offrire (offerere; s'offerie, in rima, III singol. pass. rem.)
Nel senso oggi più comune di " porgere, presentare in aiuto o in dono ", " mettere a disposizione " e simili, può considerarsi raro nell'opera dantesca, riscontrandosi due sole volte: in Pg XVI 9 la scorta mia... / mi s'accostò e l'omero m'offerse (per il densissimo fumo, che lo costringe anche a chiudere gli occhi, D. non sa più procedere da solo), e XXVI 104, dove D. esprime la gratitudine e l'antico filiale affetto per il Guinizzelli, mettendosi totalmente a sua disposizione: tutto m'offersi pronto al suo servigio. In Fiore L 5 Amico consiglia all'Amante di essere largo offerente di sé stesso e dei suoi beni a Malabocca, per poterlo così ingannare meglio.
Più frequente è l'accezione religiosa e rituale di " sacrificare, dare a Dio ", anche tramite la Chiesa o le elemosine ai poveri. Di questo tipo di offerta si parla a lungo nel c. V del Paradiso, il canto della teorica del voto, le cui componenti sono, appunto, il sacrificio a Dio della libertà di volere e quello della ‛ materia ' di cui ci si priva, per dedicarla al Signore.
Il primo è troppo importante perché si possa pensare di annullarlo, facendo in cambio un'opera meritoria: sarebbe come credere di poter impiegare a fin di bene il ricavato di un furto (Se credi bene usar quel c'hai offerto, / di maltolletto vuo' far buon lavoro, v. 32). Proprio per questo gli Ebrei erano vincolati dall'obbligo del sacrificio (però necessitato fu a li Ebrei / pur l'offerere, v. 50). Atto religioso è anche l'offerere di Pd XIII 140, anche se per spiegarlo gl'interpreti oscillano tra " donare alla Chiesa " e " beneficare il prossimo ": come contrapposto a furare (per vedere un furare, altro offerere) D. non può che porre un " dare del proprio " (ai bisognosi), ma egli usa il verbo tecnico delle offerte a Dio, certo pensando alle implicazioni spirituali delle opere di beneficenza (cfr. Matt. 25, 40 " quandiu fecistis uni ex his fratribus meis minimis, mihi fecistis "). Una preistoria simile ha la piuma offerta di Pg XXXII 137, che corrisponde alle penne date dall'aquila al carro (vv. 124-126): l'inserimento del verbo tecnico deriva qui dal sovrapporsi, sul piano letterale, di quello allegorico, relativo alla donazione di Costantino alla Chiesa. L'espressione intera è infatti: da la piuma, offerta / forse con intenzion sana e benigna (in Pd XX 56 è eliminato il forse, e il proposito di Costantino è una buona intenzion che fé mal frutto), parole che ricevono una spiegazione da Mn III X 17 Poterat et vicarius Dei recipere non tanquam possessor, sed tanquam fructuum pro Ecclesia pro Cristi pauperibus dispensator: in offerta è dunque implicito un concetto di charitas. Lo stesso verbo è adoperato nella presentazione di Pietro Lombardo (che, come la poverella del racconto di Luca, offerse a Santa Chiesa tutto ciò che possedeva, cioè il risultato delle sue meditazioni, i Libri sententiarum), in Pd X 108, dove D. traduce, ancora tecnicamente, il ‛ mittere in gazophylacium ' dei due testi che aveva presenti (Luc. 21, 1-2 " mittebant munera sua in gazophylacium... quandam viduam pauperculam mittentem aera minuta duo "; P. Lomb. Sentent. Prol. " Cupientes aliquid... cum paupercula in gazophylacium Domini mittere ").
Ancora più spesso indica un'azione di movimento, corrispondente al latino obviam fero, e da tradursi variamente caso per caso. Come intransitivo pronominale significa " presentarsi ", " apparire ", in If I 62 (dinanzi a li occhi mi si fu offerto; Virgilio) e IX 8 (Tal [Beatrice] ne s'offerse; non ha avuto fortuna la proposta di leggere Tal ne sofferse). Nell'uno e nell'altro caso, i commentatori che hanno pensato a un'offerta di aiuto hanno dovuto supporre ciò che il testo non dice, perché in un primo momento D. non sa nemmeno se la figura che gli sta dinanzi sia ombra o uomo certo, e Beatrice propriamente non promette aiuto a Virgilio. Del resto questo ‛ offrirsi ' è un evidente calco virgiliano (" se... ante oculis... obtulit ", di Aen. II 589-590, tradotto appunto " mi si offerse dinanzi agli occhi " e " dinanzi agli occhi mi s'offerse " da due antichi volgarizzatori: cfr. Volgarizzamenti del Due e Trecento, a c. di C. Segre, Torino 1964, 602 e 623).
Sempre come intransitivo pronominale significa " darsi ", " abbandonarsi ", in Pg XVIII 138 sé stessa a vita sanza gloria offerse, detto di quella parte di Troiani che si rifiutò di seguire Enea; " volgersi ", in Pd VIII 40 li occhi miei si fuoro offerti / a la mia donna; " venire ", " derivare ", in XXIV 123 onde [l'oggetto della Fede] a la credenza tua s'offerse; e lo stesso significato ha al passivo in Pg XVIII 43 amore è di fuori a noi offerto, lo stimolo ad amare ci viene dall'esterno. All'attivo equivale in definitiva a " spingere ", in XXXI 103 m'offerse / dentro a la danza de le quattro belle, mi fece entrare nel cerchio danzante delle Virtù cardinali.
La frequenza di quest'accezione, nel poema, conforta la proposta di modifica di lettura per Pd XVI 10, da prima Roma sofferie, riferito al voi, a prima a Roma s'offerìe, come legge il Petrocchi (e cfr. ad l.).
Tenendo presenti le idee di D. sull'Impero e sui suoi rappresentanti, come risultano dalla Monarchia, dalle epistole politiche e dalla stessa Commedia, sembra impossibile attribuirgli un giudizio negativo, che sarebbe comunque compreso in sofferie, sul ‛ voi ' aulico, cioè su uno dei segni di rispetto manifestati dai Romani per Cesare, da essi stessi investito dell'altissima carica (Pd VI 57: Cesare assunse il potere imperiale per voler di Roma). Per ragioni interne sofferie risulta quindi estraneo, anzi antitetico alle intenzioni del poeta, mentre s'offerie, oltre a non contraddirle, è conforme alla lingua della Commedia. Nella lettura che si propone il verso significa: " Dal ‛ voi ' che fece a Roma, per Cesare, la sua prima apparizione ", cioè " che a Roma fu usato per la prima volta ".