Oceanografia
L'o. ha compiuto enormi progressi grazie allo sviluppo tecnologico e all'accresciuta consapevolezza che la conoscenza delle dinamiche complessive del nostro pianeta, nelle quali gli oceani hanno un ruolo fondamentale, è una necessità imprescindibile per lo sviluppo delle società umane e in generale per l'esistenza attuale e futura delle specie viventi.
L'o. da tempo è interpretata quale sinonimo di scienza, o meglio di scienze del mare e di conseguenza è convenzionalmente riconosciuta come un insieme di numerose discipline che si occupano: degli aspetti biologici ed ecologici; dei processi fisici, ivi compresi la complessa interazione tra oceano e atmosfera, le maree, la circolazione e le correnti marine, la dinamica del moto ondoso ecc.; degli aspetti geologici, come la morfologia e topografia dei fondali e dei versanti marini; dei processi chimici che si svolgono in mare e che coinvolgono elementi e sostanze sia abbondanti sia in traccia, in quanto utili a fornire indicazioni essenziali all'interpretazione e comprensione di tutti gli altri processi biologici, fisici e geologici. Nel trattare gli sviluppi dell'o. è bene seguire per chiarezza espositiva questo schema in quattro punti, anche se complessità e varietà della materia obbligheranno a utilizzarne altri: per es., la distinzione tra gli studi in acque profonde e in zone costiere, l'o. operativa e i sistemi di difesa da eventi marini estremi come gli tsunami. Le attività complesse che tutti i progetti significativi di o. prevedono, richiedono il coordinamento e la collaborazione di molti soggetti a livello internazionale. La Intergovernmental Oceanographic Commission (IOC-UNESCO) è l'organismo dell'Organizzazione delle Nazioni Unite, con sede a Parigi, deputato a svolgere il compito di promozione e coordinamento delle iniziative e ricerche connesse alle scienze del mare. Altri organismi dell'ONU con interesse sul mare sono la WMO (World Meteorological Organisation), con sede a Ginevra, e la UNEP (United Nation Environment Programme), con sede a Nairobi. La collaborazione tra IOC e WMO è assicurata mediante un comitato di coordinamento denominato Joint IOC-WMO Technical Commission for Oceanography and Marine Meteorology (JCOMM).
Oceanografia biologica
Questa disciplina, insieme all'ecologia marina, si occupa dell'interazione delle specie viventi e il mare a livello di singolo individuo, di popolazione, di comunità e, più in generale, di ecosistema. Uno dei temi più studiati è la biodiversità che presuppone il riconoscimento e lo studio quantitativo delle diverse specie. L'interesse per la biodiversità è enormemente cresciuto a partire dagli anni Novanta, quando fu approvata la Convenzione internazionale di Rio per la diversità biologica (CBD, Convention on Biological Diversity) con la finalità di porre rimedio all'accertata estinzione di molte specie non solo marine, a seguito di mal ponderate e invasive politiche di sviluppo economico. È noto che tra i fattori principali a impatto negativo sugli ecosistemi marini vi sono i metodi di pesca aggressivi, l'inquinamento chimico (che fra l'altro induce l'eutrofizzazione) e da sostanze radioattive. Firmata nel 1992 da 150 nazioni, la convenzione è stata successivamente rinnovata ed estesa con l'obiettivo di raggiungere entro il 2010 una riduzione significativa dell'attuale tasso di perdita di biodiversità, mediante l'adozione di piani strategici nazionali, regionali e globali. Dello stesso anno è la sigla della Convenzione per la protezione dell'ambiente marino del Nord-Est Atlantico da parte di 16 Paesi europei e della Comunità Europea (denominata OSPAR, Oslo Paris convention), entrata in vigore nel 1998. Nel 2003 sono state definite le strategie pluriennali per la conservazione degli ecosistemi marini e della biodiversità e, ove possibile, anche per il recupero di aree colpite dagli effetti nocivi delle attività umane. Parallelamente, è stato varato un nuovo piano per la Protezione del Mar Mediterraneo contro l'inquinamento (1995) nell'ambito della Convenzione di Barcellona (approvata nel 1976) con la definizione di vari protocolli, tra i quali particolarmente significativo quello per le zone protette e la diversità biologica (Monaco, 1996) che ha posto le basi per l'istituzione delle Aree speciali protette di importanza mediterranea (ASPIM), recepita in Italia con la l. 25 maggio 1999 nr. 175. Il Mediterraneo, pur ricoprendo solo lo 0,8% della superficie totale degli oceani, ospita circa il 6-7% delle specie animali e addirittura oltre il 16% delle macrofite. Le specie marine protette in Italia sono 16 piante, 50 invertebrati e 53 vertebrati (tra cui lo squalo bianco, la foca monaca, la balena nera, il delfino comune e di Risso). Negli anni Novanta sono stati istituiti in Italia tre parchi nazionali comprensivi di aree marine (arcipelago toscano, arcipelago della Maddalena, golfo di Orosei e isola dell'Asinara) e 15 riserve marine. Parallelamente sono state definite altre 33 aree cosiddette di reperimento, tra le quali per es. Capri e Ischia, candidate a divenire riserve marine e per le quali sono ancora in corso indagini specifiche. Dal punto di vista prettamente scientifico, si sono affermati i temi dell'ecologia marina funzionale, che da un lato utilizza sempre più i metodi della genetica molecolare per descrivere e classificare gli organismi mediante la loro struttura genetica, e per correlare tale struttura alle funzioni molecolari, e dall'altro studia il comportamento degli individui e delle popolazioni in relazione ai parametri ambientali. Si pone l'accento sul fatto che il completamento del ciclo vitale per molti organismi marini comporta il passaggio attraverso fasi molto differenti dello sviluppo dal punto di vista biomeccanico (durante la fase di accrescimento fino allo stadio adulto un individuo può aumentare in lunghezza anche di quattro ordini di grandezza) e biochimico (il tipo di alimentazione può cambiare drasticamente). Questo impone allo stesso individuo di modificare l'interazione con l'ambiente fisico-chimico e biologico circostante nel corso della propria esistenza. La dinamica evolutiva dei sistemi ecologici non in equilibrio è un altro aspetto di grande interesse, soprattutto nella prospettiva di distinguere le condizioni che discriminano le fasi cicliche da quelle di transizione definitiva a stati diversi in modo irreversibile, più preoccupanti al fine della conservazione della biodiversità; determinare come le variazioni fisico-chimiche dell'ambiente esterno influenzino in maniera diretta e indiretta la struttura, l'organizzazione e le funzioni delle comunità marine, ivi compresa la determinazione dei fattori principali della fioritura delle alghe e dell'eutrofizzazione; comprendere come le variazioni interne, quali, per es., l'aumento dell'abbondanza dei predatori, cambino la composizione e le funzioni delle altre comunità dell'ecosistema; capire quali siano le capacità di autodifesa di un ecosistema dall'attacco di invasori (specie esotiche) o dall'attacco di elementi patogeni e parassiti. Alcuni esempi possono servire a chiarire i punti sopra menzionati. L'aumento progressivo delle concentrazioni di CO2 e di CH4 sia in atmosfera sia nello strato superficiale dell'oceano nel 20° sec. è un fatto accertato, come è accertato il riscaldamento delle acque superficiali dalla fine degli anni Cinquanta. La quantificazione degli effetti di tali cambiamenti ambientali sul biota oceanico e della possibile influenza del biota sull'atmosfera sono un problema di ricerca ancora aperto. L'aumento o la persistenza del buco dell'ozono che riduce l'azione di filtro dei raggi ultravioletti ha effetti nocivi sull'attività fotosintetica del fitoplancton e sui processi di sviluppo delle larve degli invertebrati marini. Ciò detto, gli effetti a lungo termine sulle singole comunità e sull'intera catena alimentare sono ancora al centro della ricerca. Ancora più complicata è la comprensione degli effetti di processi forzanti saltuari e di breve durata. Per es., si sa che uragani e tsunami sono in grado di produrre forti correnti oceaniche locali con effetto distruttivo sulle barriere coralline. Ma in quale misura tali ecosistemi siano in grado di recuperare non è ancora noto. Parimenti, poco ancora si sa delle capacità di recupero degli ecosistemi marini e costieri colpiti da sversamenti di idrocarburi in seguito a incidenti di petroliere. Episodi di intensa proliferazione delle alghe, in particolare di alghe tossiche (circa 40 specie), sono molto pericolosi per l'effetto che hanno sull'intero ecosistema, in quanto producono conseguenze letali su pesci, uccelli e anche sui mammiferi marini, e hanno effetti deleteri anche per la salute dell'uomo, per non menzionare l'impatto negativo sulla pesca e sul turismo. La determinazione dei fattori che inducono la fioritura algale e dei possibili meccanismi di controllo è un tema su cui si è concentrata la ricerca anche per impulso dell' HAB (Harmful Algal Bloom programme) dell'IOC, senza tuttavia giungere a risultati definitivi. La ricerca europea si è strutturalmente organizzata creando una rete di eccellenza (NoE, Network of Excellence) cui appartengono istituti e organizzazioni di alto profilo scientifico che stabiliscono programmi multilaterali e bilaterali di collaborazione su temi specifici di grande interesse per l'Unione Europea. In particolare nel settore oceanografico, l'European Network of Excellence for Ocean Ecosystem Analysis (Eur-Oceans), creato nel 2005, conta circa sessanta enti partecipanti e ha l'obiettivo di promuovere l'integrazione e lo scambio di informazioni sui temi della conservazione degli ecosistemi pelagici nei mari europei.
Oceanografia fisica e operativa
L'o. fisica ha posto già da tempo al centro del proprio interesse il problema complessivo della dinamica delle masse oceaniche e dell'interazione dell'oceano con l'atmosfera, la criosfera, i continenti e il biota alle diverse scale spazio-temporali. Nel contesto degli studi sul clima globale e sui cambiamenti climatici, l'o. fisica si sta ponendo l'obiettivo di rilevare e interpretare le fluttuazioni climatiche nel ciclo idrologico, nel bilancio termico, nell'effetto serra e della previsione delle tendenze climatiche al fine di valutarne correttamente l'impatto dell'attività umana. Le oscillazioni di breve e lungo periodo identificate, quali la QBO (Quasi Biennial Oscillation), l'AO (Artic Oscillation), la NAO (North Atlantic Oscillation), l'ENSO (El Niño-la Niña Southern Oscillation) e la PDO (Pacific Decadal Oscillation), producono variazioni periodiche sul clima anche intense, in grado di mascherare gli effetti dei trend secolari o dell'azione antropica. Alcune di esse sono state comprese meglio di altre, soprattutto a seguito di rilevanti programmi di osservazione diretta e di analisi. Per es., i processi alla base della dinamica ciclica dell'ENSO sono stati compresi grazie al programma TOGA (Tropical Ocean Global Atmosphere), lanciato nel 1985 per la misura del livello del mare, del vento a bassa quota, della temperatura della superficie del mare, delle correnti marine superficiali ecc. nella regione tropicale del Pacifico. Completato con la rete di boe TAO (Tropical Atmosphere Ocean) già attiva nel 1993, il programma, finanziato principalmente da Stati Uniti e Giappone, continua a fornire dati meteorologici e oceanografici preziosi mediante un sistema rinnovato di 70 boe TAO/TRITON collegate con telemetria satellitare (satelliti ARGOS) ai centri di raccolta dati (PMEL, Pacific Marine Environmentale Laboratory, Stati Uniti, e JAMSTEC, Japan Agency for Marine-earth Science and Technology, Giappone) ove vengono controllati, analizzati e, fra l'altro, immessi in modelli numerici di previsione. TAO/TRITON costituisce il primo passo verso previsioni sistematiche che possono essere compiute come routine da agenzie di servizio, analogamente alle previsioni meteorologiche. Nel quadriennio 2004-2007 è previsto il passaggio graduale del sistema dall'attuale gestore (PMEL), essenzialmente un ente di ricerca, alla gestione del NDBC (National Data Buoy Centre, Stati Uniti), ente operativo di servizio. Il sistema TAO/TRITON rappresenta pertanto un ottimo esempio di o. operativa, ossia quella branca dell'o. finalizzata a fornire previsioni in tempo reale dei moti dell'oceano, che perciò necessita di dati raccolti in tempo reale, di modelli numerici di previsione e di un sistema efficiente di distribuzione delle informazioni. Iniziativa parallela, nata come estensione nell'Atlantico del programma TAO/TRITON, è il progetto PIRATA (Pilot Research moored Array in the Tropical Atlantic), cominciato nel 1997 come progetto pilota e continuato nel periodo 2001-2006. Si tratta di un progetto con sostegno principale di Francia, Brasile e Stati Uniti, che utilizza 12 boe dislocate nella fascia atlantica tropicale tra 10°W-38°W e tra 10°S-15°N. Il progetto internazionale CLIVAR (Climate Variability and predictability), lanciato nel 1998 con durata quindicennale, costituisce un programma globale e ambizioso per la comprensione della variabilità del clima e per la sua predicibilità. CLIVAR si concentra sul ruolo della stretta interazione oceano-atmosfera nel sistema climatico del pianeta al fine di migliorare le nostre capacità di previsione del clima su scale temporali che vanno da decadi a decenni. Esso è parte di un programma di ricerca più vasto, WCRP (World Climate Research Programme), istituito nel 1980, che comprende attualmente altre tre componenti: GEWEX (Global Energy and Water Experiment), CliC (Climate and Cryosphere), SPARC (Stratospheric Processes and Climate). Più che di un singolo programma, si tratta di un insieme di programmi e progetti a livello globale o a scala regionale, che procedono secondo un coordinamento strutturato in comitati e gruppi di lavoro e che consentono la collaborazione tra ricercatori e operatori di tutti i Paesi del mondo. Ciò favorisce l'inserimento di nuovi soggetti che si affacciano in modo massiccio alla ribalta internazionale come la Cina. Questo Paese ha infatti lanciato nel settembre 2006 un nuovo programma nazionale (Ocean-Atmosphere interaction over the joining area of Asia and India Pacific Ocean, AIPO, and its impact on the short-term climate variation in China) che per un quinquennio si occuperà delle variazioni stagionali e interannuali, della turbolenza e del rimescolamento dello strato più superficiale dell'oceano e dei fenomeni di scambio tra mare e aria, al fine di comprendere e prevedere genesi e maturazione dei monsoni. Si tratta di obiettivi condivisi dalla maggior parte dei programmi e che costituiscono la frontiera della ricerca oceanografica odierna. Tra i gruppi di CLIVAR a tematica trasversale, particolarmente interessanti sono il GSOP (Global Synthesis and Observations Panel) e il WGOMD (Working Group on Ocean Model Development). Il primo prende in esame le osservazioni oceanografiche, mentre il secondo la modellistica numerica. Le osservazioni oceanografiche sono fondamentali in quanto la ricerca oceanografica e le sue dirette applicazioni necessitano sempre più di osservazioni puntuali in situ, o areali da aereo e da satellite, e di sondare ogni parte dell'oceano anche in profondità. Progettare, installare e gestire le reti di sensori, il flusso di dati in tempo reale, controllare la qualità dei dati e validarli, conservarli in archivi, elaborarli e distribuire i risultati dell'elaborazione agli utilizzatori (pubblici e privati) è la grande sfida del nostro tempo. Il programma WOCE (World Ocean Circulation Experiment, 1990-2002), cui hanno partecipato più di 30 nazioni, ha rappresentato il primo grande sforzo coordinato di raccogliere e analizzare dati oceanografici relativi a parametri fisici e chimici, utilizzando per le misure sia navi sia boe o capsule semoventi e anche satelliti (per es., satelliti altimetrici come TOPEX/POSEIDON). La fase propria di raccolta dati è terminata nel 1998 ed è stata accompagnata e seguita dall'analisi e dallo sviluppo di modelli numerici di circolazione globale, con copiosa produzione scientifica di articoli e monografie. In pratica, CLIVAR ne può essere considerata la naturale continuazione ed estensione, con il gruppo di lavoro CLIVAR/GSOP impegnato specificamente nell'aspetto di raccolta, gestione e utilizzo dei dati oceanografici dei principali programmi in corso. Fra questi si può annoverare il progetto Argo, che forse per ambizione ed estensione può anche essere considerato un programma a sé stante. Si tratta di un progetto cominciato nel 2000 che prevede entro il 2007 l'installazione di 3000 siti di osservazione, distribuiti in modo da garantire la copertura di tutti gli oceani, per la misura di profili verticali di temperatura e salinità fino a una profondità di 2 km con dati fruibili entro qualche ora dal tempo di misura. Lo sviluppo dei programmi numerici di simulazione della circolazione oceanica globale (OGCM, Ocean General Circulation Model) o regionale ha ricevuto un grande impulso dall'abbondante disponibilità di dati di qualità conseguente al WOCE. Molti gruppi di ricerca si sono applicati producendo modelli di simulazione anche in forma competitiva; questa circostanza ha originato la necessità del confronto e della validazione di tali modelli secondo canoni aperti e trasparenti (per es., DYNAMO, Dynamics of North Atlantic Models, e DAMEE, Data Assimilation and Model Evaluation Experiments, condotti in Europa e negli Stati Uniti alla fine degli anni Novanta). CLIVAR ha affrontato il problema nel già menzionato CLIVAR/WGOMD, che ha definito modi e criteri di comparazione attraverso il P-OMIP (Pilot Ocean Model Intercomparison Project), lanciato nel 2002, ove i modelli posti a confronto hanno utilizzato set di dati limitati e selezionati. Il progetto, che pure ha conosciuto momenti di difficoltà, si accinge a una fase di confronto più sistematico e impegnativo mediante un programma denominato CORES (Coordinated Ocean-ice Reference Experiments) che sarà completato nei prossimi anni. Una tecnica complessa che va sotto il nome di assimilazione e rianalisi riguarda il modo in cui le osservazioni sperimentali vengono utilizzate e integrate nei programmi numerici di previsione. Di questo aspetto si occupa anche CLIVAR, ma principalmente esso è materia di un programma parallelo del WCRP denominato GODAE (Global Ocean Data Assimilation Experiment), la cui implementazione si è sviluppata nel corso di dieci anni (1998-2007), e che sta ora passando dalla fase prettamente dimostrativa a quella di consolidamento e di transizione alla fase operativa. I tre pilastri alla base dell'o. operativa sono un flusso di dati continuo e di alta qualità, accurati modelli numerici e ben testate tecniche di assimilazione. Questa disciplina, che ha fatto enormi progressi a partire dalla metà degli anni Novanta ed è in fase di impetuoso sviluppo, si pone tre principali obiettivi: la descrizione dello stato del mare istantaneo (nowcasting); la previsione delle condizioni future del mare per un tempo più lungo possibile, cioè da settimane a mesi e anni, a seconda della periodicità delle oscillazioni climatiche su cui i modelli predittivi sono calibrati (forecasting); la ricostruzione delle condizioni del mare nel passato ricorrendo all'uso di serie storiche di dati (hindcasting). L'o. operativa nasce in un certo senso con l'istituzione di GOOS (Global Ocean Observing System) nel 1990 e con le successive articolazioni regionali tra le quali EuroGOOS e MedGOOS, create rispettivamente nel 1994 e nel 1997 come associazioni di enti, istituti di ricerca e agenzie con l'obiettivo di applicare i concetti di GOOS nella regione europea e mediterranea. Partito su un precedente sistema pilota, il progetto Mediterranean ocean Forecasting System Toward Environmental Prediction (MFSTEP ) ha rappresentato il primo esempio integrato di un servizio di o. operativa attivo nel Mediterraneo cui hanno contribuito i maggiori centri italiani ed europei sotto la direzione italiana dell'Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Il servizio, attivo anche dopo la conclusione del progetto avvenuta nel 2005, fornisce su una griglia ad alta risoluzione (1/16°), estesa a tutta la zona mediterranea, la previsione a dieci giorni per numerosi parametri in superficie quali la temperatura, la salinità, il flusso di calore, nonché valori del livello marino; fornisce inoltre campi tridimensionali di temperatura, salinità e velocità delle correnti e valori dello strato di rimescolamento superficiale. A complemento, sono attivi altri servizi regionali che forniscono previsioni e analisi su finestre temporali diverse e in aree più limitate come, per es., Cipro, la Grecia, il canale di Sicilia, l'Adriatico. Vale la pena ricordare che il programma GOOS è la principale piattaforma dell'IOC per il monitoraggio degli oceani e che gode del patrocinio oltre che dell'IOC, anche del WMO e dell'UNEP. GOOS costituisce oggi la componente oceanografica del progetto più vasto di osservazione del nostro pianeta, detto GEOSS (Global Earth Observation System of Systems), un progetto decennale lanciato nel 2005 da GEO (Group on Earth Observations), associazione intergovernativa istituita con l'obiettivo specifico di consentirne la realizzazione.
Oceanografia geologica
La forma e la natura dei fondali oceanici sono oggetto di studio dell'o. geologica (ovvero da altra prospettiva della geologia marina) e dell'idrografia, che se ne occupa soprattutto come servizio alla navigazione. I servizi idrografici nazionali sono spesso gestiti direttamente, come avviene in Italia, dalla marina militare per l'importanza strategica ai fini della sicurezza nazionale rivestita dai dati, in particolare dalle batimetrie sotto costa. Essi trovano coordinamento nella IHO (International Hydrographic Organization), con sede nel Principato di Monaco, cui aderiscono più di 60 Paesi. Oltre ai servizi idrografici anche molti istituti di ricerca in tutto il mondo sono impegnati a raccogliere dati batimetrici mediante l'effettuazione di campagne che spesso richiedono risorse ingenti. La grande novità è costituita dalla disponibilità di batimetrie digitali a sempre maggiore risoluzione integrate a modelli del terreno con copertura globale e uniforme su tutto o quasi il pianeta. All'ETOPO5, database ormai storico e pubblicato nel 1988 dal NGDC (National Geophysical Data Center) dello statunitense NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), con dati di elevazione su griglia di 5 minuti primi, si è aggiunto nel 2001 l'ETOPO2, con la nuova versione ETOPO2v2 rilasciata nel 2006, dove il passo di griglia è sceso a 2 primi. Questi database sono stati costruiti assemblando dati di varia natura: precedenti batimetrie ottenute anche da dati altimetrici satellitari (tra le quali la più nota è quella prodotta da W.H.F. Smith e D.T. Sandwell nel 1997 utilizzando fra l'altro dati del satellite europeo ERS-1 e del satellite Geosat della US Navy), batimetrie della regione artica (IBCAO, International Bathymetric Chart of the Artic Ocean), di acque interne e della fascia sottocosta (come l'NGDC coastal relief model). La produzione di carte batimetriche è stato da sempre anche un preciso compito dell'IOC che ha dato vita al progetto GEBCO (General Bathymetric Chart of the Oceans), il quale nel 1994 ha pubblicato la prima versione di un atlante batimetrico digitale (GDA, GEBCO Digital Atlas), poi replicato nella nuova versione del 1997. Si tratta di un insieme di mappe batimetriche tradizionali con isobate, ottenute utilizzando tutti i dati disponibili, ivi compresi sondaggi effettuati da navi commerciali, sottoposti naturalmente a un rigoroso controllo di qualità. Il passo successivo si è avuto con la produzione di batimetrie non più date per curve di livello ma su griglia regolare. Nel 2003, il progetto GEBCO ha reso disponibile un database globale degli oceani con passo di 1 minuto primo, comprendente quindi più di 163 milioni di valori di profondità del mare, ottenuto interpolando le isobate del GDA e di altre carte batimetriche e utilizzando inoltre ecosondaggi e database preesistenti delle linee di costa.
Le informazioni batimetriche costituiscono soltanto un aspetto dell'esplorazione dei bacini oceanici. La geologia e la geofisica marina si occupano rispettivamente la prima di investigare composizione, struttura, morfologia, stratigrafia, età e dinamica dei fondi marini e delle coste, la seconda dell'applicazione in ambiente marino dei metodi propri della geofisica, ossia della sismologia, della gravimetria, della geotermia, del geomagnetismo e così via. Sono stati attuati rilevanti progetti di ricerca a conferma della teoria della tettonica a placche: mappatura delle dorsali oceaniche, dove si forma nuova crosta oceanica e prevale una tettonica distensiva, e delle faglie trasformi a esse associate, caratterizzate da scorrimenti orizzontali; studio delle fosse oceaniche nelle zone di subduzione, dove una placca si immerge al di sotto di un'altra per ritornare nel mantello e dove domina una tettonica compressiva; individuazione dei sistemi di vulcani sottomarini, tanto associati ai processi di interazione tra placche quanto formatisi nelle zone di intraplacca come nei punti caldi (hot spot). La ricerca si orienta anche allo studio dei processi caratterizzati da dinamica veloce geologicamente intesa, ovvero allo studio di variazioni e anomalie di natura vulcanica, idrotermale e tettonica che si possono evidenziare solo attraverso sistemi di monitoraggio continuo delle regioni sottomarine. Per es., in quale modo e con quali tempi caratteristici si evolvono il flusso di calore e il flusso di massa nei centri eruttivi sottomarini, in particolare nelle regioni delle dorsali, con conseguente modifica di profili e gradienti termici e chimici che influenzano fortemente i processi biologici. Qui la circolazione dei fluidi nella crosta oceanica è ben lontano dall'essere compresa: non è ancora noto fino a quale profondità si spinge, con quale intensità e rapidità si svolge e da quali fattori è influenzata. Fra l'altro l'acqua incorporata e intrappolata nelle fasi minerali nella crosta oceanica potrebbe venire trasportata e poi liberata nelle zone di subduzione ove potrebbe avere effetto sia sulle caratteristiche esplosive degli archi vulcanici, sia sui processi sismogenetici nella litosfera che sprofonda nel mantello. Di estremo interesse è anche la geologia dei margini oceanici e più in generale la comprensione dei processi non soltanto geologici, ma anche fisici e biologici che si verificano nella fascia marginale e costiera degli oceani. Se a livello globale il database GEBCO è un successo, la risoluzione necessaria per lo studio dei fenomeni nelle regioni marginali è molto più elevata. A tale proposito, la tecnologia permette di compiere indagini batimetriche su aree relativamente estese con produzione di modelli di elevazione del fondo marino (sea floor topography) di altissima risoluzione (fino a 10-100 m) e molto accurate. Simili indagini, congiunte a prospezioni sismiche anche tridimensionali e all'analisi diretta di campioni di roccia operata mediante perforazioni e carotaggi, consentono anche di valutare la stabilità dei versanti sottomarini, l'individuazione di nicchie di distacco e zone di accumulo, la dinamica evolutiva di frane e canyon sottomarini sia in corrispondenza dei margini continentali passivi sia dei margini attivi e delle zone marine o sottomarine di natura vulcanica. La ricerca europea si è organizzata nel progetto COSTA (Continental Slop Stability), compiutosi nel triennio 2000-2003, sulla stabilità dei versanti continentali e nei numerosi progetti facenti capo a Euromargins, un programma pluriennale sostenuto dall'ESF (European Science Foundation) e dalle agenzie di ricerca nazionali di 10 Paesi europei, tra cui l'Italia, lanciato nel 2003. Sono così stati riconosciuti corpi di frana di vaste e vastissime dimensioni staccatisi da edifici vulcanici o dai margini continentali anche in aree che erano ritenute stabili. Si è visto che flussi di massa in forma di scoscendimenti, valanghe, e correnti torbiditiche sono assai più frequenti di quanto si pensasse. All'esempio già noto della grande frana di Storegga nel Mar di Norvegia, dal volume impressionante di oltre 2500 km3, che fu individuata negli anni Ottanta e la cui genesi e dinamica sono state meglio precisate in questi anni, si sono aggiunti molti altri casi. Tra essi si possono menzionare: la cosiddetta Big95, scoperta appunto nel 1995, una frana di 26 km3, sul margine continentale dell'Ebro nella Spagna mediterranea risalente a oltre 11.000 anni fa; le numerose frane delle Canarie, la più recente delle quali (El Golfo), di ben 150-180 km3, si colloca fra 13.000 e 17.000 anni fa; la frana che ha causato il collasso dell'Etna e la formazione della Valle del Bove, individuata nel 2006 da ricercatori italiani dell'INGV nello specchio di mare al largo del vulcano con un volume di circa 25-30 km3, e avvenuta attorno a 8.000 anni fa.
Oceanografia chimica
L'o. chimica applica i metodi della chimica e della geochimica allo studio dei processi chimici che si verificano in mare. Essa comprende, fra l'altro, lo studio del ruolo svolto dall'oceano nel bilancio globale del carbonio, dell'azoto e degli altri gas dell'atmosfera terrestre, lo studio del trasporto e della diffusione delle sostanze chimiche riversate in mare dai fiumi, dei processi chimici che influiscono sulla produzione biologica, inclusi i nutrienti, le sostanze organiche disciolte e gli elementi in traccia; si occupa della chimica dei campi idrotermali, dei centri eruttivi e dell'uso di traccianti, come, per es., il trizio, per lo studio della circolazione oceanica, e dell'uso di isotopi radioattivi e stabili per lo studio dei processi e per le datazioni; offre strumenti essenziali per quantificare la presenza di sostanze di origine organica naturali o inquinanti nelle acque marine, sia per caratterizzare i processi naturali sia per identificare i cammini percorsi da materiali immessi in mare o fuoriusciti accidentalmente da serbatoi (petroliere, raffinerie ecc.). L'o. chimica ha assunto oggi un ruolo fondamentale nella trattazione di tutti i problemi ambientali, e in particolare nello studio dell'impatto delle attività antropiche sull'ambiente in generale e sulla dinamica degli ecosistemi. Fra i programmi internazionali più rilevanti in corso di attuazione si può annoverare il progetto IMBER (Integrated Marine Biogeochemistry and Ecosystem Research), cominciato nel 2001 in prosecuzione del precedente programma Oceans. IMBER fa parte del programma per lo studio del cambiamento globale IGBP (International Geosphere-Biosphere Programme) partito nel 1987 e voluto dall'ICSU (International Council for Science), una delle prime Organizzazioni non governative. IMBER è imperniato sui seguenti temi: determinazione dell'influenza del cambiamento globale sui cicli biogeochimici e sugli ecosistemi; valutazione e quantificazione della loro funzione regolatrice del clima globale; interazione con lo sviluppo della società umana. Si deve anche ricordare il programma LOICZ (Land-Ocean Interaction in the Coastal Zone), lanciato nel 1993 dall'IGBP e concluso nel 2005 dopo 13 anni di vita, che ha studiato la vulnerabilità dei sistemi costieri, le implicazioni del cambiamento globale, e specialmente dell'innalzamento del livello marino, sugli ecosistemi costieri e infine i cicli biogeochimici nella fascia sottocosta e nelle acque marginali, con particolare riguardo al ciclo del carbonio.
Controllo degli eventi estremi
Lo tsunami del 26 dicembre 2004 è stato uno shock per l'umanità. Una catastrofe inattesa che ha prodotto più di 220 mila vittime in molti Paesi dell'Oceano Indiano, ha lasciato milioni di persone senza dimora, ha sconvolto comunità rivierasche lungo migliaia di chilometri di costa. Si può classificare come un evento estremo, cioè un evento raro e di grandi proporzioni; una classe di eventi di cui l'o. si deve occupare. Il maremoto è stata la conseguenza di un terremoto che si è prodotto lungo una frattura che ha interessato una serie di faglie successive su una lunghezza di circa 1200 km nella zona più settentrionale dell'arco di subduzione dove la placca indoaustraliana si immerge al di sotto della placca euroasiatica. Tale terremoto ha fatto registrare una magnitudo di 9,3, la più alta mai registrata dopo quella del terremoto cileno del 22 maggio 1960 (9,5) che a sua volta produsse un maremoto dannoso in tutto il Pacifico, ma causa di molte meno vittime. A seguito della sciagura, si è ingenerata una mobilitazione mondiale prima per i soccorsi e poi per lanciare piani e programmi di ricostruzione a breve e lungo termine. Si è avuta anche una seconda conseguenza. Si è constatato in modo drammatico che soltanto nel Pacifico era stato predisposto un sistema d'allarme contro gli tsunami, mentre gli tsunami non colpiscono solo in tale oceano. La consultazione dei cataloghi disponibili dei maremoti mette in evidenza che essi si verificano in molti altri mari, pertanto è occorsa la necessità di tamponare tale lacuna. L'IOC, che ha coordinato le attività del sistema d'allarme nel Pacifico fin dalla sua istituzione, ha dato vita nel 2005, su mandato dell'ONU, agli organismi per l'istituzione degli altri sistemi d'allarme, detti ICG (Intergovernmental Coordination Groups). All'organismo del Pacifico, il cui nome è nell'occasione stato uniformato agli altri, si sono aggiunti quelli per l'Oceano Indiano, per il Mar dei Caraibi e per il Mediterraneo e l'Oceano Atlantico di Nord-Est. Quest'ultimo, l'ICG/NEAMTWS (ICG for the establishment of the North-East Atlantic and the Mediterranean Tsunami Warning System), opera nella zona euromediterranea, ivi compresi il Mar di Marmara e il Mar Nero. È noto che in questa regione si sono verificati in passato grandi maremoti. Le zone più a rischio si trovano in corrispondenza delle grandi zone sismogenetiche sottomarine, ossia nel golfo di Cadice in Atlantico, al largo della costa Algerina, nell'area della Calabria e della Sicilia orientale, nell'arco di subduzione che va dal Peloponneso a Rodi passando a sud di Creta, nel Mar di Marmara lungo la zona di contatto tra la microplacca anatolica e l'Eurasia. I terremoti non sono l'unica causa degli tsunami, che possono essere prodotti anche da frane sottomarine e innescati dalle eruzioni di vulcani sottomarini o che sorgono vicino alla costa. La ricerca dovrà precisare meglio come i maremoti sono generati, come si propagano e attaccano le coste, quali danni possono provocare sia alle comunità rivierasche sia più in generale all'ambiente, e soprattutto quali sono i più efficaci mezzi di difesa attiva e passiva che possono essere messi in campo. A questo fine l'Unione Europea, che in passato ne aveva sottovalutato il rischio, ha preso a finanziare programmi di ricerca specifici. Tra questi si può segnalare TRANSFER (Tsunami Risk ANd Strategies For the European Region) che riunisce 29 istituti europei, sotto il coordinamento dell'Università di Bologna. Lanciato nel 2006, si pone l'obiettivo principale di mappare le principali sorgenti di maremoto nella zona euromediterranea, di stimarne la probabilità di accadimento e di produrre scenari e mappe di inondazione in alcune aree campione, tra le quali lo stretto di Messina per l'Italia e la zona tsunamigenica di Rodi-Fethiye al confine fra Grecia e Turchia. Proprio nello stretto di Messina, il 28 dicembre 1908, si è verificato l'ultimo maremoto catastrofico del Mediterraneo, a seguito del terremoto che distrusse Messina, Reggio Calabria e molti altri paesi.