OCEANOGRAFIA (XXV, p. 157; App. II, 11, p. 438; III, 11, p. 294)
Sviluppo e organizzazione internazionale della ricerca oceanografica. - L'Anno Geofisico Internazionale (AGI) 1957-58 ha segnato una svolta fondamentale nello sviluppo esplosivo di tutti i campi di studio della geofisica; questo sviluppo ha avuto il suo apice nello studio dell'ambiente terrestre e planetario con veicoli spaziali provvisti di mezzi e strumenti della più avanzata tecnologia. Dopo quello della ricerca spaziale, l'o. è il campo di ricerca che ha avuto la maggiore espansione a partire dalla realizzazione dell'imponente impresa mondiale del periodo dell'AGI durante il quale si è svolta un'intensa attività di campagne oceanografiche e di ricerca in tutti gli oceani compreso l'Antartico; successivamente la ricerca oceanografica è andata via via sviluppandosi in maniera più organizzata e sistematica.
Il boom odierno dell'o. può paragonarsi a quello dell'elettronica all'inizio degli anni Cinquanta. La ragione di questo enorme sviluppo scientifico delle scienze del mare è fondata sull'importanza politica, economica e strategica degli oceani e dei mari. I successi realizzati da alcune nazioni portanti, perché tecnologicamente e scientificamente più avanzate, come gli SUA, l'URSS e altri paesi, hanno dato origine a una fioritura molto intensa di programmi specifici e multidisciplinari a livello internazionale, plurinazionale e nazionale anche da parte di molti paesi rivieraschi prima assenti da questo agone scientifico. Infine, su scala mondiale, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione n. 2560 (XXIV) del 17 dicembre 1969, facendo propria l'idea dell'International Decade of Ocean Exploration for the 1970 (IDOE) lanciata dal presidente degli Stati Uniti l'8 marzo 1968 - allorché proclamò il programma oceanografico a lungo termine come un avvenimento eccezionale senza precedenti per gli Stati Uniti e il resto del mondo - promosse, con l'ausilio fondamentale di alcune nazioni scientificamente progredite, un colossale programma globale di ricerca oceanografica organizzato nel cosiddetto "Decennio internazionale di esplorazione oceanica 1971-80", che ora è in pieno svolgimento con la partecipazione di 47 nazioni.
L'IDOE costituisce oggi la prima fase di un progetto dell'ONU ancora più vasto e a lungo termine: il LEPOR (Long-Term and Expanded Programme of Oceanic Research), ed è un programma di cooperazione mondiale che comprende una grande quantità di sottoprogrammi a vari livelli nazionali o multinazionali relativi a singoli problemi oceanografici, più o meno particolari e locali, insieme con altri programmi più generali, tutti destinati a migliorare la conoscenza degli oceani, l'uso dei mari e delle risorse marine a beneficio dell'umanità.
I programmi multinazionali che compongono l'IDOE si raggruppano attorno a quattro temi fondamentali: a) previsioni relative all'ambiente, ivi comprese le previsioni a lungo termine del tempo e del clima (19 programmi); b) qualità dell'ambiente (7 programmi); c) risorse del fondo e del sottofondo marino (11 programmi); d) risorse biologiche, ivi comprese le relazioni tra vita marina e ambiente marino, tema che si riferisce a un programma aperto in continua espansione.
A essi si aggiungono altri programmi di ricerca in comune tra molti paesi cointeressati, tuttora in atto, come quello del Kuroshio nel Pacifico, il CIM (Cooperative Investigation of the Mediterranean) nel Mediterraneo, il CINECA (Cooperative Investigation of the Northern Part of the Eastern Central Atlantic) nell'Atlantico, e altri.
L'IDOE si svolge sotto l'egida dell'UNESCO e precisamente della Commissione Oceanografica Intergovernamentale (COI), istituita e operante dal 1961 e alla quale partecipano 87 nazioni, in collaborazione con la FAO (Food and Agriculture Organization), la WMO (World Meteorological Organization) e la IMCO (Intergovernamental Maritime Consultative Organization).
Altre imprese di ricerca oceanografica di grande rilevanza scientifica sono state già espletate, come, per es., la spedizione internazionale nell'Oceano Indiano (1959-65) e le ricerche internazionali coordinate nell'Atlantico Tropicale (1963-64).
Per quanto concerne il Mediterraneo, dal 1968 la CIESMM (Commission Internationale pour l'Exploration Scientifique de la Mer Méditerranée) è in via di completa ristrutturazione in relazione all'ampliamento delle attività oceanografiche e al compito nuovo che, in accordo con la COI e la FAO, ha assunto di recente con la gestione del già ricordato programma internazionale a lungo termine per lo studio in comune del Mediterraneo (CIM), al quale partecipano 25 nazioni tra cui l'Italia.
Altri programmi oceanografici a carattere internazionale, comprendenti come temi principali l'inquinamento e una rete integrata di boe meteo-oceanografiche nell'Atlantico e nel Mediterraneo, sono in corso di elaborazione da parte di un apposito gruppo di lavoro per la "Politica della ricerca scientifica e tecnica" della Comunità economica europea.
L'estesa e intensa attività di ricerca oceanografica degli ultimi 15 anni ha prodotto, in un continuo crescendo, un'imponente mole di innovazioni metodologiche e strumentali e una quantità di risultati, di cui è difficile fare un'esauriente catalogazione, in tutti i campi della scienza del mare: o. fisica, chimica e biologica, geofisica marina, geologia marina, inquinamento, risorse marine biologiche e minerali, tecnologie marine, strumentazione oceanografica, costruzioni marittime (piattaforme fisse e mobili), costruzioni navali e subacquee, ausili alla navigazione, sistemi di radiolocalizzazione, servizi di previsione e di sicurezza, ecc. Tali risultati comprendono sia l'aspetto conoscitivo e scientifico, sia l'aspetto, non meno stimolante, applicativo e di sfruttamento delle risorse marine, il quale ultimo implica intricati e delicati risvolti politici, economici e giuridici di carattere internazionale che stanno conducendo alla necessaria adozione di nuovi concetti di politica dei mari e di legislazione internazionale marittima, mentre dal punto di vista scientifico e organizzativo, sia sul piano internazionale, sia a livello interno delle nazioni più attive, vanno profilandosi nuove strutture.
Gli scienziati tendono a dare al termine "oceanografia" un significato piuttosto ristretto, limitato allo studio dei fenomeni fisici e geofisici dei mari e degli oceani, pur comprendendovi le risorse viventi e minerali e i problemi delle regioni limite contigue; fondo marino e atmosfera, nonché i fenomeni d'interfaccia: atmosferaoceano e mare-fondo marino. Tuttavia l'accezione del termine classico "oceanografia" per la vastità e la complessità dei problemi interdipendenti e concomitanti delle scienze che convergono a formarla e che implicano il contributo non solo di oceanografi veri e propri ma di meteorologi, fisici, chimici, biologi, geofisici, geologi, ingegneri, giuristi, economisti, strateghi e politici, con i mezzi e i metodi delle rispettive scienze, tende a espandere la sua portata in quella riferita al termine più generale di "oceanologia", comprendente tutte le scienze del mare.
Una tale scienza implica, d'altra parte, un notevole impegno di cooperazione internazionale per la natura dei problemi e per l'imponenza dell'organizzazione e dei costi della ricerca oceanografica.
Mentre anche le organizzazioni internazionali relative alle scienze del mare tendono a un nuovo assetto più moderno che tiene conto degli aspetti interdisciplinari delle singole componenti scientifiche, per ragioni di semplicità e di conveniente valutazione dei risultati finora conseguiti, sarà opportuno, peraltro, seguire ancora una catalogazione aderente ai capitoli classici dell'oceanografia.
L'o., anche se è una scienza composita e una scienza di sintesi e d'integrazione, che si avvale degli apporti strumentali e metodologici propri di molte altre discipline, è tuttavia una scienza a sé stante e non è una somma di scienze, proprio per l'interconnessione e l'interdipendenza dei fenomeni dell'ambiente marino e oceanico, da quelli fisici a quelli biologici, e dei fenomeni di scambio nelle interfacce, in superficie e al fondo.
Il progresso scientifico dell'o. è strettamente legato a quello tecnologico che in certo modo ne costituisce un limite: la disponibilità di mezzi strumentali sempre più efficaci e le esigenze dei problemi scientifici in progressivo sviluppo sono stati di mutuo vantaggio e sostegno in tutti i campi delle attività marine, e sono state particolarmente stimolate non solo dalla speculazione scientifica e dal bisogno conoscitivo, ma da interessi inderogabili dell'organizzazione sociale, dell'umanità in accrescimento e delle nazioni emergenti; necessità di conservare e aumentare le riserve ittiche e la produttività biologica, di creare nuove fonti alimentari (acquacultura): industrializzazione e razionalizzazione della pesca; ricerca di nuove fonti di energia; estrazione del petrolio e del gas naturale dalla piattaforma continentale, che ha già raggiunto il 20% della produzione mondiale e raggiungerà non meno del 30% nel 1980; necessità di reperire giacimenti via via più profondi; sfruttamento di altre risorse energetiche marine e delle risorse chimiche e minerarie del mare e dei fondi marini; gestione delle opere marittime; impianti di centrali nucleari e convenzionali sulla costa e in mare aperto; conservazione dei litorali; previsione esatta e a lungo termine dei fenomeni relativi all'ambiente marino e all'atmosfera; sicurezza della navigazione in superficie e subacquea; introduzione di nuovi sistemi elettronici di navigazione e di radiolocalizzazione; lotta alla degradazione ambientale e agl'inquinamenti; necessità di disporre di materiali tecnologici adeguati; costruzioni di navi giganti e di sommergibili, di piattaforme marine di sondaggio e di trivellazione mineraria in mare aperto, di boe, di stazioni automatiche, di stazioni sub-oceaniche, di mezzi subacquei per lavori fino a 700 ÷ 800 m di profondità e di batiscafi per rilievi oceanografici e geofisici fino alla profondità di 7000 ÷ 8000 m, ecc.
La ricerca oceanografica, d'altra parte, è preliminare alla risoluzione di tutti i problemi d'ordine pratico, ed è così che l'indagine oceanica tridimensionale e lo studio dei fenomeni di scambio ai limiti degli oceani, in superficie, al fondo e lungo le coste, hanno avuto negli ultimi anni uno sviluppo eccezionale contemporaneamente al progressivo perfezionamento dei mezzi strumentali. L'intensa attività sperimentale e di ricerca ha fruttato un'immensa mole di dati conoscitivi che già formano oggetto di intensi e innumerevoli studi, ma sono passibili di ulteriore sfruttamento.
È da ricordare che mentre è allo studio da parte dell'ICSU (International Council of the Scientific Unions) e dell'UNESCO la messa a punto delle basi di un "Sistema mondiale di informazioni scientifiche" (WSIS, World Science Information System) che dovrà fungere da centro di raccolta e di diffusione, in forma appropriata e comoda per gli utilizzatori, del grande flusso di dati scientifici ovunque e comunque osservati, e mentre già dall'AGI sono in funzione due Centri mondiali di raccolta dei dati geofisici (World data centers: A, Washington e B, Mosca), la COI, allo scopo di ottenere una sistematica e razionale utilizzazione dei dati oceanografici, ha istituito un'organizzazione apposita: l'IGOSS (Integrated Global Station System), destinato alla raccolta, all'elaborazione, allo scambio e alla diffusione in tempo reale dei dati oceanografici, in sincronismo con l'analoga WWW (World Weather Watch), che è l'organizzazione operativa messa in atto dalla WMO dal 1968 per la meteorologia. L'IGOSS è destinato anche a coordinare, in base a una serie di accordi internazionali, una rete mondiale di boe, di stazioni di osservazioni fisse in superficie e sul fondo oceanico. La COI, inoltre, considerata la grande varietà di strumenti oceanografici oggi largamente impiegati e la necessità della presentazione e della diffusione dei dati di osservazione in forma normalizzata e conveniente per tutti gli utilizzatori, provvede a estendere e facilitare i compiti dell'IGOSS stesso con l'istituzione di servizi d'intercalibrazione della strumentazione oceanografica e di normalizzazione dei metodi di elaborazione anche per razionalizzare il trattamento automatico dei dati di ogni provenienza.
Tecnologie marine, mezzi navali e mezzi strumentali. - Il grande sviluppo della ricerca oceanografica degli ultimi anni, condotta in tutto lo "spazio interno" oceanico e ai limiti di esso in superficie, sul fondo e nel sottosuolo marino, poggia sul progresso tecnologico nel campo dei materiali e dei mezzi strumentali (sensori, elettronica, calcolatori): molta parte delle tecniche e dei mezzi strumentali consegue dai prodotti della ricerca aerospaziale nello "spazio esterno" come, per es., la messa a punto di materiali e strutture resistenti e leggere, l'utilizzazione dell'elettronica miniaturizzata e di grande affidabilità, l'impiego integrale di automatismi.
L'esplorazione oceanica tridimensionale e dei fondi marini mediante sommergibili, capsule e batiscafi di varia profondità fissi o semoventi, abitati o no, anche se i problemi e le tecniche sono profondamente diversi, ha certe analogie con l'esplorazione dello spazio esterno, nei veicoli spaziali, nei sistemi che assicurano la sopravvivenza dell'uomo e l'autonomia energetica, nell'impiego di automatismi e nello sviluppo dei sensori d'alta tecnologia.
Nei materiali, nei mezzi navali, nelle apparecchiature e nei sistemi di osservazione e di elaborazione dei dati, e precisamente nel campo della tecnologia applicata ai problemi dell'o., i maggiori progressi si sono avuti: a) nelle costruzioni navali sia da ricerca sia mercantili (supernavi, superpetroliere) e nella costruzione dei mezzi di navigazione e di esplorazione sottomarina; b) nelle trivellazioni della piattaforma continentale per la ricerca petrolifera e in fondali profondissimi a scopi scientifici (progetto Mohole, nave oceanografica Glomar Challenger, ecc.); c) nei sistemi di radionavigazione e di localizzazione; d) nell'esplorazione del fondo oceanico con mezzi fotografici e televisivi e con scandagli ad alta risoluzione anche a emissione laterale; e) nella strumentazione di base per misure fisiche, chimiche e geofisiche (gravimetriche, magnetiche, sismiche, geotermiche); f) nell'elaborazione automatica dei dati a bordo.
Nell'o. il mezzo navale è il fondamento di ogni attività di ricerca; le navi oceanografiche, i sommergibili, i mesoscafi, i batiscafi, le capsule semoventi o fisse, con attrezzature e prestazioni sempre più perfezionate ed efficienti, sono state in continuo aumento negli ultimi anni; alcuni mezzi navali sono notevoli per l'originalità della concezione, come lo Spar e il Flip della Scripps institution of oceanography, capaci di navigare e poi immergersi verticalmente divenendo piattaforme flottanti stabili adatte per la ricerca; altri sono divenuti d'importanza storica nel campo dell'o. per i risultati che hanno consentito di conseguire, come, per es., l'Atdantis II della Woods hole oceanographic institution, esemplare della serie Agor di navi da ricerca, e la nave Glomar Challenger, anch'essa degli SUA, impiegata per l'impresa del Deep sea drilling project, appositamente attrezzata per la trivellazione su fondali fino a 6000 m, dotata di un sistema di stabilizzazione giroscopica e di un complesso sistema di posizionamento dinamico che la mantiene in posizione pressoché fissa, controllabile con sistemi di rilevazione acustica dal fondo e via satellite: essa ha permesso di conseguire risultati brillanti, non meno della prima nave britannica Challenger che effettuò alla fine del secolo scorso spedizioni d'importanza fondamentale per la conoscenza dei fondi oceanici. La Glomar Challenger ha eseguito numerose crociere nell'ambito del JOIDES (Joint Oceanographic Institution Deep Earth Sampling Project) e perforazioni nell'Atlantico, nel Pacifico e anche nel Mediterraneo, le quali costituiscono una tappa decisiva nel campo della geofisica e della geologia marina.
La necessità di trivellare pozzi petroliferi e di esplorare risorse minerarie non più soltanto sulla piattaforma continentale ma a profondità sempre maggiori, di sviluppare tecnologie e metodi per la posa di cavi e oleodotti sul fondo marino, di posare e recuperare oggetti su fondali anche profondi, di salvare vite umane, e la sollecitazione venuta da alcuni incidenti di grande rilievo, come la perdita del sottomarino americano Tresher nel 1963 su un fondale di oltre 300 m e gli sforzi compiuti per il recupero dell'ordigno nucleare non innescato, precipitato a circa 1000 m di profondità nelle acque di Palomares a seguito di una collisione nel cielo della Spagna di due aerei degli Stati Uniti, hanno spronato studi, esperienze e ricerche per operazioni tecnico-scientifiche a profondità sempre maggiori con la realizzazione di mesoscafi, batiscafi e sommergibili, con uomini a bordo o senza, di cui si annoverano oltre una trentina di tipi, e taluni con costruzione in serie numerose, aventi caratteristiche specifiche per operare alle varie profondità non escluse, per alcuni batiscafi, anche quelle delle fosse oceaniche, come, per es., i sommergibili Cubamarine (400 m), Alvin (2000 m), Aluminaut (5000 m) e DSRV degli SUA, l'Archimede (6000 m) e la SP 3000 (Soucoupe Plongeam), francesi, il Kuroshio giapponese e altri.
Oltre a ciò lo sviluppo delle piattaforme di trivellazione, ancorate o galleggianti, per la ricerca di combustibili minerali è stato enorme in questi ultimi anni, come pure la necessità di operare direttamente con l'uomo sui fondali della piattaforma continentale hanno dato una spinta notevole ai difficili problemi imposti dai progetti, specialmente francesi e statunitensi, dell'"uomo in mare" con la realizzazione di laboratori sottomarini fino a 300 m di profondità (SEA LAB Experiments e TERKTITE degli SUA; CONSHELF francese).
Un problema fondamentale per tutti i settori della ricerca oceanografica in mare aperto è quello della determinazione del puntonave e del punto-misura; i servizi di radionavigazione e di radiolocalizzazione hanno offerto in questi ultimi anni un ausilio sempre più perfezionato per questa esigenza basilare.
Nel campo dell'idrografia, che fornisce gli elementi di base per la ricerca oceanografica, a partire dalle carte batimetriche fino alle caratteristiche fisiche fondamentali delle acque marine e dei fondali, si sono avuti perfezionamenti d'importanza enorme nella costruzione di scandagli ultrasonori di elevata precisione per tutte le profondità marine (SONAR, Eco Sounder Precision System; PBR, Precision Bathimetric Recorder; ecc.) a frequenze elevate e a frequenze multiple con registrazione analogica e digitale, di scandagli stabilizzati a lobo strettissimo (Narrow beam sounder), di ecografi a scansione laterale (Side scan sonar) e altri dispositivi ecometrici con forte potere risolutivo e capacità di penetrazione nei sedimenti non consolidati i quali, offrendo la possibilità di rendere con grande dettaglio la topografia e la struttura stratigrafica dei fondali, hanno fornito risultati eccellenti nel campo della "geologia marina".
Altra strumentazione idrografica e dei fondamentali parametri della fisica marina degna di menzione è rappresentata dai batitermografi a perdere (XBT), che hanno soppiantato il batitermografo classico, in quanto l'esecuzione dei sondaggi di temperatura avviene con la nave in moto a qualunque velocità e anche da aerei, e dalle batisonde (AXBT), che dànno in forma analogica o digitale contemporaneamente profondità (pressione) e salinità (conducibilità), temperatura e velocità del suono, nonché dai sistemi fotografici e televisivi subacquei.
Nel campo dell'o. fisica hanno avuto enorme sviluppo: a) apparati e sistemi multisensoriali che registrano "in continuo", anche con scafi in moto (navi o mezzi subacquei), parametri fisici e chimici, in particolare, temperatura, salinità, pressione, tenore di ossigeno, anche mediante catene di sensori fino a grande profondità; b) boe meteo-oceanografiche teletrasmittenti, ad autonomia più o meno lunga, per la registrazione continua di parametri fisici e chimici dell'aria e dell'acqua, ivi compreso il vento, il moto ondoso e, mediante catene di termistori e correntometri, onde interne, turbolenza, fenomeni diffusivi e di mescolamento; tra le boe di maggior rilievo finora realizzate sono da annoverarsi; la NOMAD (Navy Oceanographic Meteorological Automatic Device), a energia nucleare, la Marine observer buoy, di forma toroidale, la MONSTER, boa statunitense, e le boe laboratorio francesi BORHA I (1964-71) e BORHA II (1974), a scafo cilindrico verticale e sulla cui testa è sistemato il laboratorio e l'osservatorio in cui possono essere ospitate 6 persone addette alla ricerca; c) boe immerse a lunga autonomia, ancorate sul fondo, per misure di parametri fisici al disopra dei fondali; d) telerilevamenti in luce visibile o all'infrarosso, mediante aerei o da satelliti, su aree più o meno estese, delle temperature superficiali, del moto ondoso e in qualche caso delle onde interne, degl'inquinamenti da idrocarburi, ecc.; e) dispositivi per il rilevamento elettromagnetico delle correnti totali superficiali (in canali con impianti fissi, o sul mare aperto con navi in moto); f) correntometri di vario tipo e di diversa sensibilità, a rotore o statici, elettromagnetici, a induzione, o a effetto Doppler (prodotto nel segnale acustico ricevuto dalle particelle d'acqua in moto eccitate da un impulso acustico di elevata frequenza); correntometri a risposta immediata mediante trasmissione acustica; catene di correntometri ancorati a boe emerse o sommerse per le misure negli strati profondi; g) salinometri a conducibilità, di elevata sensibilità e grande affidamento; h) sensori di pressione per il moto ondoso, per le onde di marea in pieno oceano, per le onde lunghe di burrasca (storm surges) e tsunami; i) sistemi di collegamento acustico a distanza (Deep sea acoustic release transponders) per controlli, rilevamenti e tarature di apparecchiature sommerse, ecc.
Gli ausili strumentali e metodologici dell'o. fisica sono stati potenziati dagli apparati autoregistratori e teleregistratori e soprattutto dalla possibilità di una trattazione automatica immediata dei dati a bordo, mediante elaboratori elettronici in relazione anche ai dati di navigazione, ai parametri meteorologici, ecc.
La strumentazione dell'o. chimica ha registrato il passaggio dalle osservazioni discontinue a quelle "in continuo", con nuovi metodi di rilevamento, di campionatura automatica e di analisi automatizzata, combinati con sistemi di registrazione digitale e di elaborazione elettronica, di ossigeno, composti organici e inorganici e oligoelementi marini; molti processi di analisi sono stati sviluppati specialmente per particolari problemi dell'inquinamento marino (metalli pesanti, DDT, materiali non biodegradabili, ecc.).
Per la geofisica marina sono stati ugualmente sviluppati molti strumenti e apparati ampiamente soddisfacenti, in particolare per la gravimetria, la magnetometria e la sismica in mare.
Le misure gravimetriche che prima (1923, F. A. Veining Meinez; 1931, G. Cassinis) potevano essere fatte solo in sommergibile per raggiungere precisioni dell'ordine di 1 mgal, pari a 10-3 cm • sec-2, e poi in batisfere poggiate sul fondo della piattaforma continentale (circa 200 m), con le quali si raggiungono precisioni di ± 0,01 mgal (identiche a quelle terrestri), dal 1961 si fanno normalmente con grande speditezza con appositi gravimetri marini (Graf-Askania GSS2 e GSS3, Coste-Romberg, MIT Gravimeter e altri) sistemati su piattaforme girostabilizzate su navi da ricerca con navigazione satellitare, con i quali si raggiunge la precisione di 1 ÷ 2 mgal.
Le misure magnetiche in mare, che tanta parte hanno avuto nell'esplosiva evoluzione dell'interpretazione geologica dei fondi marini e della "tettonica a zolle", sono rese possibili, con grande attendibilità e precisione, dai moderni magnetometri marini e specialmente dal magnetometro a precessione protonica, il quale ha avuto eccellenti realizzazioni per la determinazione dettagliata del campo magnetico terrestre (intensità totale) sui fondi oceanici, in uno con l'esame paleomagnetico dei campioni di rocce e di sedimenti reso possibile da una strumentazione elettronica molto fine e di grande affidabilità.
La sismica in mare sia a riflessione, che consente il rilevamento stratigrafico dei sedimenti fino al tetto cristallino e oltre, sia a rifrazione, che consente di rilevare la forma, la profondità e la natura (elastica) delle discontinuità, ha ottenuto eccellenti risultati con strumentazione e metodi sempre più perfezionati di prospezione geofisica.
Anche per la geologia marina, oltre ai mezzi geofisici sopraccennati sono stati sviluppati "carotieri" per ogni profondità con diametri anche notevoli per ottenere carote indisturbate, e carotieri capaci di misurare il gradiente termico dei sedimenti (thermoprobe), nonché sistemi di benne e draghe manovrate automaticamente alle maggiori profondità e anche per mezzo di batiscafi o mezzi mobili, con uomini o senza, per le profondità minori.
L'oceanografia fisica. - Per quanto concerne il moto ondoso, il problema della generazione, accrescimento, propagazione e dissipazione delle onde generate dal vento, nonché degli effetti sulle coste, ha avuto molta attenzione con notevoli studi teorici e sperimentali anche se ancora non si può dire del tutto risolto.
Certamente non vi è scarsezza di ipotesi sulla spiegazione della generazione delle onde marine prodotte dal vento, ma l'attenzione dei ricercatori e degli sperimentatori negli ultimi tempi è stata particolarmente rivolta alle verifiche delle teorie di O. M. Phillips, dell'università di Cambridge, che considera le onde generate, come effetto di risonanza, dalle fluttuazioni della pressione prodotte dal moto turbolento associato al flusso dell'aria nelle immediate vicinanze della superficie libera del mare, dello stesso O. M. Phillips e di K. Hasselmann, di Amburgo, che ritengono l'agitazione ondosa generata dall'interazione energetica fra le onde stesse, cioè un fenomeno di feedback positivo, con trasferimento dell'energia dal vento alle onde più brevi e da queste alle onde più lunghe su tutto lo spettro, di J. Miles della Scripps institution of oceanography, che considera il moto ondoso generato da instabilità dinamiche del flusso d'aria al di sopra della superficie increspata o ancora come fenomeno di feedback positivo in cui il vento trasmette energia alle onde attraverso l'azione di forze di pressione indotte dalle onde stesse. W. C. Reynolds della Stanford university, R. Davis della Scripps institution, M. J. Manton della British Columbia university, R. Long della Nova university e A. H. Townsend di Cambridge hanno sviluppato altre teorie di nuova generazione derivanti dal modello di Miles, ma in cui compaiono equazioni più complete che includono interazioni fra la turbolenza e il moto ondulatorio stesso dell'aria in prossimità della superficie marina.
In particolare la possibilità di una misurazione diretta della pressione al di sopra delle onde potrebbe dare una verifica delle teorie sopraccennate. Le difficoltà sperimentali di questa misurazione, derivanti dalla possibilità d'impiegare sensori che non introducano errori troppo grandi a causa della distorsione del flusso dell'aria per effetto Bernoulli, è stato risolto soltanto di recente da J. Elliott della British Columbia university e R. Spyder della Nova university. Per verificare queste teorie con nuovi mezzi strumentali, dal 1968-69 è ancora in atto una serie di esperienze eseguite, con una certa varietà di nuovi sensori per la misura spaziale e temporale dei campi d'onde generate dal vento, nel quadro del JONSWAP (Joint North Sea Wave Project), che ha già fornito notevoli risultati.
Altri risultati di grande interesse speculativo e pratico sono stati raggiunti nel campo della struttura probabilistica del moto ondoso e dei metodi di previsione dello stato del mare, alcuni dei quali sono entrati nella routine previsionistica normale e nella determinazione delle "rotte ottimali" eseguite da alcuni servizi speciali di assistenza alla navigazione (SUA, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Francia).
Mentre sono ormai ben noti i processi di valutazione del cosiddetto "spettro di potenza", che è una funzione caratteristica delle onde marine casuali unidirezionali e che si deduce dai dati di osservazione in base ad analisi di Fourier facilmente eseguibili con calcolatori, il cosiddetto "spettro direzionale", che è uno spettro energetico bidimensionale caratterizzato invece sia dalla direzione sia dalla frequenza delle onde marine in un mare in tempesta come risultato di un processo stocastico e che fornisce una più completa descrizione statistica, è invece ancora difficilmente calcolabile; tuttavia molti progressi sono stati fatti negli ultimi anni con i lavori di N. F. Barber (1965), M. S. Longuet-Higgins (1963), L. E. Borgman (1969), S. S. T. Fan (1968), L. E. Borgman e M. E. Panicker (1970), S. Suzuki (1968-69); la questione ha un'enorme importanza pratica per i problemi di resistenza delle strutture specialmente in mare aperto (per es., delle piattaforme marine di perforazione). Altri esempi di interessanti progressi in questo campo sono dati dalla possibilità di determinare misure quantitative dello "stato del mare" e degli "spettri d'onda" mediante tecniche radar, con misure di retrodiffusione radio o anche dell'effetto Doppler dipendenti dal moto ondoso, oppure mediante analisi ottica di Fourier da fotografie della superficie marina prese da aerei. Infine nel 1975 a bordo del satellite GEOS-C è stato sperimentato un altimetro radar ad alta risoluzione che ha consentito di misurare l'altezza delle onde e di fornire un telerilevamento dello stato globale del mare.
I problemi delle "onde interne " e quelli della struttura fine degli oceani sono andati intrecciandosi sia nella sperimentazione sia nella teoria e i progressi ottenuti per la loro comprensione sono dovuti essenzialmente alla disponibilità di strumentazione adatta: sensori, sistemi di rilevamento in dettaglio con profili verticali e orizzontali (anche in profondità), e ai sistemi di analisi dei dati. Sono stati sviluppati anche modelli analitici molto efficaci per lo studio della dinamica di ambedue i processi.
Le onde interne hanno origine dagli effetti combinati di stratificazione di densità, venti, correnti, maree e rugosità del fondo; sono un fenomeno comune in tutti i mari, le modalità di moto delle particelle sono molto variabili in funzione della profondità e del tempo; a causa della grande lunghezza d'onda penetrano anche a grande profondità e quando s'infrangono divengono molto turbolente, causano distorsioni nella propagazione di onde acustiche, hanno grande rilevanza nei processi di scambio, di turbolenza e di mescolamento in profondità.
La struttura fine e i fenomeni di turbolenza e di mescolamento che spesso hanno una distribuzione discontinua e sporadica nei mari, come pure i processi idrologici a grande scala e a scala intermedia, hanno ricevuto un forte impulso negli ultimi anni con l'impiego di catene di termistori e dell'STD Profiler, che fornisce profili di temperatura, salinità, pressione, e del CTD Profiler che è capace di dare 30 misure al secondo molto precise (± 0,1 dB, ± 0,005 °C, ± 0,011 mmho • cm-1) di pressione, temperatura e conducibilità. Prima dell'impiego di questi mezzi le leggi che governano la turbolenza a piccola scala erano state pressoché ignorate, a causa delle difficoltà tecniche e metodologiche, data la grande variabilità temporale e spaziale del fenomeno. Così, per es., sono state messe in evidenza strutture segmentate e discontinue della temperatura e della salinità nella termoclina in molte parti del mondo oceanico, mentre si sono studiati meglio i fenomeni di diffusione e di propagazione di componenti vari, fino alla risoluzione di un centimetro, e strutture stratificate dell'acqua marina in piccoli spessori (1 ÷ 3 m) con dimensioni orizzontali centinaia di volte superiori.
Tra i temi di studio molto approfonditi negli ultimi anni è quello delle variazioni eccezionali del livello marino, rispetto alle normali variazioni di marea, note come "onde di tempesta" (storm surges) prodotte soprattutto dall'azione del vento in particolari condizioni meteorologiche connesse a depressioni atmosferiche, alla struttura e all'attrito del fondo, a effetti di sessa e di marea, e che si verificano in molte parti delle coste oceaniche.
I nuovi metodi idrodinamici numerici, combinati con le migliorate previsioni meteorologiche, hanno consentito progressi di grande utilità per la previsione di grandi mareggiate e di onde di tempesta nel Mare del Nord (R. D. Hunt, 1972) e di uragani (C. L. Breitschneider, 1967).
Per quanto concerne le maree, la moderna teoria dei processi stocastici non lineari consente di fare analisi e previsioni di marea collegando le forze generali della marea alla funzione di risposta non lineare rappresentata dalle registrazioni, che sono il risultato di tutti i fattori: forma del bacino, struttura del fondo, conformazione della costa, ecc., che intervengono a determinare la marea effettiva in un determinato punto. Altri risultati sono stati ottenuti con lo studio di modelli analogici idraulici, elettrici o matematici. Sono stati molto studiati gli effetti dinamici delle correnti, delle grandi perturbazioni bariche, delle variazioni del livello marino per fenomeni di subsidenza, i quali hanno molta importanza non solo nella propagazione dell'onda di marea ma anche in quella dei maremoti (tsunami), dati gli effetti catastrofici d'inondazione che possono essere prodotti da tali onde eccezionali anche su coste lontane. Per es. il terremoto del Chile del 1960 produsse maggiori danni e perdite di vite umane in Giappone, a 13.000 km di distanza.
Il problema della previsione delle maree irregolari e degli tsunami sulle coste con fondali bassi implica la conoscenza delle maree oceaniche avanti alla piattaforma continentale nonché la misura dell'altezza di marea con precisione dell'ordine di 1 cm su fondali di almeno 200 m; ciò ha condotto a costruire sensori di pressione capaci di effettuare queste misure, esenti da tutte le perturbazioni prodotte, per es., dal moto ondoso, o da altre cause; ciò è stato raggiunto mediante filtri idraulici, oppure mediante filtraggio elettrico della tensione elettrica generata da uno speciale trasduttore delle perturbazioni dinamiche.
Fondamentali risultati vanno emergendo da una documentazione molto vasta raccolta durante l'intensa attività di ricerca rivolta negli ultimi anni anche nel campo dei processi d'interazione ariamare, a micro- e macroscala, da cui, a eccezione delle maree, dipendono tutti i processi dinamici degli oceani; essi riguardano: scambi energetici, flussi radiativi a lunghezza d'onda breve (luce visibile) e lunga (infrarosso), di calore latente, di calore sensibile, processi dinamici (vento, onde, ecc.), scambio di acqua, processi di evaporazione e condensazione, scambio di CO2, di ossigeno e di altri gas, scambio di materiali solidi (soprattutto sale dal mare, polveri, micrometeoriti, ecc.), prodotti della radiazione cosmica 14C e trizio, la cui vita relativamente breve rende possibile la misurazione di processi di mescolamento a breve termine nelle acque superficiali, e sostanze radioattive di origine artificiale (fall-out), scambio di carica elettrica, ecc.
Molti risultati hanno consentito una migliore comprensione dell'interconnessione dei diversi fenomeni che in maniera così complessa manifestano la stretta interdipendenza dell'atmosfera e dell'idrosfera, ivi compresi i fattori che regolano non solo le variazioni del tempo meteorologico ma anche le variazioni a medio e a lungo termine del clima, dato che l'oceano costituisce "la memoria dell'atmosfera" di cui combina, media e regola, in maniera ancora non del tutto nota, tutti i fenomeni a scala piccola e grande.
La circolazione generale degli oceani e la determinazione delle correnti in superficie e al fondo, che la compongono in una complessa varietà di modi, sono stati proficui campi di lavoro di cui non è possibile riassumere compiutamente i risultati. Oggi sono abbastanza note le linee generali della grande circolazione oceanica superficiale e profonda (termoalina); l'affinamento della conoscenza delle forze generatrici e modificatrici del moto e i modelli fisici e matematici che si sono potuti realizzare hanno migliorato molto le conoscenze in questo campo.
Mentre il "metodo dinamico", o "metodo geostrofico", di misurazione delle correnti, che conduce a una visione sintetica di tutte le cause agenti sul moto delle acque e fornisce quindi una misura delle correnti stesse indipendentemente dalle effettive cause generatrici, è ancora largamente impiegato, un apporto efficace alla misurazione diretta delle correnti, anche a notevole profondità, è stato offerto dalla nuova strumentazione disponibile e dal gran numero di esperienze eseguite in tutti i mari, anche se il moto dell'acqua rimane in realtà uno dei parametri fisici più difficili da misurare in maniera soddisfacente, mentre ogni misura istantanea locale ha scarsissimo significato. Infatti una delle maggiori difficoltà nella valutazione delle correnti marine rimane la loro grande variabilità che mostra fluttuazioni di tutti i periodi: questa variabilità, oltre ai venti e alle forze di marea, è dovuta a molte cause le quali agiscono simultaneamente; le variazioni della "corrente permanente" (circolazione prodotta dal vento o termoalina), variazioni della pressione barometrica, trasporto di massa legato al moto ondoso, onde interne, forza di Coriolis, configurazione del fondo e delle coste, correnti d'inerzia, correnti periodiche di marea, e inoltre condizioni delle zone adiacenti (accumulo di acqua prodotto dall'azione del vento), variazioni delle forze generatrici, ecc. Tutte queste cause producono fluttuazioni e vortici a micro- e macroscala, nonché convergenze e divergenze, che, se rendono difficile la determinazione delle correnti, limitano fortemente le analisi sinottiche e le previsioni delle correnti stesse.
Nonostante i miglioramenti tecnici e strumentali, le complicazioni del problema sono molte e tutte le schematizzazioni finora introdotte nello studio delle correnti e della circolazione oceanica sono insufficienti e approssimative; ecco perché le linee generali delle ricerche in questo campo sono basate: su schemi teorici via via più complessi che introducono sia i termini non lineari dell'accelerazione, sia in qualche modo la variabilità, su modelli fisici e matematici che introducono via via i fattori più importanti, sull'intensificazione delle misure e dei punti di osservazione.
La scoperta delle "correnti di Cronwell" (sottocorrenti equatoriali), prima nel Pacifico e poi nell'Atlantico, è un esempio delle possibilità offerte da questi indirizzi di ricerca e nello stesso tempo dimostra la conoscenza ancora lacunosa della circolazione oceanica.
Comunque le diverse teorie (Munk, Hidaka, Saint Guily), e anche molti fatti, concorrono a stabilire che i venti sono la causa generatrice essenziale della circolazione oceanica, più o meno permanente, mentre l'analisi delle masse d'acqua oceaniche mostra che le acque profonde a 4000 m risultano essenzialmente formate da una mescolanza di acque che si formano in due sole sorgenti principali: il Nord Atlantico, a S della Groenlandia, e attorno all'Antartico; cioè queste sorgenti che hanno una superficie dell'ordine del 2 ÷ 3% di tutta la superficie marina alimentano i 3/4 delle acque oceaniche. Questo flusso invernale discendente per gravità è poi compensato da un moto convettivo ascendente delle acque fredde, estremamente più lento, verso l'alto, ripartito su una superficie enormemente più vasta e si oppone alla diffusione verso il basso delle acque superficiali più calde e più salate: le acque più fresche finiscono per essere coinvolte dalle correnti della circolazione superficiale legata ai venti; la circolazione profonda è dunque termoalina e sostanzialmente trasporta acque fredde alle latitudini più basse.
Studi abbastanza approfonditi sono stati rivolti ai problemi delle grandi correnti del Golfo e del Kuroshio, mentre una crescente attività di ricerca si ha nel campo del fenomeno delle "risorgenze" (upwellings) e degli ecosistemi legati alle risorgenze, com'è nel caso catastrofico e periodico (circa 7 anni) di El Niño sulle coste peruviane che ha un'enorme importanza pratica per la pesca, oltre che scientifica, per il fatto che esso mostra come profonde e drammatiche variazioni della circolazione oceanica in una certa regione possano essere correlate con variazioni climatologiche distanti migliaia di chilometri.
Nel caso di El Niño, il normale fenomeno della risorgenza di acque fredde lungo le coste del Perù, che arricchisce la fauna marina con i suoi apporti di ossigeno e sali nutritivi, viene a mancare circa ogni sette anni a causa dell'indebolimento degli alisei nell'emisfero settentrionale per cui viene notevolmente ridotto nella fascia degli alisei stessi il trasferimento del calore dalle acque calde equatoriali e quindi aumenta la temperatura della superficie del mare. Le acque tropicali calde con la controcorrente equatoriale si spingono molto a Sud e quindi la risorgenza prodotta dai venti soffianti verso il largo delle coste del Perù, che normalmente è di acqua fredda, porta in superficie acque di provenienza tropicale calde e povere di ossigeno e quindi nocive per la fauna marina che scompare.
Per quanto concerne il livello medio marino molti lavori condotti negli ultimi anni riguardano: gli effetti delle maree e altri fattori periodici (I. V. Maximov, 1970), gli aspetti meteorologici e idrografici (H. Stormel, 1964; J. R. Rossiter, 1967; A. P. Lisitzin, 1972), gli effetti di bradisismi, di subsidenza e il fattore eustatico (K. Hansen, 1970; S. Polli, 1962; M. Yamaguti, 1962), le cause del ciclo annuale. È stato trovato, per es., che l'incremento medio per effetto eustatico è dell'ordine di 1,6 cm/decade (F. Mosetti, 1975).
Molta attenzione è stata rivolta ai paleolivelli marini e ai cicli eustatici delle variazioni di livello nei vari periodi geologici dal Cambriano al Terziario e nel Quaternario (1975). Le cause dei cicli eustatici non sono bene individuate; tuttavia le epoche e le durate dei cicli eustatici sono state ben documentate: mentre le grandi variazioni a lunghissimo termine hanno una probabile spiegazione dall'ipotesi della "tettonica a zolle", le fluttuazioni minori sembra siano da attribuire a eventi glaciali. La maggior parte dei cicli trovati sono di durata intermedia (15 ÷ 100 milioni di anni) e il tipo di variazione sembra simile a quello delle glaciazioni, tuttavia sembra evidente un certo controllo di carattere tettonico.
Per quanto concerne gli studi della radioattività nel mare ha avuto molta attenzione l'impiego della radioattività naturale e artificiale negli studi dei fondi marini e in alcune tecniche di datazione e di traccianti radioattivi nella dinamica sedimentaria dei litorali e in problemi di prospezione mineraria.
I problemi del telerilevamento e dell'impiego di nuove tecniche di osservazione oceanografica dallo spazio ebbero inizio praticamente dal congresso su Oceanography from space promosso dalla NASA (National Aeronautics and Space Administration) e tenuto presso la Woods Hole nel 1964; le ricerche e le osservazioni finora eseguite mediante telerilevamenti riguardano la distribuzione della temperatura superficiale, il telerilevamento delle coste e delle relative modificazioni, dei grandi sistemi di correnti, dei processi di erosione e di trasporto di sedimenti, inquinamenti, stato del mare, osservazioni di uragani e tifoni, attività vulcanica in aree remote, determinazione della forma della superficie oceanica (geoide), determinazioni magnetiche e del campo gravitazionale.
Sono state impiegate, per es., tecniche d'inversione per estrarre da spettri di echi Doppler in HF i dati dello stato del mare (altezza delle onde, periodo dell'onda dominante, spettro non direzionale delle altezze d'onda), con risultati molto promettenti.
Gli studi di o. chimica, cioè dello studio del mare come sistema chimico e come importante campo d'interesse della geochimica, si sono sviluppati con grande attività di iniziative e di risultati lungo alcune linee principali di ricerca come: a) processi di trasformazione, trasporto e sedimentazione dei materiali provenienti dall'esterno attraverso le interfacce; superficie e fondo oceanico (sedimenti e rocce) e dei continenti e masse terrestri, considerando l'oceano come sede del ciclaggio dei materiali stessi attraverso effetti combinati di processi fisici e biologici; b) formazione, trasformazione e cicli dei sedimenti di origine biologica; c) processi inorganici e biochimici, problemi di equilibrio dei composti organici e inorganici, ecc.; d) problemi di chimica biologica; e) problemi dell'inquinamento dei mari da idrocarburi, metalli pesanti, DDT, pesticidi, biocidi, sostanze radioattive, ecc.; f) studio dei radionuclidi di origine naturale o artificiale, isotopi stabili; g) sostanze organiche e inorganiche, costituenti maggiori (> 1 ppm) e minori (〈 1 ppm), oligoelementi, gas disciolti; h) minerali dal mare e dal fondo marino, dissalazione delle acque marine; i) equilibri, processi e cicli geochimici; l) problemi di paleochimica.
La geofisica e la geologia marina. - Il grande sviluppo della "geofisica marina " degli ultimi vent'anni, cioè l'applicazione agli oceani e al fondo oceanico dei metodi della geofisica, reso possibile dalla disponibilità di apposita strumentazione adatta alle ricerche nel mare, nei fondamentali campi della sismologia e della sismica, del geomagnetismo, della gravimetria e della geotermica, ha prodotto un progresso di eccezionale portata anche nel campo della "geologia marina", aprendone nuovi orizzonti nello studio della composizione, struttura, morfologia, stratigrafia, età e dinamica dei fondi marini e delle coste.
La convergenza degli sforzi dei geofisici e dei geologi, unita alle grandi possibilità d'ordine tecnologico, hanno consentito di perfezionare l'ipotesi rivoluzionaria (1960) della "espansione dei fondi oceanici". L'interpretazione dell'espansione dei fondi oceanici con la formazione di nuova crosta terrestre lungo le dorsali oceaniche ha portato alla nuova teoria della "tettonica a blocchi" (plate tectonics), denominata anche "nuova tettonica globale". Tale teoria si basa sul fatto che lo strato superficiale rigido terrestre, la litosfera, subisce forti deformazioni soltanto lungo strette fasce attive formate da dorsali, fosse, e faglie transformi d'interconnessione tra blocchi contigui, le quali dividono la litosfera in un certo numero di piastre (plates) all'interno delle quali non si hanno forti deformazioni della crosta. Il moto relativo tra i blocchi, o piastre, è la causa fondamentale dell'attività tettonica terrestre. Praticamente si hanno tre tipi di bordi dei blocchi terrestri: 1) linee di congiunzione dove si forma nuova crosta man mano che i blocchi si allontanano tra loro (creste delle domali medio-oceaniche); 2) linee di giuntura dove la crosta si accorcia (fasce di pieghe orografiche) e i blocchi si avvicinano tra loro, oppure dove un blocco s'immerge sotto il blocco contiguo (subduzione) e la crosta viene consumata e riciclata nel sottostante mantello terrestre, come avviene nelle fosse oceaniche; infine, 3) linee di giuntura, dove le piastre slittano lateralmente tra loro (faglie transformi) e la crosta non si crea né si distrugge ma si conserva.
Nel primo caso, allorché due piastre si allontanano, del materiale proveniente dalle regioni terrestri sottostanti più calde emerge in superficie dalla spaccatura della dorsale che divide due blocchi contigui, si raffredda e forma nuovo materiale solido della dorsale stessa la quale si eleva di circa 3 km dal fondo oceanico. Allorché la roccia si raffredda, si magnetizza parallelamente alla direzione del campo magnetico terrestre esistente all'atto del raffreddamento. Le successive inversioni subìte dal campo magnetico nel corso dei tempi geologici stabiliscono così una cronologia con la quale si sono potute datare le magnetizzazioni del fondo marino e quindi datare anche gli spostamenti subìti dalle piastre terrestri.
La sismologia ha fornito altri fondamentali e convincenti supporti alla teoria dell'espansione del fondo oceanico e dati sicuri per valutare lo spessore dei blocchi terrestri; il sistema delle fasce sismiche che corrono sulla Terra segue gli attuali confini dei blocchi litosferici che lentamente si muovono su materiali relativamente più caldi e meno rigidi del mantello terrestre ("astenosfera") e così pure altre informazioni suppletive sono venute dai risultati gravimetrici e geotermici; tutto converge dunque abbastanza armonicamente verso una concezione globale della tettonica terrestre.
Molti fatti geologici e geofisici trovano esauriente spiegazione in questa nuova concezione della tettonica globale, anche se sussistono molti problemi difficilmente inquadrabili in essa; tuttavia la nuova concezione, che la superficie terrestre è in continua evoluzione e trasformazione, viene dagli oceani, dove lungo le dorsali la crosta continuamente si forma, si trasforma e invecchia nel suo lento trasportarsi verso le fosse oceaniche, dove affonda e viene riassorbita nel "mantello terrestre".
I movimenti sono dell'ordine di qualche cm/anno (circa 2 cm/anno per l'Atlantico e 8 cm/anno per il Pacifico). Questi moti, combinati con quelli più piccoli verticali, dell'ordine di qualche mm/anno (movimenti isostatici), sono una testimonianza del dinamismo della litosfera in continua trasformazione. Tutto ciò ha prodotto un nuovo campo interdisciplinare, la "geodinamica", che si fonda sugli apporti complementari della geofisica e della geologia. Con l'accettazione della tettonica a zolle nasce il problema della sua base energetica. Una delle fonti di energia del flusso termico terrestre, della sismicità, del vulcanismo e della tettonica può provenire dal calore dei processi di decadimento radioattivo dell'uranio, del torio e del potassio, mentre altre fonti alternative sono da ricercarsi in processi di differenziazione nel nucleo terrestre, nel mantello e nelle maree della Terra solida.
Per quanto concerne la paleoceanografia, le attuali conoscenze possono essere estrapolate fino a 150 ÷ 200 milioni di anni fa alla fine del Paleozoico, allorché i continenti oggi conosciuti erano probabilmente uniti insieme in una grande massa terrestre continentale, il Gondwana. Tutti i fondi oceanici oggi esistenti probabilmente si formarono a partire dalle linee di frattura lungo le quali il Gondwana si spaccò, cosicché i fondi oceanici sono relativamente troppo giovani per conservare tracce tettoniche dell'era paleozoica.
La distruzione della crosta oceanica spiega, infatti, uno dei grandi paradossi della geologia; anche se le masse oceaniche sono sempre esistite, gli oceani attuali non contengono sedimenti di oltre 150 milioni di anni; infatti i sedimenti più vecchi sono stati distrutti nelle fosse oceaniche, o si sono accumulati ai bordi dei continenti.
La cronologia determinata magneticamente, portata nel 1968 dal presente al Cretaceo superiore (80 milioni di anni) ed estesa nel 1972 fino al Giurassico superiore (162 milioni di anni), ha ricevuto una conferma critica dalle perforazioni e dai carotaggi a grande profondità eseguiti - dopo che è stato abbandonato il famoso "progetto Mohole" di perforazione profonda del fondo basaltico nel Pacifico - nel quadro dei programmi di lavoro del JOIDES (Joint Oceanographic Institutes Deep Earth Sampling), che è un progetto congiunto di cinque università statunitensi, e del DSDP (Deep-Sea Drilling Project), dalla nave di trivellazione Glomar Challenger che, come si è già ricordato, ha effettuato molte centinaia di perforazioni in tutti gli oceani e anche nel Mediterraneo. I sedimenti più antichi sono appunto del Giurassico superiore e si hanno nel Pacifico nord-occidentale e nell'Atlantico nord-occidentale. I risultati del DSDP portano prove a favore dalla teoria dell'espansione degli oceani e confermano che il 50% degli attuali fondi oceanici si sono formati negli ultimi 80 milioni di anni.
Uno dei risultati più importanti è, per es., che il Mar Rosso e il golfo di Aden appaiono come oceani embrionali, formatisi dai movimenti relativi dell'Africa e dell'Arabia iniziati 20 milioni di anni fa nel Miocene. Nelle profondità del Mar Rosso sono state scoperte zone con acqua molto calda (oltre 40 °C) e altamente salina (fino a 240‰), zone vulcaniche e faglie da cui emergono soluzioni minerali contenenti ferro, manganese, rame, zinco e oro di probabile valore economico.
Altri risultati paleografici di grande importanza scientifica furono ottenuti nel Mediterraneo dalla Glomar Challenger in una crociera dell'autunno del 1970, durante la quale fu rilevata la presenza di strati di materiali evaporitici, fortemente riflettenti dell'energia acustica, da cui risulta che circa 6 milioni di anni fa questo mare era quasi del tutto disseccato.
Un altro campo d'intensa attività nel campo della geologia applicata è quello concernente lo sfruttamento di alcune risorse minerarie del mare; alcuni processi geologici delle dorsali medio-oceaniche e delle fosse attive sono responsabili, infatti, di depositi minerali di metalli pesanti.
Zone d'intensa mineralizzazione e metallogenesi sono: il blocco NAZCA a ovest del Perù e del Cile, in cui dal 1971 la ricerca (NAZCA plate project) è orientata a indagare, con le tecniche della geofisica marina più aggiornate, le origini dell'attività metallifera sul fondo marino e la generazione di depositi minerali conseguenti alla subduzione della crosta verso il margine continentale; la zona "attiva" della dorsale medioatlantica in prossimità delle Azzorre, dove opera dal 1972 il progetto FAMOUS (French American Mid-Ocean Undersea Study), in collaborazione tra Francia e Stati Uniti, con una notevole varietà di mezzi di ricerca, comprendenti scandagli a scansione laterale per la batimetria ad alta risoluzione, apparati di fotografia del fondo a restituzione dettagliata, misuratori di flusso termico, magnetometri, sismometri di fondo e sommergibili da ricerca a grande profondità, due francesi (Archimede e Cyana) e uno americano (Alvin); la regione asiatica orientale dove si ritiene che interagiscano giganteschi blocchi litosferici che dànno luogo a intensi processi propri dei limiti di confine dei grandi blocchi tettonici, con mineralizzazioni di grande importanza economica.
Oltre a ciò, una grande attenzione ha avuto il problema dello sfruttamento dei "noduli di manganese" che oltre al manganese contengono ferro, nichel, rame, cobalto e tracce di una dozzina di altri metalli, spesso con concentrazioni identiche a quelle dei depositi minerali terrestri; tali noduli pavimentano circa il 25% dei fondi oceanici a profondità superiori ai 3000 m oltre il limite di 200 miglia dalla costa e rappresentano un forte interesse commerciale. I noduli sembra che si accrescano con un processo che dura milioni di anni mentre giacciono in substrati sedimentari i quali si formano in processi che durano migliaia di anni e non è noto il meccanismo di questa flottazione. Sono stati molto studiati sia i problemi della loro formazione e della loro struttura fisico-chimica, sia quelli degli agenti fisici, biologici e minerali e dei componenti biogenici che dànno luogo alle concrezioni microscopiche attorno alle quali probabilmente procedono le più grosse concrezioni nodulari.
L'oceanografia in Italia. - Dopo l'attività svolta, specialmente dalla Marina militare, dal Comitato talassografico - fondato nel 1910 per sollecitazione del matematico V. Volterra, che tra i problemi talassografici trattò quello famoso dell'equilibrio biologico delle varie specie marine, e della Società italiana per il progresso delle scienze, di cui lo stesso Volterra era presidente - e dopo l'importante lavoro scientifico di F. Vercelli, condotto con le navi Marsili, Magnaghi e Porto Corsini, nello Stretto di Messina e nel Mar Rosso fino al 1929, una vera e propria attività oceanografica è stata ripresa in Italia a cominciare dal 1958 per iniziativa del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) il quale, con il concorso della Marina militare la quale ha fornito i primi mezzi navali (navi Staffetta, Mirto, Pioppo) con l'attrezzatura e la struttura di base, promosse otto crociere oceanografiche nel Tirreno, nello Ionio, nell'Adriatico nel quadro della partecipazione italiana all'Anno geofisico internazionale, alle quali fece seguito nel 1961 una crociera nello stretto di Gibilterra in collaborazione con altri paesi.
Nel 1963, con l'entrata in funzione della prima nave oceanografica italiana, la Bannock (1300 t), il CNR iniziò una nuova fase di ricerche nei mari italiani, alla quale è seguita un'intensificazione di sforzi e di risultati con l'attuazione del primo piano quinquennale (1965-69) di ricerca oceanografica di base (fisica, chimica, biologia, geofisica, geologia e tecnologie marine) congiuntamente allo sviluppo di un collaterale programma di ricerca di carattere applicativo rivolto alle risorse marine e del fondo marino. L'attività oceanografica è stata successivamente coordinata dal CNR nel quadro di un secondo piano quinquennale per l'o. (1970-74), mutato poi in quello di "programma speciale per l'o." il quale attualmente prosegue sotto la nuova denominazione di "programma finalizzato per l'o. e fondi marini" con più marcato carattere d'ordine applicativo.
Il supporto fondamentale e preliminare alle ricerche oceanografiche d'ordine speculativo e pratico nei mari italiani è stato dato dal programma di rilievi idrografici e batimetrici, costieri e d'altura, e dall'intenso lavoro cartografico eseguiti dall'Istituto Idrografico della Marina (IIM) il quale ha prodotto centinaia di carte nautiche e carte speciali, a grande scala e di dettaglio, mentre nel 1975 ha allestito una nuova nave idrografica, la Magnaghi (1700 t), dotata di attrezzature idrografiche e oceanografiche molto aggiornate, ivi compresi nuovi sistemi di radiolocalizzazione e sistemi di navigazione satellitare, capaci di rispondere alle affinate esigenze del lavoro scientifico condotto da altri istituti.
L'attività talassografica dell'ultimo quindicennio nei mari italiani e nel Mediterraneo si è sviluppata attorno alle seguenti linee principali: caratteristiche fisiche e dinamiche, proprietà chimiche, rilevamenti geofisici, geologia dei fondi marini e caratteristiche strutturali, risorse marine, interazioni aria-mare, processi costieri e litoranei, inquinamento marino, biologia e risorse biologiche.
I mezzi navali italiani che hanno operato nel campo dell'idrografia e della oceanografia dal 1960 a oggi sono: le navi Bannock (1300 t), Marsili (830 t), D'Ancona (85 t), Luciotta (170 t) del CNR; Staffetta, Magnaghi (1700 t), Mirto e Pioppo (300 t) della Marina militare; Dectra dell'Istituto superiore navale; Vercelli e Geomar dell'Osservatorio geofisico sperimentale di Trieste; Aragonese e Maria Paolina del Saclant ASW Center di La Spezia.
In particolare sono state eseguite circa 30 crociere di cui 12 in collaborazione internazionale nell'Adriatico, nel mar Ligure, nel Tirreno e nel Canale di Sicilia per rilievi di temperatura, salinità, correnti, tenore di sali nutritizi, ossigeno e pH. Tra le crociere in collaborazione con altre nazioni sono comprese quelle del COBLAMED per lo studio delle maree inerziali nel Mediterraneo e del MEDOC destinate allo studio della formazione di acque fredde profonde nel Mediterraneo occidentale. Un'altra zona di formazione di acque assai fredde invernali (〈 7 °C) è l'Adriatico settentrionale.
I rilevamenti gravimetrici, sismici, magnetometrici e geotermici sono stati estesi particolarmente alla piattaforma continentale dell'Italia, che ha un'estensione pari al 60% del territorio nazionale.
Nel campo fisico e dinamico la documentazione raccolta è notevole e alcuni risultati della circolazione nell'Adriatico, nel golfo di Taranto e nel Mediterraneo orientale sono di notevole interesse.
I nuovi metodi di analisi automatica "in continuo" e in situ dei parametri chimici hanno dato soddisfacenti risultati, per es., nello studio della diffusione dell'acqua di origine continentale, nei problemi degl'inquinamenti, nei problemi geochimici e biochimici.
I rilevamenti geofisici e geologici hanno fornito una vasta fonte di dati sulla morfologia dei fondali, sulla stratificazione dei sedimenti e sulle principali linee tettoniche dei mari italiani e di gran parte del Mediterraneo. Nel Mediterraneo occidentale è stato identificato uno spesso strato sedimentario fino al Miocene; sono stati trovati, altresì, uno spesso ed esteso strato evaporitico del Miocene superiore e sequenze pre-evaporitiche fino a spessori di 8,5 km; profili sismici hanno rilevato, tra le Baleari e la Corsica, che la discontinuità crosta-mantello è a circa 16 km di profondità. Così pure, si è trovato che il Tirreno è il bacino mediterraneo più ricco di fenomeni magmatici; sono state acquisite fondamentali conoscenze per l'interpretazione geotettonica del territorio continentale italiano e del Mediterraneo centrale. Rilievi di dettaglio a carattere eminentemente applicativo sono stati eseguiti nello stretto di Messina.
Per quanto concerne ancora il Mediterraneo i risultati dei rilievi geofisici (magnetici, gravimetrici e sismici) eseguiti dal Saclant ASW Research Center di La Spezia e dall'Osservatorio geofisico sperimentale di Trieste, mostrano differenze sostanziali nei processi tettonici del Mediterraneo. Benché quasi tutta la crosta del Mediterraneo sia "di transizione", nel Mediterraneo orientale essa appare piuttosto di tipo continentale mentre nel Mediterraneo occidentale (sotto il bacino delle Baleari) è piuttosto di tipo oceanico. Nel Mediterraneo non si riscontrano allineamenti magnetici così evidenti come quelli rilevati sulle dorsali oceaniche; nell'Egeo settentrionale, tuttavia, i risultati geofisici indicano l'evoluzione di un fondo marino in apertura, mentre per il resto del Mediterraneo sembra che la crosta oceanica sia stata o completamente distrutta o sia attualmente in corso di distruzione (F. D. Allan e C. Morelli, 1971).
Nel campo dei processi d'interazione aria-mare sono state condotte ricerche su modelli del livello marino in relazione ai meccanismi della circolazione e della formazione di acque profonde, sugli scambi energetici e sulla ciclogenesi nel Mar Ligure; particolare attenzione è stata rivolta allo studio delle maree, delle onde di tempesta e soprattutto al fenomeno dell'aumentata frequenza dell'"acqua alta" nella laguna di venezia da connettersi al lento riempimento dell'alto Adriatico, a causa dei detriti di erosione scaricativi dai fiumi, e del conseguente assottigliamento dello spessore delle acque che provoca un aumento delle ampiezze dei movimenti liberi e forzati. Perturbazioni meteorologiche (cicloni, variazioni bariche, venti) in transito sull'Adriatico, e a maggiori distanze, sesse, fenomeni di risonanza e coincidenze dinamiche sono le cause dell'acqua alta che sono state studiate con modelli fisici e matematici, permettendo di fornire previsioni del fenomeno con un anticipo di almeno 6 ore.
Molta attenzione è stata rivolta ai processi costieri dato che degli 8000 km di costa italiana circa un quarto sono soggetti a erosione e subsidenza per cause naturali o artificiali.
Sono stati particolarmente studiati i caratteri topografici e fisiografici della Toscana, del golfo di Taranto, del Delta Padano, di Pozzuoli e dello stretto di Messina.
I problemi dell'inquinamento marino, che per il Mediterraneo assumono, ovviamente, aspetti drammatici, hanno assorbito il lavoro di molte istituzioni pubbliche e private per determinare: a) la distribuzione, il trasporto e la diffusione dei materiali inquinanti e dei relativi parametri fondamentali e cicli, in particolare nella laguna Veneta, nel Delta Padano, nell'Adriatico, nel golfo di Napoli; b) lo sviluppo di sistemi di controllo degli scarichi industriali, di prevenzione dei danni e di conservazione dell'ambiente.
Nel campo delle tecnologie marine gli sforzi sono stati rivolti all'esplorazione e allo sfruttamento di risorse marine, soprattutto di petrolio, nella piattaforma continentale, non solo in Italia, e ai mezzi strumentali necessari: piattaforme e mezzi di lavoro subacquei.
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Oceanografica biologica. - L'o. b. costituisce dal 1964 una delle sezioni dell'Unione Internazionale delle Scienze Biologiche (IUBS) sotto il titolo di "Associazione Internazionale per l'Oceanografia Biologica" (IABO). La costituzione di questa sezione, che riunisce tutti i biologi marini, ha destato perplessità sul suo reale significato in quanto accomuna scienziati le cui ricerche sono volte alla conoscenza del mare come sistema biologico e scienziati che indagano sui vari aspetti della vita degli organismi marini. Vi è infatti la tendenza specialistica a identificare nell'o. b. la disciplina che studia, facendo ricorso anche alle altre componenti del sistema oceanico, il divenire di quei processi biologici la cui integrazione permette di configurare appunto il mare come sistema biologico. Il problema si pone parimenti quando ci si voglia riferire al mare come sistema fisico o chimico, tenuto conto dell'interdipendenza tra i diversi sistemi. I grandi processi biologici che avvengono in mare esulano pertanto sotto questo profilo dalla tematica della biologia marina che verrebbe quindi intesa come studio della biologia degli organismi marini in quanto tali.
L'o. b. è oggi caratterizzata, laddove possibile, dall'espressione quantitativa dei processi che hanno luogo nei diversi ambienti marini. L'esemplificazione che segue riguarda alcuni dei processi che hanno luogo nelle acque pelagiche.
Le masse d'acqua vengono riconosciute dagli oceanografi soprattutto per le loro caratteristiche di temperatura e salinità (diagramma T-S). Tali masse, di così grandi volumi da mantenere piuttosto costanti le loro condizioni, albergano popolamenti planctonici a diversa fisionomia qualitativa in quanto molti organismi marini sono sensibili anche a piccole variazioni delle condizioni ambientali. Tra questi organismi possono essere evidenziate specie indicatrici le quali costituiscono a loro volta un mezzo biologico di ausilio per identificare la massa d'acqua e determinarne l'estensione. Queste acque, che si formano di continuo mescolandosi con quelle di altri sistemi, vanno perdendo la loro identità fisico-chimica alla periferia per mescolanza, o per variazioni fisiche legate alle condizioni stagionali, o per spostamenti ad altre latitudini dove la temperatura o l'evaporazione possono modificarne le caratteristiche tipiche. Anche in questo caso le specie indicatrici di una fisionomia planctonica che caratterizza una massa d'acqua possono essere d'ausilio negli studi idrologici, e fornire informazioni non altrimenti ottenibili sull'origine di tali acque in movimento e trasformazione, e sulle aree geografiche che vengono a essere interessate. Sebbene la distribuzione geografica degli organismi bentonici dipenda spesso e direttamente dal tipo d'acqua e dalle correnti prevalenti, questi organismi vengono usati come indicatori assai meno di quelli zooplanctonici. La validità degli organismi indicatori in quanto tali è subordinata comunque alla verifica di una serie di determinati requisiti.
Dal punto di vista biologico si pone il problema dell'importanza che la colonizzazione riveste nella differenziazione delle specie zooplanctoniche rispetto alla condizione d'isolamento geografico. Attualmente non si è in grado di dare una spiegazione soddisfacente a queste complesse relazioni in termini di fattori oceanografici. I gradienti ambientali esercitano una continua pressione, sebbene variabile, sulla capacità adattiva delle popolazioni planctoniche; e queste sono costantemente soggette ad adattamenti fisiologici e genetici le cui implicazioni nella formazione delle specie divengono chiare soltanto in un tempo successivo.
Uno dei compiti principali dell'o. b. è lo studio della produttività delle acque marine. Nel mare vi sono alghe e batteri che possono sintetizzare composti organici ad alta energia a partire da composti inorganici a bassa energia come l'acqua e l'anidride carbonica. Le sorgenti di energia per questi organismi sono la luce e l'energia chimica derivata dall'ossidazione dei composti inorganici. Questi organismi chiamati autotrofi vengono considerati nel ciclo della sostanza organica degli oceani come produttori primari poiché nell'ambiente marino sono gli unici produttori di materiale organico autoctono. Il materiale organico prodotto viene indicato come produzione primaria, e la produzione primaria espressa per unità di tempo e per unità di superficie o di volume costituisce la produttività primaria.
La reale produzione di sostanza organica avviene quasi esclusivamente nel corso della fotosintesi. La determinazione della clorofilla a è stata usata, oltre che per indicare lo stock vegetale presente anche per stimare il tasso di fotosintesi potenziale e di produzione primaria; quest'ultima può inoltre essere misurata indirettamente valutando il consumo di anidride carbonica o di sali nutritivi. Un altro metodo si basa sulla stima sperimentale della produzione di ossigeno, in quanto nella fotosintesi la produzione di ossigeno è proporzionale all'assimilazione dell'anidride carbonica. Il contributo dei traccianti radioattivi allo studio della produzione primaria è rilevante poiché il metodo isotopico, a differenza dei metodi chimici, può essere impiegato persino quando il tasso del processo produttivo è estremamente basso. In questo caso il contenuto di CO2 (totale) presente nel campione dev'essere determinato, e per tale scopo viene aggiunta all'acqua di mare prima dell'esperimento una ben definita quantità di 14CO2, come NaHCO3 in soluzione. Se si assume che il 14CO2 è assimilato nella stessa misura del 12CO2, determinando il contenuto di 14C nel plancton al termine dell'esperimento si determina anche la quantità totale di carbonio assimilato. Questa tematica, lungi dall'essere esaurita, ha trovato valido supporto nella tecnica del carbonio-14 ampiamente usata in tutto il mondo. A differenza della produttività primaria, nella quale la sostanza organica viene sintetizzata da quella inorganica, la secondaria (produzione degli erbivori) e la terziaria (produzione dei carnivori che si nutrono degli erbivori) costituiscono solo un trasferimento di sostanza organica o di energia da un livello trofico all'altro. Ancora oggi mancano metodi diretti per valutare la produttività secondaria e quella terziaria, e si ricorre a stime le quali utilizzano misure dello stock animale presente e si basano su postulati e considerazioni teoriche. Resta fondamentale il fatto che una sostenuta produttività primaria (fitoplancton) è la condizione iniziale necessaria perché in una determinata area di mare si sviluppi attraverso la produttività secondaria (zooplancton) una sostenuta attività di pesca (produttività terziaria).
Al problema della produttività sono intimamente connessi i processi di demolizione batterica e conversione della sostanza organica in sostanza inorganica disciolta. Nel ciclo annuale la mineralizzazione della sostanza organica, con restituzione di anidride carbonica e di radicali inorganici, serve ad assicurare la disponibilità alimentare agli organismi autotrofi. La distribuzione del carbonio e di altri elementi quali il fosforo, l'azoto e il silicio tende quindi a seguire un andamento ciclico. I numerosi tentativi di descrivere i cicli organici e inorganici che hanno luogo nell'ecosistema marino hanno di volta in volta sempre più evidenziato le reali complessità connesse al riciclaggio dei materiali costituenti. I cicli di determinati micronutrienti nell'acqua di mare non sono così ben definiti come quelli dell'azoto e del fosforo; d'altra parte molti componenti inorganici biologicamente essenziali (quali sodio, magnesio, potassio, calcio) sono presenti nell'acqua di mare in cosi grandi quantità che qualsiasi processo ciclico coinvolto nella loro distribuzione non è importante per il controllo del tasso dei processi metabolici nella catena alimentare, anche se in taluni casi certi elementi possono acquisire valore di fattori limitanti.
A questi processi interessanti una produzione che è pur sempre enorme, anche se i diversi metodi di stima danno valutazioni discordanti, si collega in o. b. il tema relativo agli elementi chimici le cui concentrazioni variano significativamente a causa di attività biologiche (non conservativi), e quelli che invece non variano (conservativi). Più precisamente, si considera non conservativo quell'elemento la cui distribuzione riflette non solo gli effetti di attività biologiche a breve termine (come la produzione), ma anche quelli derivanti da processi oceanografici fisici (come il mescolamento e l'advezione). Le concentrazioni dei sali nutritivi saranno pertanto legate ai cicli produttivi, e da questi dipenderanno le variazioni quantitative delle forme particolata, solubile organica e solubile inorganica, in cui potranno essere presenti elementi come carbonio, fosforo e azoto.
In questo contesto, l'aspetto oceanografico risulta di grande importanza quando le acque superficiali tendono a stratificarsi e prevengono effettivamente il giungere in superficie delle acque profonde ricche di sali nutritivi a sostituire quelle in cui la crescita fitoplanctonica ha esaurito le disponibilità presenti, per cui il meccanismo fisico più importante biologicamente risulta essere quello del mescolamento. La produttività degli oceani propone sotto il profilo della fertilità delle regioni oceaniche le tematiche delle relazioni trofodinamiche, delle comunità di organismi che le interpretano e del loro divenire.
La varietà e la complessità delle relazioni esistenti nella catena alimentare e delle influenze esercitate su questa dall'ambiente marino, sono tali da sfuggire in grado diverso ad analisi quantitative dei fenomeni, sempre che non si ricorra a procedure quali la sperimentazione di laboratorio in condizioni semplificate e controllate. Sebbene tale lavoro conduca a una migliore comprensione quantitativa delle relazioni ecologiche, è necessario cercare di verificare i risultati sperimentali in natura, poiché questo è il solo mezzo di provare il significato realistico della sperimentazione. Sotto questo profilo si sono sviluppati numerosi modelli matematici di popolazioni planctoniche e si sono ottenute buone corrispondenze, per es., tra i cicli stagionali di fitoplancton osservati in natura e quelli teorici; tra distribuzione in profondità dei pigmenti clorofilliani e distribuzione verticale teorica del fitoplancton e dei fosfati; e ancora, in forma moderatamente realistica, anche se gli elementi empirici introdotti hanno reso l'analisi meno accettabile, tra ciclo stagionale dello zooplancton e ciclo teorico. Vi sono tuttavia serie difficoltà a estendere le analisi quantitative con modelli realistici a più alti livelli della catena alimentare, in quanto la molteplicità delle specie con esigenze alimentari specifiche non si presta, come il plancton, a una ripartizione in ampi gruppi ecologici.
Tra i molteplici aspetti dell'o. b. ve ne sono diversi di natura pratica. Uno di questi è la presenza di batteri coliformi in mare, presenza che viene generalmente considerata un indice d'inquinamento cloacale, in quanto, se ad alto livello, può indicare l'esistenza di virus e batteri patogeni. La mortalità dei batteri terrestri nell'acqua di mare può essere causata da molteplici fattori i quali, in maggior parte, possono essere considerati egualmente efficaci nei confronti delle specie indigene. Si ritiene che il contenuto in metalli pesanti dell'acqua di mare unitamente alla bassa concentrazione dei chelanti organici naturali siano letali ai coliformi e ad altri batteri terrestri. In queste circostanze l'ambiente marino costiero, che contiene una grande quantità di materiale organico, permetterà una più grande sopravvivenza dei batteri fecali. Alla tossicità dei metalli pesanti si somma il fatto che le concentrazioni di substrato organico sono generalmente più basse nell'acqua di mare che nell'ambiente terrigeno, e quindi la presenza dei batteri terrigeni risulterebbe contenuta rispetto a quella dei batteri marini naturali che si sono adattati a concentrazioni molto basse di substrato. Sembra pertanto che una funzione del contenuto in sali (ovvero metalli pesanti) assieme alla presenza o assenza di agenti chelanti e substrati organici siano verosimilmente i principali fattori determinanti la crescita e la sopravvivenza dei batteri terrestri in mare. Un altro indirizzo ritiene più importante della misura di un indice d'inquinamento, quale il conteggio dei coliformi, osservazioni microbiologiche di routine atte a determinare le attività biochimiche delle acque inquinate.
Un altro aspetto di particolare significato è costituito dalle fluttuazioni delle popolazioni ittiche a valore commerciale. In questo caso è importante conoscere l'abbondanza e l'ubicazione delle specie, tenuto conto rispettivamente delle fluttuazioni temporali e dei fattori che influenzano l'aggregazione o la dispersione delle specie medesime. In generale, tuttavia, le previsioni in merito basate su correlazioni singole o a componente multipla non sono state coronate da successo. Mentre si sono rilevate tenui correlazioni tra stock di adulti e dati di o. b., si è riconosciuta l'importanza di valutare i tassi di sopravvivenza durante i primi stadi di sviluppo delle specie. Nel caso di specie commerciali a notevole deposizione è più importante conoscere le condizioni che possono condurre a una variazione del tasso di sopravvivenza (alimentazione, predazione, condizioni meteomarine), con conseguente rafforzamento o indebolimento della classe d'età, che non quelle che influenzeranno la sopravvivenza degli stadi più maturi. Poiché i primi stadi di vita di molti pesci sono planctonici, la loro sopravvivenza nella comunità planctonica è un tipico fenomeno il cui studio va prospettato nel quadro dell'o. biologica.
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