebbe l'idea di ricurvare lievemente l'oboe alto dandogli così un aspetto assomigliante al corno da caccia usato in Inghilterra. Il corno inglese è tagliato una quinta sotto l'oboe ordinario e il suo uso come strumento solista, specie nell'orchestra moderna, è assai frequente.
Al tempo di Bach si usò l'oboe d'amore, tagliato una terza minore sotto l'oboe comune e spesso da questo maestro adoperato in varie sue cantate.
Uso in orchestra. - L'oboe nei tempi di G. B. Lulli conservava ancora un carattere essenzialmente pastorale e rustico; esso però non doveva tardare molto a prendere il suo vero posto nell'orchestra assumendo nell'insieme degli strumentini la medesima funzione di soprano lirico ed espressivo che il violino disimpegna nell'insieme degli archi. L'oboe è infatti senza rivali nella sua famiglia sotto l'aspetto espressivo. Se il flauto e il clarinetto hanno maggior agilità, se il fagotto possiede maggiori risorse di comicità e arguzia, nessuno di questi altri "fiati" raggiunge la forza espressiva dell'oboe, espressività che gli permette di rendere con uguale intensità i sentimenti più varî: gioia, dolore, passione amorosa, candore, grazia innocente. Il suo timbro singolarissimo e penetrante poi gli consente di distinguersi (quando la sua parte abbia un minimo di carattere concertante), anche in un fortissimo, da qualsiasi poderoso "tutti" orchestrale, a tal punto che è norma elementare per lo strumentatore di dare sempre un carattere indipendente e solistico alla parte dell'oboe. E neppure i profondi mutamenti subiti dalla tecnica orchestrale nell'ultimo ventennio hanno potuto mutare sostanzialmente questo carattere espressivo e lirico dello strumento. Tanto è vero che il Jazz, il quale ha sfruttato al massimo il sassofono e creata una tecnica completamente nuova per certi strumenti come il clarinetto, la tromba, il trombone, la percussione, non ha potuto modificare nulla al carattere dell'oboe e ha rinunciato persino a servirsene.