FIALETTI, Odoardo
Nacque a Bologna il 18 luglio 1573 (Malvasia, 1678, p. 228), figlio postumo del "Dottore Odoardo"; affidato al fratello maggiore, questi lo mise "a dozzena" presso la scuola del pittore G. B. Cremonini. Successivamente, all'età di nove anni, si trasferì col fratello prima a Padova e infine a Venezia, dove frequentò la bottega del Tintoretto. Trascorse probabilmente anche un periodo a Roma per perfezionare gli studi artistici (ibid., p. 234).
Dopo la morte del Tintoretto (1594), il F. si trovò partecipe di quel momento creativo nel quale una nuova generazione di artisti (tra cui Palma il Giovane, D. Tintoretto e S. Peranda) si dovette assumere la non facile responsabilità di continuare quella tradizione veneziana che aveva avuto nei decenni precedenti la sua splendida fioritura: essi, rimanendo nel solco del tardo manierismo, seppero trasmettere al Seicento veneziano un vastissimo compendio di formule e di moduli decorativi che si armonizzarono poi con gli elementi del linguaggio barocco.
In una lettera del 1660 inviata al Malvasia, e da questo fedelmente riprodotta (1678, p. 228), il Boschini elenca trentotto dipinti eseguiti dal F. per chiese e confraternite veneziane. Tuttavia, della sua feconda attività pittorica, poche sono le opere rimaste: tra queste, oltre alla S. Agnese nella chiesa di S. Niccolò da Tolentino (da collocare entro il primo decennio del secolo), due tele firmate nella chiesa di S. Giuliano con Storie di s. Giacomo, che, nonostante il ricorso al metodo tintorettesco di "strisciar di luce" (Venturi, 1934), risentono ancora di elementi bolognesi tratti dal Calvaert e dal Procaccini. Anche nel ciclo con Storie di s. Domenico nella sagrestia della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, che Pallucchini (1981) data non oltre il 1610, il F. mostra, oltre a reminiscenze dell'arte dei Bassano, caratteri affini alla pittura di Palma il Giovane e, come ricordo delle origini emiliane, qualche allungamento delle figure secondo i moduli parmigianineschi.
Questo armonizzare lo stile del veneziani, e soprattutto del Tintoretto, con quello del Carracci, è nota comune di tutta la produzione pittorica del F., come ci testimoniano il Boschini (1660) e lo Zanetti (1771) quando commentano le due tavole, ora perdute, che gli furono commissionate per la Scuola Grande di S. Teodoro (Gallo, 1961-1962), o la pala di S. Giovanni Evangelista realizzata per la parrocchiale di Castello di Noale nel Trevigiano (Federici, 1803).
Anche nel genere ritrattistico il F. rimane legato al repertorio del tardo manierismo veneziano. Sono da ricordare i quattro ritratti di dogi e tra questi quello del Doge Giovanni Bembo, in carica tra il 1615 e il 1618, impostato secondo gli schemi aulici alla Domenico Tintoretto, e la Seduta di Collegio (ora tutti i presso la Royal Collection di Hampton Court, portati in Inghilterra tra il 1604 e il 1625 da Heriry Wotton, ambasciatore a Venezia: Donzelli-Pilo, 1967).
Più che per la sua attività di pittore, il F. è conosciuto per la vasta opera grafica, oggi costituita da circa 240 acqueforti nelle quali evidenti sono gli elementi di gusto carraccesco, in particolare di Agostino, soprattutto nella ricerca di un equilibrio tra il linguaggio grafico e le suggestioni pittoriche e coloristiche. Il corpus incisorio è molto vario nei soggetti e comprende incisioni sia di traduzione sia di propria invenzione. Tra le prime vanno menzionate due stampe, d'après Tintoretto, di soggetto religioso, Le nozze di Cana (dal dipinto nella sagrestia della chiesa della Salute) e un S. Sebastiano; una serie di undici pezzi di fregi con trofei su invenzione di Polidoro da Caravaggio; quattro soggetti mitologici dagli affreschi del Pordenone per palazzo Tinghi di Udine; due serie di grottesche, con motivi vegetali e animali uniti a figure mitologiche, derivate da invenzioni di P. Giancarli e raccolte sotto il titolo di Disegni varii di Polifilo Zancarli A benefitio di qualsivoglia persona che faccia professione del disegno (Bellini, 1992): queste tavole, come altre di tale genere, costituirono un vasto repertorio di modelli e di spunti decorativi ripresi testualmente dalle coeve botteghe di intagliatori e di ornatisti (Pirondini, 1978) e largamente utilizzati in Francia fino al XIX secolo dalle manifatture ceramiche di Nevers.
Tra le acqueforti originali, si ricordano un fregio in sei pezzi con Tritoni e Nereidi;tredici paesaggi; tre fogli che, secondo un gusto tutto seicentesco che si pone tra documentazione o diletto visivo, illustrano in modo piacevolmente descrittivo i vari metodi di cacciagione; i quindici Scherzi d'amore, nei quali l'impianto carraccesco delle figure di Venere e Amore, a volte con qualche reminiscenza tizianesca, assume l'eleganza manieristica alla Palma il Giovane. E ancora i rami per il Libro dei frontespizi emacchine da guerra (Venezia 1624), pubblicato per quel tipo di editoria scientifica già di vasto seguito in questo scorcio di secolo; i rami per i due volumi Degli habiti delle religioni ... (Venezia 1626) e le illustrazioni per Il libro della scherma di N. Giganti (Padova 1628).
Tra le opere incisorie del F. particolare rilievo assume il manuale di disegno pubblicato a Venezia da Sadeler nel 1608, col titolo Ilvero modo et ordine per dissegnar tutte le parti et membra del corpo humano, per il quale Palma il Giovane collaborò con due acqueforti inserite in fondo al volume.
Si tratta di una serie di tavole che illustrano con carattere analitico le varie parti del corpo umano e nelle quali il criterio del "disegno elementare" si esplica con una grande varietà di esempi. Le stampe della pubblicazione del F. erano organizzate in due libri, secondo la descrizione che ne fa il Bartsch (1870, p. 297), ognuno col proprio frontespizio: il primo, Ilpiccolo libro dei disegni, dedicato al duca di Modena Cesare d'Este e datato 1608, comprendeva 10 incisioni; l'altro, Il grande libro dei disegni, senza data, era di 36 stampe. Il manuale fu più volte ripubblicato, come attesta anche la tarda edizione dell'esemplare conservata alla Biblioteca Marciana di Venezia in 43 fogli (Maugeri, 1982). Il vero modo et ordine testimonia la sistematica conoscenza da parte del F. dell'esperienza pedagogica e della metodologia carraccesca basata sul "disegno dal naturale" applicata da Agostino nell'ambito dell'Accademia bolognese degli Incamminati.
Il F. morì a Venezia nel 1637 o nel 1638 (cfr. Malvasia, 1678, che lo dice morto a 65 anni).
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