ODERISI di Guidone da Gubbio
ODERISI (Oderico) di Guidone da Gubbio. – Non si conoscono il luogo e le date di nascita e di morte di questo miniatore attivo a Bologna tra il settimo e l’ottavo decennio del Trecento.
I documenti pervenuti, redatti a Bologna fra il 1268 e il 1271, ne attestano l’origine eugubina e l’attività come miniatore (Filippini - Zucchini, 1947).
Già nel più antico di essi, risalente al 29 agosto 1268, il suo nome è accompagnato da tale qualifica («Hoderico miniatore»; ibid., p. 183), mentre nel secondo, del 19 luglio 1269, è associato a quello di un altro miniatore e notaio, Paolo di Jacopino dell’Avvocato. In entrambe le attestazioni Oderisi figura come testimone in contratti che avevano per oggetto l’allestimento di libri o la loro trascrizione. Il 26 agosto 1269, sempre con Paolo di Jacopino, si impegnò a miniare, al prezzo di 22 soldi bolognesi per ciascun quaderno, un Digestum novum con la glossa di Francesco Accursio, che il copista Domenico di Michele si accingeva a trascrivere. L’11 marzo 1271 «magister Odericus q. Guidonis de Gubio», ancora insieme con Paolo di Jacopino, concordò con Azone dei Lambertazzi la decorazione «de pennello de bono azurro» di un antifonario notturno (ibid., p. 184).
In assenza di opere firmate o documentate, più che ai codici da lui realizzati, non individuabili con certezza, Oderisi deve la sua fama a Dante Alighieri, il quale, incontrandolo fra i superbi, lo definisce «l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’arte ch’alluminar chiamata è in Parisi» (Purgatorio, XI, 80-81).
Nel celebre colloquio, il poeta immagina che Oderisi riconoscesse in Franco il massimo esponente della generazione successiva alla sua («più ridon le carte che pennelleggia Franco Bolognese»: v. 83), confermando così indirettamente che l’attività del miniatore si era svolta nella città emiliana, nella quale, come si è ricordato, i documenti lo attestano attivo nell’ambito della produzione di libri destinati all’università e al clero. Non è poi da escludere che Dante lo abbia conosciuto personalmente o ne abbia visto le opere, nel suo soggiorno a Bologna fra il 1286 e il 1287 (Longhi, 1966B, p. 4).
A prestar fede a Giorgio Vasari (1568, pp. 384 s.), che fornisce qualche notizia di Oderisi all’interno della vita di Giotto e certamente trasse i suoi dati dal poema dantesco e dai primi commentari del poema stesso, il miniatore fu a Roma, dove per il papa «miniò libri per la libreria del palazzo» che, all’epoca in cui scrive l’autore, «erano in gran parte consumati dal tempo». La citazione nella Commedia, che Dante colloca nel 1300, indica che il miniatore in quell’anno era già morto.
Filippo Baldinucci (1681), in polemica con Carlo Cesare Malvasia (1678) che aveva esaltato il ruolo del bolognese Franco, fondatore della grande scuola di miniatura fiorita a Bologna, focalizzò l’attenzione sulle parole dantesche e ritenne Oderisi un allievo di Cimabue, collocandolo fra gli artisti di area fiorentina. Per tutto il Settecento e buona parte dell’Ottocento, Oderisi fu ricordato soprattutto come una gloria eugubina e si deve a Renato Baldani (1908) un primo tentativo di individuarne lo stile nell’ambito della miniatura bolognese della seconda metà del Duecento e il merito di aver avviato un complesso dibattito critico che si è adoperato per far emergere le peculiarità di Oderisi in rapporto al più giovane Franco, partendo proprio dall’alto elogio pronunciato da Dante.
Nel 1920 George Warner, nel catalogo della collezione Dyson Perrins, associava in via ipotetica a Oderisi la sontuosa Bibbia di gusto antichizzante, ora in collezione Abbey (J.A. 7345), probabilmente commissionata dal domenicano Teodorico Borgognoni, celebre medico dello Studio bolognese (Medica, 2000, p. 123). Paolo D’Ancona (1921), partendo dall’accenno di Dante alla città di Parigi, proponeva di individuare le opere di Oderisi tra i codici influenzati dalla miniatura francese, come il Decretum Gratiani (Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Edili 97) e l’Abreviatio figuralis historiae ab initio mundi usque ad annum 1272 di Gerardo d’Anversa (Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 1184 bis). Giorgio Castelfranco (1929), seguito qualche decennio più tardi da Giovanni Fallani (1971 e 1973), preferiva, invece, ricercarne le opere in area umbra e gli assegnava i Corali del convento di S. Domenico di Gubbio (Archivio di Stato di Gubbio, Fondo S. Pietro, O/2, H/2, F/2, E/2), nei quali, negli anni successivi, è stato colto un innesto francesizzante (Morozzi, 1980). Sui rapporti con lo Studio parigino, che dovettero influenzare in un primo momento il linguaggio delle botteghe gravitanti intorno all’Università di Bologna, aveva insistito anche Mario Salmi (1932), il quale, dopo aver precisato che i due codici chiamati in causa da D’Ancona erano stati decorati da un miniatore francese, attribuiva a Oderisi, fra le altre, opere come il Digestum del Collegio di Spagna di Bologna (ms. 282), e un Infortiatum ora a Torino (Biblioteca nazionale, ms. E.I.8). Sebbene Pietro Toesca (1927) avesse suggerito cautamente di leggere nei versi danteschi solo l’indicazione di una maggiore antichità di Oderisi rispetto a Franco, Francesco Filippini (1933) proponeva di ricercare l’opera di Oderisi nell’ambito della corrente neoellenistica che, a suo giudizio, avrebbe caratterizzato la miniatura bolognese nell’ultimo quarto del XIII secolo e gli riferiva i Corali della chiesa di S. Francesco a Bologna (Bologna, Museo civico medievale, mss. 525, 526), che in seguito sono stati considerati degli esordi del Maestro della Bibbia di Gerona, il vero protagonista del cosiddetto secondo stile bolognese (Medica, 2000, pp. 310-314).
Si devono a Roberto Longhi (1966A e 1966B) gli interventi di più ampio respiro su Oderisi, artista che egli inseriva nel più vasto contesto della pittura umbra. Lo studioso, infatti, dopo aver precisato che il rapporto messo in luce da Dante tra Oderisi e Franco e tra Cimabue e Giotto non andava letto in termini di rigido parallelismo, né cronologico in senso stretto, rilevava nel passo dantesco soprattutto un giudizio di eccellenza assoluta nei confronti del miniatore e proponeva di individuarne l’opera in uno dei codici qualitativamente più alti fra quelli miniati fra il settimo e l’ottavo decennio del XIII secolo: la sontuosa Bibbia detta di Corradino (Baltimora, Walters Art Gallery, Walters 152); tale codice sembrava il candidato più plausibile sia per la qualità delle miniature, sia per gli stretti rapporti che esso tradisce con la cultura figurativa umbra e in particolare con la tavola di S. Chiara (1283) conservata nell’omonima chiesa di Assisi. Inoltre, ravvisando echi del linguaggio del manoscritto ora a Baltimora nella decorazione della Bibbia di Parigi (Bibliothèque nationale de France, Lat. 18), uno dei massimi raggiungimenti della miniatura bolognese degli ultimi due decenni del Duecento, lo studioso proponeva l’attribuzione di quest’ultimo codice a Franco, l’altro grande protagonista ricordato da Dante, che avrebbe dato avvio a una nuova fase stilistica, immediatamente posteriore a Oderisi, da riconoscere nella produzione che gli studiosi definiscono del ‘secondo stile’. L’ipotesi di Longhi era condivisa da Mario Rotili (1968), che inseriva nel catalogo di Oderisi i codici nel frattempo raccolti intorno al cosiddetto Maestro della Bibbia di Corradino, come la Bibbia Bassetti della Biblioteca comunale di Trento (ms. 2868). Giovanni Previtali (1977) accoglieva il rapporto individuato da Longhi fra la Bibbiadi Corradino e la tavola assisiate, mentre Alessandro Conti (1981) pur riconoscendo che niente impediva di identificare il Maestro della Bibbia di Corradino con Oderisi, non mancava di sottolineare che le date dei documenti che lo ricordano corrispondono a quelle della nascita del cosiddetto secondo stile bolognese.
In quest’ultimo stile, infine, Decio Gioseffi (1987) proponeva di inserire Oderisi, avendo riscontrato che a esso si ispira la drôlerie delineata a penna che decora il frontespizio del Registro dei memoriali per il 1288 (Archivio di Stato di Bologna) compilato dal succitato Paolo di Iacopino dell’Avvocato. La proposta non ha però convinto gli studiosi.
La critica, infatti, continua a ritenere che al momento non sia possibile riferire con certezza alcuna opera a Oderisi, pur continuando ad assegnargli, sulla scia di Dante, un ruolo da protagonista nella miniatura bolognese (Medica, 2000, p. 121; Id., 2004).
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le Vite… (1568), a cura di G. Milanesi, I, Firenze1878, pp. 384 s.; C.C. Malvasia, Felsina pittrice, I, Bologna 1678, pp. 14 s.; F. Baldinucci, Notizie dei professori di disegno…, Firenze 1681, pp. 56-63; R. Baldani, La pittura a Bologna nel secolo XIV, Bologna 1908, pp. 377, 389 s., 393, 396, 425, 427, 455; G. Warner, Descriptive catalogue of illuminated manuscripts in the library of C.W. Perrins , Oxford 1920, pp. 130-140; P. D’Ancona, L’arte di O. da G., in Dedalo, II (1921), pp. 89-100; U. Gnoli, Pittori e miniatori dell’Umbria, Spoleto 1923, p. 223; P. Toesca, Il Medioevo (1927), Torino 1963, p. 1091; G. Castelfranco, I codici miniati di S. Domenico di Gubbio, in Bollettino d’arte, s. 2, VIII (1929), pp. 529-555; M. Salmi, La miniatura, in Tesori delle Biblioteche di Emilia e Romagna, Milano 1932, pp. 267-374; F. Filippini, O. da G., in Il Comune di Bologna, XX (1933), pp. 31-40; P. D’Ancona, La Divina Commedia e le arti figurative, in Emporium, LXXXII (1934), pp. 137-145; P. Toesca, O. da G., in Enciclopedia Italiana, XXV, Roma 1935, p. 174; F. Filippini - G. Zucchini, Miniatori e pittori a Bologna, I, Documenti dei secoli XIII e XIV, Firenze 1947, pp. 183-185 (regesto); M. Salmi, La miniatura italiana, Milano 1956, pp. 7, 17; R. Longhi, Apertura sui trecentisti umbri, in Paragone, XVII (1966A), 191, pp. 3-17; Id., Postilla all’apertura sugli umbri,ibid.,1966B, 195, pp. 3-6; S. Bottari, La cultura di O. da G. e di Franco Bolognese, in Dante e Bologna nei tempi di Dante, Bologna 1967, pp. 53-59; M. Rotili, La miniatura gotica in Italia, I, Napoli 1968, pp. 63-66; Id., Miniatura, in Enciclopedia Dantesca, II, Roma 1970, pp. 113 -115; G. Fallani, Ricerca sui protagonisti della miniatura dugentesca: O. da G. e Franco Bolognese, in Studi danteschi, XLVIII (1971), pp. 137-151; Id., Postilla su O. e Franco, ibid., L (1973), pp. 103-109; I. Barsali Belli, O. da G., in Enciclopedia Dantesca, IV, Roma 1973, pp. 122 s.; G. Previtali, Il Maestro della Madonna di S. Brizio e le origini della scuola orvietana di pittura, in Scritti di storia dell’arte in onore di Ugo Procacci, I, Milano 1977, pp. 106-110; A. Conti, Problemi di miniatura bolognese, in Bollettino d’arte, s. 6, LXIV (1979), 2, pp. 1-28; L. Morozzi, Contributo alla ricostruzione delle miniature appartenenti ai corali di S. Pietro a Gubbio, in Paragone, XXXI (1980), 363, pp. 53-67; A. Conti, La miniatura bolognese. Scuole e botteghe 1270-1340, Bologna 1981, pp. 7 s., 30 s.; F. Todini, La miniatura in Umbria nel Duecento e nel Trecento, in Francesco d’Assisi, III, Documenti e archivi, codici e biblioteche, miniature (catal., Perugia), Milano 1982, pp. 161-170; D. Gioseffi, Una traccia per O. e un’ipotesi per Franco, in Miniatura in Friuli crocevia di civiltà. Atti del Convegno, Passariano-Udine… 1985, a cura di L. Menegazzi, Pordenone 1987, pp. 83-92; S. Maddalo, O. da G., in Enciclopedia dell’arte medievale, VIII, Roma 1997, pp. 790 s.; A. Rossi, La miniatura da Dante a Boccaccio: O. da G., Buffalmacco, Boccaccio disegnatore, in Giornate di studio in ricordo di Giovanni Previtali, Siena… 1998 - Pisa… 1999, a cura di F. Caglioti, Pisa 2000, pp. 69-86; M. Medica, La città dei libri e dei miniatori, in Duecento. Forme e colori del Medioevo a Bologna (catal., Bologna), a cura di M. Medica, Venezia 2000, p. 125; Id., O. da G., in Dizionario biografico dei miniatori italiani secoli IX - XVI, a cura di M. Bollati, Milano 2004, pp. 836 s.