Obriachi
Famiglia fiorentina, ben nota ai tempi di D. per la pratica della mercatura e per l'attività bancaria che svolgeva in notevole misura, oltre che a Firenze, a Venezia e nell'Italia meridionale. Mediante la descrizione dello stemma (in campo rosso un'oca al naturale) dipinto sulla borsa pendente dal collo di un dannato incontrato nel settimo cerchio (If XVII 61-63), D. mostra di voler collocare fra gli usurai un membro di questa famiglia (secondo le Chiose anonime, si tratterebbe di un Ciapo O.; ma nel 1298 era noto anche un Locco, prestatore di denaro in Sicilia), intendendo forse esprimere in tal maniera un giudizio di condanna morale valido per l'intera casata.
Nella Firenze dei tempi di D. si ebbero due famiglie dello stesso cognome O., ma ben diverse fra loro per lo stemma portato, per la posizione economica e sociale, per l'ideologia politica di cui furono seguaci, e, infine, per la vicenda genealogica, che gli eruditi fiorentini dei secoli XVII e XVIII, e poi i genealogisti più recenti (Passerini, Sebregondi) hanno ricostruito e descritto sulla base delle fonti cronistiche e della documentazione archivistica. Gli studi genealogici e di storia fiorentina hanno permesso, in primo luogo, di precisare la grafia del cognome, che vien riportato in forme diverse (Ebriaci, Imbriaci, Ubriachi, Ubbriachi, Obriachi) nelle cronache e nelle carte di archivio, attribuendogli quasi unanimemente la forma ‛ Obriachi '. Questa, però, non è accettata da importanti storici di Firenze (Davidsohn) né da taluni studiosi di cose dantesche, i quali più volte nelle loro opere adottano la forma ‛ Ubbriachi '. I genealogisti hanno anche tentato di stabilire se le due famiglie O., che appaiono per tanti motivi così diversificate fra loro già ai tempi di D., derivino da un ceppo originario comune; ma in questo campo non è stato raggiunto alcun risultato positivo.
Gli O. che aderirono alla Parte guelfa sembrano derivati da un Ebriaco di Albertino, della curia di Castelvecchio.
Alla relativa modestia delle condizioni sociali, alle recenti origini e alla pochezza dell'attività politica ed economica degli O. guelfi si contrappongono, infatti, l'importanza, l'antichità, e la potenza politica e finanziaria degli O. ghibellini. Alle origini di questa grossa consorteria si può porre criticamente un Ibriaco di altro Ibriaco, che compare in due documenti del secolo XII. Nel primo (1166), egli figura come testimone di una compra di beni che i monaci di Vallombrosa fanno da un Ormanno di Giannucolo; con il secondo (1173), agendo insieme ai fratelli Geri e Martino, egli vende agli stessi Vallombrosani una via che attraversava le proprie terre. Dai documenti si conoscono anche i nomi dei quattro figli di questo Ibriaco viventi in Firenze all'inizio del Duecento e abitanti in Oltrarno (G. Villani V 39, VI 33 e 65), nelle case e torri poste nel borgo che allora si chiamava ‛ Pitiglioso ' e oggi è denominato via de' Bardi: Franceschino, morto crociato in Terra Santa; Sinibaldo, che nel 1232 era console dei Mercanti, e che nel 1326 si qualifica " messere " in un documento col quale si obbligava a pagare 2.000 lire pisane a un Iacopino da Carignano, collaterale del podestà di Firenze; Gherardo, membro dei consigli del comune nel 1214, e partecipe delle divisioni insorte nella città nel 1215, quando, insieme con i suoi consorti, si schierò a fianco degli Uberti contro i Buondelmonti; Ugo - detto anche Uguccione o Cione -, anch'egli cavaliere ‛ a spron d'oro ' e console dei Mercanti (1204), il quale compare come partecipante all'atto con cui i conti Alberti cedettero il castello di Capraia ai Fiorentini.
La documentazione archivistica concorda con le notizie tramandate dai cronisti nel delineare con sufficiente precisione la prosperità economica degli O., proprietari di terre nel contado, di case e di torri in città, e tanto importanti in seno al ceto dei banchieri e dei cambiatori da arrivare più volte al vertice della loro organizzazione politica e sociale; essi furono legati da interessi economici e da alleanze matrimoniali agli Uberti, che seguirono al momento della divisione di Firenze nelle due Parti guelfa e ghibellina.
Documentazione archivistica e fonti cronistiche danno, inoltre, il senso dell'accanimento con cui gli O. parteggiarono, impegnandosi nei conflitti sanguinosi della prima metà del Duecento. Dei cinque figli di messer Ugo di Ibriaco, uno, Gianni, perì per mano degli avversari nel 1258; altri tre, Cione, Ceffo e Obriaco, furono banditi nel 1268; il quinto, Arduino, già noto da documenti del 1231 e del 1247, risulta morto prima del definitivo trionfo guelfo, forse anch'egli ucciso in uno scontro armato con i nemici. Nel 1258 la prosperità economica e l'influenza politica degli O. subirono un grave colpo per effetto dei bandi emanati dai guelfi, che li costrinsero pressocché tutti all'esilio. Ma tornarono in patria nel 1260, e si spartirono il potere con le altre maggiori casate ghibelline; capo degli O. appare in questo periodo un Abate di Boninsegna, membro dei consigli del comune, presente (22 novembre 1260) all'elezione di Lotteringo Pegolotti a plenipotenziario di Firenze per trattare l'alleanza con i Senesi, e (12 gennaio 1261) alla ratifica del patto che questi aveva concluso. Otto anni più tardi, gli O. sono nuovamente, e questa volta definitivamente, cacciati in esilio, dopo il trionfo dei guelfi.
Tuttavia, l'ostracismo generale decretato contro la consorteria fu in parte mitigato nel 1280, riammettendo in città Abate di Segna e Neri di Nerlo, a sottoscrivere la pace detta del cardinale Latino, anche se la condanna restò confermata a danno degli altri, O. e, con particolare durezza, fu ribadita contro Ghino di Gherardo, Vinaccio di Bencivenni e Martinuccio di Aldobrandino, i più invisi alla parte vittoriosa.
Il bando guelfo fu rafforzato, poco più tardi, dall'inclusione degli O. fra quei magnati ai quali veniva tolta nel 1282 la possibilità di adire alle magistrature e uffici del comune, con un provvedimento che fu reso perpetuo dagli Ordinamenti di Giustizia e dalla riforma del 1311.
Se, però, in conseguenza della legislazione antimagnatizia gli O. non compaiono più fra gli esponenti della vita politica cittadina, non ne fu rovinata del tutto l'attività economica, il cui centro tende ora a spostarsi in sempre maggior misura fuori di Firenze, a Venezia e nell'Italia meridionale.
Ancora a Firenze, pur se esclusi tuttora dai pubblici uffici, continuarono a esercitare la mercatura e il cambio Aliotto di Simone di Aliotto, che troviamo immatricolato all'Arte nel 1350, imitato, nel 1368 da suo fratello Agnolo. Il patrimonio immobiliare e l'esercizio del commercio non avevano subito, quindi, nel caso degli O., quel tracollo che, in concomitanza con la perdita dell'influenza politica, aveva distrutto la prosperità economica di tante altre casate ghibelline o magnatizie. La documentazione archivistica induce, però, a ritenere che la porzione meno rilevante di detta ricchezza sia stata quella che rimase in mano degli O. che avevano continuato a dimorare in patria. Questi ultimi, tuttavia, riuscirono a riemergere dalla crisi nella quale li aveva precipitati sul piano politico la legislazione antimagnatizia e, in conseguenza dell'azione personale svolta da Baldassare di Simone di Aliotto (che s'iscrisse all'Arte del cambio nel 1365), ottennero la revoca del bando perpetuo dalla vita pubblica, così che nel 1391 lo stesso Baldassare poté essere " squittinato " insieme con gli altri cittadini di pieno diritto. Questo O. è ricordato anche come un benefattore insigne del convento domenicano di Santa Maria Novella, per le oblazioni che aiutarono a edificare il secondo chiostro e la sede del noviziato; egli fu insignito anche della dignità di comes palatinus.
Bibl. - Le notizie riferite dai cronisti sono state riprese più volte da P. Monaldi, Istoria delle famiglie della città di Firenze scritta nel 1607, con l'aggiunta di monsignor Sommai fino all'anno 1626 (Archivio di Stato di Firenze, Biblioteca manoscritti, 422), c. 286; da P. Mini, Difesa della città di Firenze e de' Fiorentini, ecc., Lione 1577; da B. de' Rossi, Lettera a Flamminio Mannelli... nella quale si ragiona... delle famiglie e degli uomini di Firenze, ibid. 1585, 56; e da S. Ammirato, Albero e istoria della famiglia dei conti Guidi, colle giunte di S. Ammirato il giovane, Firenze 1650, 78. Nel secolo XIX la vicenda genealogica degli O. fu ristudiata da L. Passerini, le cui note ancora manoscritte (biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Carte Passerini, 158 bis/48), fondate su nuove ricerche di archivio (tra l'altro, Arch. Stato Firenze, Diplomatico; Carte dell'Ancisa, DD 416, EE 178, HH 655, II 314, ll 672, MM 644; Carte Dei, XXXV 9) sono state riprese da G.G. Warren Lord Vernon, L'Inferno di D.A. disposto in ordine grammaticale e corredato di brevi dichiarazioni, II (Documenti), Londra 1862, 597-598; e in Scartazzini, Enciclopedia 2036-2037. La vicenda genealogica degli O. è stata studiata nel quadro della storia cittadina in Davidsohn, Storia, ad indicem (voce ‛ Ubbriachi '). Per gli O. che hanno operato a Venezia, si veda l'opera di E. Cicogna, Delle iscrizioni veneziane, VI, Venezia 1858, 371.