Oceanologia
Durante gli ultimi trent'anni una serie di rivoluzioni scientifiche ha cambiato significativamente la comprensione della circolazione negli oceani, nonché il tipo di approccio esplorativo e le teorie che spiegano i processi in atto. Si può distinguere l'era iniziale dell'oceanologia, che abbraccia un periodo di circa un secolo a partire dalla spedizione pionieristica del 1870, dalla fase più recente, iniziata nel 1970 con la scoperta del campo dei vortici modali (mesoscale eddies), che costituisce il meteo dell'oceano, ossia l'insieme delle nozioni riguardanti la fluidodinamica e la termodinamica degli oceani. Nel corso del primo periodo l'oceanografia fisica ‒ allora si preferiva a oceanologia il termine oceanografia per rimarcare il carattere osservativo ‒ evolse gradualmente dall'essere patrimonio di alcuni geografi naviganti, che aspiravano a una descrizione fenomenologica delle proprietà dell'oceano, all'essere una scienza rigorosa, costituita da fisici e fluidodinamici. Già nel 1927, durante gli ultimi giorni della spedizione Meteor (dal 1925 al 1927), il famoso oceanografo Albert Defant osservò che l'oceanografia aveva subito uno sviluppo piuttosto rapido durante gli ultimi decenni, trasformandosi gradualmente "da scienza puramente descrittiva a scienza fondata su principî fisico-matematici esatti". Nessuna dichiarazione può meglio caratterizzare l'evoluzione degli ultimi vent'anni, in cui questi principî matematici sono stati quantificati e tradotti nel linguaggio computazionale, grazie alla crescita esponenziale della potenza e della struttura degli elaboratori elettronici.
Nell'era romantica dei primi cento anni si tracciarono le proprietà universali dell'oceano. In tale periodo le indagini erano svolte su navi di ricerca, che impiegavano spesso mesi per attraversare i vari bacini oceanici; queste ricerche fornirono la descrizione generale della climatologia da cui scaturirono le idee teoriche di quel tempo, basate sul concetto di oceano stazionario. Negli anni Settanta, si concretizzò la scoperta dell'assoluta instabilità della circolazione dell'oceano. Contrariamente a quanto creduto fino ad allora, tale dinamica è turbolenta e caotica: un campo di vortici onnipresente, in cui è immagazzinata molta energia, si sovrappone alle principali caratteristiche della circolazione, mascherandole spesso con la sua forte intensità. Tali vortici, che hanno un diametro variabile da 50 a 300 km, sono analoghi alle perturbazioni presenti nei moti atmosferici medi, in quanto si può dire che il campo dei vortici modali è il tempo meteorologico dell'oceano.
Negli anni Novanta si registrarono due rivoluzioni principali. La prima riguarda l'approccio osservativo, in cui le prospezioni oceanografiche realizzate dall'uomo furono sostituite da una strumentazione automatizzata con osservazioni effettuate sia da un satellite sia attraverso una rete di strumenti collocati in tutti gli oceani. La seconda invece fa riferimento nello specifico all'insieme di dati osservati, offerti da una parte dall'altimetro TOPEX/Poseidon, che fornisce mappe sinottiche e globali dell'altezza della superficie dei mari ‒ una sorta di topografia dell'oceano ‒ e dall'altra dai galleggianti del progetto ARGO che, sotto il controllo della statunitense National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA), sono attualmente lanciati a centinaia per coprire densamente le parti interne degli oceani di tutto il mondo.
L'oceano non è più isolato dagli altri componenti del sistema Terra, ma ne è diventato parte integrante e cruciale: interazioni e retroazioni complesse coinvolgono l'oceano stesso, l'atmosfera, la terra solida e la criosfera. Questo è il secolo in cui sta emergendo il ruolo dell'oceano nella scienza del clima e del cambiamento globale.
Le correnti oceaniche sono causate sia dal vento, che soffia sulla superficie dell'oceano, sia dai gradienti di pressione, orizzontali e verticali, che si manifestano entro la massa dell'acqua. I gradienti di pressione sono prodotti da quelli di densità, a loro volta dovuti a gradienti di temperatura e di salinità. La differenza principale fra i due fluidi terrestri, l'acqua oceanica e l'aria atmosferica, risiede, infatti, nel grado di salinità. Nell'atmosfera i gradienti di densità sono prodotti soltanto dalla temperatura; nell'oceano, invece, sono dissolti circa trenta composti solubili, in varie concentrazioni, che rendono l'acqua marina una soluzione chimica estremamente complessa. Il fatto che le percentuali relative di questi sali sono le stesse in tutti gli oceani del mondo implica che la massa d'acqua ha raggiunto uno stato di equilibrio dopo milioni di anni di mescolamento interno. La salinità rappresenta il residuo in grammi ottenuto facendo evaporare 1 kg di acqua ed è espresso usualmente in parti per mille. Lo scopo principale delle prospezioni oceanografiche, perseguito dagli inizi del secolo passato ma ancora in corso alla fine degli anni Novanta in programmi osservativi come il WOCE (World ocean circulation experiment), era di tracciare una mappa orizzontale e verticale delle distribuzioni di temperatura e di salinità. L'acqua con salinità alta forma una lingua ben definita che esce dallo Stretto di Gibilterra e si estende prevalentemente verso nord-ovest, nella parte interna dell'Atlantico, a media profondità. È la ben nota lingua di acqua salata del Mediterraneo, proveniente appunto dal mare omonimo. Una tale mappa a largo bacino è stata prodotta con i dati idrografici raccolti negli anni Trenta dall'oceanografo tedesco Georg Wüst. Un esempio più recente, questa volta di distribuzione verticale della temperatura, è mostrato nella fig. 2. Si tratta di una sezione che illustra la variazione di temperatura dalla superficie al fondo nell'Oceano Pacifico centrale e che attraversa l'intero bacino da 75° S a 55° N. Le proprietà nello strato oceanico superiore hanno la massima variabilità a causa degli effetti di flussi di calore e di umidità sull'interfaccia aria-mare, mentre esse risultano molto più uniformi nell'oceano abissale. È evidente nella fig. 2 la massa d'acqua ad alta temperatura che è concentrata attorno all'equatore, da 20° S a 20° N, nei 200 m più in alto. L'oceano abissale mostra uno strato di temperatura pressoché uniforme (1,5 °C≤T≤3 °C).
Si può distinguere la circolazione dell'oceano in due categorie: quella guidata dal vento e quella termoalina. La prima è originata direttamente dalla forza tangenziale (sforzo) e dalla rotazione esercitata dal vento in superficie. Lo sforzo del vento produce lo strato superficiale di Ekman: la direzione della velocità dell'acqua in superficie è 45° a destra (o a sinistra) rispetto alla direzione dello sforzo del vento e il trasporto totale nello strato Ekman (approssimativamente i 100 m più in alto) è a 90° a destra (sinistra) della direzione dello sforzo del vento nell'emisfero settentrionale (meridionale). Vagn Walfrid Ekman arrivò a questa importante teoria studiando il movimento degli iceberg nell'Oceano Artico.
La rotazione del vento è responsabile della circolazione orizzontale nel bacino, dando origine a quelli che sono chiamati gyre oceanici, ossia larghe circolazioni che si estendono da continente a continente in strutture cicloniche e anticicloniche. La prima teoria che associò la circolazione orizzontale alla rotazione del vento fu sviluppata nel 1947 dal norvegese Harald Ubrik Sverdrup e l'anno dopo dallo statunitense Henry Stommel. Questi mostrò che l'intensificazione a ovest dei gyre oceanici, le cosiddette correnti-limite occidentali (la Corrente del Golfo nella parte occidentale dell'Oceano Atlantico e il Kuroshio nell'Oceano Pacifico occidentale), sono prodotte dalla variazione latitudinale della componente verticale della rotazione terrestre, che passa da un minimo all'equatore a un massimo ai poli. Nel 1950 lo statunitense Walter Munk e nel 1955 lo svedese Jule Gregory Charney raffinarono queste teorie iniziali sulla circolazione guidata dal vento, aggiungendo gli effetti di diffusione e di inerzia orizzontali.
La circolazione termoalina è prodotta dai flussi di calore e di umidità dell'interfaccia aria-mare (calore latente e sensibile, evaporazione e precipitazione) che fanno variare la densità, poiché cambiano la temperatura e la salinità in superficie. La circolazione termoalina è molto più debole di quella indotta dal vento ed è mascherata da quest'ultima nello strato superficiale. Gli effetti dovuti al vento diventano però più deboli con la profondità e la circolazione termoalina è quella dominante nell'oceano abissale. Una sua componente cruciale è la presenza di profonde celle convettive nell'Atlantico polare (il mare della Groenlandia e del Labrador) e nell'Antartide (mare di Weddell), in cui, in inverno, sono prodotte nuove masse d'acqua, con un rimescolamento verticale che omogeneizza lo strato verticale d'acqua situato a più di 2000 m di profondità. La prima teoria della circolazione abissale venne proposta nel 1960 dagli statunitensi Henry Stommel e Arnold Arons, ipotizzando sorgenti di massa (celle convettive) nell'Atlantico settentrionale e nel mare di Weddell, moti ascensionali interni uniformi, strati limite occidentali dinamicamente passivi che bilanciano la massa locale e globale (fig. 3).
L'ipotesi fondamentale della circolazione nell'oceano stazionario è la geostrofia, definendo come bilancio geostrofico l'equilibrio di stato stazionario che si stabilisce fra la forza di Coriolis e i gradienti di pressione. La forza di Coriolis, una forza fittizia dovuta alla rotazione della Terra, devia il moto delle colonne d'acqua a destra (sinistra) nell'emisfero settentrionale (meridionale). Questa forza è bilanciata all'ordine zero dai gradienti di pressione orizzontali prodotti dallo sforzo del vento e dai gradienti di densità interni. In direzione verticale, invece, il bilancio è principalmente di tipo idrostatico, cioè il gradiente di pressione verticale è equilibrato dalla gravità. A un'approssimazione all'ordine più basso, l'oceano è geostrofico e idrostatico. In base a quest'analisi, si possono prevedere le correnti una volta note le distribuzioni di densità, cioè campi di temperatura e di salinità. Tutte queste teorie condussero al concetto di una circolazione oceanica di stato stazionario caratterizzata da larghi gyre e correnti che variano con regolarità, stazionari nel tempo e di natura deterministica, ovvero una circolazione lineare.
La struttura regolare delle correnti oceaniche stazionarie fu, in verità, il risultato di un grossolano sottocampionamento spaziotemporale delle proprietà oceaniche. Le stazioni idrografiche in cui venivano misurate queste proprietà erano spesso separate da distanze spaziali dell'ordine di 550 km e intervallate da periodi variabili da giorni a mesi a causa del tempo richiesto dalle navi per attraversare un intero bacino oceanico. La variabilità delle correnti oceaniche su scale spaziali dalle decine alle centinaia di chilometri e su scala temporale dai giorni ad alcune settimane, era completamente sconosciuta. Sebbene le prime misure di galleggianti forati subsuperficiali del 1959 suggerissero la presenza di una variabilità su una scala più raffinata, solamente negli anni Settanta i progressi tecnici della strumentazione oceanografica e l'esecuzione di esperimenti come l'US-UK MODE-I (Mid ocean dynamics experiment, 1971-1974), nonché l'insieme di ormeggi russi POLYGON (1970), consentirono di scoprire tale variabilità. I movimenti su queste scale fini sono chiamati vortici modali (o su scala ciclonica) e sono l'analogo oceanico del sistema tempo meteorologico atmosferico. Se i vortici sono il tempo oceanico, la circolazione sottostante è il clima oceanico, soggetto a lente variazioni. Nella storia dell'oceanologia, prima fu scoperto il clima, poi il tempo; nella meteorologia accadde l'opposto. I vortici contengono il contributo di energia cinetica dominante in tutto il mondo oceanico. Si sa ora che le interazioni di flusso medio dei vortici, cioè le interazioni non lineari su uno spettro continuo di moti, sono di importanza cruciale per la struttura generale di tutta la circolazione. L'unione di MODE e POLYGON portò all'esperimento US-USSR POLYMODE realizzato alla fine degli anni Settanta, nel quale fu coperta densamente, con insiemi di ormeggi, di correntometri e stazioni idrografiche distanti tra loro circa 25 km, una regione nell'Atlantico nord-occidentale, di circa 300×300 km. Come mostrano le mappe (fig. 4) una tale piccola regione è estremamente ricca di vortici ed è caratterizzata da: (a) periodi in cui i vortici formano una struttura compatta; (b) periodi in relativo stato di quiete, con un solo vortice solitario nella regione; (c) scambi diretti di energia tra i vortici dello stesso segno, cioè tra cicloni (L) o anticicloni (H); (d) fusione di due vortici in uno, o divisione di un vortice in due. Sono tutti chiari esempi dell'analogia del campo dei vortici oceanici con il tempo atmosferico.
Altri fenomeni peculiari sulla scala specificata, ossia alla mesoscala, scoperti durante gli anni Settanta, sono gli anelli o ring, strutture vorticose energetiche e coerenti, con diametro da 100 a 300 km, che sono prodotte da instabilità di correnti energetiche a getto, come la Corrente del Golfo. Gli anelli sono fenomeni coerenti che intrappolano nel loro nucleo acqua di proprietà ben definite, attraverso una rotazione di corpo rigido. Dopo essere nati, staccandosi dalla corrente-madre, essi migrano nella parte interna dell'oceano, trasportando questa massa d'acqua, durando 6-8 mesi, prima di essere distrutti per dissipazione. Gli anelli sono quindi un meccanismo molto efficace per mescolare le proprietà attraverso un flusso a getto (fig. 5). Il 18 aprile 1997 un anello ciclonico contenente acqua fredda proveniente da nord si è ricollegato alla Corrente del Golfo; è poi stato trasportato a nord-ovest e, il 28 aprile, ha interagito con un anello anticiclonico contenente acqua calda di origine meridionale. Il 4 maggio l'anello di nucleo caldo anticiclonico ha proliferato a nord della corrente dove erano già presenti altri tre anelli a nucleo caldo; il 10 maggio l'anello a nucleo freddo, parzialmente riassorbito il 4 maggio, si è infine staccato ed è migrato verso sud. Gli anelli sono, in sostanza, gli analoghi oceanici degli uragani atmosferici.
La crescita esponenziale del potere di elaborazione elettronica dei dati e l'evoluzione della struttura degli elaboratori elettronici, verificatesi durante l'ultimo decennio, hanno inaugurato l'era di una modellazione numerica, assolutamente realistica, della circolazione oceanica globale. I primi modelli numerici degli anni Settanta, al contrario, erano altamente idealizzati e limitati a singoli bacini o regioni oceaniche per la necessità di risolvere il campo dei vortici modali in simulazioni realistiche. Tale, per esempio, era lo US/German community modeling effort (CME) per l'Atlantico meridionale e il Fine resolution antarctic model (gruppo FRAM 1991). Negli anni Novanta si sviluppò la capacità di simulare numericamente la circolazione degli oceani su scala mondiale, risolvendo totalmente il campo dei vortici modali, in configurazioni di bacino completamente realistiche, comprensive di una batimetria verosimile dell'oceano e di funzioni utili a simulare la variabilità in superficie.
La complessità delle correnti oceaniche è stupefacente per la ricchezza di vortici di grande energia, sovrapposti non soltanto alle correnti più intense, ma presenti anche nelle parti interne e più calme dell'oceano. Le circolazioni dei cosiddetti gyre a media latitudine, le correnti-limite occidentali, le correnti zonali equatoriali e la corrente circumpolare antartica mostrano caratteristiche medie e vorticose simili a quelle osservate nei risultati numerici.
Il già citato WOCE ha dato un significativo contributo allo sviluppo del modello teorico. Il programma di rilevamento di WOCE iniziò nel 1990 e furono pianificate prospezioni fino al 1995, cui fece seguito un periodo di cinque anni di analisi. La sincronizzazione dei progetti fu determinata dalle date di lancio dei satelliti TOPEX/Poseidon e ERS-1, che, per la prima volta, avrebbero fornito osservazioni estese a quasi tutta la Terra dell'altezza della superficie marina (altimetro TOPEX) e dei dati del vento (diffusometro ERS-1). A causa dei ritardi nel lancio dei satelliti, la fase di raccolta dei dati di WOCE si è prolungata fino al 1997. Nell'ambito dell'esperimento è stata ottenuta un'immagine ripetuta della struttura della corrente ascensionale dell'oceano superiore. WOCE è ora entrato nella fase di sintesi, in cui le sue osservazioni sono utilizzate in modelli numerici che forniscono una descrizione a quattro dimensioni (spazio+tempo) della circolazione dell'oceano.
Altra notevole meta raggiunta negli anni Novanta fu il lancio del satellite TOPEX/Poseidon, equipaggiato con il più accurato altimetro radar mai messo in orbita. L'altimetro misura l'altezza del livello del mare, cioè la topografia della superficie marina rispetto a superfici equipotenziali gravitazionali terrestri. Se l'oceano fosse fermo, la superficie del mare coinciderebbe con una superficie equipotenziale gravitazionale, detta geoide. La forma del geoide è determinata prevalentemente dalla distribuzione delle masse continentali e dalla orografia terrestre/batimetria oceanica, che producono cambiamenti nel geoide relativo alla Terra solida talvolta pari a ±100 m. Vi è sovrapposta la topografia dell'oceano, che produce cambiamenti al massimo di ±1m. All'altimetro è dato il compito di estrarre un segnale rumore, cioè la topografia della superficie del mare, dal segnale totale. La missione franco-statunitense TOPEX/Poseidon fu avviata nell'agosto 1992 e, da allora, ha misurato ininterrottamente la forma della superficie marina. Ogni dieci giorni si ottiene il monitoraggio quasi completo degli oceani del mondo (periodo di ripetizione Topex). Il successo della missione TOPEX è andato oltre le aspettative, innanzitutto per la sua durata: era atteso un tempo di vita di cinque anni, mentre l'altimetro continua a fornire puntualmente le mappe topografiche della superficie del mare. In secondo luogo, i dati altimetrici presentano un'accuratezza assoluta con scarto quadratico medio (rms, root mean square) di circa 3 cm e una precisione con rms di circa 2 cm.
Un terzo fondamentale progetto di osservazioni è stato avviato nell'anno 2000 ed è stato quasi completato. Si tratta del progetto ARGO, una rete di osservazioni sugli oceani del mondo, finalizzato alla comprensione e alla previsione della variabilità del clima oceanico. ARGO prevede l'utilizzazione di 3000 strumenti autonomi, ognuno dei quali restituisce ogni dieci giorni un profilo verticale di temperatura e di salinità dalla profondità di 2000 m fino alla superficie del mare. I galleggianti saranno distribuiti sugli oceani a distanza di ca. 3° in latitudine e in longitudine; i dati saranno spediti via satellite e i profili trasmessi rapidamente per prevedere i centri d'uso operativo. Nell'aprile 2003 la rete di galleggianti ARGO comprendeva 770 strumenti. Nell'ottobre 2006, tale rete ha raggiunto 2640 galleggianti.
I programmi come WOCE hanno mostrato il ruolo critico giocato dall'oceano nel sistema clima-accoppiato. Non soltanto l'oceano è il serbatoio dominante di acqua e di calore, ma la sua dinamica e la sua termodinamica ridistribuiscono il calore e assorbono i gas climaticamente attivi. Lo sviluppo tecnico dei galleggianti per l'acquisizione dei profili, durante gli anni Novanta, ha reso possibile per la prima volta, l'osservazione dello stato fisico degli oceani del mondo su una base regolare e ben stabilita per i decenni a venire, facendo sì che si possano stabilire sulla base di osservazioni il clima dell'oceano e le sue variabilità stagionali, interannuali e interdecennali, essenziali per la comprensione dell'intero sistema Terra.
Il terzo elemento fondamentale della rivoluzione oceanografica alla transizione dal XX al XXI sec. è l'assimilazione delle osservazioni nei modelli numerici di circolazione. Il filone dell'assimilazione dati è attivo in meteorologia da più di tre decadi e questo sviluppo notevolmente antecedente allo sviluppo in oceanografia è dovuto a due ragioni essenziali. La prima è la motivazione dovuta alla necessita di prevedere le condizioni meteorologiche dalla scala di un giorno a una settimana. La scala oltre una settimana è possibile solo tramite l'assimilazione dati. L'atmosfera infatti è un fluido caotico. Ogni simulazione che parta da una condizione iniziale non perfetta, anche con errori infinitesimali, diverge dalla vera evoluzione in una settimana, il cosiddetto tempo di prevedibilità del fluido atmosferico. Il secondo motivo per lo sviluppo dell'assimilazione dati è l'abbondanza delle osservazioni meteorologiche, dense nel tempo e nello spazio, e oltretutto sinottiche. Una rete ricca di osservazioni, quando inserita nel modello tramite metodologie sofisticate come il filtro di Kalman o le tecniche variazionali permette di controllare i modelli riconcucendoli a una previsione accurata.
In oceanografia la motivazione della previsione è molto recente e legata agli interessi della marina nel prevedere i vortici di mesoscala, il tempo oceanico. Inoltre, i dati oceanografici sono estremamente sparsi nel tempo e nello spazio. Soltanto sistemi dinamici dotati di intrinseca prevedibilità, come il fenomeno El Niño nell'Oceano Pacifico, possono essere previsti a lungo termine. Per gli oceani l'obiettivo è quello di effettuare una sintesi fra le osservazioni e la dinamica fornita dai modelli che agiscono come interpolatori nel tempo e nello spazio. Il risultato è una ricostruzione dell'evoluzione del fluido oceanico che permette lo studio di processi specifici.
Un'iniziativa molto importante in questo campo è l'ECCO (Estimating the circulation and climate of the ocean), iniziata nel 1999 e che oggi include numerose università americane e tedesche. La fig. 6 sintetizza il sistema ECCO. Il pannello a sinistra mostra la rete di osservazioni che fornisce dati quasi in tempo reale. Questi dati sono combinati con modelli numerici che possono essere usati solo su supercalcolatori. Il pannello a destra mostra un esempio della sintesi dati-dinamica su una rete globale a 2° di risoluzione, specificatamente il campo medio delle correnti in superficie e a 2000 m di profondità. I campi di temperatura medi sono sovrapposti alle correnti.
La richiesta sociale di un'accurata previsione del clima è uno dei problemi più urgenti nell'ambito delle scienze naturali. L'argomento clima, tuttavia, coinvolge una serie di discipline che va ben oltre gli interessi di questo specifico settore. Si tratta di capire gli aspetti scientifici, economici ed ecologici del cambiamento climatico e di combinare queste considerazioni con valutazioni politiche. Occorre, quindi, sviluppare metodi, dati e modelli necessari a caratterizzare la discussione attualmente in corso e preparare per scelte difficili le nazioni che, cooperando nella Framework convention, si occupano del cambiamento climatico. Come fu stabilito nel 1991 al MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Cambridge, negli Stati Uniti, sarà discusso il Joint program on the science and policy of global change, un modello che, forse, copre il più ampio intervallo di prospettive mai considerato. Il programma riunisce un gruppo interdisciplinare proveniente da due centri di ricerca, entrambi del MIT, il Center for global change science e il Center for energy and environmental policy research. Un'altra essenziale collaborazione è con l'Ecosystem center of the marine biological laboratory (MBL) di Wood Hole, Massachusetts. La parte fondamentale del programma è l'Integrated global system model (IGSM 1998) del MIT, che è attualmente utilizzato per valutare le politiche di intervento proposte per regolamentare i gas responsabili dell'effetto serra, come il biossido di carbonio, il metano e così via. Il National emission model e l'Anthropogenic emission and policy analyses model sono i meccanismi guida per il modello accoppiato chimica atmosferica-clima. Essi predicono le emissioni naturali antropogeniche per latitudine di diversi gas-serra su dodici regioni del mondo classificate secondo fattori di immissione economici (lavoro, capitale, importazioni e risorse naturali). Sono anche considerate le varie interazioni tra terra, livello del mare, vegetazione, suolo e l'immissione finale nel Terrestrial ecosystem model, che è utilizzato per previsioni dello stato futuro degli ecosistemi, per i flussi di biossido di carbonio tra l'atmosfera e la biosfera delle terre emerse e per i feedback nel Climate model. Quest'ultimo comprende uno schema di circolazione che accoppia atmosfera e oceano, dove lo schema di circolazione oceanica fornisce una descrizione e una previsione globale semplificati di correnti oceaniche. Accoppiato allo schema di circolazione atmosferica ve n'è uno di chimica atmosferica, che predice l'evoluzione temporale di 25 componenti chimici, 53 gas e reazioni di fase aerosol. Il componente-modello oceano è ancora il più incerto, a causa della circolazione tuttora ampiamente sconosciuta degli strati abissali, e rappresenta forse l'argomento critico della ricerca futura sul sistema clima. Si stanno progettando programmi di osservazione, attualmente in fase di pianificazione, analoghi al progetto ARGO al fine di chiarire questi lati oscuri.
Uno dei risultati più rilevanti dell'IGSM è la produzione di scenari. La fig. 7 mostra l'innalzamento della concentrazione globale di anidride carbonica (A) e della temperatura media globale (B) dal 2000 al 2100 in diverse condizioni. Le curve rosse solide forniscono l'aumento nelle presenti condizioni, ossia in assenza di un protocollo per il controllo delle emissioni di CO2. La curva intermedia rappresenta la media e le curve inferiori e superiori il 95% di probabilità, bassa e alta, dalla media. Le curve blu tratteggiate forniscono gli stessi aumenti ma in presenza di un protocollo che stabilizza la concentrazione di CO2 a 550 ppmv. La fig. 7C mostra l'innalzamento del livello medio globale dei mari dovuto sia all'espansione termica sia allo scioglimento dei ghiacciai, sempre nel periodo 2000÷2100. La curva intermedia, in verde nella figura, corrisponde all'innalzamento medio previsto di ≈40 cm nel 2100. Le altre curve intorno alla media mostrano rispettivamente la media ± deviazione standard, ± 2 deviazioni standard, e gli aumenti minimo e massimo.
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