PACIFICO, OCEANO (XXV, p. 870 e App. I, p. 913)
Come l'Oceano Atlantico e l'Indiano anche il Pacifico è stato oggetto negli ultimi 15 anni di accurate indagini e osservazioni (soprattutto ad opera della Scripps Institution of Oceanography di La Jolla, S. U., e di studiosi giapponesi) che, se non si sono svolte sistematicamente secondo un piano organico, così come è avvenuto per l'Atlantico, hanno tuttavia portato alla risoluzione di problemi limitatamente ad alcune zone dell'Oceano; i loro risultati consentono di avere un quadro complessivo assai più completo di quello che non abbia potuto dare G. Schott (v. bibl.).
Condizioni geologiche. - Lo studio delle condizioni geologiche è progredito soprattutto nel settore degli arcipelaghi che orlano la costa asiatica, ove per alcune isole giapponesi è stata messa in evidenza una particolare struttura e faglie delle isole Ryu-Kyū; inoltre qualche nuovo elemento è stato raccolto anche intorno all'origine degli atolli.
Temperatura. - G. Schott e più recentemente H. U. Sverdrup e i suoi collaboratori hanno già messo in evidenza il particolare comportamento della temperatura di superficie della regione equatoriale, dove si nota chiaramente per tutto l'anno l'influenza delle correnti equatoriali con un'inflessione delle isoterme. Questa è tanto più evidente quando si osservi l'andamento delle isoterme di febbraio, per il quale si rileva un'isola termica (isoterma di 240) sull'equatore tra il 1100 e 1300 long. O. e quello delle isoterme di agosto, durante il quale mese le condizioni termiche superficiali di quasi tutto il bacino settentrionale sono assai disturbate dalla forte espansione di aree di acque calde (28°) della parte occidentale. La temperatura media annua a 200 m. di profondità mostra anch'essa rilevanti scostamenti da un regolare andamento delle isoterme analogo a quello dei paralleli. L'area di alte temperature (20°) della porzione occidentale è localizzata a S. dell'equatore tra il 160° e 180° di long. O. mentre a N. (sul 20° di lat. N.) occupa una vasta area tra il 120° di long. E. e il 170° di long. O. Green. Così a 400 m. si accentuano queste condizioni, con valori che scendono intorno ai 15°.
Salinità. - Le isoaline della stagione estiva dell'emisfero N., mostrano anch'esse un andamento analogo a quello delle isoterme di 200-400 m. di profondità. Nel Pacifico settentrionale l'area centrale è di salinità media (35‰) o po' elevata (35,5‰), mentre decresce verso i bordi e verso N.. fino a toccare nello stretto di Behring 32‰. Nell'emisfero S. una vasta area sul 20° di lat. S., tra 100° e 150° di long. O., è occupata da acque salate (36‰) e solo a S. di una linea che congiunge la Tasmania col Cile settentrionale trovansi acque con salinità al di sotto della media.
Distribuzione dell'ossigeno. - In relazione con le condizioni della temperatura e della salinità sono anche le condizioni dell'ossigeno, per la cui distribuzione lo Sverdrup fornisce un numero assai notevole di dati: che se non possono esser paragonati quantitativamente a quelli degli altri due oceani, sono tuttavia sufficienti per dare un'idea generale del comportamento, specialmente nelle zone delle coste orientali e occidentali del bacino settentrionale, aree per le quali si hanno anche indicazioni nuove intorno ai cicli dell'azoto e del fosforo.
Circolazione delle acque. - Nelle linee generali corrisponde a quella già nota, nella quale gli elementi principali sono costituiti dal sistema delle correnti equatoriali, settentrionale (tra 5° e 20° di lat. N., all'incirca), meridionale (tra l'equatore e i 7°÷10° di lat. N.), separate dalla contro-corrente equatoriale, alla quale si dà oggi maggior importanza. Così permane nettissima nell'emisfero boreale la corrente del Pacifico settentrionale ed è stata messa in evidenza maggiore quella subartica, insieme, nell'emisfero australe, ai moti di deriva della fascia tra il 40° e il 60° parallelo. Due zone intermedie, una più ampia nell'emisfero australe e l'altra più ridotta in quello boreale sono caratterizzate dai frequenti scambî con ambedue le zone limitrofe.
Distribuzione delle masse acquee. - Nel Pacifico meridionale tutta l'area più a S. e fino al G. di Arica è dominata da acque subantartiche, mentre la porzione orientale (fino al 180° di long.) è occupata da acque del Pacifico orientale ad influsso subantartico. Una fascia abbastanza larga a oriente, dall'equatore fino al 20° di lat. N. e che arriva alla Nuova Guinea costituisce l'area equatoriale, mentre il bacino settentrionale è occupato dalle acque occidentali (Nuova Guinea-Giappone centrale-parallelo 35° di lat. N. fino al meridiano 150° di long. O.), poi da acque orientali che rimangono chiuse dalle altre masse e non arrivano alla costa nordamericana, lambita fino al Messico da acque del Pacifico settentrionale, che occupano tutta l'area a N. del 35° parallelo.
Biologia marina. - Si sono fatti progressi soprattutto in relazione allo studio della produttività e dei cicli biologici di zone piuttosto ristrette.
Comunicazioni aeree. - Fino allo scoppio della seconda Guerra il problema delle vie aeree del Pacifico era imperniato sulla possibilità di scalo alle isole Hawaii (Honolulu), da cui le rotte aeree diramavano a raggera, così come quelle marine, in quasi tutte le direzioni. Oggi, per quanto l'importanza dello scalo hawaiano non sia del tutto tramontata, i progressi tecnici dell'aereonavigazione sono tali che il problema si presenta in maniera tutt'affatto diversa sia dal lato tecnico sia da quello geografico. Il fascio di rotte più importante, quello tra la costa americana e quella dell'Estremo Oriente (sempre il più importante) non abbisogna quasi più dello scalo intermedio, che ha invece sempre grande importanza per i collegamenti con la zona indonesiana e australiana. Anche sul fascio di rotte americano (America del Nord e del Sud) e su quello asiatico-australiano le comunicazioni aeree hanno preso grande sviluppo negli anni trascorsi dalla cessazione delle ostilità.
Come in altri settori economici e politici dell'Oceano, gli Stati Uniti con il tramonto della potenza giapponese, tendono a raggiungere un predominio invano contrastato da altre potenze.
Bibl.: G. Schott, Geographie des Indischen und Stillen Ozeans, Amburgo 1935; H. U. Sverdrup, M. W. Johnson, R. H. Fleming, The Oceans, their Physic, Chemistry and general Biology, New York 1946 (con ricca bibliografia aggiornata di tutti gli argomenti oceanografici).
Il Pacifico durante la seconda Guerra mondiale.
Per il piano strategico giapponese della guerra nel Pacifico e per una esposizione generale della condotta della guerra stessa, sia da parte dei Giapponesi sia degli Alleati, si veda guerra mondiale, in questa seconda App., vol. I, pp. 1148-1151,1163-1166, 1168-1169. Per le più importanti azioni di guerra si vedano, in questa App., le singole voci pearl harbor; filippine; leyte; coralli, mare dei; midway, ecc.).
Le flotte nel Pacifico. - Le forze navali degli Stati Uniti erano suddivise in tre flotte, rispettivamente dislocate nell'Estremo Oriente, nell'Oceano Pacifico e nell'Atlantico. La prima, chiamata "Flotta asiatica" aveva la base normale a Manilla ed era composta soltanto da incrociatori, cacciatorpediniere e sommergibili. La ripartizione numerica delle navi delle due principali categorie (corazzate e navi portaerei) fra le due altre flotte della marina degli Stati Uniti era la seguente: "Flotta dell'Atlantico", 6 corazzate e 4 navi portaerei; "Flotta del Pacifico", 9 corazzate e 3 navi portaerei. Nel dicembre 1941 altre due corazzate di 35.000 t. erano di imminente entrata in servizio; si trovavano in costruzione 10 corazzate e per 4 di esse era previsto l'approntamento nel primo semestre del 1942. Nella flotta del Pacifico una corazzata e una nave portaerei erano in grandi lavori: perciò l'effettiva consistenza della flotta dislocata a Pearl Harbor nel periodo di crisi era di 8 corazzate e di 2 navi portaerei.
La marina inglese all'inasprirsi della crisi fece partire dall'Atlantico per Singapore la corazzata Prince of Wales di 35.000 t.; a quella nave nell'Oceano Indiano si riunì l'incrociatore da battaglia di 32.000 t. Repulse. Quel gruppo navale giunse a Singapore il 2 dicembre. L'ammiragliato non poté farlo accompagnare da portaerei perché la nave Ark Royal, che era stata destinata a tale compito, fu affondata nel Mediterraneo il 13 novembre e l'altra nave portaerei Indomitable che doveva sostituirla andò in riparazione per danni subìti.
Nella stessa epoca le principali navi della flotta giapponese consistevano in 10 corazzate e 9 navi portaerei; inoltre una corazzata e una nave portaerei erano di imminente entrata in servizio e nella seconda metà del 1942 era previsto l'approntamento di una corazzata e di 3 navi portaerei. Il numero di corazzate pronte della marina giapponese era dunque uguale a quello complessivo di cui gli Anglo-americani disponevano nel Pacifico; inoltre le 8 corazzate della flotta degli Stati Uniti e le due corazzate inglesi erano distanti tra loro varie migliaia di miglia. La più grave causa di inferiorità per gli Alleati dipendeva dal fatto che essi in quell'epoca disponevano nel Pacifico soltanto di due navi portaerei.
Situazione strategica del Giappone contro l'alleanza Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia e Olanda. - La situazione strategica giapponese era caratterizzata dai seguenti aspetti: 1) la vicinanza del territorio metropolitano giapponese alle basi russe dell'Estremo Oriente; 2) la scarsità del potenziale bellico giapponese e la lontananza del Giappone dalle fonti di materie prime; 3) la lontananza delle basi anglo-americane dal Giappone; 4) la vulnerabilità del Giappone e la sua incapacità di infliggere agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna offese di carattere risolutivo. Col trattato di neutralità del 13 aprile 1941 il Giappone si era premunito contro la possibilità di un conflitto con l'Unione Sovietica contemporaneo a quello con le potenze anglosassoni, perché nelle condizioni risultanti dallo sviluppo delle forze aeree il territorio nipponico avrebbe potuto essere gravemente minacciato dalle coste russe sul Pacifico. Il problema vitale del Giappone era quello di assicurare il fabbisogno di materie prime, occupando i ricchissimi territorî nei mari del Sud. L'occupazione dell'Insulindia e della Malesia non poteva essere intrapresa senza il dominio del mare, perché richiedeva molteplici operazioni anfibie con lunghe linee di comunicazioni.
Il Giappone era vulnerabile nel suo territorio, oltre che nelle comunicazioni marittime, ma le basi principali delle potenze anglosassoni, cioè Pearl Harbor e Singapore erano a grande distanza dal territorio nipponico. Le forze navali di cui nel dicembre 1941 disponevano gli Alleati nel Pacifico non potevano valersi di basi ravvicinate al territorio metropolitano giapponese. I possedimenti americani e britannici compresi nelle zone di prevalenza nipponica, non essendo fortificati né valorizzati da sufficienti forze mobili ed essendo circondati da basi giapponesi, si trovavano in condizioni precarie. All'inizio della guerra il Giappone poteva quindi facilmente impossessarsi di basi e avere anche una certa libertà d'iniziativa.
Prima fase (7 dicembre 1941-marzo 1942). - Al mattino del 7 dicembre 1941 (data dell'emisfero occidentale) il Giappone iniziò le ostilità con l'azione aerea su Pearl Harbor, eseguita dai velivoli delle navi portaerei. I Giapponesi avevano concentrato 100.000 uomini a Formosa per l'invasione delle Filippine e 40.000 uomini nell'Indocina per l'invasione della penisola di Malacca e del Borneo britannico. L'urgenza delle operazioni nelle acque della penisola di Malacca e dello sbarco sull'istmo di Kra derivava dalla necessità di eliminare la forza navale britannica e conquistare il più rapidamente possibile la base di Singapore, per proteggere il fianco occidentale dello schieramento delle forze armate giapponesi.
Contemporaneamente all'azione su Pearl Harbor, l'8 dicembre 1941 (data dell'emisfero orientale) i convogli partiti dalla baia di Kamrank cominciarono le operazioni di sbarco sulla costa nord-est della penisola di Malacca presso l'aeroporto di Kota Bharu e nell'istmo di Kra a Singora. Quell'operazione anfibia fu eseguita col sostegno d'incrociatori e cacciatorpediniere, sommergibili e velivoli, mentre procedeva verso Singapore una forza navale giapponese comprendente due corazzate. Nel contempo la forza navale britannica, costituita dalle corazzate Prince of Wales e Repulse al comando dell'ammiraglio Phillips, partì da Singapore con la sola scorta di una squadriglia di cacciatorpediniere, per attaccare i convogli giapponesi. L'ammiraglio chiese la ricognizione aerea e la scorta di velivoli da caccia, ma la cooperazione aerea mancò completamente. Le navi inglesi furono avvistate prima da sommergibili e poi da velivoli ricognitori; il 10 dicembre quelle navi subirono attacchi di velivoli siluranti e di velivoli bombardieri provenienti dalla base di Saigon. Gli attacchi aerosiluranti provocarono l'affondamento delle due corazzate inglesi nei paraggi di Capo Kuantan a circa 300 miglia da Singapore. Con le azioni di Pearl Harbor e Kuantan i Giapponesi avevano conquistato il dominio del mare. Nello stesso tempo ottenevano anche il dominio dell'aria; e attaccavano gli obiettivi militari. Il numeroso naviglio mercantile (complessivamente circa 200.000 t.) raccolto nella baia di Manila nella massima parte poté mettersi in salvo dirigendosi verso Giava. La flotta asiatica americana non potendo difendere le Filippine aveva già trasferito le forze di superficie nelle Filippine meridionali e a Borneo. In seguito tali forze si dislocarono a Giava, riunendosi alla piccola squadra navale olandese. Il 9 dicembre l'aviazione giapponese bombardò l'arsenale di Cavite e dal giorno seguente cominciarono gli sbarchi navali.
Contemporaneamente all'invasione delle Filippine e quindi dell'Insulindia, i Giapponesi dalle isole Marianne e dalle Marshall inviavano spedizioni a occupare Guam e Wake. Inoltre le forze operanti dalla principale base di Truk prendevano possesso delle posizioni strategiche nel Pacifico centrale, occupando gli arcipelaghi Gilbert e Ellice; e nel Pacifico meridionale veniva occupato a metà di gennaio l'arcipelago Bismarck, con l'importantissima base di Rabaul nella Nuova Britannia. Il dominio del mare e dell'aria consentiva ai Giapponesi la possibilità di portare contro i diversi obiettivi forze superiori a quelle britanniche, americane e olandesi.
Il 15 febbraio l'avanzata giapponese culminava nel più grandioso successo con la rapida conquista della piazza marittima di Singapore. La piazza marittima di Hong-Kong era caduta dopo breve resistenza il 23 dicembre. L'ultimo baluardo marittimo che rimaneva agli Alleati era Giava, di cui era già in atto l'accerchiamento con l'occupazione di Sumatra e di Timor a mezzo dell'invasione aerea.
Cominciò allora fulminea la campagna per la conquista di Giava che, dopo la decisiva battaglia navale vinta dai Giapponesi, fu conclusa con l'invasione, seguita dalla resa a discrezione della grande isola nel marzo 1942. Così nel periodo di 4 mesi la prima parte del piano nipponico era realizzata; le forze giapponesi avevano mantenuto costantemente l'iniziativa; la rapidità e la grandiosità del successo non avevano precedenti nella storia e superavano le più ottimistiche previsioni. La marina da guerra giapponese aveva perduto soltanto 3 cacciatorpediniere affondati da sommergibili; erano minime anche le perdite della marina mercantile e delle forze aeree.
Seconda fase (aprile-luglio 1942). - Dai primi di marzo a metà aprile il grosso della seconda flotta giapponese operò nell'Oceano Indiano. Quest'attività aveva grande importanza per coordinare la condotta strategica giapponese con quella delle potenze dell'Asse, oltre che per appoggiare le operazioni degli eserciti giapponesi in Birmania. Ma le possibilità d'azione in quell'oceano, che era la zona focale delle comunicazioni fra i varî teatri di guerra, non furono che assai debolmente sfruttate. Mentre la strategia delle potenze anglosassoni seguì una concezione unitaria, con i criterî stabiliti dagli stati maggiori riuniti, la concezione strategica dell'alto comando giapponese era indipendente da quella delle potenze dell'Asse, ossia mirava alla sua guerra; perciò l'azione giapponese nell'Oceano Indiano che avrebbe potuto esercitare decisiva influenza sugli avvenimenti nel Mediterraneo nel cruciale 1942, non fu conclusa.
In base al successo della prima fase, l'alto comando giapponese decise di rinviare il consolidamento del perimetro raggiunto e di conquistare basi avanzate verso oriente, prestabilendo i seguenti obiettivi: 1) Port Moresby, sulla costa sud della Nuova Guinea orientale; questa base costituiva il centro difensivo dell'Australia; 2) Midway, avamposto delle Hawaii. L'impresa fu decisa soprattutto per il dubbio che fossero partiti dalle Midway i velivoli che avevano attaccato Tōkyō; 3) le Aleutine occidentali per impedire che potessero servire di base per conquistare le Curili; 4) gli arcipelaghi Nuove Ebridi, Nuova Caledonia, Figi e Samoa allo scopo di tagliare le comunicazioni fra gli S. U. e l'Australia.
Per iniziare l'attuazione di questo piano, il 3 maggio 1942, un corpo di spedizione giapponese occupò il porto di Tulagi nelle isole Salomone, come punto d'appoggio per l'avanzata verso le Nuove Ebridi e la Nuova Caledonia; poi la forza d'occupazione giapponese diresse all'occupazione di Port Moresby. Il contrasto esercitato dalla flotta americana produsse il 7-8 maggio 1942 la battaglia del Mare dei Coralli (v. in questa App.). A distanza di un mese la flotta giapponese eseguì l'occupazione delle Aleutine occidentali e l'attacco sulle Midway con la conseguente battaglia fra navi portaerei, che fu una grave sconfitta giapponese (v. in questa App.).
In sintesi l'andamento delle ostilità fu caratterizzato dal nuovo atteggiamento della flotta americana; mentre nella prima fase la flotta nipponica aveva avuto l'assoluta prevalenza, la seconda fase segnò l'inizio del periodo contrastato.
Terza fase (agosto 1942-agosto 1943). - Il 7 agosto 1942, con lo sbarco a Tulagi e a Guadalcanal, le forze americane del Pacifico meridionale presero l'iniziativa per prevenire l'offensiva giapponese contro gli arcipelaghi a levante dell'Australia. Quest'azione provocò la lunga lotta per il possesso di Guadalcanal a cui seguì l'avanzata americana nell'arcipelago Salomone. Le forze giapponesi furono costrette alla difensiva: perciò nel maggio 1943 l'alto comando giapponese formulò un nuovo piano (detto piano Z). Il perimetro, che nel piano di espansione era previsto di raggiungere, fu ridotto alle congiungenti isole Aleutine, Wake, Marshall, Gilbert, Nauru, Ocean e Bismarck. La flotta principale, dislocata nella base di Truk, aveva il compito di difendere quel perimetro con la cooperazione delle forze aeree delle basi terrestri e delle guarnigioni insulari. La terza fase segnò il fallimento del piano di espansione nipponico, e l'inizio dell'offensiva americana costituì la fase cruciale della guerra nel Pacifico. Dal novembre 1942, dopo la decisiva battaglia navale di Guadalcanal (in cui due corazzate giapponesi furono affondate), la condotta strategica della flotta giapponese fu ispirata a criterî di cautela, evitando di rischiare il grosso delle forze navali.
Quarta fase (settembre 1943-maggio 1944). - Il prolungamento del conflitto dava agli Stati Uniti la possibilità di portare nella lotta il peso del loro enorme potenziale bellico. Il gigantesco programma costruttivo consentì alla marina degli Stati Uniti un grandioso sviluppo per tutte le categorie di navi e specialmente per le navi portaerei, di cui 50 unità di varie specie entrarono in servizio nella seconda metà del 1943; nello stesso tempo un gran numero di navi mercantili fu trasformato in portaerei di scorta. La disponibilità di navi portaerei consentì agli Americani di agire con larga prevalenza contro le singole basi giapponesi. Nel Pacifico centrale dall'agosto 1943 dalle isole Ellice cominciarono gli attacchi contro le Gilbert, mentre nel Pacifico sud-occidentale le forze americane continuavano a progredire verso Rabaul e Bougainville. Nel novembre la campagna delle Gilbert entrò nella fase conclusiva con l'attacco contro l'isola di Tarawa. Dopo la conquista delle isole Gilbert le forze americane cominciarono le operazioni per l'invasione delle isole Marshall. La superiorità americana nell'attacco a quelle isole fu particolarmente significativa. Alla fine di gennaio 1944 la Task Force 58, che comprendeva 12 navi portaerei con 700 velivoli, attaccò i due atolli di Kwajalein e Majuro. I Giapponesi disponevano di 130 velivoli ripartiti fra le isole del vasto arcipelago. Tre gruppi di attacco americani composti di 217 navi portavano una forza di occupazione di circa 64.000 uomini. Alla conquista di Kwajalein seguì quella di Eniwetok. Per effetto dell'avanzata americana nelle Marshall (che fu conclusa nel marzo 1944) il grosso della flotta giapponese fu costretto a ritirarsi nel Pacifico occidentale lasciando la base di Truk, che rimase neutralizzata. Nella lotta contro un nemico che disponeva di un enorme potenziale bellico i fatti dimostravano completamente illusorio il presupposto giapponese secondo cui la resistenza su un determinato perimetro nell'Oceano Pacifico avrebbe dovuto rendere l'Impero invulnerabile.
Quinta fase (giugno-agosto 1944). - Nell'estate 1944 le forze americane proseguirono l'offensiva con l'attacco alle isole Marianne; la gravissima minaccia provocò l'intervento della flotta giapponese dislocata nelle isole Filippine. La grande battaglia, combattuta il 19-20 giugno, nella zona di mare fra le Filippine e le Marianne fu una decisiva vittoria americana. La flotta giapponese aveva ormai perduto la capacità di contrastare efficacemente il dominio del mare e dell'aria: le forze degli Stati Uniti poterono perciò condurre a compimento la conquista delle isole Marianne e preparare l'ulteriore avanzata verso il Giappone, cominciando gli attacchi contro le isole Bonin e contro le Caroline occidentali.
Sesta fase (settembre-ottobre 1944). - In correlazione con la conquista delle isole Palau, le forze americane operanti nel Pacifico sud-occidentale il 15 ottobre 1944 occuparono l'isola di Morotai nell'arcipelago delle Molucche: così gli Americani furono in possesso delle basi per la riconquista dell'arcipelago delle Filippine. Oltre all'importanza territoriale, questo vastissimo arcipelago aveva capitale valore strategico per la situazione nel Pacifico, dominando le comunicazioni fra il Giappone e i mari del sud. La flotta giapponese affrontò risolutamente la battaglia (23-26 ottobre 1944) per contrastare lo sbarco americano nel golfo di Leyte (seconda battaglia navale delle Filippine, v. filippine, in questa App.). Ma le gravissime perdite subìte segnarono praticamente la fine della flotta giapponese e quindi la perdita della guerra.
Settima fase (novembre 1944-15 agosto 1945). - Per procedere all'attacco diretto contro il territorio metropolitano giapponese le forze americane cominciarono alla fine del 1944 le azioni preparatorie contro l'isola potentemente fortificata di Iwo Jima, che fu conquistata il 16 marzo 1945. A questa azione seguì l'attacco e la conquista di Okinawa, che costituì la massima operazione anfibia nel Pacifico e fu conclusa il 22 giugno. Nello stesso tempo proseguiva la conquista delle Filippine e di Borneo.
Dal 14 al 15 luglio le flotte americane con la partecipazione di una squadra britannica diressero all'attacco del territorio metropolitano nipponico, sotto il supremo comando dell'Ammiraglio Halsey. Durante la grande offensiva, diretta a colpire i centri industriali e demografici ed a produrre effetti morali, furono eseguite persistenti azioni aeree contro le navi superstiti della flotta giapponese dislocate nel mare Interno, principalmente nella zona di Kure. Il Giappone si accingeva all'estrema resistenza contro l'attesa invasione, quando l'impiego della bomba atomica contro Hiroshima e Nagasaki e la quasi simultanea entrata in guerra della Russia costrinse l'Imperatore a offrire la resa il 15 agosto 1945. Delle poche navi della flotta giapponese che erano ancora a galla soltanto 5 cacciatorpediniere avevano capacità operativa.
Bibl.: v. guerra mondiale, in questa seconda App., I, p. 1169.