ODDANTONIO da Montefeltro
ODDANTONIO da Montefeltro. – Nacque a Urbino il 18 gennaio 1427, secondogenito di Guidantonio, conte di Urbino, e di Caterina Colonna, nipote del papa Martino V (Oddone Colonna).
La nascita di Oddantonio, cui fu dato il nome dello zio prima che fosse eletto pontefice, associato a quello del nonno paterno, Antonio, era stata lungamente attesa a corte, tanto che Guidantonio, preoccupato per la sua non più giovanissima età, aveva ottenuto dal pontefice (bolla del 20 dicembre 1424) la legittimazione di Federico, figlio naturale avuto prima del matrimonio con Caterina.
Il pontefice autorizzava Federico a succedere al padre a meno che Caterina non avesse generato figli legittimi, fatto che avvenne pochi mesi dopo: il 4 luglio 1425 nacque Raffaello Maria, che rimase in vita un solo giorno; seguirono Oddantonio e, di lì a breve, quattro femmine: Brigida Sveva, vissuta solo due mesi, e poi Violante, Agnesina e Sveva, sposatesi rispettivamente con Domenico Malatesta, Guido Manfredi e Alessandro Sforza.
Nel 1433 Oddantonio ricevette a Urbino la cresima alla presenza del vescovo di Gubbio; pochi mesi dopo, in settembre, l’imperatore Sigismondo, di ritorno da Roma dove aveva ricevuto la corona imperiale, lo nominò cavaliere.
L’anno seguente la madre commissionò al pittore di corte Ottaviano Nelli un affresco che ritraesse il figlio nella chiesa di S. Erasmo di Gubbio, in posizione genuflessa ai piedi del santo e in compagnia del famiglio e del cavallo.
Guidantonio trascorse gli ultimi anni di vita tentando di creare solidi rapporti tra i due figli: Oddantonio, di carattere spigoloso, e Federico, dotato di una formidabile predisposizione e abilità nei confronti della vita militare. Consapevole del minor prestigio e carisma del primo, Guidantonio tentò di facilitargli la strada tessendo mirate parentele matrimoniali: fece sposare alla figlia Violante Domenico Novello Malatesta, signore di Cesena, e a Oddantonio promise in moglie la sedicenne Cecilia, erede del marchese di Mantova, Gianfrancesco Gonzaga, e di Paola Malatesta. L’unione avrebbe fatto pervenire nelle casse urbinati, grazie alla dote, la somma necessaria per acquistare da Galeazzo Malatesta la strategica città di Fossombrone, ma il fermo diniego di Cecilia alle nozze costituì un ostacolo insormontabile al realizzarsi del piano. A nulla valsero i tentativi di Gianfrancesco Gonzaga di costringere al matrimonio la figlia, che aveva invece intenzione di farsi monaca. Oddantonio, dal canto suo, offeso dall’atteggiamento della ragazza e venuto a conoscenza, da chi forse ostacolava per interesse le nozze, della modesta bellezza di Cecilia, rifiutò un eventuale ripensamento della giovane e, a conferma di ciò, si diede subito da fare per trovare una nuova pretendente all’insaputa del padre, puntando l’attenzione su Isotta d’Este, sorella del marchese di Ferrara Lionello. Ciò decretò la fine di qualsiasi trattativa matrimoniale tra le casate dei Gonzaga e dei Montefeltro, un’onta terribile per Guidantonio. L’atto di matrimonio con Isotta d’Este fu firmato a Ferrara il 6 luglio 1443 e pubblicato a Urbino il 14 dello stesso mese.
Nel febbraio 1443 Guidantonio morì, senza essere riuscito a porre le basi per una collaborazione certa e salda tra i due figli. Pochi giorni prima della morte aveva ottenuto da papa Eugenio IV la concessione del vicariato apostolico per Oddantonio, il quale ebbe in eredità un territorio ricco, popoloso e ampio, esteso dall’area della provincia attuale di Pesaro-Urbino alla Massa Trabaria fino all’alta valle del Cesano e ai castelli dell’alto Montefeltro, tra cui quello di San Leo, e comprendentela parte settentrionale dell’Umbria con la città di Gubbio.
Sin dal primo periodo di governo, Oddantonio si trovò in una posizione di difficile equilibrio nel contrasto tra Francesco Sforza ed Eugenio IV per il controllo sulla Marca. Sollecitato da più parti a schierarsi apertamente con la Chiesa, alleata di Filippo Maria Visconti e del re di Napoli Alfonso d’Aragona, mentre Guidantonio aveva perseguito la politica della neutralità, si avvicinò alla coalizione del pontefice che, oltre ad apparire più forte, gli permise di acquisire la dignità ducale, ricevuta a Siena dalle mani di Eugenio IV il 25 aprile 1443.
Per l’occasione a Urbino fu coniata una nuova moneta di rame, il picciolo, recante su un lato l’immagine del protettore della città, s. Crescentino, dall’altro la scritta Oddantonius.
I successi personali conseguiti nei primi mesi resero Oddantonio tanto sicuro di sé da spingerlo a sbarazzarsi di alcuni fedeli membri della sua cerchia, sostituiti dal poeta Angelo Galli e dal cognato Domenico Malatesta, e a emarginare ancor di più dalle decisioni importanti sullo Stato Federico.
Dopo una prima fase in cui la vittoria sembrò nelle mani del pontefice, lo scontro si palesò in tutta la sua complessità e incertezza. La battaglia di Monteluro del 1443 vide la vittoria della coalizione sforzesca capeggiata da Sigismondo Pandolfo Malatesta il quale, in cambio, pretese da Sforza l’impegno a sottrarre la città di Pesaro a Galeazzo, suo parente. Consapevole del pericolo, quest’ultimo aveva già chiesto l’aiuto di Federico, che riuscì a respingere l’assedio di Sforza; ciò, tuttavia, determinò un forte malcontento tra la popolazione urbinate, ai cui occhi l’atteggiamento di Oddantonio era apparso troppo inerme e distaccato.
Dal canto suo, Federico iniziò ad assumere una posizione di maggiore autonomia e indipendenza nei confronti del fratellastro, ormai inviso ai più: pur in mancanza di testimonianze è lecito supporre un suo avvicinamento a Sforza, nei cui confronti anche l’atteggiamento di Francesco Maria Visconti si era notevolmente intiepidito.
Nonostante il periodo concitato, Oddantonio, forse su parere del fidato Domenico Malatesta, decise di rivolgersi a un celebre storico e latinista, il senese Agostino Dati, per approfondire e migliorare la propria preparazione culturale. Sempre su consiglio del cognato, volle circondarsi di figure nuove, che lo vincolassero meno alla politica tradizionale di casa Montefeltro: in particolare, le testimonianze (Baldi, 1824, p. 189; Ugolini, 1859, p. 280) citano come suoi cattivi consiglieri il carpigiano Manfredo dei Pio, protonotario apostolico, e Tommaso di Guido dell’Agnello, filosofo riminese.
All’inizio del 1444, la ripresa della guerra nella Marca determinò la conquista, da parte delle truppe sforzesche, della città di Cagli, nel territorio urbinate, senza che Oddantonio facesse nulla per predisporre un seppur minimo tentativo di difesa: l’intervento militare di Federico riuscì ancora una volta a scongiurare il peggio, determinando la definitiva rottura tra i fratelli.
In conseguenza delle lotte contro la coalizione sforzesca, Oddantonio si vide costretto a cedere Montegaudio a Sigismondo Pandolfo Malatesta e, in maggio, a sottoscrivere con lui una tregua, peraltro subito disattesa da ambo le parti, infliggendo un altro duro colpo alle casse dello Stato, già messe a dura prova dal tributo versato in cambio dell’elevazione al titolo ducale, dal conseguente sfarzo della corte e, da ultimo, dalle spese per la guerra. Per far fronte a una situazione fiscale ed economica così critica, Oddantonio fu costretto ad alienare alcune proprietà familiari, a indebitarsi dentro e fuori i confini urbinati e, soprattutto, a inasprire le tasse, causando un inevitabile e forte malcontento: impose una trattenuta su qualsiasi pagamento da parte della Camera, degli ufficiali, dei camerlenghi o dei depositari ducali; aumentò la colletta ordinaria, ovvero l’imposta proporzionale al patrimonio denunciato a catasto; per accrescere le entrate ridusse l’antica misura del sale, il cui commercio era prerogativa ducale; incrementò a tal punto le gabelle sulle merci in entrata e uscita dallo Stato che i mercanti evitarono sempre più di transitare sul territorio urbinate.
Lo storico Andrea Lazzari (1794, p. 69) riporta la notizia, smentita da altre fonti (Baldi, 1824, p. 189; Ugolini, 1859, pp. 283 s.), secondo cui Oddantonio fece bruciare vivo un paggio; se il fatto non è certo, nessun dubbio si nutrì circa la dissipatezza e scostumatezza di Oddantonio e della sua cerchia. Anche se tali atteggiamenti furono sfruttati per legittimare la congiura ai suoi danni, sicuramente la condotta del duca, che sembrava rispondere unicamente a interessi personalistici, contribuì ad acuire il disagio e il malcontento.
L’assassinio fu organizzato nella cerchia di Federico: la notte del 22 luglio 1444 un manipolo di congiurati entrò nella residenza di Oddantonio e uccise dapprima Manfredo dei Pio e Tommaso dell’Agnello. Oddantonio, svegliato nel cuore della notte, fu fatto inginocchiare di fronte a un crocifisso, trafitto da due pugnalate e finito con un colpo di mannaia alla testa. Sui corpi si scagliò la furia della popolazione accorsa alla notizia: i cadaveri furono gettati dalle finestre in strada e il corpo di Oddantonio fu oltraggiato con un’evirazione.
Il mattino successivo Federico era all’esterno delle mura cittadine; dopo aver firmato i 21 capitoli in cui gli urbinati avevano elencato le condizioni alle quali si sarebbe dovuto attenere il nuovo signore, nel pomeriggio entrò a Urbino. Su di lui pesò sempre il sospetto di essersi macchiato di fratricidio, fatto che gli valse l’epiteto di Caino.
Federico dispose che i resti di Oddantonio venissero inumati nella chiesa dei padri conventuali di S. Francesco, seppur in luogo diverso rispetto a quello tradizionalmente assegnato ai conti; qualche anno dopo, per volontà forse di una sorella, gli venne riservata una sepoltura più degna. Nel corso dei restauri, nel 1633, la cassa ritenuta delle spoglie di Oddantonio fu trasferita nella sagrestia della cappella della Madonna, detta del duca. A causa dei successivi lavori, alla metà del XVIII secolo, il sarcofago fu spostato nella chiesa di S. Donato.
Fonti e Bibl.: Cronaca di ser Guerriero da Gubbio, a cura di G. Mazzatinti, in Rerum Italicarum Scriptores, II ed., XXI, 4, Città di Castello 1902, pp. 50, 58, 59; Cronica della città d’Ugubbio fatta da fra Girollamo Maria da Venetia, ibid., p. 101; Cronaca di Gubbio di un canonico don Francesco, ibid., p. 105; Cronache malatestiane dei secoli XIV e XV, a cura di A.F. Massera, ibid., XV, 2, Bologna 1922-24, pp. 96, 99; A.Theiner, Codex diplomaticus dominii temporalis…, III, Roma 1862, p. 351; Cronaca di Anonimo Veronese, a cura di G. Soranzo, Verona 1955, pp. 42 s.; P. Paltroni, Commentari della vita et gesti dell’illustrissimo Federico duca d’Urbino, a cura di W. Tommasoli, Urbino 1966, pp. 11, 43, 67 s., 117; A. Lazzari, Sentimento circa la morte di Odd’Antonio I duca di Urbino, in Delle antichità picene, a cura di G. Colucci, XXI, Fermo 1794, p. 69; B. Baldi, Vita e fatti di Federigo da M. duca di Urbino, I, Bologna 1824, pp. 189 s.; J. Dennistoun, Memoirs of the dukes of Urbino, London 1851, pp. 57 s.; F. Ugolini, Storia dei conti e duchi d’Urbino, I, Firenze 1859, pp. 251, 277-293; F. Tarducci, Cecilia Gonzaga e O. da M.: narrazione e documenti, Mantova 1897; G. Franceschini, Notizie su O. da M. primo duca d’Urbino (20 febbraio 1443-22 luglio 1444), in Atti e memorie della Deputazione di storia patria per le Marche, s. 7, I (1946), pp. 83-108; Id., I Montefeltro, Varese 1970, pp. 410-430; W. Tommasoli, La vita di Federico da M. (1422-1482), Urbino 1978, pp. 14, 16, 22 s., 28, 32 s., 51, 56-58, 68, 114, 184, 297; G. Scatena, O. da M. 1° duca di Urbino, Roma 1989.