PUDORE, Offesa al
Il pudore si ritrova presso tutti i popoli in tutti i tempi, sebbene ne variino le manifestazioni. Il codice italiano, che il pudore tutela con sanzione penale, omette di definirlo, ma nella relazione ministeriale al progetto definitivo (II, 317) è detto che per pudore ha da intendersi il "pudore medio", costituito dall'insieme delle norme consuetudinarie di civile convivenza in rapporto alla sessualità, vale a dire il pudore "consistente nelle norme di condotta e di pudicizia esteriore che la morale media della popolazione esige siano osservate". E conclude la citata relazione che, in base ai concetti adottati, anche quando l'offesa sia diretta al privato, il pudore di costui, ai fini della repressione penale dell'offesa, deve sempre adeguarsi al pudore medio. In dottrina è notevole è la definizione che del pudore offre G. Marciano: "Il pudore è quella speciale sensibilità del genere umano che, secondo i popoli e le consuetudini de' tempi, spinge a un naturale riserbo in rapporto ai pensieri e agli atteggiamenti che richiamano, sia pure in forma allusiva, all'atto sessuale, ai misteri della generazione e alla vita de' sensi"; sensibilità che va tutelata, perché, se manomessa, può determinare "eccitamenti pericolosi e tendenze abominevoli che degradano l'anima, logorano l'energia dell'organismo e dissolvono la personalità etica e quella fisica degli individui". Un concetto troppo lato del pudore (concetto a cui non crediamo abbia voluto ispirarsi il nostro legislatore, che i delitti di offesa al pudore distingue dai delitti contro il sentimento religioso) è quello cui si attiene G. Maggiore, per il quale il concetto di pudore non dovrebbe limitarsi al cosiddetto pudore sessuale, ma dovrebbe estendersi a comprendere quel "timore di giusta riprovazione che accompagna ogni mancanza di rispetto ai fondamentali principî etici di una società" (offesa ai sentimenti etici fondamentali relativi alla famiglia, alla religione, alla patria, ecc.).
Evidentemente, se il nostro codice avesse accolto un così lato concetto del pudore, non avrebbe collocato il delitto di incesto nel capitolo dei delitti contro la morale famigliare, ma nel capitolo contenente i delitti di offesa al pudore, e in questo capitolo avrebbe incluso il delitto di vilipendio della bandiera dello stato, anziché collocarlo, come lo colloca, fra i delitti contro la personalità interna dello stato.
Due norme del codice concorrono a tutelare il pubblico interesse all'inviolabilità del sentimento del pudore: la norma dell'art. 527 e la norma dell'art. 528.
a) Sotto il titolo di atti osceni la legge (art. 527) punisce con la reclusione da tre mesi a tre anni chiunque in luogo pubblico (luogo di pubblico accesso; es. una via pubblica, un pubblico giardino) o aperto al pubblico (luogo dove il pubblico può accedere in determinati momenti e a determinate condizioni; es. un teatro, un caffè, la corsia di un ospedale) o esposto al pubblico (es. un balcone), compie atti osceni, intendendo per atti gli atti in senso stretto (reali o simbolici), escluse, quindi, le manifestazioni verbali non accompagnate da gesti, ecc. All'articolo 529 il codice dà la definizione dell'atto osceno: "Agli effetti della legge penale, si considerano osceni gli atti (e gli oggetti), che secondo il comune sentimento, offendono il pudore", e aggiunge: "Non si considera oscena l'opera d'arte o l'opera di scienza, salvo che, per motivo diverso da quello di studio, sia offerta in vendita, venduta o comunque procurata a persona minore degli anni diciotto". In materia di definizione dell'"atto osceno" è giusto il rilievo del Maggiore che "atto osceno" e atto "offensivo del pudore" non sono l'identica cosa; e poiché il codice del 1930 parla di "atti osceni" e non semplicemente (come il codice del 1889) di atti offensivi del pudore o del buon costume, dovrebbero rientrare nella previsione legislativa soltanto gli atti che "offendono turpemente il pudore, in modo da suscitare schifo e ribrezzo" e non anche certo altri atti costituenti espressione di ebbrezza sessuale che sogliono, invece, considerarsi atti osceni. Il delitto di "atti osceni" è previsto dal codice anche sotto forma di delitto colposo, nel qual caso la pena comminata è la multa da lire trecento a tremila.
Per l'ipotesi dolosa è necessario e sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza, nell'agente, che l'atto compiuto abbia carattere di oscenità, prescindendo da ogni indagine sul fine dell'agente.
b) L'articolo 528 prevede il delitto di "pubblicazioni e spettacoli osceni". Dispone, infatti: "Chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce nel territorio dello stato, acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini o altri oggetti osceni di qualsiasi specie, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire mille. Alla stessa pena soggiace chi fa commercio, anche se clandestino, degli oggetti indicati nella disposizione precedente, ovvero li distribuisce o espone pubblicamente. Tale pena si applica inoltre a chi: 1. adopera qualsiasi mezzo di pubblicità atto a favorire la circolazione o il commercio degli oggetti indicati nella prima parte di questo articolo; 2. dà pubblici spettacoli teatrali o cinematografici, ovvero audizioni o recitazioni pubbliche, che abbiano carattere di oscenità. Nel caso preveduto dal n. 2, la pena è aumentata se il fatto è commesso nonostante il divieto dell'autorità". Questa figura di delitto trova i suoi precedenti legislativi nell'art. 339 del codice del 1889, nell'art. 115 della legge di pubblica sicurezza (1926) e nell'articolo 1 della convenzione di Ginevra del 12 settembre 1923 concernente la repressione della pornografia. Nell'applicazione di questa norma del codice occorre aver presente la riserva di cui all'art. 529 relativa alle opere d'arte e di scienza. Il delitto in esame richiede nell'agente un dolo specifico, e, diversamente dal delitto di "atti osceni", di cui sopra, non è prevista l'ipotesi di una responsabilità per colpa.
Bibl.: C. Saltelli-E. Romano di Falco, Commento teorico-pratico del nuovo codice penale, Roma 1930, II, pp. 755-771; G. Marciano, Nuovi studi sul codice penale, Napoli 1934; G. Maggiore, Principii di diritto penale, Bologna 1934, spec. pp. 354-55.