FANTINI, Oddone
Nacque a Fosdondo, frazione di Correggio (Reggio Emilia) il 15 genn. 1889 da Bettino e Luisa Lodola. Compiuti i suoi studi presso la Regia Accademia militare di Modena nel 1913, fu volontario con la carica di ufficiale politico nella guerra libica, e valoroso combattente e mutilato nella guerra del 1915-18: medaglia d'oro per il valore militare di cui diede prova nell'ottobre del 1915 sul monte Sabotino, fu decorato anche di altre ricompense al valor militare, di onorificenze civili e coloniali e titoli di guerra.
Al termine della prima guerra mondiale riprese i suoi studi universitari presso l'Istituto superiore di studi sociali di Firenze dove, in campo economico, Riccardo Dalla Volta era la figura dominante. Si laureò brillantemente nel 1920 in scienze sociali. Nel periodo 1920-1926 ebbe incarichi di varia natura: insegnante di materie economiche e giuridiche presso l'istituto tecnico di Ravenna e assessore al lavoro del Comune di Ravenna dal 1920 al 1922; membro delle Associazioni combattenti, mutilati, volontari di guerra; alfiere del Gruppo medaglie d'oro e promotore, nel giugno del 1924, della sua prima grande adunata; funzionario e direttore di biblioteca del commissariato generale dell'Emigrazione presso il ministero degli Esteri dal 1923 al 1926; presidente della commissione di cultura e propaganda del Fascio centrale "Giulio Giordano". Iscrittosi al partito fascista nel novembre del 1923, ricevette da Benito Mussolini numerosi segni di stima.
Nel 1927, abilitato alla libera docenza in politica e legislazione economica il F. ricoprì l'incarico per l'insegnamento di legislazione sociale e del lavoro interna e comparata - e dal 1928 anche di politica economica - presso la facoltà di scienze politiche dell'università di Perugia fino al 1934. Nel 1928, dopo la morte di Luigi Luzzatti che molto aveva influito sulla sua formazione culturale e del quale si era guadagnato la benevolenza e la stima, fu nominato suo successore alla direzione dell'Istituto superiore di studi del lavoro e della previdenza a Roma, già università della cooperazione e della legislazione sociale creata nel 1921 da Luzzatti, ma che successivamente nel 1934 - per disposizione del ministero delle Corporazioni - fu denominato Istituto superiore di studi corporativi del lavoro e della previdenza, con un nuovo statuto, alla cui elaborazione contribuì lo stesso Fantini. Nel 1929 egli fondò e divenne direttore della rassegna Universalità fascista, e nel 1933 scrisse il primo libro dedicato ai principi di dottrina ed etica fascista: L'universalità del fascismo, con una prefazione di C. Curcio (Napoli 1933). In quegli anni egli fu anche direttore del Decennale e della rivista Giurisprudenza e dottrina bancaria; fu inoltre membro della commissione centrale censuaria del ministero delle Finanze, presidente del Comitato per gli studi di razionalizzazione e organizzazione scientifica del lavoro, presidente del Consorzio provinciale delle scuole di avviamento tecnico professionale, e membro più volte di commissioni di libera docenza, di concorsi pubblici, ed in particolare delle commissioni presso il ministero delle Corporazioni per la cultura corporativa e le scuole sindacali.
Nel 1934 il F., primo della terna al concorso per l'ammissione ai ruoli universitari, fu designato professore straordinario di legislazione sociale e del lavoro interna e comparata presso l'università di Perugia. Nel 1936, sempre all'università di Perugia, passò all'insegnamento di politica economica e finanziaria. Nel 1938, con voto unanime, fu chiamato come professore ordinario di politica economica e finanziaria a Roma, presso la facoltà di economia e commercio, alla quale dedicò - oltre ad un'intensa e generosa attività di docente - un impegno costante, sia come direttore dell'istituto di politica economica, sia nell'assolvimento di numerosi incarichi, tra i quali l'insegnamento presso la Scuola di specializzazione di politica economica e presso la scuola di perfezionamento in studi europei.
Con l'attuazione della riforma bancaria del 1936 e l'affermarsi definitivo del principio pubblicistico della raccolta del risparmio, il F. entrò a far parte attiva di quel vasto movimento di riorganizzazione della funzione creditizia che si era andato delineando con contorni già piuttosto netti fin dal 1933. Nell'ambito di quel movimento divenne promotore e responsabile di una serie di iniziative volte alla realizzazione di una struttura diversificata e coordinata del credito che doveva fungere da sostegno all'artigianato ed alla piccola e media impresa, cioè a quelle unità produttive minori nel cui sviluppo egli vedeva "un importante fattore di progresso economico e di stabilità sociale". Nominato presidente della Federazione nazionale delle casse rurali nel 1935, dopo l'entrata in vigore del nuovo ordinamento bancario il F. fu, in particolare, attento all'evoluzione ed al coordinamento degli istituti di credito popolare: nel 1938 assunse la presidenza dell'Associazione nazionale "Luigi Luzzatti" fra le banche popolari e nel 1939 fondò e divenne presidente dell'Istituto centrale delle banche popolari italiane.
Dopo la seconda guerra mondiale il F., ispirato da una concezione di solidarietà interclassista alla quale aveva aderito fin dai suoi primi anni di studio, fondò la Banca centrale di credito popolare (Centrobanca, 1946) e contribuì alla creazione della Cassa di credito per le imprese artigiane (Artigiancassa, 1947), della Confederazione internazionale del credito popolare (1950), dell'Istituto centrale del credito a medio termine (Mediocredito centrale, 1952). In quegli anni, e fino al 1961, assunse inoltre la direzione della rivista Credito popolare, una rivista fondata nel 1889 da L. Luzzatti con l'originario titolo di Credito e cooperazione e che, prima che dal F., fu diretta dal Luzzatti stesso, da L. Einaudi e da C. Concini.
Nel settore del credito l'azione del F. ha ottenuto i maggiori riconoscimenti: per merito della sua opera il movimento delle banche popolari italiane è riuscito a creare e consolidare "fruttuosi legami internazionali" (Caffè, 1977); con la fondazione - nel 1939 e nel 1946 - dei due istituti centrali di categoria il F., oltre ad aver contribuito in modo sostanziale al potenziamento ed alla razionalizzazione del sistema delle banche popolari, ha ispirato numerose altre iniziative (l'Unione fiduciaria nel 1958, l'Italease nel 1968, il Factorit e l'Italaudit nel 1978, il Cefor nel 1979), che successivamente sono andate a completare l'articolazione del sistema stesso, accrescendone enormemente la quota di mercato e la capacità competitiva (Parrillo, 1989). Una ricostruzione della storia, delle attività e del ruolo svolto dall'Istituto centrale delle Banche popolari nell'ambito del sistema del credito popolare fu presentata dallo stesso F. il 5 febbr. 1959 in occasione di un discorso tenuto all'assemblea dell'Associazione nazionale e dell'Istituto centrale fra le Banche popolari (si veda Gli Istituti centrali di categoria nella evoluzione delle strutture economiche, in Scritti economici vari, Milano 1962, pp. 251-262).
Va inoltre ricordato che in questo settore, come testimonia F. Caffè, che fu allievo del F. e suo successore alla cattedra di politica economica all'università di Roma, il F. seguì un sentiero già ben delineato dalla lungimirante opera del Luzzatti. Nel saggio che egli scrisse per commemorare il venticinquesimo anniversario della sua morte (Luigi Luzzatti: sociologo, economista, uomo d'azione, in Giornale degli economisti e Annali di economia, XI [1952], pp. 304-317) alcune frasi testimoniano della consapevolezza del F. di sentirsi un erede ed un continuatore dell'opera del Luzzatti non solo sul piano operativo, in quanto suo successore alla guida di alcune importanti realizzazioni, ma anche e soprattutto sul piano dei principi morali ed umanitari che guidarono il suo impegno scientifico e civile. Non a caso, forse, in questo saggio egli si esprime con una acutezza superiore a quella riscontrabile in altre opere.
Gli scritti del F. sono numerosi: un elenco abbastanza esauriente delle sue opere, curato da L. Laghi, è contenuto in Scritti economici vari (Milano 1962), un volume che, ad eccezione di un articolo del 1927, raccoglie i principali saggi scritti nel secondo dopoguerra. Complessivamente la produzione scientifica del F., pur toccando diverse tematiche di carattere economico, sociologico e giuridico, riflette la sua costante fedeltà ad una concezione solidaristica tra le classi sociali, così come tra le nazioni, che egli propugnò ed esaltò per oltre quarant'anni come la condizione indispensabile per il "miglioramento della convivenza umana". In linea con questa concezione più precisamente scrisse ed operò in funzione di una migliore organizzazione e di un progressivo ampliamento del campo della cooperazione, intesa come lo strumento più efficace attraverso il quale realizzare il suo ideale di "stato sociale".
Nel ricostruire l'ambiente di studio in cui il F. completò la sua formazione culturale, F. Caffè (1977) ricorda che già agli inizi del nostro secolo questa concezione solidaristica ebbe ampio credito in ambienti teorici e politici anche molto diversi tra loro e che nelle difficili circostanze che caratterizzarono la nostra storia nel primo dopoguerra essa fu spesso indicata come ideale a cui ispirarsi per risolvere problemi sociali ed economici che andavano assumendo forme sempre più acute. L'impiego del lavoro dei fanciulli nella produzione, gli infortuni sul lavoro, le malattie professionali, la disoccupazione operaia, e le pressioni talvolta eversive che questi fenomeni alimentavano, furono infatti oggetto di preoccupata attenzione sia da parte di studiosi legati al più intransigente liberismo di ispirazione ferrariana, come nel caso di Riccardo Dalla Volta, sia da parte di studiosi ed uomini politici legati alla scuola storica tedesca, i quali, come nel caso di Luigi Luzzatti, si mostrarono inclini a riconoscere "il condizionamento storico dei principi economici" e furono favorevoli all'azione pubblica ed al riformismo istituzionalizzato (pp. 296-7).
Su queste direttrici d'indagine il giovane F. iniziò la sua attività scientifica, pubblicando La cooperazione e il suo movimento nel Ravennate (Ravenna 1922), un lavoro che la commissione per la libera docenza (composta da R. Dalla Volta, G. Arias, G. Masci) apprezzò per "la freschezza e la perspicuità derivante dall'immediato contatto coi fatti". Nel periodo successivo - dal 1926 al 1939 - il F. dedicò il maggior numero dei suoi scritti (una ventina circa tra volumi, articoli e pamphlets) al tema della legislazione sociale e del lavoro ed al ruolo del risparmio nell'economia nazionale. Vanno ricordati tra gli altri: I diritti del lavoro, con una prefazione di B. Mussolini, Roma 1926; Politica e legislazione del lavoro in Italia, con una prefazione di A. Rocco, Firenze 1927; Interdipendenza tra difesa del risparmio e tutela del lavoro (1927), in Scritti economici vari, pp. 21-32; Per la nostra economia nazionale, Roma 1928; Stato e lavoro, ibid. 1928; IlTrattato di Versailles e la carta del lavoro, ibid. 1929; La legislazione sociale nell'Italia corporativa e negli altri Stati, con una prefazione di B. Mussolini, ibid. 1931; Previdenza e assistenza, I-II, Milano 1932; La tutela del lavoro nell'ordinamento giuridico italiano e nella legislazione internazionale, Firenze 1934; Ilsalario e le esigenze di vita del lavoratore, Roma 1934; Dalla divisione all'organizzazione del lavoro, in Studi in onore di Roberto Michels, Padova 1937, pp. 233-250; Legislazione corporativa del lavoro, Milano 1938; La politica del lavoro nell'economia della Nazione, in Rivista di politica economica, XXIX (1939), pp. 1-15.
Si tratta di una letteratura fortemente segnata dal convincimento che l'applicazione dei principi che ispirarono la rapida ascesa del regime fascista potesse fornire alla classe lavoratrice migliori garanzie, aiutandola a risollevarsi sia sul piano economico sia su quello della dignità umana e civile. Appare da questi scritti che "il principio della solidarietà e della collaborazione tra i fattori produttivi" promosso ed esaltato dal regime "a tutela della produzione e dello sviluppo economico della Nazione" costituì la motivazione di fondo che indusse il F. ad aderire al partito fascista ed a farsi sostenitore dello Stato corporativo. In particolare il F. vide nella carta del lavoro del 1927, "nella quale il principio della collaborazione domina completamente", e nell'idea di Stato quale "elemento regolatore per eccellenza" delle esigenze del lavoro e del capitale, il superamento dell'egoismo insito nella concezione individualistica del sistema liberale e l'eliminazione dei "danni" e dei "rischi" connessi con la lotta di classe propugnata dal socialismo.
In armonia con le esigenze poste dalla politica corporativa di quegli anni, negli scritti del F. prevale un approccio teso a dare il massimo risalto al ruolo delle istituzioni sociali, giuridiche e politiche nella definizione e nella valutazione delle questioni economiche. Tuttavia, a differenza di molti degli economisti suoi contemporanei per i quali il consolidarsi del sistema corporativo nella realtà concreta comportò l'esigenza di rivisitare e rinnovare il mondo astratto della teoria pura, egli fu poco incline alle indagini di carattere teorico. Pur condividendo l'opera di quei teorici del corporativismo che criticarono la teoria tradizionale e la sua pretesa di dettare leggi economiche rigide e "indipendenti dalla volontà umana", negli scritti del F. il dibattito teorico sui temi del lavoro e del risparmio, che pure furono al centro dei suoi interessi, rimane sullo sfondo, sintetizzato e tradotto in termini molto semplici, con chiari intenti di accessibilità immediata. Si tratta di scritti a carattere prevalentemente descrittivo, in cui il F. predilige l'osservazione dei fatti, la semplice e scarna documentazione di leggi e regolamenti, piuttosto che l'elaborazione teorica o la penetrazione critica. La rilevanza attribuita ai fattori istituzionali, giuridici e sociali nello studio dei problemi economici assume in quegli scritti una valenza operativa piuttosto che teorica. Essi sono il terreno su cui deve intervenire lo Stato facendosi interprete e parte attiva nei processi culturali, sociali ed economici del paese attraverso una politica che miri a salvaguardare l'interesse nazionale senza al contempo "soffocare" l'iniziativa privata. In realtà, nella trattazione di questi come di altri temi, il merito del F. non consiste tanto nella sua capacità di fornire un contributo personale specifico sul piano teorico, quanto piuttosto nella sua capacità di segnalare problemi socialmente ed economicamente rilevanti e nel saperli inquadrare in un contesto più ampio dal quale emerga con chiarezza la necessità, l'importanza ed il senso di un intervento dello Stato. Più precisamente in quegli scritti si avverte l'intento del F. di mostrare ed esaltare la rispondenza delle singole scelte che sul piano normativo ed istituzionale si andavano concretando con i principi generali della politica corporativa.
Questioni importanti per il loro risvolto pratico richiesero allora non poco impegno di risistemazione teorica da parte dei più autorevoli economisti dell'epoca. Si ricorderà ad esempio il problema della determinazione del salario che, nell'ottica corporativa di una riunificazione tra homo æconomicus e cittadino, sembrò implicare l'abbandono di soluzioni basate esclusivamente sulle leggi della domanda e dell'offerta ed il reingresso, nel dominio della teoria economica, di valutazioni facenti capo a "principi etici, politici, sociali" (nel volume del 1938 il F. cita, tra gli altri, C. Arena, G. Arias, G. Bottai, A. De Stefani, M. Fanno, U. Spirito). Nel tentativo di pervenire ad una soluzione quantitativa di questo problema, alcuni autori (nello stesso volume del 1938 il F. cita, tra gli altri, Rowan, Carvallo, Halsey, Bayle, Fiorentini) giunsero a formulare diversi sistemi salariali, basati su diverse classificazioni del salario (salario a variazione continua e salario a variazione discontinua), identificando per ciascuna di esse le rispettive leggi di variazione (legge di variazione lineare, iperbolica, parabolica, ecc.). Sebbene nei due volumi del 1934 e del 1938 il F. passi in rassegna quei sistemi senza offrire alcuno spunto critico personale, nel saggio del 1937 Dalla divisione all'organizzazione del lavoro egli afferma che "nessuno [dei sistemi salariali finora escogitati] sembra corrispondere perfettamente all'ideale teorico, perché nessuno di tali sistemi realizza in pieno la concordanza fra l'interesse dell'imprenditore e quello degli operai". Come nel caso di molti altri autori di quel periodo, anche il F. in questo saggio sembra essere alla ricerca di una "formula" che assicuri il "giusto" salario, e cioè un salario che soddisfi "le esigenze morali oltre che fisiche dell'operaio". Tuttavia, nel corso dell'analisi questa linea di ricerca viene bruscamente abbandonata, e la soluzione del complesso problema del giusto salario viene più genericamente affidata dal F. alla realizzazione di quella "produzione 'ottima' in senso economico-sociale" che può scaturire solo dall'applicazione sistematica - sotto il controllo dello Stato - di una organizzazione del lavoro che ponga a suo fondamento "lo studio scientifico del fattore umano" (pp. 247-249).
Può essere interessante notare che la posizione del F. riguardo alla necessità di porre lo Stato come arbitro ultimo nella conciliazione degli interessi tra capitale e lavoro rimase immutata anche nel secondo dopoguerra. Nel saggio Il salario adeguato e l'equilibrio sociale, scritto nel 1951 e ristampato in Scritti economici vari (pp. 53-62), il F. osserva che la situazione determinatasi nell'immediato dopoguerra - la costituzione di nuove organizzazioni associative dei lavoratori e degli imprenditori ed il carattere monopolistico assunto dalla determinazione del salario - "non ha portato che a rafforzare l'esigenza di una 'politica salariale' atta a conciliare, nella visione di interessi più ampi, quelli che altrimenti sarebbero meri rapporti di forza" (p. 56). Nel riprendere quelli che nel 1934 aveva già indicato come gli elementi di cui si deve tener conto nella determinazione di un "salario adeguato" - la qualità del lavoro, il rendimento del lavoro, le particolari condizioni dell'impresa presso cui il lavoratore è chiamato a prestare la sua opera - egli si sofferma in particolare sul quarto elemento, considerato il più importante ma anche il più trascurato, e cioè su quell'obiettivo di giustizia sociale e distributiva che vuole che "tra le varie e multiformi categorie di lavoratori esistenti nella vita economica vi sia un certo equilibrio" che egli appunto designa come "equilibrio sociale" (p. 59). Anche in questo caso il F. individua nello Stato il garante ultimo di tale equilibrio, in quanto l'unico possibile artefice di una politica economica e sociale "saggia", capace di mantenere la stabilità monetaria e di favorire il massimo livello di produzione. Il vantaggio che deriverebbe da un tale impegno dello Stato viene a sua volta specificato dal F. come quella condizione di "certezza del domani" che consente ai produttori di impegnare senza rischi eccessivi il loro capitale ed il loro spirito d'iniziativa, ed ai consumatori di affidare con serenità alle banche il frutto della loro parsimonia. Ed è nel prosperare dell'attività economica, così corroborata da una clima diffuso di fiducia, piuttosto che nella richiesta di aumenti salariali, che il F. vede la possibilità che si realizzi un salario adeguato, cioè un salario che sia al contempo "giusto" e "morale" (p. 61). Giova osservare che il tono di auspicio che pervade l'intero saggio rivela la preoccupazione del F. per "i fatti e le circostanze" verificatisi in Italia ed altrove nell'immediato dopoguerra e che egli ricorda all'inizio del saggio: gli aumenti ed il livellamento dei salari favoriti "in parte dalle pressioni delle organizzazioni sindacali (o politiche), in parte dall'inattività o dalla passività dello Stato" (p. 53).
Gli scritti del F. sul risparmio riflettono in modo molto esplicito il suo impegno politico e civile. Nel saggio del 1927, Interdipendenza tra difesa del risparmio e tutela del lavoro, così come in numerose altre occasioni, il F. espresse la sua appassionata difesa del risparmio definendolo al contempo "strumento di nuova produzione" e, perciò stesso, "nobile contributo" di ciascun individuo "alla prosperità ed al benessere collettivo del proprio paese" (p. 24). Tra i benefici generati dal risparmio mise in luce soprattutto quello derivante dalla connessione tra maggiore volume di risparmio, maggiori livelli produttivi e maggiore occupazione. Di qui l'importanza dell'attività del risparmio a livello nazionale e, conseguentemente, la necessità di una azione dello Stato tesa alla tutela ed al controllo del risparmio sia per quanto riguarda la sua raccolta sia per quanto riguarda il suo impiego. Di qui anche l'interdipendenza sottolineata dal F. e di cui lo Stato deve farsi interprete, tra difesa e tutela del risparmio e difesa e tutela del lavoro. La sua posizione su questa questione fu da lui stesso sintetizzata in due proposizioni fondamentali: "il risparmio genera lavoro e il lavoro a sua volta genera risparmio" (p. 27) e, in polemica con le teorie del sottoconsumo, "produrre di più per consumare di più" (p. 25).
Nella fase in cui, in previsione della guerra, divenne di primaria importanza per il regime fascista il problema di accelerare la formazione del risparmio divenne altrettanto importante per i teorici dell'economia corporativa criticare l'idea tradizionale secondo la quale "le libere scelte individuali" sono in grado di assicurare, di per sé stesse, il pieno impiego delle risorse produttive e la loro valorizzazione ottimale. Anche in questo caso, i teorici del corporativismo cercarono di elaborare strumenti analitici che consentissero loro di rompere lo schema tradizionale statico entro cui il risparmio risultava dipendere unicamente dal tasso d'interesse per rimettere al dovuto posto gli elementi politici ed etici, da considerare anch'essi non solo quali condizioni delimitanti l'attività economica individuale, ma anche e soprattutto quali forze dinamiche e propulsive, operanti sulla struttura economica e sulle scelte degli individui.
Il F. sembra a volte riferirsi al dibattito in corso quando, nel saggio Politica di difesa e di incremento del risparmio, in Rivista di politica economica, XXX (1940), pp. 85-89, sostiene che il processo di risparmio deve essere inquadrato in una prospettiva "dinamica", oppure quando, nell'articolo Il risparmio in pace e in guerra, pubblicato ne Il Sole del 23 ott. 1941, afferma che il risparmio "è influenzato da istinti e sentimenti innati nell'uomo. come pure da tradizioni e abitudini, oltre che dal tasso d'interesse". Ma in realtà la sua attenzione si sposta immediatamente su quella che egli, in tutti i suoi scritti su questo tema, assume come la questione centrale relativa al risparmio: l'individuazione, da parte dello Stato, delle strategie più efficaci per la difesa e l'incremento del risparmio, strategie che, a seconda dei casi, possono tradursi in una diffusa e capillare opera di "educazione" morale e civile dei cittadini, o nella creazione delle condizioni "oggettive politico-giuridiche" più adatte a favorire il risparmio, o infine nell'adozione di "provvedimenti energici".
Nell'immediato dopoguerra l'invariata posizione del F. sull'importanza del risparmio può essere facilmente colta in un breve commento a I. M. Keynes ed ai keynesiani, i quali, egli afferma, "si sono compiaciuti in qualche occasione di prendere le parti della cicala anziché quelle della formica, ... e di richiamare in onore la favola in versi di Mandeville che esaltava la prodigalità privata - in quanto alimentatrice di spesa e quindi creatrice di occupazione". A questa parte della teoria dì Keynes il F. non riconosce "un serio fondamento", ma solo il merito di aver posto in luce il fatto che l'equilibrio tra risparmi e investimenti non può considerarsi soddisfacentemente garantito dal meccanismo del tasso d'interesse, e di aver sottolineato la "necessità che quello che non viene speso (in quanto risparmiato) sia effettivamente investito e trasformato in capitale" (Riflessioni sul risparmio, conversazione radiofonica tenuta nel dicembre del 1950 e successivamente pubblicata in Scritti economici vari, pp. 43-52).
A partire dal 1936, in concomitanza con i suoi impegni istituzionali nel settore delle banche popolari, gli interessi del F. si spostarono decisamente sul problema del ruolo delle banche e del credito nello sviluppo economico. Ripercorrendo l'evoluzione degli istituti di credito popolare a partire dal 1876, cioè dall'opera pionieristica del Luzzatti che in quella data fondò l'Associazione nazionale delle Banche popolari, il F. ne esalta le finalità sociali: la difesa dei medi e piccoli operatori, nell'ambito di ogni categoria, attraverso una azione capillare di sostegno della loro attività economica. Una difesa, scrive il F. ancora nel 1959 in Gli istituti centrali categoria nella evoluzione delle strutture economiche, necessaria "per chi è realmente convinto della sostanziale importanza che le attività minori hanno nella vita del nostro paese; in chi ha chiara consapevolezza, che, operando per la loro difesa e per la loro armonica convivenza con più potenti organismi, si agisce a vantaggio della economia nazionale e per il benessere del popolo italiano" (Scritti economici vari, p. 262).
Allo sviluppo ed al ruolo del credito popolare il F. ha dedicato saggi ricchi di documentazione storica, statistica e normativa. In essi egli ha mantenuto lo stile proprio dell'uomo di azione, per il quale è importante dare conto di ciò che - sulla base di principi teorici, ma anche di ideali sociali - è stato possibile concretamente realizzare. Vanno ricordati, tra gli altri, i seguenti scritti: Le casse rurali in Italia, in Studi in onore di Riccardo Dalla Volta, Firenze 1936, II, pp. 85-110; Tutela del risparmio e disciplina corporativa del credito, in Giurisprudenza e dottrina bancaria, VIII (1936), pp. 339-349; La legge speciale sulle banche popolari, in La Rivista della cooperazione, 1948, fasc. spec., pp. 162-172; La cooperazione di credito in Italia, in Studi in memoria di G. De Francisci Gerbino, Palermo 1949, pp. 63-82; Le banche popolari e il credito pubblico in Italia, Padova 1950; Assistenza bancaria e scambi internazionali, in Rivista bancaria, VII (1951), pp. 542-554; Origini e sviluppo delle banche popolari in Italia, Roma 1951; Il credito popolare al servizio della cooperazione internazionale (1956), in Scritti economici vari, pp. 175-193; Le banche popolari nell'evoluzione delle istituzioni creditizie (1961), ibid., pp. 285-295; Sguardo storico sulle origini e l'evoluzione delle istituzioni bancarie, in Studi in onore di A. Fanfani, VI, Milano 1962, pp. 701-723.
L'interesse del F. per il sistema del credito popolare può ben considerarsi l'estensione ad un nuovo settore del suo impegno nel campo della cooperazione. Come egli afferma nel saggio del 1959, i progressi compiuti nell'ambito del sistema del credito popolare "hanno potuto attuarsi soltanto dopo la prima grande guerra, sotto la spinta dell'autodifesa e dell'autotutela, fra organismi piccoli e medi che, nell'unione delle proprie forze e nella adozione in comune di determinati servizi, hanno avvertito la via più idonea alla loro coesistenza, al loro consolidamento, al loro sviluppo" (Scritti economici vari, p. 254). Ma l'interesse del F. in questo campo riveste anche un altro significato: quello legato alla tutela del risparmio. Nell'interazione già ricordata tra risparmio, produzione e occupazione, le istituzioni creditizie rivestono un ruolo della massima importanza. Ad esse è affidato il duplice compito di facilitare e incoraggiare la formazione del risparmio e, con esso, di finanziare le attività economiche che meritano sostegno. Da questo punto di vista la legge bancaria del 1936 e la disciplina corporativa del credito rappresentarono per il F. la creazione delle condizioni istituzionali e legali indispensabili alla effettiva realizzazione dei compiti spettanti al sistema creditizio: orientare il risparmio verso i settori produttivi la cui sopravvivenza costituisce realmente un beneficio per l'economia della nazione.
Tra i numerosi altri scritti del F. va infine ricordato Politica economica e finanziaria (Padova 1943), un manuale che, nel corso delle numerose edizioni che si sono susseguite (la 7ª edizione è del 1962), ha subito sostanziali modifiche ed ampliamenti fino a trattare praticamente tutti i campi della politica economica, ma che ha mantenuto intatto quello stile peculiare del F., quella sua tendenza a ricondurre continuamente il lettore ai principi generali che guidano questa scienza.
Il F. morì a Roma il 21 luglio 1976.
Oltre agli scritti menzionati nel testo, si ricordano del F. le seguenti altre pubblicazioni: La politica economica del fascismo, con una prefazione di P. Orario, Roma 1929; L'impresa economica nella vita moderna, con una prefazione di R. Michels, Napoli 1933; Principi e realizzazioni di politica bancaria corporativa, Firenze 1938; Trattato di politica economica e finanziaria, Milano 1939; Autarchia economica e politica alimentare, in Studi in memoria di Giovanni Dettori, Firenze 1941, I, pp. 141-195; L'integrazione economica europea e il Mercato comune, Padova 1959; Cooperazione e mutualità nella storia economica, in Studi in onore del prof. Vittorio Franchini, Milano 1959, pp. 320-339; Sistemi e ordinamenti bancari esteri, Padova 1961; Contributi allo studio e alla conoscenza dell'economia e politica economica di guerra, in Studi in onore di Epicarmo Corbino, Milano 1961, I, pp. 279-289; Le vie della prosperità, ibid. 1965, Strategia economica. Principi e aspetti operativi, ibid. 1966; Un po' di benessere in un mondo migliore, Roma 1967; Illavoro umano nel Mercato comune e nel mondo di domani, ibid. 1973.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione Direzione generale della Istruzione Superiore, Libere docenze, busta 129; Ibid., Concorsi a cattedra, 1934, busta 86; Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario, fasc. 59310; S. Labarca, Profilo dello studioso, dell'organizzatore e dell'uomo, in Scritti in on. di O. F., II, Milano 1962, pp. 681-688; F. Caffè, discorso pronunciato il 21 nov. 1962 in Onoranze al prof. O. F. nel trentacinquennio dell'insegnamento universitario, Roma 1962, pp. 12-21; F. Parrillo, discorso pronunciato il 21 nov. 1962, ibid., pp. 21 -25; Id., La figura e l'opera di O. F., in Credito popolare, luglio-agosto 1976, pp. 379-383; F. Caffè, O. F. (commemor.), in La teoria keynesiana quarant'anni dopo, Milano 1977, pp. 295-299; F. Parrillo, La figura e l'opera di O. F., in Credito popolare, novembre-dicembre 1989, pp. 363-376.