ODERO
– Famiglia di imprenditori liguri, la cui attività imprenditoriale fu avviata da Nicolò, nato a Genova nel 1824 da Alessandro, negoziante, e da Maddalena Questa.
Nicolò iniziò importando carbone, prodotto del quale Genova fu a lungo principale centro di distribuzione della penisola, per diventare poi spedizioniere, in concomitanza con lo sviluppo di traffici e di iniziative che caratterizzò il decennio cavouriano.
Nei primi anni Cinquanta sposò Maria Lavezzari, dall’unione con la quale nacque Attilio.
Tra il 1871 e il 1872 partecipò alla costituzione di una società anonima per rilevare lo stabilimento e il cantiere navale di Sestri Ponente dei fratelli Westermann, realtà di punta dell’industria meccanica genovese allora in crisi finanziaria. La società, però, non riuscì a risollevare le sorti dell’impianto e Odero, consapevole della sua importanza strategica, decise di acquisirne la proprietà. Nella gestione dello stabilimento si avvalse anche della collaborazione del fratello Michele e del figlio Attilio che, nel frattempo, aveva conseguito la licenza tecnica a Yverdon, in Svizzera.
I primi anni di vita della Fratelli Odero non furono brillanti: le commesse di navi erano scarsissime, cosicché ci si dovette dedicare a un’attività despecializzata (dalle caldaie a vapore alle pompe di grande portata, dalle gru idrauliche ai ponti metallici). Il flusso di ordinativi fu sufficiente a conservare un nucleo di forza lavoro che nei primi anni Ottanta oscillava tra le 500 e le 600 unità, capace di realizzazioni tecniche giudicate brillanti dagli osservatori coevi e tale da consentire allo stabilimento di affrontare con successo la costruzione di complesse navi militari, nel caso lo Stato avesse deciso di avviare una politica di sostegno alla cantieristica. Commesse militari e sovvenzioni giunsero negli anni seguenti e lo stabilimento – al pari di altri cantieri genovesi di proprietà Ansaldo (Sestri Ponente) e Cravero (Genova Foce) – ne beneficiò.
La prima nave militare fu varata nel 1885, seguita da molte altre, tra cui 26 torpediniere Schichau, 10 torpediniere Thornycroft e diversi cacciatorpedinieri d’alto mare. La continuità degli ordinativi favorì l’instaurarsi di rapporti preferenziali con gli ambienti militari, ministeriali e politici. Le competenze navalmeccaniche furono estese anche in ambito civile, e presto le costruzioni per la Marina mercantile, in termini di fatturato, divennero più significative delle commesse militari. Collegato a questo sviluppo fu l’investimento nell’accomandita Piaggio & C., fondata da Rinaldo Piaggio, all’epoca principale impresa di arredamento navale genovese e fornitrice del cantiere Odero.
La crescita delle commesse navali incoraggiò gli Odero a rilevare nel marzo 1896 il cantiere genovese Cravero, vincendo la concorrenza della Ansaldo della famiglia Bombrini. A tale scopo fu costituita l’accomandita Ditta N. Odero e C., in società con Armando Raggio, esponente di un’altra importante famiglia della borghesia capitalistica genovese, con interessi ramificati in comparti industriali, commerciali e finanziari. Le accresciute potenzialità produttive spinsero gli Odero a cercare altre fonti di approvvigionamento e ad avviare operazioni con conseguenze significative sullo sviluppo della siderurgia e della cantieristica nazionali. Alleandosi con Giuseppe Orlando, titolare del cantiere di Livorno, nell’autunno 1898 gli Odero acquisirono il controllo della Società degli alti forni fonderie ed acciaierie di Terni, la grande impresa siderurgica nata nel marzo 1884 col sostegno dello Stato per fabbricare corazze d’acciaio.
Nel marzo 1899 Attilio Odero e Giuseppe Orlando entrarono a far parte del comitato direttivo della società e, sebbene Vincenzo Stefano Breda conservasse la carica di presidente, tentarono subito di favorire un processo di integrazione tra le produzioni militari e civili della Terni e le proprie attività cantieristiche. Il primo passo fu la cessione, nel 1900, dello stabilimento siderurgico savonese, di proprietà Terni, alla neocostituita Società Siderurgica di Savona, controllata dalla Terni stessa. La Siderurgica divenne la longa manus finanziaria del gruppo di controllo della Terni e nel 1903 fu tramite questa che Odero, Orlando e il finanziere Ferruccio Prina, grazie anche alle aperture di credito della Banca commerciale italiana, acquistarono da Armando Raggio il 37,5% del capitale della società Elba, costituita a Genova nel 1899. L’acquisizione di una partecipazione così rilevante nell’Elba, seguita da una analoga nelle Ferriere italiane, permise di controllare le miniere elbane e la produzione di ghisa d’altoforno, e rappresentò un tassello fondamentale verso la costituzione di un trust che mirava a gestire gran parte della produzione siderurgica italiana (Confalonieri, 1980, II, p. 386). Odero e Orlando circoscrissero così il ruolo della Terni a «impresa fornitrice di semilavorati per i cantieri» e le sue partecipazioni azionarie in altre società a «strumento di proiezione del potere personale di Odero e di Orlando oltre i confini del gruppo» (Bonelli, 1975, p. 91). Significativi, in tal senso, gli investimenti della Terni nella cantieristica decisi nel 1904, allorché acquistò partecipazioni maggioritarie nelle accomandite che gestivano i cantieri di Sestri Ponente, Genova Foce e Livorno, lasciando però completa libertà di gestione agli originari proprietari. Attilio Odero e Orlando usarono le risorse della Terni per rafforzare la propria posizione nella cantieristica e nella siderurgia, lasciando poco spazio ai possibili concorrenti come l’Ansaldo dei Perrone o la Piombino dei Bondi. Questa strategia ebbe l’appoggio della Banca commerciale, in particolare del direttore Otto Joel, che dal 1903 sostenne i piani di Odero, con il quale strinse un solido rapporto.
Frattanto, la morte del fondatore Nicolò, il 12 settembre 1902 a Savignone (Genova), lasciò al figlio Attilio, nato a Genova il 1° gennaio 1854, l’intera responsabilità della direzione dei cantieri e delle diverse partecipazioni.
In anni di sviluppo dell’economia italiana, Attilio rafforzò gli interessi del gruppo, soprattutto nei settori meccanico, cantieristico e siderurgico. In quest’ultimo ambito giocò un ruolo importante nella costituzione dell’Ilva, fondata a Genova, nel febbraio 1905, anche con il concorso della Ligure Metallurgica dei Raggio; lo scopo era quello di costruire un impianto siderurgico a ciclo integrale a Bagnoli, nei pressi di Napoli, approfittando della legge speciale del 1904 recante «provvedimenti per il risorgimento economico della città» e delle previsioni di crescita della domanda nazionale di acciaio. Sempre nel 1905 Odero fu protagonista della fondazione di due altre grandi imprese, la Vickers Terni e la San Giorgio.
La prima sorse a Genova insieme alla britannica Vickers Sons and Maxim Ltd., con un capitale di 2,5 milioni di lire al quale la Vickers contribuì per 700.000 lire, mentre il resto fu conferito dalla Terni, da Odero e da Orlando. L’impresa costruì ex novo uno stabilimento a La Spezia per produrre artiglierie navali e completare «un’organizzazione industriale integrata, capace di fornire allo Stato, da sola, una nave da guerra […] partendo dalla produzione dell’acciaio delle corazze» (Bonelli, 1975, p. 89). Anche la San Giorgio sorse a Genova nel novembre 1905, nel clima di fervore per l’industria automobilistica. Nella circostanza Odero svolse un importante ruolo finanziario in quanto principale azionista, controllando il 41% del capitale di 3 milioni di lire. Ma la produzione della San Giorgio, dopo le prime automobili nello stabilimento di Sestri Ponente, fu riorientata verso la costruzione di macchinari ausiliari di bordo e di strumenti di precisione per le artiglierie navali (legati al business naval-militare del gruppo) e verso il materiale rotabile.
Tra il 1906 e il 1907 Odero rafforzò i suoi interessi nella cantieristica partecipando alla costituzione di Cantieri navali riuniti e di Fiat San Giorgio. Nel primo caso si mosse insieme alla Terni e alla Siderurgica di Savona per dare vita a una società che controllava i cantieri di Ancona, di Palermo e del Muggiano (SP); nel secondo caso fece entrare la sua San Giorgio in società con Fiat per allestire, sempre nell’area del Muggiano, un cantiere per sommergibili, che poco prima della Grande Guerra inglobò lo stesso cantiere del Muggiano. Per gestire le numerose imprese nelle quali aveva interessi, Odero si attorniò di un nucleo di fedeli amministratori, alcuni dei quali, come Vincenzo Ardissone e Arturo Bocciardo, futuri manager di primo piano dell’industria pubblica negli anni Trenta.
Figura di riferimento del capitalismo nazionale di quegli anni Attilio ricevette diversi riconoscimenti (cavaliere del lavoro 1905, commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia 1908, Grande ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia 1911 commendatore dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro 1913), partecipò alla fondazione della Confederazione generale dell’industria e a quella dell’Associazione tra le società italiane per azioni (Assonime).
Ma fu soprattutto in occasione del salvataggio del trust siderurgico, una vicenda dipanatasi a partire dalla crisi del 1907 e conclusa poi nel 1911, che Odero ebbe a svolgere un ruolo chiave, ponendosi come interlocutore delle massime autorità politiche e bancarie, preoccupate per gli effetti che il crollo di buona parte dell’industria siderurgica avrebbe potuto determinare sull’intera struttura economico-finanziaria del paese.
L’obiettivo di legare lo sviluppo dell’industria siderurgica a quello delle imprese meccaniche e navalmeccaniche controllate si reggeva sul sostegno delle grandi banche miste e su spregiudicate manovre borsistiche, più che sull’accumulazione dei profitti, anche perché i ricavi delle imprese del trust risentivano del dumping operato dal Stahlwerksverband tedesco e dalla concorrenza della Piombino della famiglia Bondi, l’altro gruppo titolare di un impianto a ciclo integrale e in pessimi rapporti con Attilio. La crisi del 1907 mise a nudo il grave indebitamento delle società siderurgiche tanto da indurre, nel novembre, Odero e Orlando, coadiuvati dall’avvocato d’affari Vittorio Rolandi Ricci, a rivolgersi a Giolitti affinché favorisse un intervento straordinario della Banca d’Italia a sostegno del trust. Iniziarono allora laboriose trattative per trovare le soluzioni utili a rafforzare le prospettive produttive delle società siderurgiche e assicurare la liquidità necessaria per farle uscire dalla crisi.
Nell’estate del 1911 fu raggiunto un decisivo accordo, sul piano commerciale, produttivo e finanziario, per uno stanziamento complessivo di 96 milioni di lire, con il soccorso della Banca d’Italia, delle grandi banche miste, delle principali casse di risparmio e di un pool di capitalisti privati, tra i quali spiccava Odero con 3,5 milioni di lire. A lui fu conferita la presidenza del Consorzio che incaricava l’Ilva di gestire unitariamente le imprese del trust, compresi gli impianti della Piombino, senza, però, che queste perdessero i loro diritti di proprietà (Mori, 1996, p. 51); e, sempre ad Attilio, il direttore generale della Banca d’Italia Bonaldo Stringher si rivolse per monitorare l’andamento economico-produttivo e il fabbisogno finanziario delle imprese, perché l’operazione di salvataggio rispettasse i tempi e i modi stabiliti. La disciplina imposta dagli accordi finanziari migliorò la situazione, ma non impedì che il permanere degli attriti tra Odero e i Bondi rendesse precario l’equilibrio raggiunto. Qualche miglioramento fu conseguito, ma a far uscire le imprese del Consorzio dall’impasse e a farne crescere notevolmente i profitti, furono solo la guerra e le relative commesse.
Alla stagione di forte crescita dell’Ilva, però, non partecipò Odero: nell’ottobre 1917, il suo acerrimo nemico Max Bondi riuscì a sottrargli il controllo delle società del Consorzio, a procedere nel 1918 all’incorporazione di tutte le imprese in Ilva alti forni e acciaierie d’Italia e a lanciare la nuova società in un vorticoso giro di acquisizioni e di partecipazioni in vari settori. Alla perdita dell’Ilva, Odero reagì acquisendo il controllo delle Ferriere di Voltri, di proprietà della famiglia Tassara.
L’allontanamento di Odero dalla maggiore società siderurgica del paese, però, non durò a lungo: esauritasi la fase delle azzardate manovre borsistiche che aveva contrassegnato la crisi del 1920, Bondi uscì di scena e, nel maggio 1921, le grandi banche miste, principali creditrici, insediarono un nuovo CdA costituito da uomini dell’entourage di Odero, tra i quali Ardissone, Dandolo F. Rebua e, soprattutto, Bocciardo.
Odero, nazionalista convinto, fu uno dei principali sostenitori dell’Associazione ligure di rinnovamento, confluita poi nel PNF (Partito nazionale fascista), e sin dalle origini appoggiò il fascismo genovese, finanziando, tra l’altro, il Giornale di Genova di Ferruccio Lantini, poi ministro delle Corporazioni, col quale stabilì un duraturo rapporto.
Odero e il suo gruppo furono in grado di riprendere il controllo su buona parte della siderurgia nazionale e di riproporsi come soggetto centrale del capitalismo nazionale. Fu ancora a lui che Stringher si rivolse alla fine del 1921 per affidargli la direzione della Commissione tecnica di consulenza istituita per studiare la ristrutturazione di un’altra grande impresa con sede a Genova, l’Ansaldo, di cui la Banca d’Italia era diventata la principale azionista. Odero, insieme a Rocco Piaggio e Bocciardo, propose un piano di ridimensionamento che venne considerato dalla vecchia direzione ansaldina «una sorta di vendetta postuma del gruppo Terni nei confronti della rivale di sempre» (Segreto, 1998, p. 45) perché prevedeva la cessione degli impianti siderurgici e la vendita del cantiere del Muggiano, acquisito dai Perrone nel 1918. La nuova Ansaldo fu costituita e Odero avrebbe dovuto esserne la guida, ma nel novembre 1922, di fronte all’assai incerta entità dei tributi dovuti allo Stato per i sovrapprofitti di guerra, rassegnò le dimissioni, già minacciate altre volte, e uscì di scena.
L’appannamento della sua figura può forse spiegare l’assenza di qualunque tentativo di dissuasione; in effetti, anche a causa dell’età avanzata, negli anni Venti la sua azione fu più orientata a conservare le posizioni acquisite che a sviluppare iniziative nuove. Odero mantenne il legame tra i cantieri di Sestri Ponente e della Foce e l’industria siderurgica – specialmente la Terni, di cui fu a lungo presidente – e le partecipazioni in imprese che aveva contribuito a fondare o sviluppare, spesso ricoprendone la carica di presidente, come la San Giorgio, la Piaggio e le Ferriere di Voltri, società confluita poi nell’Ilva. Di altre fu finanziatore, caso dell’impresa conciaria Sebastiano Bocciardo, appartenente alla famiglia di Arturo Bocciardo. Il legame con Bocciardo, rappresentò l’asse strategico di quegli anni, così come continuò a essere importante il sostegno finanziario della Banca commerciale, un rapporto consolidato dalla presenza dello stesso Odero nel Cda dal 1925 fino al 1933.
Un esempio della centralità delle relazioni tra Bocciardo e Odero fu la riorganizzazione delle partecipazioni della Terni nei cantieri Odero. Tra il 1924 e il 1926 i due cantieri, controllati da due distinte accomandite della quale la Terni possedeva le quote di maggioranza, furono inglobati nella Cantieri navali Odero. Nel 1927 i due riorganizzarono anche il polo spezzino unendo lo stabilimento ex Vickers Terni al cantiere ex Fiat San Giorgio, tornato nelle mani di Odero, e costituendo la società Odero-Terni. Punto d’arrivo della riorganizzazione, estesa anche al cantiere Orlando di Livorno, fu nel 1929 la fondazione della Odero-Terni-Orlando (OTO), società per azioni con sede a Genova e 115 milioni di capitale nelle mani della Terni, della quale Odero divenne presidente e Bocciardo vicepresidente e amministratore delegato.
Nel corso degli anni Trenta la OTO, a seguito della crisi della Banca commerciale e della Terni, entrò a far parte dell’IRI e, con la chiusura dei cantieri Foce e Sestri Ponente, l’attività si concentrò negli stabilimenti spezzini.
Nominandolo senatore il 2 marzo 1929, il regime riconobbe a Odero un tributo importante sia come sostenitore della prima ora del fascismo, sia come figura centrale del mondo industriale e capitalistico italiano.
La sua attività cominciò a declinare intorno al 1934, quando, anche a seguito della morte della moglie Teresa Questa e in assenza di figli, decise di ritirarsi dagli affari e di avviare un’iniziativa con scopi filantropici. Con r.d.l. 17 dicembre 1936, fu istituita la Fondazione Attilio Odero, ente morale con sede in Genova, alla quale l’imprenditore attribuì il 50% del suo patrimonio e che alla sua morte divenne erede universale dei suoi beni.
Morì a Genova l’11 maggio 1945.
Fonti e Bibl.: A tutt’oggi non sono disponibili carte private della famiglia Odero, né archivi d’impresa legati all’attività cantieristica. Infor-mazioni utili sono presenti nell’Archivio storico di Banca Intesa (nelle carte personali di Otto Joel e nella Segreteria dell’amministratore delegato Giuseppe Toeplitz), nell’Archivio storico della Banca d’Italia (fondo Banca d’Italia, sottofondi Ispettorato Generale, Carte Stringher, Consorzio sovvenzioni su valori industriali) e nell’Archivio storico Cavalieri del lavoro dove esiste un fascicolo Attilio Odero (b. CXXXIV, f. 3). Utili anche le pubblicazioni aziendali: Cantieri navali, officine meccaniche-fonderie N. O. fu Alessandro e C., Sestri Ponente, N. O. e C. Genova Foce, Genova 1911 e Terni-Società per l’industria e l’elettricità 1884-1934, Genova 1934. Il ruolo di Odero è stato messo in adeguato rilievo dalla storiografia: F. Bonelli, Lo sviluppo di una grande impresa in Italia: la Terni dal 1884 al 1962, Torino 1975, ad ind.; A. Carparelli, La siderurgia italiana nella prima guerra mondiale: il caso dell’ILVA, in Ricerche storiche, VIII (1978), 1, pp. 143-161; A. Confalo-nieri, Banca e industria in Italia: 1894-1906, Bologna 1980; Id., Banca e industria in Italia dalla crisi del 1907 all’agosto 1914, Milano 1982; Id., Banche miste e grande industria in Italia, 1914-1933, Milano 1994-97. Altre notizie sono rintracciabili in: E. Savino, La nazione operante, Novara 1934, p. 325; G. Doria, Investimenti e sviluppo economico a Genova alla vigilia della prima guerra mondiale, 2 voll., Milano 1969-73, ad ind.; M. Nones, Dalla San Giorgio alla Elsag: da grande gruppo meccanico ad industria elettronica avanzata, 1905-1969, Milano 1990, ad ind.; G. Mori, L’industria dell’acciaio in Italia, in Storia dell’Ansaldo, III, Roma-Bari 1996, pp. 31-66; L. Segreto, La nuova Ansaldo tra pubblico e privato, in Storia dell’Ansaldo, V, Roma-Bari 1998, pp. 41-71; F. Alberico, Le origini e lo sviluppo del fascismo a Genova: la violenza politica dal dopoguerra alla costituzione del regime, Milano 2009, ad ind.