OCULISTICA (dal lat. oculus "occhio")
È lo studio che ha per obiettivo la consenazione e la cura dell'occhio; o, con più larga comprensione, col nome di oculistica s'intende lo studio di tutto ciò che si riferisce all'occhio, e che è diretto al fine ultimo di curarne le malattie.
Storia. - La storia dell'oculistica è fusa con la storia della medicina, di cui, specialmente in principio, prendeva gran parte. Sulle pareti dell'antico tempio di Esculapio innumerevoli erano le iscrizioni riguardanti gli occhi. Apollo, Atena, Artemide d'Efeso, erano gli dei propizî ai malati d'occhi. Apollodoro (150 a. C.) tramanda che il centauro Chirone ridonò per preghiera d'Achille la vista a Fenice accecato dal padre Amintore, famosa guarigione perché è fama che Amintore gli avesse fatto strappare gli occhi. Papiri antichissimi, quale, per es., quello trovato da Giorgio Ebers, trattano ripetutamente degli occhi. In Egitto e in Grecia furono rinomati gli specialisti d'occhi. Erodoto ricorda che Ciro, re di Persia, domandò ad Amasis, re d'Egitto, un oculista. L'oculista Aristobulo curò Filippo il Macedone colpito da una freccia in un occhio. Più tardi numerosi oculisti vengono ricordati in Roma. Tutti gli autori antichi scrissero di oculistica: Ippocrate, Erofilo, Galeno, Sorano (sec. II d. C.), Oribasio (sec. IV), Alessandro di Tralles. Parecchi libri uscirono dalla scuola araba, fra cui celebri quelli di Rāzī, Avicenna, Alhazen. Dalla scuola salernitana (sec. XII), sembra sia uscito Benvenuto Grasso, che anch'egli lasciò un libro di oculistica. Indi si hanno le opere di Ruggiero da Parma, di Barnaba da Reggio, di Pietro Ispano (1250), poi divenuto papa (Giovanni XXI). Uno dei primi trattati di oculistica stampati è quello di G. Bartisch di Dresda (1583).
Il primo ospedale per la cura degli occhi fu fondato nel 1254 da Luigi IX per ricoverare e curare 300 suoi compagni d'arme ciechi, reduci delle crociate, e porta tuttora il nome di Ospedale dei Quinze-Vingts. Altri sorsero solo nella prima metà del sec. XIX. Uno dei primi quello fondato da Casimiro Sperino a Torino nel 1853, poi quello di Giovanni Rosmini a Milano, quello di Torlonia a Roma. Sontuoso quello di Adolfo Rotschild a Parigi. Per il ricovero e l'educazione dei ciechi il primo istituto fu fondato a Parigi da V. Haüy nel 1784, e per la lettura e la scrittura si adottò il metodo inventato dall'allievo cieco L. Braille, divenuto poi universale. Altri istituti analoghi seguirono a Pietroburgo, Edimburgo, Londra, Vienna, Napoli, Padova (fondato da Luigi Configliachi nel 1838), a Genova (fondato da Davide Chiossone).
Per il passato gli oculisti erano ambulanti, e l'oculistica era semplicemente empirica. Dopo la metà del 1700 l'oculistica entrò nelle università; s'ebbero cattedre a Parigi, dove nel 1765 insegnò L.-F.-D. Gendron, a Vienna dove nel 1773 insegnò J. Barth, a Padova dove nel 1785 insegnò A. Dalla Bona; la massima parte delle cattedre oculistiche in Italia fu istituita solo nella seconda metà del 1800.
Nel 1800 sorsero pure i primi giornali di oculistica: primo la Ophthalmologische Bibliothek di K. Himly e A. Schmidt (1802), poi (1820) il Journal der Chr. u.. Autgenheilkunde di Carlo Ferd, A. Graefe e Ph. Walther. Nel 1838 uscirono gli Annales d'Oculistique fondati da Fiorenzo Cunier; nel 1854 l'Archiv für Ophthlmologie fondato dal Graefe, nel 1858 il Giornale d'Oftalmologia fondato da G.B. Borelli, nel 1871 gli Annali d'Ottalmologia fondati da A. Quaglino.
Anatomia. - Nozioni di anatomia dell'occhio forniscono già le scuole mediche più antiche. Ippocrate parla della cavità orbitale κόρη ὀϕϑαλμοῦ del globo oculare ὄμμα, formato di tre tonache della pupilla κόρη, dei nervi ottici, che Erofilo, uno dei fondatori della scuola di Alessandria il quale descrisse e denominò la retina, chiama πόροι, perché ritenuti cavi. Aristotele descrive bene parecchie parti dell'occhio. Poco scrisse di anatomia Celso; Rufo d'Efeso distingue nell'occhio quattro tonache, descrive bene l'iride e i nervi ottici, riporta tutte le nozioni di anatomia e le denominazioni indicate in opere precedenti oggi smarrite. Claudio Galeno (129-201 d. C.) tutto abbraccia, coordina, estende, e i suoi dettami fanno legge per oltre quindici secoli. Fra altro descrive per primo la caruncola lagrimale, la ghiandola lagrimale, il corpo cigliare; descrive nell'occhio tre umori, sette muscoli motorî del bulbo; fa provenire i nervi ottici da parti del cervello che chiama talami, ne considera i canali confluenti in quel punto dove i nervi si accostano a forma di X, chiamato poi da Andrea Vesalio "chiasma". Dà per la visione grande importanza all'acqueo, e considera come organo essenziale della visione il cristallino, che ammette tutto abbracciato dalla retina.
Le tuniche indicate dagli antichi sarebbero la cheratoidea, simile a corno; la ragoidea, o uvea, o coroidea; la aracnoidea (simile a rete di ragno) o anfiblestroidea (simile a rete da pesca), che sarebbe la nostra retina. La congiuntiva "Epipefikos" dei Greci, da cui adnata, fu chiamata conjunctiva da Berengario da Carpi, ma forse prima conjunctiva seu consolidativa da Pietro d'Abano. Si fa per secoli confusione fra congiuntiva bulbare, capsula del Tenone e sclerotica, e si parla (Galeno) di una specie di tonaca bianca, che Realdo Colombo chiama tunica innominata. Le palpebre, chiamate βλέϕαρα, probabilmente da βρέπω, io guardo, palpebrae vee genae dai Latini, considerate organi di protezione, quasi scudi dinnanzi alla cornea (Galeno), poi chiamate tegmenta, e da Haller, insieme alle altre parti protettive dell'occhio, tutamina oculi.
La seconda metà del secolo XVI è quella del Rinascimento dell'anatomia: vi rifulgono le grandi figure di A. Vesalio, G. Falloppia, G. Fabrizio, G. Casserio, B. Eustachio. Il Vesalio descrive i processi cigliari, i nervi ottici non cavi, descrive, come Galeno, sette muscoli motorî del bulbo, per cui Falloppia, suo allievo, pensa abbia attribuito all'uomo ciò che vide solo negli animali. Falloppia descrisse cornea, nervi muscolari, vie lagrimali; scoperse "maxima animi voluptate" l'elevatore della palpebra, gli obliqui, la troclea. F. d'Acquapendente denomina i muscoli secondo la loro azione, indica la struttura lamellare della cornea e la sua giusta curvatura, nonché la posizione del cristallino. G. Casserio, suo allievo, descrive i nervi cigliari che chiama tectorii. La scoperta del microscopio composto, fatta in quell'epoca, promuove altri studî e scoperte. Riguardano particolarità del muscolo orbicolare, studiate da G. Riolano; le ghiandole delle palpebre descritte da E. Meibomio, ma prima già intravviste dal Casserio; particolarità strutturali del nervo ottico, della retina, già viste da A. Leeuwenhoek col suo microscopio semplice, e su cui trattano pure Bartolino, Plempius, Malpighi.
Progressi maggiori furono realizzati nel sec. XVIII, per opera soprattutto di G. B. Morgagni, A. Haller, X. Bichat, F. e L. Petit, G. B. Winslow, G. Descemet, P. Demours, G. G. Zinn, W. Schoemmering, Fr. Buzzi, A. Monro, T. Young, ecc.
Nel sec. XIX col perfezionamento del microscopio, al quale portò gran contributo G. B. Amici, con gli studî del Bichat e di F. Schwann, e con quelli ulteriori di J. Henle, di R. Virchow e di A. Koelliker, l'anatomia entra nella sua fase moderna. La struttura lamellare della cornea, il significato e la configurazione dei suoi elementi, vengono definitivamente fissati per gli studî di J. Henle, F. Relklinghausen e W. Bowmann. E. Brücke ed E. Müller scoprono i muscoli cigliari; G. Valentin, J. Henle, A. Köllicker, A. Ivanov, gli iridei. Nella retina - sempre sospettata formata di due tessuti, anche a strati separati, e dove già A. Leeuwenhoek (1675) e un secolo dopo F. Fontana (1765) avevano intravvisto i bastoncini e i coni - A. Jacob (1819) distinse tre strati, G. Valentin (1837) quattro strati, F. Pacini (1845) sei. In un secondo periodo l'illustre anatomico Müller (1845), con i suoi metodi al bicromato di potassio, scoprì le fibre raggiate che portano il suo nome, definì bene gli altri elementi, dimostrò la continuazione della membrana, per quanto modificata, oltre l'"ora serrata", costituendo la pars ciliaris e la pars iridica retinae. In un terzo periodo M. Schulze (1865), con l'introduzione dell'acido osmico in microscopia, definì meglio ancora gli elementi della retina, e distinse in questa i dieci strati, tuttora ammessi, successivamente confermati da L. Ranvier. Finalmente con l'introduzione dei metodi d'impregnazione di C. Golgi, gli studî di F. Tartuferi, poi quelli di S. Ramon-?y-Cajal, di W. Waldeyer, di A. von Gehuchten, portarono le cognizioni sulla retina allo stato attuale.
Lo studio del nervo ottico e delle vie ottiche, e centri relativi, è intimamente legato allo studio del sistema nervoso centrale, che si può considerare esclusivo del sec. XIX.
Fisiologia. - Visione. - Anticamente non si conoscevano che quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco. Nell'occhio, osservati i fosfeni, osservato il gatteggiamento, si ammise il fuoco. Si credette sempre che il fuoco che scatta quando si comprime l'occhio rischiarasse gli oggetti, e non fu che A. Haller che lo mise in dubbio. Fosfeni e gatteggiamento si credettero una stessa cosa. Fu G. B. Morgagni che dimostrò l'errore, osservando come comprimendo l'occhio, si ha il fosfeno, ma la pupilla non si rischiara. Col fuoco, la luce, i raggi. Ciò ammesso, si domandò: compiesi la visione per raggi che emanano dall'occhio e vanno all'oggetto, oppure che emanano dagli oggetti e vanno all'occhio? Democrito accetta questa seconda ipotesi. Epicuro, Euclide e più tardi Tolomeo, la prima. Per Galeno, l'organo essenziale della visione è il cristallino; e ciò fu dogma fin verso la fine del sec. XVIII. Ma scoperte le proprietà della camera ottica, progredite le nozioni di ottica, e dimostrate le proprietà delle lenti, si poté constatare la formazione delle immagini, e si pensò che la visione consistesse nella percezione di esse. Ma allora due questioni s'imposero: per l'incrociamento dei raggi le immagini sono rovesce, e come mai con immagini rovesce vediamo diritto? L'organo impressionato dalle immagini è la retina o la coroidea?
Tanto impossibile pareva vedere diritto con immagini rovesce che Francesco Maurolico si sforzò di addurre ragioni perché nell'occhio le immagini dovessero essere dritte e non rovesce. Ma G. B. Benedetti, G. C. Aranzi, verso la fine del 1500, Cristoforo Scheiner (1625), negli occhi degli animali e anche nell'uomo, le osservarono direttamente e le videro rovesce. Per Kepler e per Descartes, con tali immagini si vede dritto perché la retina sente la direzione della luce, come la pelle la direzione degli urti. Per Locke, Leibnitz, Condillac, si vede dritto per effetto di educazione. Per A. G. Volkmann, e per G. Müller, per confronti e giudizî: sappiamo che il cielo è in alto e il suolo è in basso, e vediamo insieme col cielo le parti superiori degli oggetti, insieme col suolo le parti inferiori. È sempre effetto di educazione. Ciò si constata infatti direttamente nei ciechi nati che per una operazione acquistano la vista. Nonostante ciò, ancora nel 1850 De Zautière ammette che la retina agisca come uno specchio concavo, che, riflettendo i raggi ricevuti, proietta al davanti un'immagine dritta, e la vede.
Membrana sensibile è la retina o la coroidea? Si propese per la retina, perché "il genere nervoso" è il principio di tutte le sensazioni (Descartes). Ma molti propesero a lungo per la coroidea, e fra questi E. Mariotte. Trionfarono però i sostenitori della retina.
Visione unica coi due occhi. - È un'altra questione sollevata, che diede luogo a numerose teorie, spesso prolungantisi per circolo vizioso: si parlò di minimi e rapidissimi movimenti per cui la mente confonde in una sola due sensazioni; percezione unica anche se le sensazioni sono due, perché la mente in un dato istante non è capace che di una. Descartes unisce le due impressioni in un centro unico, la ghiandola pineale, e perciò un'unica sensazione. G. Briggs (1686) ammette fibre di parti corrispondenti e fibre di parti non corrispondenti: le prime, colpite contemporaneamente, vibrano per così dire all'unisono, e si vede unico; le altre con vibrazioni discordi, e si vede doppio. È in embrione la teoria di G. Müller dei punti identici. Fu invocata la decussazione delle fibre al chiasma, e lo ammisero anche Newton e Wollaston; mentre già Kepler negava un'unione di fibre prima di arrivare al centro, perché altrimenti non sarebbe possibile mai di vedere doppio. Oggi è accettata la teoria dei punti identici del Müller, ma in quanto siano punti abituali e non entità anatomiche, con che viene considerata la visione unica coi due occhi un semplice effetto di educazione. Tale concetto era già stato accennato da Galileo. Fu discusso spesso il vantaggio dei due occhi su uno solo: per Aristotele si vedrebbe meglio con un occhio solo, ma ne abbiamo due per riserva. Per Tolomeo coi due occhi si vede con maggior sicurezza. Da Aguilonius, che determinò l'orottero (1613), in poi, si ammise che i due occhi servissero meglio che uno solo per il giudizio della grandezza e delle distanze, cioè per la cosiddetta visione stereoscopica. Ph. De la Hire, a questo riguardo, dà già l'importanza maggiore alla parallasse oculare.
Ottica. - La storia dell'ottica con riferimento all'oculistica, ossia dell'ottica fisiologica va considerata in tre epoche successive, la prima che arriva a J. Kepler, la seconda da Kepler a I. Newton, la terza da questo a H. Helmholtz. Con Helmholtz (1821-1894) s'inizia l'epoca moderna. Il suo trattato di ottica fisiologica è classico e dominò, si può dire, isolato per mezzo secolo. Oggi col progresso degli studî e per opera specialmente di E. Hering e di A. Gullstrand, molte delle sue idee furono modificate. Va ricordato come a Helmholtz sia dovuta l'invenzione (1851) dell'oftalmoscopio. V. anche occhiali.
Nutrizione dell'occhio. - Per lungo tempo dominò l'idea di Ippocrate e di Galeno di spiriti circolanti che vanno dal cervello all'occhio, e dall'occhio al cervello, da cui vita e funzione dell'organo. Il vitreo sarebbe fornito dalla retina e servirebbe alla nutrizione del cristallino. Il vitreo stesso e il cristallino forniscono l'acqueo e questo nutre la cornea. Tutte teorie che sembrano grossolane nella forma, ma che nella loro essenza s'accostano a quelle odierne. Anche oggi per la nutrizione dell'occhio si dà grande importanza ai fenomeni di osmosi, si ammette che la ricca irrorazione sanguigna della coroidea serva alla nutrizione della retina, che l'acqueo sia fornito dall'epitelio (retinale) dei processi cigliari; che infine, la visione stessa non sia altro che la sensazione e la percezione degli scambî intimi del materiale nutritizio che avvengono nella retina sotto lo stimolo luminoso. Dal Falloppia a Ch. Saint-Yves fu sempre ammesso che l'acqueo, fornito in parte dal cristallino, servisse alla nutrizione della cornea. Pareva assurdo, ma oggi se è escluso che il cristallino fornisca acqueo, tuttavia sembra indiscutibile, secondo studî recenti di A. Fischel e di M. Baurmann, un certo legame nutritizio fra cristallino e cornea. Anticamente si credeva l'acqueo fornito dal vitreo e dal cristallino; poi Hovius e Nuck lo ritennero fornito da speciali vasi; oggi lo si crede fornito dall'epitelio del corpo cigliare e gli studî di G. Leplat, W. Nicati, M. Boucheron, R. Greeff, K. Wessely, lo dimostrerebbero. L'idea era però stata affacciata da J. Mery, G. B. Morgagni, A. M. Valsalva, A. Haller, J. G. Zinn.
Patologia. - Le malattie dell'occhio furono sempre osservate e curate, ma per lungo tempo tutto fu semplice empirismo. Prima che H. Helmholtz inventasse l'oftalmoscopio, delle malattie delle membrane interne dell'occhio non si sapeva nulla, e siccome esse portano per lo più abbassamento di vista o cecità, si comprendevano tutte in una grande classe detta delle ambliopie o delle amaurosi, mentre, se per esse la pupilla rimaneva alquanto offuscata o dava qualche riflesso verdognolo, si chiamavano glaucomi. Si riteneva che la maggior parte di esse fosse la conseguenza di alterazioni in qualche punto, che si dovevano trasferire per un'inesplicabile simpatia o consenso in qualche altra parte, agendo su questa in modo dannoso. Questa metastasi di materia peccans sarebbe stata la cosa più comune. Tutte le malattie dell'occhio visibili con segni esterni erano comprese nella classe delle oftalmie, ma senza mai fare distinzioni di parti: non si distinguevano congiuntiviti, cheratiti, iriti, ecc. ma tutto era sempre oftalmia. Fu solo per impulso di Samuele Bichat al principio del sec. XIX che si cominciarono a distinguere gli organi e i tessuti, e da allora per naturale conseguenza si cominciarono a distinguere anche le malattie delle singole parti. Tutte le malattie oculari erano sempre considerate espressione di condizioni generali, erano sintomi di condizioni discrasiche e per questo si curavano prevalentemente con rimedî di azione generale, con gli eccitanti, con i debilitanti, ecc. a seconda che le varie dottrine mediche ammettevano un genio stimolante o deprimente, dominante nell'intero organismo. Localmente il numero dei rimedî era immenso, e ad essi si attribuivano azioni estremamente energiche. È incredibile vedere, per es., come con un po' di acqua di malva o simili, si credeva di ottenere modificazioni di stati estremamente complessi e gravi, e che dovevano essere trattati con questi medicamenti in un punto precisamente determinato della malattia, mentre applicati un po' prima o un po' dopo sarebbero stati dannosi o inutili. Per le malattie chirurgiche dominavano le demolizioni e le mutilazioni senza pensare ai danni atroci che ne potevano derivare. La cataratta, che è l'opacità del cristallino, si credette sempre non avesse niente a che fare col cristallino e solo alla metà del sec. XVIII si cominciò a riconoscerla come malattia di questo organo. Fino a quest'epoca si operava esclusivamente col metodo dell'abbassamento cioè immergendola nel vitreo. Nel 1745 Giacomo Daviel portò a sistema il metodo della estrazione che fu subito adottato generalmente, benché, essendo piuttosto pericoloso, allora che non si conosceva l'antisepsi, molti lo abbandonassero per ritornare all'antico metodo dello spostamento, finché finì per trionfare definitivamente. Oggi le diverse malattie dell'occhio sono ben definite e per esse sono generalmente bene definiti i limiti del loro valore locale e del loro valore generale, per cui sempre nella cura vanno adottati appropriati rimedî locali e generali.
Legami dell'occhio col resto dell'organismo. - Benché mobilissimo, l'occhio è intimamente legato col resto dell'organismo, come lo dimostrano principalmente la sua origine, la sua innervazione, la sua vascolarizzazione.
a) Embriologia. - Lo studio dello sviluppo mostra l'occhio quale una diretta dipendenza del sistema nervoso centrale. Questo s'inizia precocemente al dorso dell'embrione con un infossamento a doccia del suo epitelio, che non tarda a chiudersi, divenendo un canale, detto tubo midollare. Il tubo midollare ingrossato alla sua estremità anteriore o cefalica, forma qui le cosiddette vescicole cerebrali. Ai lati della più anteriore di queste si formano precocemente due sporgenze che assumono pure forma di vescicole, e sono le vescicole ottiche, e come dalle pareti delle vescicole cerebrali si formano a poco a poco le masse cerebrali, così dalle pareti delle vescicole ottiche si viene a differenziare la retina, che è dunque una vera e propria espansione del cervello, e le fibre che partono dalle sue cellule e che per la via del picciuolo che unisce le vescicole ottiche alle vescicole cerebrali, vanno al cervello e costituiscono il nervo ottico, assumendo il significato di vere fibre commissurali. E non basta: le meningi che avvolgono il cervello e il midollo spinale, avvolgono pure il nervo ottico, costituendone le guaine e portandosi in avanti fino a fondersi con le tuniche oculari. Tra esse e il nervo circola, come nel cervello e nel midollo spinale, il liquido cefalo-rachidiano. Per questa origine e contatti le condizioni patologiche della retina e del nervo ottico acquistano grande importanza generale, anche perché facili da rilevare, e precocemente avvertite.
b) Innervazione. - Delle dodici paia di nervi cerebrali, ben sei entrano in rapporto con l'occhio, e quattro di questi esclusivamente con l'occhio, dei quali nervi sono ben noti l'origine e il decorso, i rapporti, la funzione. La condizione patologica di uno di questi nervi viene subito e sicuramente avvertita, donde la possibilità di riconoscere alterazioni cerebrali con sede esatta. Il simpatico è pure in relazione con l'occhio, e anche i sintomi delle alterazioni di questo sono tra i più caratteristici. Per questa così abbondante e complessa innervazione, l'occhio è sede o è in rapporto con numerosi e importanti riflessi, che possono tornare di prezioso aiuto diagnostico in molte contingenze d'indole generale. Uno dei riflessi d'importanza locale è quello della fotofobia. È il fastidio per la luce che accompagna di solito gli strati irritativi delle parti superficiali dell'occhio, palpebre e bulbo. Si ritiene generalmente che questo riflesso sia determinato da uno stato di ipersensibilità della retina, comunicato per via riflessa a questa membrana del trigemino; ma molto probabilmente si tratta del fatto opposto: lo stimolo normale della retina viene trasmesso per via riflessa al trigemino, e questo, essendo in uno stato anormale di eccitabilità, risponde con una sensazione dolorosa. Però da ipersensibilità della retina parrebbe doversi ripetere la fotofobia che accompagna comunemente la nevrite retrobulbare. Di valore grande e molto complessi i riflessi pupillari isolati o nelle loro varie associazioni. Basti accennare alla reazione pupillare del Turnay, che si ha nei movimenti di lateralità, e al riflesso oculo-cardiaco rivelatore di stati generali di vago o di simpaticotonismo.
Bibl.: G. Bartisch, 'Οϕϑαλμοδουλεῖα, das ist Augendienst, Dresda 1583; J.-A. Maître, Traité des maladies de l'oeil, ecc., Troyes 1711; A. Leeuwenhoek, Opera omnia, Leida 1722; L. De La Hire, Dissertations sur les différents accidents de la vue, in Mém. de l'Ac. des sc., IX (1730), pp. 530-634; J. Mery, Des mouvements de l'iris, et par occasion de la question de la partie principale de l'organe de la vue. .Histoire de l'Ac. R. des sc., 1704, Parigi 1745, pp. 261-271; G. Zinn, Descriptio anatomica oculi humani, Gottinga 1755; J. Daviel, Sur une nouvelle méthode de guérir le cataracte par l'extraction du crystallin, in Mém. de l'Ac. R. de Chirurgie, II (1749), pp. 337-54; G. B. Morgagni, Opera omnia, I, Adversaria Anatomica omnia, Padova 1764; id., Epistolarum anatomicarum duodeviginti, I, II, Venezia 1780; A. Nannoni, Trattato chirurgico, Venezia 1770; E. Mariotte, Sur l'organe de la vue, Histoire de l'Ac. des Sciences, I, Parigi 1773, p. 1669; F. Buzzi, Nuove esperienze fatte sull'occhio umano. Opuscoli scelti sulle scienze e sulle arti, Milano 1782, pp. 87-95; F. Fontana, Dei moti dell'iride, Lucca 1765 id., Opuscoli scientifici, Firenze 1783; X. Bichat, Traité d'anat. gén. et descript., Parigi 1801; A. Scarpa, Saggio di osservazioni ed esperimenti sulle principali malattie degli occhi, 1a ed., Pavia 1801; 2a ed., Firenze 1837; F. R. Pacini, Nuove ricerche sulla tessitura intima della retina, in Annali delle sc. naturali di Bologna, 1845; W. Bowman, Lectures on the parts concerned in the operations of the Eye, Londra 1849; A. v. Graefe, Über die Wirkung der Iridectomie bei Glaukom, in Archiv f. Ophthalm., III, ii (1857), pp. 456-555; F. C. Donders, Sulle anomalie dell'accomodazione e della refrazione, Milano 1864; H. Helmholtz, Optique physiologique, Parigi 1867; F. Tartuferi, Sull'anatomia della retina, in Archivio per le scienze mediche, XI, Torino 1887, n. 16, pp. 335-358; G. Manca e G. Ovio, Studi intorno alla cataratta artificiale, in Arch. d'oftalmologia, 1897; J. Hirschberg, Geschichte der Augenheilkunde, in Graefe-Saemisch Handb., 2a ed., XXX (1908);
Periodici più importanti di oculistica: Italiani: Annali di ottalmologia e clinica oculistica (diretti da A. Contino, G. Lo Cascio, L. Maggiore; Bari); Archivio di ottalmologia (V. Rossi; Parma); Bollettino d'oculistica (L. Bardelli; Firenze); Lettura oftalmologica (G. Montanelli; Verona); Rassegna italiana d'ottalmologia (L. Guglianetti; Torino); Rivista oto-neuro-oftalmologica e radio-neuro-chirurgica (Q. Di Marzio; Bologna). - Francesi: Annales d'oculistique (V. Morax, A. Magitot, ecc.; Parigi); Archives d'ophtalmologie (P. de Lapersonne, F. Terrien, ecc.; Parigi). - Spagnoli: Archivos de oftalmologia hispano-americanos (M. Menchaho; Barcellona). - Inglesi: The British Journal of Ophthalmology (R. R. James, ecc.; Londra). - Americani: The American Journal of Ophthalmology (G. Banta; Saint Louis); Archiv of Ophthalmology (A. H. Knapp; New York). - Scandinavi: Acta Ophthalmologica (F. Ask, E. Holm, ecc.; Copenaghen). - Orientali: Folia Ophthalmologica Orientalia (A. Feigenbaum; Gerusalemme). - Tedeschi: Archiv für Augenheilkunde (K. Wessely e E. Hertel; Monaco); Graefe's Archiv für Ophthalmologie (A. Wagenmann, ecc.; Berino); Klinische Monatsblätter für Augenheilkunde (A. Szily e W. Stock; Stoccarda); Zeitschrift für Augenheilkunde (C. Behr e J. Meller, Berlino); Zentralblatt für die gesamte Ophthalmologie (F. Bielschowski, E. v. Hippel; Berlino).