Abstract
Esistono diverse tipologie di incentivi per l'occupazione, catalogabili secondo la natura del “premio” che viene rilasciato al datore di lavoro che realizza l’incremento occupazionale: incentivi normativi, contributivi, economici e fiscali.
La riforma del mercato del lavoro del 2012 ha fissato alcuni criteri generali che devono essere applicati, a qualsiasi livello, nel caso di riconoscimento degli incentivi, con l’obiettivo di selezionare i datori di lavoro destinatari delle diverse forme di incentivazione.
L'incentivo contributivo riconosciuto della legge di stabilità per il 2015 in favore delle nuove assunzioni a tempo indeterminato ha ampliato la nozione tradizionale, essendo applicabile anche in deroga ai criteri fissati dalla precedente riforma.
Le misure che il legislatore adotta per sostenere la creazione o il mantenimento dell’occupazione sono comunemente definite come “incentivi per l’occupazione”. Esistono diverse tipologie di incentivi, catalogabili secondo la natura del “premio” che viene rilasciato al datore di lavoro che realizza l’incremento occupazionale: incentivi normativi, contributivi, economici e fiscali.
Gli incentivi di tipo normativo si caratterizzano per la previsione di una disciplina di favore, rispetto a quella comune, di alcuni aspetti del rapporto di lavoro.
Un tipico incentivo di carattere normativo è quello che consente di non computare i lavoratori assunti mediante un determinato contratto ai fini del calcolo delle soglie numeriche che caratterizzano tradizionalmente le norme del diritto del lavoro (es. il numero di dipendenti necessari ai fini dell’applicazione dell’art. 18 st. lav., o il numero di dipendenti che determinano l’applicazione degli obblighi in materia di collocamento obbligatorio (assunzioni obbligatorie) dei disabili ai sensi della l. 12.3.1999, n. 68, ecc.).
In applicazione di questo criterio, sono esclusi dal computo dei lavoratori ai fini delle predette norme i contratti di apprendistato, i contratti di inserimento, i contratti di lavoro intermittente, i lavoratori utilizzati mediante la somministrazione di manodopera.
Nel novero degli incentivi di carattere normativo possono essere incluse anche le norme che consentono il cd. sottoinquadramento dei lavoratori assunti con determinati contratti. La legge riconosce ai datori di lavoro che assumono soggetti con contratto di inserimento o di apprendistato la possibilità di inquadrare i lavoratori in uno o due livelli inferiori rispetto a quelli relativi alle mansioni svolte.
La logica di queste norme non è solo quella di incentivare il datore di lavoro; emerge anche la considerazione della inadeguatezza iniziale del lavoratore − che nei due contratti è coinvolto, con intensità diversa, in percorsi di addestramento e formazione − alle mansioni che è destinato a svolgere.
Gli incentivi di natura contributiva si caratterizzano per la previsione di costi contributivi inferiori rispetto a quelli previsti per la generalità dei rapporti di lavoro subordinato.
Questo tipo di incentivi accompagna tradizionalmente i contratti di apprendi- stato, il cui costo contributivo è stato per molti decenni, a partire dalla l. 19.1.1955, n. 25, determinato in una misura fissa di entità irrisoria.
Con la legge Finanziaria per il 2007 (l. 27.12.2006, n. 296), è stato abbandonato il criterio della misura fissa come regola per la determinazione del contributo previdenziale per gli apprendisti, e si è prevista l’applicazione della regola ordinaria, che individua il contributo come quota proporzionale della retribuzione imponibile ai fini previdenziali. Resta in vita, tuttavia, una disciplina di favore in quanto l’entità del contributo è comunque di gran lunga inferiore a quella prevista per i rapporti di lavoro ordinari (la legge prevede il 10 per cento, cui si aggiunge la maggiore per il finanziamento dell’Aspi (Assicurazione sociale per l’impiego), in luogo del 32 per cento previsto come regola generale, con l’eccezione per le imprese artigiane con un numero di addetti fino a 9, per le quali la contribuzione è fissata in misura pari a zero, fino al 2016, e in misura crescente e comunque inferiore per i periodi successivi).
Altri incentivi contributivi sono riconosciuti (l. 23.7.1991, n. 223 e l. 19.7.1993, n. 236) per l’assunzione di lavoratori iscritti nelle liste di mobilità (anche tramite la somministrazione di manodopera, l. Finanziaria 2010); tali incentivi sono riconosciuti per l’assunzione di lavoratori iscritti alle liste con diritto all’indennità (Indennità di mobilità) e, con una disposizione di carattere temporaneo rinnovata più volte, per l’assunzione dei lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivo da imprese fino a 15 dipendenti.
L’assunzione a tempo indeterminato di questi soggetti comporta in favore del datore di lavoro la possibilità di fruire di un costo contributivo uguale a quello previsto per gli apprendisti, per un periodo di 18 mesi (tale periodo si riduce a 12 mesi, nel caso di assunzione dei lavoratori con contratto a tempo determinato).
Per quel che riguarda le assunzioni a tempo indeterminato, la legge di stabilità per il 2015 (art. 1, co. da 118 a 124, l. 23.12.2014, n. 190) ha introdotto una misura specifica per chi assume a tempo indeterminato.
La norma prevede, per un periodo massimo di 36 mesi, l’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro (nel tetto massimo annuale di 8.060 euro) con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Inail.
Il bonus, che spetta a tutti i datori di lavoro privati, non è cumulabile con gli altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente.
Il bonus non viene riconosciuto per: a) l’assunzione di apprendisti e di lavoratori domestici; b) l’assunzione di lavoratori che nei 6 mesi precedenti abbiano avuto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, presso qualsiasi datore di lavoro.
Inoltre, al fine di scongiurare condotte elusive, la norma vieta la spettanza dell’agevolazione derivante dalle assunzioni di lavoratori che nei 3 mesi precedenti il 1° gennaio 2015 abbiano intrattenuto rapporti di lavoro a tempo indeterminato con il datore di lavoro richiedente l’esonero contributivo, anche per il tramite di società controllate o collegate o facenti capo, anche per interposta persona, al datore di lavoro.
L’incentivo non determina alcuna riduzione della misura del trattamento previdenziale, in quanto l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche resta fissata nella misura ordinaria; allo stesso modo, non sono intaccati gli istituti e gli interventi previdenziali rivolti ai lavoratori, a seconda del settore in cui opera il relativo datore di lavoro.
Gli incentivi di natura economica si caratterizzano per l’erogazione diretta da parte della p.a. di benefici di carattere monetario in favore dei datori di lavoro che assumono particolari tipologie di lavoratori o utilizzano determinate tipologie contrattuali. Questa tipologia di incentivi non trova una grande diffusione nel nostro ordinamento, in ragione della loro scarsa selettività, dovuta alla necessità di individuare delle efficaci procedure burocratiche in grado di selezionare i beneficiari, e delle difficoltà di procedere al loro recupero nel caso in cui si verifichi l’assenza dei presupposti per la loro percezione.
Come esempi di questo tipo di incentivi si segnalano quelli collegati all’assunzione dei lavoratori in precedenza impegnati nei lavori socialmente utili, previsti dall’art. 7, co. 1, d.lgs. 28.2.2000, n. 81. Questa tipologia di incentivi trova una maggiore diffusione nella legislazione regionale, che spesso prevede la concessione di contributi di carattere economico in favore dell’utilizzo di particolari tipologie di assunzioni (tra le molte, la l.r. Emilia Romagna, 1.8.2005, n. 17).
La diffusione di questo strumento di intervento nella legislazione regionale si giustifica con il minore ambito di intervento entro il quale questa fonte è in grado di muoversi, e in particolare con il fatto che le norme di carattere previdenziale e fiscale e quelle dedicate alla disciplina del rapporto di lavoro sono di competenza esclusiva del legislatore statale, ai sensi dell’art. 117 Cost.
Ne consegue che l’unica leva su cui le leggi regionali possono poggiare per la promozione di nuova occupazione (oltre, ovviamente, alla gestione dei servizi per l’impiego, oggetto di potestà normativa concorrente e di competenza amministrativa regionale esclusiva) è proprio quella del riconoscimento di incentivi monetari.
Gli incentivi di natura fiscale riconoscono la possibilità di ottenere, con forme diverse, riduzione delle imposte nel caso di utilizzo di determinate tipologie contrattuali di lavoro subordinato.
Tradizionalmente questo tipo di incentivo è destinato, al contrario di quelli normativi e contributivi, ai datori di lavoro che utilizzano contratto di lavoro a tempo indeterminato. La logica di questa bipartizione sembra scaturire dal diverso ambito di operatività delle diverse tipologie di incentivo. Gli incentivi di carattere normativo o contributivo sono costruiti come elementi accessori alle singole tipologie contrattuali che si utilizzano, e mirano ad incentivare mediante la riduzione dei costi contributivi e delle regole di gestione la creazione di nuova occupazione mediante il ricorso a contratti di lavoro speciali o flessibili; al contrario, gli incentivi di carattere fiscale, in ragione della loro ampiezza ed estensione, si atteggiano come norme generali ed astratte destinate alla creazione di occupazione stabile o all’incentivazione di specifiche attività ritenute meritevoli di un trattamento fiscale di favore.
Esempi di incentivi fiscali si trovano nell’art. 11, co. 4-sexies, d.lgs. 15.12.1997, n. 446, come modificato dall’art. 1, co. 266, della l. Finanziaria 2007, che prevede deduzioni fiscali destinate alle imprese che realizzino un incremento della base occupazionale tramite assunzione a tempo indeterminato di lavoratrici rientranti nella definizione di lavoratori svantaggiati di cui al reg. CE 2204/2002. Rientra in questa categoria di incentivi anche la disposizione contenuta nell’art. 1, co. 266 e ss. della l. n. 296/2006, che prevede un deciso intervento volto alla riduzione del cd. cuneo fiscale e contributivo in favore delle imprese che assumono lavoratori con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Tra gli strumenti previsti dalla legge per individuare in maniera selettiva i datori di lavoro che possono fruire dei diversi incentivi previsti dall’ordinamento, rientra anche l’obbligo di richiedere e ottenere il Documento unico di regolarità contributiva (cd. DURC), introdotto dall’art. 1, co. 1175 e 1176, l. n. 296/2006 (la Finanziaria per il 2007) e regolamentato dal d.m. 24.10.2007. La norma ha esteso a tutti i datori di lavoro l’onere di ottenere il Documento unico di regolarità contributiva per l’accesso ai benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale; tale onere era in precedenza previsto solo per il settore dell’edilizia e dell’agricoltura. Il possesso del DURC costituisce condizione necessaria, ma non sufficiente, per la percezione degli incentivi, nel senso che restano valide le diverse disposizioni che subordinano l’accesso agli incentivi ad ulteriori oneri, che vanno a sommarsi a quello del possesso del DURC.
La l. 28.6.2012, n. 92 persegue l’obiettivo ambizioso di fissare i criteri generali che devono essere applicati, a qualsiasi livello, nel caso di riconoscimento di incentivi economici in favore di chi assume specifiche categorie di lavoratori; questi criteri sono definiti dall’art. 4, co. 12, 13, 14 e 15 della legge.
La lett. a) del co. 12 stabilisce che gli incentivi all’occupazione non spettano nei casi in cui l’assunzione sia fatta come adempimento di un obbligo previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva (es. per il collocamento dei disabili); il divieto opera anche se il lavoratore avente diritto all’assunzione sia utilizzato mediante un contratto di somministrazione di manodopera.
La lett. b) del co. 12 prosegue stabilendo il divieto di riconoscere gli incentivi ogni qual volta non venga rispettato il diritto di precedenza, stabilito dalla legge o dalla contrattazione collettiva, alla riassunzione di lavoratori precedentemente licenziati da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato o a termine. La stessa norma chiarisce che se il lavoratore è titolare di un diritto di precedenza ma viene utilizzato mediante un contratto di somministrazione di manodopera, l’impresa utilizzatrice non può fruire del beneficio contributivo, qualora non abbia preventivamente offerto al lavoratore la riassunzione diretta.
La lett. c) del co. 12 riconosce alle imprese che hanno in corso una sospensione del lavoro per crisi o riorganizzazione aziendale, la possibilità di fruire delle agevolazioni in tutti i casi in cui l’assunzione del lavoratore (o il suo utilizzo mediante la somministrazione di lavoro) siano finalizzate all’acquisizione di professionalità sostanzialmente diverse rispetto a quelle dei lavoratori sospesi. Invece, è vietato il riconoscimento di incentivi per l’assunzione o l’utilizzo di personale destinato a sostituire i lavoratori che sono stati sospesi.
La lett. c) del co. 12, sempre in tema di sospensione dell’attività lavorativa, consente il godimento degli incentivi nei casi in cui le assunzioni siano effettuate presso una unità produttiva diversa rispetto a quella in cui opera la sospensione.
La lett. d) del co. 12 mira a prevenire forme fraudolente di aggiramento dei divieti, stabilendo che non possono beneficiare degli incentivi quei datori di lavoro che nei 6 mesi precedenti al licenziamento del lavoratore presentino assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli del datore di lavoro che intende procedere all’assunzione, o comunque risultino in rapporto di collegamento o controllo societario con tale soggetto. Viene riproposto un principi già noto all’ordinamento, e si precisa che nel caso della somministrazione di manodopera tale condizione si applica anche all’utilizzatore.
Il co. 15 prevede una specifica sanzione per i casi di inoltro tardivo delle comunicazioni telematiche obbligatorie inerenti l’instaurazione e la modifica di un rapporto di lavoro o di somministrazione. Il ritardo, secondo la norma, comporta la perdita della quota di incentivo relativa al periodo compreso tra la decorrenza del rapporto agevolato e la data della tardiva comunicazione.
Il co. 13 dell’art. 4 stabilisce alcune regole generali ai fini della determinazione del diritto agli incentivi e della loro durata.
In primo luogo, viene esclusa la possibilità di cumulare i periodi di lavoro subordinato o somministrato, a meno che il lavoratore abbia prestato la sua attività in favore dello stesso datore di lavoro.
La norma, inoltre, esclude dal diritto agli incentivi il datore di lavoro che intenda assumere un lavoratore iscritto nelle liste di mobilità ove assetti proprietari coincidenti e rapporto di controllo e collegamento con il precedente datore di lavoro.
Il co. 14 disciplina agevolazioni contributive a favore dei datori di lavoro che assumono, con contratto a tempo indeterminato (o anche a tempo parziale), i lavoratori disoccupati da almeno 24 mesi. La norma, modificando in parte il testo dell’art. 8, co. 9, l. 29.12.1990, n. 407, circoscrive il divieto ai casi in cui le assunzioni siano effettuate in sostituzione di lavoratori dipendenti licenziati per giustificato motivo oggettivo o per riduzione del personale o sospesi.
In merito al bonus occupazionale introdotto dalla l. n. 190/2014, l’Inps ha precisato che le regole introdotte dalla l. n. 92/2012 trovano una parziale deroga per quanto concerne il rispetto del diritto di precedenza.
In linea teorica, l'assunzione di una persona titolare del diritto di precedenza precluderebbe il godimento dell’agevolazione.
L’Istituto però, perseguendo la logica sottesa alla disposizione di incentivare l’occupazione stabile, ha ritenuto ammissibile il beneficio anche per queste fattispecie, come era già avvenuto in passato a riguardo degli incentivi derivanti dalla l. n. 407/1990.
Vi sono tuttavia altri principi da rispettare.
In primo luogo, l’assunzione non deve avvenire in violazione del diritto di precedenza, fissato dalla legge o dal CCNL, alla riassunzione di un altro lavoratore licenziato nell’ambito di un rapporto a tempo indeterminato ovvero cessato da un rapporto a termine; inoltre, il datore di lavoro non deve essere interessato da sospensioni con interventi di integrazione salariale straordinaria o in deroga, a meno che l’assunzione non sia finalizzata all’acquisizione di professionalità diverse da quelle in possesso dei lavoratori coinvolti da dette procedure (con riferimento all’unità produttiva interessata dalle stesse).
Altra condizione attiene al fatto che l’assunzione non deve riguardare lavoratori licenziati, nei 6 mesi precedenti, da parte di un datore di lavoro che, alla data del licenziamento, presentava assetti proprietari coincidenti ovvero rapporti di collegamento/controllo con il datore che assume; infine, è obbligatorio l’inoltro della comunicazione telematica UNILAV.
Da rispettare anche le condizioni fissate dall’art. 1, co. 1175 e 1176, della l. 24.11.2006, n. 286: regolarità degli obblighi contributivi e assenza delle violazioni delle norme fondamentali a tutela delle condizioni di lavoro (occorre, cioè, trovarsi nelle condizioni di rilascio del DURC); rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché di quelli di secondo livello, se esistenti.
Nel nostro ordinamento sono state più volte introdotte delle norme che subordinano il riconoscimento dei diversi tipi di incentivo riconosciuto dalla legge alla corretta applicazione dei contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative. Queste disposizioni perseguono l’obiettivo di selezionare i datori di lavoro destinatari delle diverse forme di incentivazione normativa e monetaria, includendo dentro tale platea solo i datori che rispettano determinate condizioni e standard normativi.
La prima di queste norme è l’art. 36 l. 20.5.1970, n. 300, che subordina l’applicazione di incentivi e benefici pubblici al rispetto dei contratti collettivi di lavoro della categoria o della zona.
In questo filone si colloca anche l’art. 10 l. n. 30/2003, che ha modificato l’art. 3 d.l. 23.3.1993, n. 71, conv. dalla l. 20.3.1993, n. 151, il quale introduceva un meccanismo analogo per le imprese artigiane.
L’art. 10 stabilisce che «Per le imprese artigiane, commerciali e del turismo rientranti nella sfera di applicazione degli accordi e contratti collettivi nazionali, regionali e territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, il riconoscimento di benefici normativi e contributivi è subordinato all’integrale rispetto degli accordi e contratti citati, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».
La norma amplia le categorie di imprese destinatarie della relativa disciplina; mentre il d.l. n. 71/1993 si riferiva unicamente alla nozione di impresa artigiana, l’art. 10 estende il proprio ambito di applicazione alle imprese commerciali e del turismo (poiché non esiste una definizione legislativa delle imprese che ricadono in questa nozione, per la loro individuazione occorrerà fare riferimento alle disposizioni di cui all’art. 2195 c.c. e, tenere conto della natura dell’attività effettivamente svolta dall’impresa).
La norma amplia anche la portata dell’applicazione del contratto collettivo. Tale onere, nella nuova disciplina, deve essere adempiuto per la percezione di qualsiasi tipologia di incentivo normativo e contributivo previsto dall’ordinamento (al contrario, la disciplina previgente individuava specificamente gli incentivi condizionati all’applicazione del contratto collettivo). L’art. 10 modifica, apparentemente, anche l’ampiezza delle disposizioni collettive che devono essere applicate per poter accedere alla percezione degli incentivi.
La nuova formulazione rinvia all’integrale rispetto degli accordi e contratti collettivi, ai fini del godimento dei benefici normativi e contributivi, mentre la precedente locuzione faceva riferimento all’integrale «rispetto degli istituti economici e normativi stabiliti dai contratti collettivi di lavoro».
La differenza tra le due diciture ha posto rilevanti problemi applicativi. Dopo numerose dispute dottrinali e giurisprudenziali, la Corte di cassazione, sotto la vigenza della vecchia formulazione, era giunta alla conclusione che per il riconoscimento dei benefici economici e contributivi non era richiesta anche l’adesione dei datori di lavoro agli organismi ed enti bilaterali eventualmente istituiti dai contratti collettivi di riferimento.
Tale considerazione era motivata dal fatto che le clausole contrattuali collettive che prevedono l’adesione ai suddetti enti non rientrano né tra gli istituti di parte economica, né tra gli istituti di parte normativa della contrattazione collettiva, ma devono essere qualificate come clausole contrattuali meramente obbligatorie, destinate come tali a impegnare esclusivamente le organizzazioni sindacali e datoriali contraenti. La formulazione introdotta dall’art. 10 ha posto il dubbio circa la volontà del legislatore di estendere l’onere di applicazione dei contratti collettivi anche alla parte obbligatoria dei contratti stessi; se così fosse, la percezione degli incentivi sarebbe subordinata anche all’iscrizione del datore di lavoro agli enti bilaterali eventualmente istituiti dalla contrattazione collettiva. Questa interpretazione, indubbiamente agevolata dal tenore letterale della norma, viene scartata dalla maggioranza della dottrina, in quanto si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali di libertà sindacale, e in particolare di libertà sindacale negativa (di cui all’art. 39 Cost.), oltre che con i principi del diritto comunitario della concorrenza. Ciò in quanto nell’attuale ordinamento la quasi totalità dei datori di lavoro fruisce, direttamente o indirettamente, di incentivi di carattere normativo o economico (basta l’utilizzo di un contratto di apprendistato, ad esempio, per poter rientrare nella categoria).
In tale contesto, secondo la dottrina, l’eventuale condizionamento della percezione degli incentivi all’iscrizione all’ente bilaterale assumerebbe la natura non tanto di un onere, quanto di un obbligo, posto in capo ai datori di lavoro.
Siffatto obbligo violerebbe la libertà di ciascun soggetto di aderire o non aderire alle organizzazioni esponenti delle parti sociali, garantita dall’art. 39 Cost. Pertanto, secondo l’orientamento maggioritario anche nella nuova formulazione l’onere di applicazione del contratto collettivo deve ritenersi esteso alla sola parte economica e retributiva dei contratti collettivi.
L. 23.7.1991, n. 223; l. 19.7.1993, n. 236; d.lgs. 15.12.1997, n. 446; l. 12.3.1999, n. 68; l. 27.12.2006, n. 296; l. 28.2.2012, n. 92; l. 23.12.2014, n. 190.
Falasca, G., I servizi privati per l’impiego, Milano, 2005; Ichino, P.-Sartori, A., L’organizzazione dei servizi per l’impiego, in Brollo, M., a cura di, Il mercato del lavoro, Padova, 2012, 122 e ss.; Pirrone, S.-Sestito, P., Disoccupati in Italia, Bologna, 2006; Dell’Aringa, C.-Lucifora, C., a cura di, Il mercato del lavoro in Italia, Roma, 2009; Varesi, P.A., Riordino della normativa in materia di servizi per l’impiego, in Magnani, M.–Pandolfo, A.-Varesi, P.A., Previdenza, Mercato del lavoro, Competitività, Torino, 2008, 39-244; Varesi, P.A., Politiche attive e servizi per l’impiego, in Il libro dell’anno del diritto 2013, Roma, 2013, 396 e ss.