Odo delle Colonne
Questo poeta (denominato "Odo" nella rubrica del ms. Vat. Lat. 3793 [V 25, c. 6v] all'unico componimento a lui attribuito con certezza, la canzone Distretto core e amoroso) viene designato anche come "Oddus" nella rubrica del ms. Parmense 1081 (Dominus Oddus de Columna), entrambe le forme risalenti a Oddone (variante di Ottone). Fu quasi certamente membro del gruppo dei funzionari-poeti della corte federiciana, forse parente del più famoso Guido (v.); la già ricordata rubrica di V (Messer Odo delecollonne dimesina), che traccia scarnamente il profilo di un personaggio di rango sociale medio-alto, forse ascrivibile al ceto intellettuale messinese, sembra trovare conferma nelle conclusioni dell'unico studioso che si è posto finora il problema dell'identità biografica di O., fondandosi su un documento emanato da Ruggero II, re di Sicilia, il 15 maggio 1129: "Se un Colonna messinese, senatore e giurista, visse a quel tempo, ciò mostra chiaramente che una famiglia di tal nome dovette esistere ed avere potenza in Messina prima che nel 1255, colla venuta del cardinale-arcivescovo, vi si potesse trapiantare un ramo de' Colonnesi romani […]. Quel titolo di giurista è anch'esso in certo modo una buona prova, perché tutti sanno che allora i mestieri e le professioni erano ereditari nelle famiglie; ed oltracciò de Columna è proprio la forma colla quale si sottoscrive Guido ne' codici della sua storia troiana. Ma, nonché Guido, anche Odo della Colonna, più antico e più notevole rimatore, anziché romano, parrà ormai sicuramente messinese come il Codice Vaticano lo dichiara" (Restivo, 1895, pp. 15-16).
In Distretto core e amoroso (tramandata per intero dal solo V, mentre la prima stanza figura nel ms. Parmense 1081 [c. 107v]), si incrociano motivi di sicura ascendenza trobadorica con altri che sembrano discendere in modo diretto da S'io doglio no è meraviglia di Giacomo da Lentini. Cominciamo dalla canzone del Notaro: essa è invasivamente presente in Distretto core, sia per la parte metrica (misura ottonaria del verso, identico schema della fronte [a b a b], inserimento nella sirma della rima c su due versi appaiati con ripresa di una rima della fronte [b in Giacomo, a in O.]), sia per gli aspetti intertestuali (si confronti in particolare Distretto core, 3-4: "[…] s'io son pensoso / nonn-è da meravigliare" con l'incipit di S'io doglio e 9-10: "L'amoroso piacimento / che mi donava allegranza" con S'io doglio, 8-9: "Allegranza lo vedere / mi donava proximano"). Ma soprattutto, come vedremo, la sua presenza appare operante in modo decisivo nel determinare in Distretto core sostanziali deviazioni dai suoi referenti trobadorici.
La situazione poetica e amorosa che emerge dalla canzone di O. è in gran parte identica a quella che si riscontra in Ara no vei luzir solelh (P.-C. 70.7) di Bernart de Ventadorn: in entrambe le composizioni il locutore è stato separato dalla donna amata dalle maldicenze dei lauzengiers (malvaza gens savaya per Bernart, noiosa e falsa gente per O.), contro le quali l'unico vero ed efficace antidoto è una condizione di appagante felicità dell'amante (cf. soprattutto Ara no vei, 28-32 con Distretto core, 17-24). Ma c'è una differenza sostanziale nella situazione in cui si trovano i due poeti: il primo è già gioioso (cf. Ara no vei, 25-27: "D'aquestz mi rancur ėm corelh, / qu'ira me fan, dol et esglai, / e pesa lor del joi qu'eu ai" ["Di costoro mi dolgo e mi rammarico che mi procurano rabbia, dolore e paura, e si rammaricano della gioia che provo"]) e il suo desiderio è solo di poter vedere la donna (cf. 59-60: "E si eu en breu no la vei, / non crei que lonjas la veya" ["E se non la vedo subito, non credo di poterla vedere per lungo tempo"]); il secondo, invece, allontanato dal piacere amoroso dell'amata, è triste, pensoso, il desiderio lo fa languire e tormentare; la gioia può essere solo simulata (molto belli i primi due versi, con un inedito ossimoro [distretto / gioioso]: "Distretto core e amoroso / gioioso mi fa cantare"), per imposizione della donna, con l'intento di 'sconfortare' i rei parlatori (cf. 25-27 e 29-30: "Sconfortamento n'avrano / poi comandato m'avete / ch'io mostri tal viso vano, / […] / […] crederano / ch'io ci agia mia diletanza"). Ma perché O. è infelice? La risposta è nei vv. 8-14 di S'io doglio ("Allegranza lo vedere / mi donava proximano, / lo contrario deggio avere / ch'eo ne son fatto lontano. / S'eo veggendo avea allegranza, / or no la veggio ò pesanza / mi distringe e tene mano"), la canzone lentiniana che, come abbiamo accennato sopra, ha un ruolo fondamentale nel determinare in Distretto core scarti significativi dal testo occitano di riferimento, soprattutto attraverso l'innesto di questa condizione disforica del locutore 'adastiato' da una lunga dimoranza ('lungo distacco') dalla donna a opera dei 'malparlieri'.
Proprio il motivo dell'allontanamento dall'amata sarà privilegiato, sconnettendolo dalle sue implicazioni causali (l'azione dei lauzengiers), nel componimento anonimo Po' ch'io partio, amorosa (V 299, c. 96v), certamente esemplato su Distretto core, da cui riprende anche lo schema metrico.
Complessivamente poco convincente appare la tesi di Joachim Schulze, che crede di scorgere nella prima stanza della canzone di O. un contrafactum della prima cobla di Amours de qui j'esmuef mon chant (R. 311) di Audefroi le Bastard: infatti non solo le due stanze non hanno nessuna prossimità tematica, ma anche lo schema metrico di Amours de qui j'esmuef (8 a b a b; b a a b) diverge sensibilmente da quello di Distretto core.
fonti e bibliografia
Edizioni: Le antiche rime volgari secondo la lezione del codice Vaticano 3793, a cura di A. D'Ancona-D. Comparetti, I, Bologna 1875, p. 66.
G. Lazzeri, Antologia dei primi secoli della letteratura italiana, Milano 1942, p. 573; M. Vitale, Poeti della prima scuola, Arona 1951, p. 189; E. Monaci, Crestomazia italiana dei primi secoli, nuova ediz. riveduta e aumentata per cura di F. Arese, Roma-Napoli-Città di Castello 1955, p. 108; B. Panvini, Le rime della scuola siciliana, I, Firenze 1962, p. 91; Concordanze della lingua poetica italiana delle origini, a cura di d'A. S. Avalle, I, Milano-Napoli 1992, p. 310.
Una nuova edizione critica e commentata della canzone di O., a cura di A. Fratta, è stata approntata per l'edizione nazionale dei poeti della Scuola siciliana e dei siculo-toscani, coordinata da R. Coluccia e C. Di Girolamo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Palermo, in corso di pubblicazione: da essa sono tratte le citazioni contenute nel testo.
F.E. Restivo, La scuola siciliana e Odo della Colonna, Messina 1895; C. Appel, Bernart von Ventadorn. Seine Lieder mit Einleitung und Glossar, Halle 1915; G. da Lentini, Poesie, a cura di R. Antonelli, I, Introduzione, testo, apparato, Roma 1979; M. Cocco, 'Lauzengier'. Semantica e storia di un termine basilare nella lirica dei trovatori, Cagliari 1980, pp. 113 ss.; G. Gorni, Le forme primarie del testo poetico, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, III, Le forme del testo, 1, Teoria e poesia, Torino 1984, p. 451; J. Schulze, Sizilianische Kontrafakturen. Versuch zur Frage der Einheit von Musik und Dichtung in der sizilianischen und sikulo-toskanischen Lyrik des 13. Jahrhunderts, Tübingen 1989, pp. 78-82; F. Brugnolo, La Scuola poetica siciliana, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, I, Dalle origini a Dante, Roma 1995, p. 295; A. Fratta, Le fonti provenzali dei poeti della Scuola siciliana. I postillati del Torraca e altri contributi, Firenze 1996, p. 67.