PACIFICO, Oceano
(XXV, p. 870; App. I, p. 913; II, II, p. 479; III, II, p. 340; IV, II, p. 709)
Non solo il ventennio 1970-90 ha registrato un arricchimento senza precedenti delle conoscenze oceanografiche e geologiche del grande bacino dell'Oceano P., ma da queste conoscenze sono venute anche le conferme (o le smentite) delle più note teorie circa l'origine del pianeta e la sua dinamica crustale.
Già noto da un secolo almeno lo schema generale di circolazione delle correnti di superficie, se ne sono, nel suddetto periodo, studiati i dettagli, con l'ausilio dei satelliti e di boe trasmittenti a lunga distanza, alcune di queste flottanti a profondità costante, così da fornire informazioni anche sulla circolazione profonda. L'insieme dei sistemi circolanti è così risultato più complesso, ma al tempo stesso è apparsa più chiara la correlazione tra i rispettivi centri e le celle in movimento delle alte pressioni subtropicali. Le ricerche, effettuate dagli studiosi dell'Istituto Scripps (università di California), hanno anche messo in evidenza inedite relazioni tra le correnti e i grandi ecosistemi. La corrente di Cromwell, che fluisce al disotto di quella sud-equatoriale, già sfruttata in senso est-ovest dal Kon-tiki per il suo memorabile viaggio, dirige in senso opposto a questa e reca masse d'acqua relativamente fredda verso l'arcipelago delle Galapagos, ove risulta essere fattore determinante della particolare fauna di quelle isole, già resa famosa dagli studi di Darwin. Similmente, alla nota corrente fredda di Humboldt, che risale le coste sudamericane e rende quei mari tra i più pescosi del mondo, si oppone un'altra corrente di superficie, proveniente dai Tropici e quindi più calda, che ha effetti devastanti sull'ittiofauna e più in generale sulle risorse proteiniche marine. Le conoscenze sulla circolazione generale delle correnti abissali sono ancora incomplete, ma è recente la scoperta che le acque antartiche risalgono le latitudini australi e si spingono in profondità nell'emisfero boreale.
Un'altra incognita resta la genesi di quei noduli ciottolosi ricchi in ferro e manganese (ma anche in rame, cobalto e nichel), che tappezzano con alte concentrazioni e per vaste estensioni i fondali degli oceani e particolarmente del P. centrale. Si valuta che questi noduli contengano manganese sufficiente per coprire indefinitamente il fabbisogno mondiale, e il fatto che essi non risultino coperti dal velo dei sedimenti, che continuamente si depositano sul fondo, induce a pensare che la loro formazione avvenga in tempi brevi. Lo sfruttamento di questi giacimenti ha finora trovato ostacoli, più che in insufficienze tecnologiche, nelle remore e nel contenzioso tra stati, derivanti da ancora incompleti accordi nell'applicazione della Legge del Mare del 1983. Altri imponenti fenomeni di mineralizzazione sono stati individuati, a partire dal 1979, dal batiscafo Alvin sui fondali a nord delle Galapagos. Si tratta di ossidi e solfuri di ferro, rame e zinco, di formazione idrotermale a opera di getti d'acqua che fuoriescono da fratture di fondo, a temperature superiori ai 350°C.
Lo studio delle microfaune (foraminiferi e radiolari) presenti in centinaia di carote prelevate sui fondali del P. ha consentito inedite ricostruzioni delle paleotemperature dell'acqua in diverse epoche, dell'estensione dei ghiacciai e dei mutamenti climatici in genere. Da questi studi si è confermata l'ipotesi della catastrofica estinzione di numerose specie marine, avvenuta circa 65 milioni d'anni fa, alla fine del periodo Cretacico, in coincidenza con la scomparsa dei grandi rettili terrestri. L'estinzione sarebbe avvenuta nell'arco di soli 100.000 anni. Nei sedimenti che la testimoniano si trovano alti contenuti di elementi rari, come iridio, arsenico e antimonio. Da qui la suggestiva ipotesi che la Terra sia stata colpita da un grosso asteroide o da una cometa, che secondo alcuni sarebbe caduta nel P., causando un brusco aumento di temperatura; secondo altri, il corpo celeste, impattando terre emerse, avrebbe provocato grandi dispersioni di ceneri e polveri, così da oscurare il sole per lungo tempo: entrambe le interpretazioni possono ben spiegare eventi catastrofici per la vita del pianeta.
Negli anni Ottanta sono proseguite nel P. le ricerche della nave Glomar Challenger. Nei fondali tra il Giappone e la penisola della Kamchatka sono stati individuati i sedimenti più antichi del bacino: la loro età è di 200 milioni di anni, corrispondenti a meno della ventesima parte della storia della Terra. Anche durante questo tempo relativamente breve, tuttavia, le zolle crustali hanno registrato spostamenti dell'ordine di migliaia di chilometri. Nel quadro geodinamico della tettonica a zolle, queste collidono reciprocamente, o si disgiungono, o scorrono lungo gigantesche linee di faglia. Così, la frattura lungo cui è impostato il profondo Golfo di California tende a divaricare verso nord e a favorire l'ingressione marina in quella direzione fino al punto di staccare dal resto del continente nordamericano le sue regioni più occidentali. Le ricerche sulla morfologia sottomarina del P. hanno acquisito maggiori conoscenze negli ultimi due decenni che mai in passato. Sono stati dettagliati i contorni delle grandi fosse periferiche e meglio indagate le loro diramazioni nel Mar Cinese meridionale, in quello delle Filippine e nella zona tra l'Australia e le Fosse di Tonga e Kermadec. La scoperta più importante è stata quella del complesso sistema di fratture parallele, che dalla latitudine di San Francisco (Frattura di Mendocino) si sviluppa verso sud, in frangia al continente americano, spande attraverso il P. meridionale e prosegue nell'Oceano Indiano. Nel P. orientale, queste fratture si svolgono grosso modo secondo un andamento meridiano, interrotto da più marcate discontinuità in direzione normale che si sviluppano per migliaia di chilometri. Nella parte meridionale, invece, gli andamenti tendono a ruotare e poi a invertire, così che nei mari australiani le fratture maggiori si dispongono secondo i meridiani.
Bibl.: D. Elder, J. Pernetta, Oceans, Londra 1991, pp. 152-71; J.M. van Dyke, Protected marine areas and low lying atolls, in Ocean & Coastal Management, 16/2 (1991), pp. 87-160; P. Roy, J. Connell, Climatic change and the future of atoll states, in Journal of Coastal Research, 7/4 (1991), pp. 1057-76; H. Buchholz, Small island states and huge maritime zones: Management tasks in the South Pacific, in Ocean management in global change, a cura di P. Fabbri, Londra 1992, pp. 470-80.