ODOARDO Farnese, duca di Parma e di Piacenza
ODOARDO Farnese, duca di Parma e di Piacenza. – Nacque il 28 aprile 1612, da Ranuccio I e da Margherita Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII. Non era il primogenito; tuttavia, poiché il fratello Alessandro (nato nel 1610) si era rivelato muto e disabile, fu presto indirizzato alla successione al trono ducale. La sua formazione fu affidata al nobile piacentino Cremona Vicedomini e al gesuita Leone Santi. Quando il padre morì (il 5 marzo 1622), il governo fu retto dapprima dallo zio (il cardinale Odoardo Farnese), poi dalla duchessa madre.
Il 14 febbraio 1626 fu resa pubblica la sua promessa di matrimonio con Margherita de' Medici, figlia del granduca Cosimo II, in virtù di un accordo fra i due casati concluso sin dal 1620. Superata l’ostilità al progetto della corte francese, la cerimonia si tenne l’11 ottobre 1628 in S. Maria del Fiore a Firenze e fu accompagnata da articolati festeggiamenti.
Tra questi spicca la rappresentazione de La Flora, commedia in versi di Andrea Salvadori musicata da Marco da Gagliano e Jacopo Peri. Le manifestazioni di giubilo proseguirono a Parma. Il giurista e letterato Claudio Achillini, molto vicino a Odoardo, compose due opere: Teti e Flora e Il gran torneo regale di Mercurio e Marte. La prima (un prologo all’Aminta di Torquato Tasso) fu recitata il 13 dicembre 1628 nel teatro provvisorio eretto nel cortile del convento di S. Pietro Martire progettato da Francesco Guitti; la seconda era invece uno spettacolo molto ricco, con il quale il 21 dicembre si inaugurò il Teatro Farnese, completato pochi anni prima all’interno del complesso della Pilotta. La messinscena prevedeva un torneo, nel quale Odoardo compariva come mantenitore, dotato di una scenografia maestosa e in particolare di ingegnose macchine sceniche; Claudio Monteverdi (chiamato a Parma tre volte, fra il 1627 e il 1628) ne scrisse le musiche.
I fasti dell’evento stridevano con la guerra per la successione di Mantova e del Monferrato che incombeva sul nord Italia. In particolare, quando Odoardo assunse personalmente il governo (il 24 agosto 1629), stava arrivando in Italia un forte esercito tedesco, con l'obiettivo di conquistare Mantova, dove si era insediato Carlo Gonzaga di Nevers. Odoardo dovette pagare contributi agli invasori, giunti nella pianura Padana. Penetrò nei ducati anche un’epidemia di peste e Odoardo sostenne i servizi sanitari della municipalità parmense con un contributo di 100.000 lire.
Dopo la morte del duca Vincenzo Gonzaga (avvenuta il 6 dicembre 1631), fu nominato dall’imperatore Ferdinando II custode del feudo di Sabbioneta. Non ottenne invece altre concessioni richieste in Spagna (come un ingrandimento territoriale o addirittura il trattamento reale nel cerimoniale di corte). Poco dopo, recise ogni contatto con gli Asburgo. Il 20 aprile 1633, dopo trattative condotte dal suo ministro Fabio Scotti (e facilitate dal segretario Jacopo Gaufrido), firmò un’alleanza con il re di Francia Luigi XIII, nella prospettiva di un’offensiva congiunta contro i domini spagnoli dell’Italia settentrionale. Il duca avviò i preparativi militari, quindi aderì formalmente al patto franco-sabaudo siglato a Rivoli l’11 luglio 1635. La guerra iniziata con la discesa dei francesi in Valtellina alla fine di aprile 1636 e l'invasione del Milanese occidentale in agosto, ebbe tuttavia un cattivo esito. Odoardo, con la sua armata, prese parte alle operazioni del fallito assedio di Valenza (30 km a est di Alessandria), in settembre. Fatte rientrare le truppe nei ducati alla fine del 1635, egli rimase in un primo tempo a Casale Monferrato; poi, nel febbraio 1636, proponendosi come capo di una nuova spedizione francese in Italia, si recò a Parigi. Ricevette da Luigi XIII e dal cardinale di Richelieu (Armand-Jean du Plessis), trattamenti molto onorevoli; tuttavia, il 18 marzo riprese la via per l'Italia senza risultati effettivi.
Durante quelle stesse settimane era in pericolo la stessa sopravvivenza del suo Stato: dalla metà di febbraio 1636, le truppe spagnole, modenesi e persino le milizie di Gian Andrea Doria lo avevano invaso da più lati conquistando diversi centri (tra cui Colorno, Soragna, Rottofreno, Borgo Taro). Una volta rientrato, Odoardo potenziò i suoi eserciti, ma invano: le forze spagnole si ritirarono soltanto allorché divenne per loro prioritario contrastare l’esercito del duca Henry II de Rohan-Gié, entrato dalla Valtellina nello Stato di Milano. Toccò agli stessi francesi e agli alleati sabaudi, sotto il comando del marchese Guido Villa, recuperare parte dei territori perduti entro la metà di maggio 1636. Quando poi, in giugno, l’offensiva contro lo Stato di Milano poté essere ripresa, Odoardo prese il comando di 4000 uomini intorno a Nizza della Paglia, in Monferrato. Rimase però del tutto inattivo: alle prime difficoltà nei pagamenti, lasciò l'esercito per tornare a Parma in incognito. Gli riuscì soltanto un colpo di mano contro Santo Stefano d'Aveto, feudo di Gian Andrea Doria, che rimase in suo possesso fino all’inizio del successivo settembre. Mancò invece l’obiettivo della riconquista di Rottofreno, presso Piacenza, a causa di un consistente soccorso inviato in agosto da Diego Felipe de Guzmán marchese di Leganés.
Dilagati nel Piacentino, gli spagnoli ne misero a sacco le campagne, impadronendosi di Cortemaggiore e di un gran numero di castelli. Quando alla fine di ottobre essi arrivarono a stringere Piacenza, presero corpo le offerte di soluzione diplomatica che venivano da Roma e da Firenze. Odoardo firmò un accordo di pace con il marchese di Leganés il 4 febbraio 1637, recuperando i territori perduti ma non il deposito di Sabbioneta. Il successivo 15 maggio fu conclusa la pace anche con il duca di Modena, Francesco d’Este.
Il conflitto aveva gravemente compromesso le condizioni economiche dei ducati. Il 1637 fu anno di carestia. Il settore manifatturiero – in particolare l’arte della seta a Parma – conobbe un netto calo della produzione, nelle campagne l’allevamento di bestiame era quasi scomparso; le fiere del cambio di Piacenza erano state sospese. Odoardo promosse i traffici commerciali rafforzando le misure di sicurezza interna (accordi di cooperazione giudiziaria con i duchi di Modena e di Mirandola vigevano sin dal 1634); cercò di attirare gli operatori che si erano spostati a Cremona con nuove esenzioni dai tributi; invitò i banchieri a Piacenza e una fiera del cambio fu inaugurata nel novembre 1637. Parallelamente – ma l’indirizzo era stato intrapreso sin dall’avvio del governo – Odoardo puntava a ridimensionare i privilegi ecclesiastici sia in ambito giurisdizionale che fiscale. Anche nei confronti del ceto nobiliare egli usò non di rado mezzi decisi, arresti e confische. Il suo ex ministro Fabio Scotti morì in prigione nel 1638.
Come sede di residenza Odoardo preferì Piacenza dove, nei tardi anni Trenta del Seicento, fece pavimentare in selciato lo Stradone Farnese e costruire il palazzo della Racchetta. Nel salone del locale Palazzo comunale fece erigere un teatro. Attirava critiche, fra i contemporanei, il suo gusto per le rappresentazioni pubbliche: furono grandiosi, nel 1639, gli spettacoli per il carnevale e per la nascita del figlio Pietro. Bernardo Morando, poeta molto attivo a corte nei decenni centrali del Seicento, compose nell’occasione il testo del balletto Ercole fanciullo.
Le finanze ducali restavano in affanno. Sin dai primi anni del Seicento, i Farnese raccoglievano risorse dalla piazza romana attraverso Monti (prestiti pubblici), che premiavano i sottoscrittori con interessi tra il 5 e il 5,5%. Il loro rimborso totale (denominato estinzione), si era rivelato impraticabile e il pontefice aveva concesso proroghe nel 1632 e nel 1634. Nonostante ciò, a Odoardo premeva con urgenza rinegoziare quanto dovuto. Fra ottobre e novembre 1637 si recò nel suo Ducato di Castro (nell’attuale Lazio settentrionale) e da qui a Roma, dove ebbe un primo incontro con papa Urbano VIII. Ripeté il viaggio nell’autunno 1639 e stavolta conseguì il risultato sperato: al nuovo Monte Farnese, eretto nel 1640, fu assegnato un capitale di 1.200.000 scudi al 4,5%. Per pagare i relativi interessi furono impegnate le entrate del Ducato di Castro, date in affitto nel 1638 a Giovan Battista e Alessandro Siri per un canone annuo di 97.000 scudi. I locatari, contestato nel merito il contratto, non versarono mai in realtà quanto dovuto e il meccanismo di ammortamento del nuovo debito si bloccò già alla fine del 1640. La crisi si acuì a seguito di interventi della Camera apostolica che – tra febbraio e marzo 1641 – prima proibì il transito dei corrieri nel Ducato di Castro (sottraendo all’erario farnesiano i proventi dei relativi pedaggi) e poi l’esportazione del grano colà raccolto. I Siri – peraltro vicini ai Barberini, la famiglia del papa interessata ad acquistare il feudo – cedettero allora grano per 80.000 scudi alla presidenza dell’Annona e grascia di Roma e si ritirarono. Il pagamento degli interessi del Monte Farnese, senza più provvista finanziaria, venne sospeso e la Camera apostolica citò Odoardo in giudizio. Era l’ultimo atto: in estate il duca di Parma iniziò ad armarsi e il papa gli indirizzò una dura condanna (17 agosto 1641).
Rimasto inascoltato l’ultimatum di smobilitare (pure due volte prorogato), il Ducato di Castro fu invaso dall’esercito pontificio nella prima metà di ottobre 1641; il 26 novembre i beni farnesiani a Roma furono sequestrati; il 13 gennaio 1642 Odoardo fu scomunicato. Dopo qualche settimana vide le stampe la Vera e sincera relazione delle ragioni del duca di Parma contra la presente occupazione del ducato di Castro, redatta da Girolamo Moreschi (presidente del Supremo Consiglio di Piacenza), probabilmente con il contributo di Fulgenzio Micanzio, già collaboratore di Paolo Sarpi. Risposero, fra gli altri, il bibliotecario e archivista pontificio Felice Contelori e Giovanni Ghini, commissario generale della Camera apostolica.
Nel clima arroventato dalle prese di posizione polemiche, andarono a vuoto i tentativi di mediazione spesi dal duca di Modena e da Richelieu: iniziò la guerra. In primavera fallì un primo progetto di Odoardo di sbarcare truppe sulle coste laziali. Poco dopo, egli trovò l'appoggio di una lega formata il 31 agosto 1642 dalla Repubblica di Venezia, dal granduca di Toscana e dal duca di Modena contro il papa. Invase il Bolognese all'inizio di settembre 1642. Scorsa la Romagna, valicato l'Appennino in territorio toscano, giunse in Umbria e nel Lazio settentrionale fino ad Acquapendente (presa il 9 ottobre). Due giorni dopo, incontrò a Castel Giorgio (poco a nord di Bolsena) i rappresentanti di Francia, Papato, Ducato di Modena e Granducato di Toscana per trattare un armistizio. Si trattava di un’iniziativa effimera, anche se alla metà del mese l’accordo parve vicino. Riprese le armi, sopraggiunte difficoltà logistiche obbligarono Odoardo a ritirarsi.
Rientrato a Parma il 6 novembre, dapprima egli tentò senza successo un'altra invasione delle coste laziali, poi aprì un fronte settentrionale: passato il Secchia il 25 maggio, conquistò Bondeno e La Stellata, a circa 30 km da Ferrara. Fu il solo risultato di rilievo dei suoi sforzi: sconfitte le truppe pontificie a San Pietro in Casale, circa 30 km a nord di Bologna, l’11 luglio, Odoardo schierò le forze a difesa del suo Stato. Il 3 settembre tornò a Parma, il 13 ottobre a Piacenza. Iniziate le trattative di pace, incontrò a Modena il 2 dicembre i rappresentanti del re di Spagna Filippo IV, di Venezia, del granduca e del duca di Modena. Quindi, nel gennaio 1644, si spostò a Venezia, dove si trovava il cardinale Alessandro Bichi, plenipotenziario francese. A conclusione dei negoziati, la pace fu siglata il 31 marzo 1644 in modo vantaggioso per Odoardo, assolto dalle censure ecclesiastiche: il Ducato di Castro gli sarebbe stato restituito ed egli avrebbe smantellato tutte le fortificazioni liberando Bondeno e La Stellata. Il Ducato conteso fu effettivamente riconsegnato il 18 luglio 1644, ma esso sarebbe stato incorporato nello Stato della Chiesa cinque anni più tardi, dopo un nuovo conflitto. Morto Urbano VIII il 29 luglio 1644, Odoardo ottenne prima dal Collegio cardinalizio, poi da Innocenzo X la conferma di tutte le precedenti concessioni. Rientrò quindi a Piacenza.
Gli spettacoli restavano al centro dei suoi interessi: stipendiava una cappella musicale, di cui nel 1630 era maestro Simpliciano Olivo, e una compagnia teatrale stabile; fra il 1632 e il 1636 era passato alla sua corte anche il violinista e compositore Giovan Battista Buonamente. Nelle estati 1645 e 1646, Odoardo si spostò a Venezia con un seguito di musicisti. Le sue ambizioni di ottenere un alto comando nell’esercito della Serenissima, invece, restarono frustrate.
Morì a Piacenza il 10 settembre 1646 dopo una breve malattia. Fu seppellito a Parma, nella cappella ducale del monastero dei Cappuccini. Morando compose l’ode In morte d’Odoardo Farnese il Grande (1646).
Ebbe sei figli legittimi e tre naturali. Furono nominati tutori del primogenito (Ranuccio) prima il cardinale Francesco Maria Farnese, poi la vedova Margherita de’ Medici.
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