OINOCOE (οἰνοχόη, oenochoë)
Termine greco usato per designare una specie di vasi. Secondo l'etimologia, tali vasi avrebbero dovuto contenere il vino, ma è verosimile che, nonostante l'etimologia, più largo fosse il loro uso, e che il nome non fosse stato riserbato a un tipo solo. L'oinocoe è talvolta detta anche πρόχους, che però è propriamente il vaso per versare l'acqua. Nella terminologia archeologica moderna invece, l'oinocoe corrisponde alla moderna brocca, e, trattandosi di una convenzione, l'impiego del nome è senza dubbio più rigido di quello che non sia stato presso gli antichi. Dall'oinocoe va distinta la olpe (v.). Generalmente la bocca dell'oinocoe è trilobata, eccetto nell'età preellenica, che predilige la brocca munita d'un beccuccio per la fuoruscita del liquido. Di oinocoe ci sono pervenuti esempî sia in metallo sia in terracotta; questi ultimi sono naturalmente assai più numerosi dei primi. L'indubbia somiglianza delle sagome dei vasi fittili con quelle dei vasi metallici non basta però per autorizzare a parlare senz'altro d'imitazioni fittili di prototipi metallici; diremo piuttosto che uno stesso ideale di snellezza e di eleganza guidava la mano dei figuli e dei toreuti, e che nell'infinita varietà di forme che il tipo assume attraverso i secoli, si rivela costantemente la stessa ricerca di eleganza e di armonia che domina l'arte greca in tutto il suo sviluppo.
L'oinocoe si trova già nell'arte minoica e in quella micenea; rara nel periodo geometrico, diviene invece frequente nel sec. VII a. C., sopra tutto nella ceramica rodiota, che ivi può esplicare tutto il suo insuperabile senso decorativo. Strettamente affini per forma e per sistema ornamentale, benché leggermente più recenti come età, sono le brocche di stile corinzio, che però non raggiungono la perfezione di quelle rodiote. Belle, ma un po' uniformi, le brocche paleocorinzie decorate a squame, imitate in bucchero dagli Etruschi. All'estrema fase dello stile protocorinzio appartiene quel piccolo capolavoro che è il vaso Chigi (fine sec. VII-inizio sec. VI). I ceramisti attici e calcidesi della seconda metà del sec. VI adoperarono questa forma, decorandola di figure nere; ma non si tratta di grandi capolavori e le dimensioni sono piuttosto modeste. Durante il see. V l'oinocoe, pur restando di proporzioni piuttosto limitate, acquista un'eleganza raffinata di sagoma, che si accorda mirabilmente col disegno delle tenui figurine del colore naturale dell'argilla, di cui il vaso è decorato. Nel sec. IV l'oinocoe diviene forse troppo slanciata, ma questo difetto non si spinge al punto di creare delle forme decisamente brutte. L'oinocoe fittile ellenistica e romana ha ormai appena carattere d'arte, invece quella metallica, conservando quasi inalterata la forma del sec. IV, ne tramanda la sagoma elegante, che possiamo ancora ammirare, in mezzo agli altri strumenti di sacrificio, sulle are e sui cornicioni dei templi romani (v. prefericolo). (V. tavv. XXI e XXII).